Spiedini di salmone coi limoni del Garda

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Questo è un piatto che preparava mia nonna Emma quando abitava a Garda, però con il delicato coregone del nostro lago, messo in risalto dai poco conosciuti limoni del Lago di Garda, ricchi invece di storia e di sapore.
Io, non amando particolarmente il pesce d’acqua dolce, preferisco usare invece il salmone, dalle carni dolci e gustose, ma non ho sostituito la provenienza campanilistica dei limoni, che avendo una buccia profumatissima particolarmente sottile, si prestano molto bene a questa vecchia ricetta
Ve la do subito perché dopo ho voglia di raccontarvi quello che so sui nostri agrumi gardesani, ossia benacensi, a scelta.

Si tagliano a cubi 5-600 gr circa di salmone privato della pelle e delle lische (io lo trovo già “cubettato” dal mio pescivendolo) e si fa marinare per un’oretta con succo di limone, aneto, olio d’oliva, prezzemolo tritato, pepe e un pizzico di paprika.
Intanto si affettano molto sottili, con un coltello affilato, un paio di limoni non trattati e lavati con cura.
Si toglie il salmone dalla marinata e si alterna sugli spiedini alle fettine di limone piegate in due. Si infornano a 200 gradi per una decina di minuti spennellati abbondantemente di marinata, e poi si servono con le patate bollite, come faceva mia nonna, per mitigare l’asprezza dei limoni.
Questa è la ricetta, adesso permettetemi un po’ di folklore gardesano.

I limoni del Lago di Garda non sono famosi come quelli della Costiera Amalfitana, ma ancora più ricchi di storia.
Fin dal Settecento il litorale a nord di Salò, sulla costa Bresciana, a circa 46° di latitudine, divenne famoso per essere la zona di coltivazione di agrumi più settentrionale al mondo, grazie al suo microclima quasi mediterraneo e alle imponenti serre a vetrate di cui oggi non restano che le vestigia.

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Ma ancora prima, nel 1464 l’antiquario Felice Feliciano scriveva di quella zona che “era luogo profumato dagli effluvi dei rosai e ombreggiato dai rami frondosi di limoni e cedri”.
Nel 1483, anche Marin Sanudo, storico e diarista di origini veneziane riferì di “zardini de zedri, naranzari et pomi damo” presenti lungo la Riviera.
Nel Cinquecento Bongianni Grattarolo, poeta e accademico letterario nativo di Salò, annotava come “la riva del Lago di Garda possiede molti giardini copiosi in ogni stagione dell’anno, di tutti quei pomi che hanno la scorza d’oro”.
Agli inizi del Settecento a Bogliaco fu fondata la ditta “G. Francesco Bentotti per il commercio dei limoni” che li esportava in tutta Italia e in molti Paesi dell’Europa Nord Orientale.
Il limone del Garda era infatti richiesto per “le sue qualità medicinali, per l’acidità, l’aromatica fragranza del succo e della sua corteccia, il suo durar fresco più a lungo d’ogni altro”.
Oltre a ciò era molto apprezzato per la sottigliezza e la lucentezza della scorza e la forma più rotonda, che ne facevano raddoppiare o triplicare il prezzo rispetto a quello dei limoni di altre zone d’Italia.
A cavallo tra Ottocento e Novecento però la produzione dei nostri limoni cominciò a risentire pesantemente della concorrenza di quelli delle regioni meridionali, prodotti a costi molto inferiori, dalle pesanti spese di manutenzione delle limonaie e dalla scoperta dell’acido citrico sintetico.
L’interesse quindi per la coltivazione si andò esaurendo e oggi le storiche e imponenti limonaie che per secoli avevano rappresentato una grande risorsa economica, sono quasi del tutto scomparse.
Una delle poche che ancora resistono è sulla sponda Veronese del Lago, a Torri del Benaco, addossata al castello.

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Il castello di Torri del Benaco fu fatto costruire nel 1383 sulle rovine di un preesistente maniero risalente all’Alto Medioevo, da Antonio della Scala, che fu l’ultimo Signore della Famiglia degli Scaligeri di Verona.
Sul lato meridionale si trova l’antica limonaia, costruita nel 1753 e ancora ben curata secondo le tecniche tradizionali, che consistono nel rimuovere o sigillare perfettamente le vetrate a seconda delle stagioni.
Questa è una scena che si incontrava molto di frequente nel paesi del Lago di Garda fino agli anni Sessanta, direi: i venditori di cedri e limoni con il loro carrettino.

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Quando ero bambina ce n’era uno all’ingresso del ponte per entrare a piedi a Sirmione. Il mio papà mi comprava sempre un grosso cedro che poi a casa mangiavo a fettine coperte di zucchero.

Tartine rustiche per pazientare

Quando si invita a cena un certo numero di persone, nonostante l’esperienza accumulata nel tempo, la scelta di piatti che possono essere felicemente preparati in anticipo e la capacità di intrattenere gli ospiti a mano a mano che arrivano, ci sono dei tempi morti che occorre riempire, così come gli stomaci di chi sta aspettando che ci siano tutti per potersi mettere a tavola.
È bene quindi offrire con l’aperitivo qualche stuzzichino per far pazientare gli ospiti arrivati per primi.
Se la cena prevede piatti non troppo sofisticati, come una vellutata o un passato di verdure e un unico arrosto, magari farcito, ci stanno bene questi crostini semplici, dall’aria piuttosto casalinga, che creano un clima rilassato e conviviale in attesa dell’antipasto.

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Prima di tutto si affettano 2 baguette ottenendo delle tartine alte circa 1 cm e 1/2 e si passano in forno per farle diventare croccanti.
Si prepara per esempio una fresca insalata greca con pomodori a cubetti, olive denocciolate, basilico, menta e formaggio feta. Si miscela tutto e si tiene nel frigorifero fino al momento dell’aperitivo.
Un altro suggerimento è un composto di sgombro sott’olio sminuzzato, cipolla rossa di Tropea tritata, capperi sott’aceto strizzati, origano e pomodoro a dadini.
Se per cena avete previsto il baccalà (come nel mio caso) una terza proposta è quella di frullarne una piccola parte con l’aggiunta di qualche cucchiaiata di mascarpone, 1 pizzico di paprika affumicata e 1 cucchiaino di prezzemolo tritato.
Anche queste due preparazioni vanno fatte riposare in frigorifero.
Pochi minuti prima dell’ora in cui arriveranno gli ospiti si completano le fettine di baguette con una cucchiaiata di ciascun composto.

Non sono esattamente quelli che definisco amuse bouche, più sofisticati, eleganti e raffinati di questi, adatti a serate formali e a un menù ricercato, creato più per stupire che per divertirsi.
Ci sono anche serate così, ma per quelle più familiari e rilassate consiglio di cuore questo tipo di stuzzichini, meno chic ma molto golosi.

La mia Banda Bassotti

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Quando comincio a togliere gli ingredienti dalla dispensa e dal frigorifero, ho sempre due membri della famigerata Banda Bassotti pronti ad approfittare di ogni mia distrazione…
Qui stanno seguendo con molta attenzione la preparazione del baccalà.
Se avete voglia di cucinarlo anche voi, spulciate tra queste vecchie ricette.
https://silvarigobello.com/2014/01/21/il-baccala/
https://silvarigobello.com/2014/11/07/baccala-mantecato/
https://silvarigobello.com/2015/01/22/il-baccala-a-modo-mio/
Felice fine settimana a tutti.

I gamberi di Forrest Gump

Qualche settimana fa raccontavo come abbiamo passato una tranquilla serata in famiglia guardando la registrazione di quel film capolavoro del ’94 di Robert Zemeckis che è Forrest Gump.
Penso l’abbiate visto tutti o a suo tempo al cinema o più tardi in televisione in una delle tante repliche che hanno proposto sia la Rai che Mediaset e Sky.
Ricorderete che Forrest fece fortuna con la pesca dei gamberetti e chiamò la sua impresa Bubba Gump Shrimp Company.
Sulla scia di questa storia qualcuno ha avuto l’idea di aprire una catena di ristoranti in America proprio con questo nome, dove si mangiano soprattutto gamberi in modo molto informale, anche se i prezzi sono quelli da “ristorante con la tovaglia” (distinzione da imparare subito se intendete fare quel famoso viaggio negli Stati Uniti di cui molti di voi mi hanno spesso parlato).
Io faccio i gamberetti fritti proprio come quelli che ho mangiato nel ristorante Bubba Gump al Pier 39 di San Francisco.
C’è stato un anno in cui siamo andati per dieci giorni solo a San Francisco e dintorni. È una cosa che facevamo spesso quella di approfondire con calma una zona visitata in precedenza se non frettolosamente comunque non in modo dettagliato ed esauriente come avrebbe meritato.
Era il nostro terzo approdo alla città del Golden Gate, e non ci tornavamo da una decina d’anni mi pare.
San Francisco non è una città che cambia, non è caotica, è “friendly” con i suoi abitanti e con i visitatori, è varia e bellissima, facile da girare e piena di emozioni e colori, ti ci senti a tuo agio fin dal primo momento.
Avrei mille cose da raccontare delle nostre esperienze nella Bay Area, alcune sono nel mio libro U.S.A. e Jet, altre magari le riassumo in un post uno di questi giorni.
Adesso però parliamo dei gamberi alla Gump.

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Setaccio 150 gr di farina, 50 gr di maizena, 1 pizzico di peperoncino e 1/2 bustina di lievito per torte salate in una ciotola.
Aggiungo 1 uovo intero e 1 cucchiaio di olio di oliva e mescolando con una piccola frusta unisco circa 150 ml di acqua fredda gassata per ottenere una pastella liscia e densa, in modo che i gamberi siano rivestiti di uno strato spesso.
Conservo la preparazione in frigorifero.
Dopo averle sciacquate rapidamente, sguscio circa 400 gr di code di gambero lasciando attaccata la codina, le libero del filo intestinale e le tampono con la carta da cucina.
Le infarino leggermente, le scuoto per eliminare la farina in eccesso e le passo nella pastella reggendole per la codina.
Le immergo in olio caldo, poche per volta e le friggo finché non risultano dorate.
Le scolo con la schiumarola, le appoggio sulla carta da cucine e le servo subito.

Non servo i miei gamberi alla Forrest Gump su finti fogli di giornale come quando li ho mangiati a San Francisco, ma li accompagno anch’io con le patatine fritte, la salsa tartara (https://silvarigobello.com/2015/03/04/salsa-tartara-e-analogie-bizzarre/), una ketchup dolce e piccante e l’insalata coleslaw (http://silvarigobello,com/2015/05/14/coleslaw-limmancabile-insalata-di-cavoli/), per divertirmi un po’ quando mi prende la “nostalgia gastrica”.

Canederli allo speck

Questa è la Lisa quando aveva due anni e pensava che il pastore tedesco della Fritz Stube al Passo di Costalunga fosse un leone, senza che questo la preoccupasse.

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Quando avevamo una multiproprietà al Lago di Carezza, le rare volte in cui durante la Settimana Bianca utilizzavo la sera il minuscolo angolo cottura nell’appartamentino di Castel Latemar, cucinavo “tirolese”.
La spesa la facevamo il pomeriggio a Moena o a Vigo di Fassa, al ritorno dai campi da sci, dopo aver pranzato coi bambini nei rifugi assolati più o meno in quota, dove le piste erano più difficili e si raggiungevano in seggiovia.
Il Supermercato più popolare era la Famiglia Cooperativa che offriva al banco della rosticceria anche Spätzle e Knödel che bastava lessare e condire con abbondante burro nocciola per avere un piatto altamente calorico pronto in pochissimo tempo.
Di tanto in tanto adesso faccio ancora i Canederli (Knödel) sia col formaggio, che con lo speck o gli spinaci, più che altro per utilizzare il pane che avanza quotidianamente.

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Si rosola 1/2 cipolla bianca con una noce di burro, poi si aggiungono 150 gr di speck prima affettato e poi tagliato a striscioline.
Si riducono a cubetti di circa 1/2 cm di lato 250 gr di pane bianco raffermo, si versano in una ciotola e si coprono con 250 ml di latte tiepido.
Si aggiungono lo speck con le cipolle, 2 uova sbattute, 1 cucchiaio di farina, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato, una generosa grattugiata di noce moscata, 1 pizzico di sale e una macinata di pepe.
Si mescola l’impasto con delicatezza (io preferisco usare le mani) per amalgamare tutti gli ingredienti senza però rompere troppo i cubetti di pane e poi si lascia riposare una ventina di minuti.
Si riprende l’impasto, che non deve risultare né troppo asciutto, né troppo molle. Eventualmente si può aggiustare aggiungendo una cucchiaiata di latte oppure un po’ di pangrattato, non di farina.
Si formano delle palle dai 4 ai 6 cm circa di diametro, lavorandolo il meno possibile.
Si mettono a cuocere in un brodo vegetale, oppure si pollo, che deve sobbollire piano piano, per 15 minuti.
Quando si scolano, si possono impiattare e condire con abbondante burro nocciola, erba cipollina e formaggio grattugiato oppure mangiare in brodo come noi e in questo caso i canederli prendono il nome di Knödel Suppe.

Anziché il parmigiano, preferisco utilizzare il grana trentino o, quando ce l’ho in casa, il Graukäse: il formaggio grigio altoatesino perché il sapore sia ancora più autentico e genuino.

Biscotti ai mirtilli con muesli American Way

La volta che abbiamo scelto il New England come meta di uno dei nostri numerosi viaggi negli Stat Uniti, abbiamo avuto molte sorprese.
Già San Francisco, per esempio, ci aveva dato la sensazione di una città di concezione relativamente europea, ma Boston, coi suoi quartieri dal delicato color terracotta e la sua eleganza, si è rivelata davvero speciale, compresa Cambridge al di là del fiume Charles, la città universitaria per eccellenza.

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Nel Downtown le strade acciottolate, illuminate da lampioni a gas, sono strette e spesso tortuose, le costruzioni che le fiancheggiano sono dimore storiche ed eleganti, con balconcini sporgenti e affascinanti bow window, nei ristoranti e nelle locande il cibo è irresistibilmente allettante e le molte botteghe suggestive offrono merci insolite e curiose, spesso antiquate, se non proprio antiche.

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Nei dintorni del Quincy Market, in un delizioso Antique Shop, che in realtà non era un vero negozio di antiquariato ma vendeva per lo più oggetti di modernariato, vintage e bric-à-brac, ho trovato questa piccola, irresistibile raccolta di ricette di famiglia.

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Naturalmente non ho resistito e nel tempo ho anche riprodotto alcune delle classiche ricette trovate nel pacchetto. Quella dei biscotti ai mirtilli rossi, tipica specialità del Massachusetts, è risultata molto interessante.

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Si schiaccia con la forchetta una banana matura affettata e si versa in una ciotola.
Si aggiungono: 1/2 tazza di burro di arachidi, 1/3 di tazza di sciroppo d’acero, 1 cucchiaio di estratto di vaniglia, 1 tazza e 1/2 di muesli alla frutta, 1 cucchiaino di cannella in polvere e 3/4 di tazza di mirtilli rossi disidratati.
Si miscelano tutti gli ingredienti e si deposita il composto a cucchiaiate piuttosto distanziate su una teglia coperta di carta forno leggermente imburrata.
Si inforna a 180 gradi per circa 1/4 d’ora.
Meglio lasciar raffreddare completamente i biscotti prima di staccarli dalla teglia, perché sono piuttosto friabili.

Il fatto che manchino burro, uova, zucchero e farina non vi tragga in inganno: sono veri biscotti!
E anche piuttosto buoni, per quanto insoliti, ma è proprio questo a renderli così speciali.

Insalata Waldorf

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Sono passati più di 120 anni da quando il maître di origine Svizzera del famoso hotel Waldorf-Astoria di New York, Oscar Tschirky, ha creato questo raffinato contorno.
Da allora l’insalata Waldorf ha subito molte variazioni. L’originale era preparata unicamente con mele e sedano rapa, in parti uguali, tagliati a julienne e conditi con la maionese, mentre più comunemente adesso si serve con l’aggiunta di noci e lattuga. Spesso il sedano rapa si sostituisce con un gambo di sedano e a volte la mela con una pera.
Insomma di questa storica e antica insalata, da servire anche al posto del sorbetto nelle occasioni importanti, sono state create nuove varianti molto interessanti e innovative.
La più facile e veloce è comunque quella della fotografia, che è il contorno perfetto di un piatto di spiedini di pesce e prepararla è molto semplice.

Si lava qualche foglia di lattuga, si spezzetta con le mani e mette in una ciotola.
Si lava una mela dalla polpa soda, si taglia a metà, si priva del torsolo e si affetta sottile, si spruzza di succo di limone e si dispone sulla lattuga.
Si tagliano a fettine 2 coste tenere di sedano, lavate e private dei fili e si aggiungono nella ciotola.
Si sgusciano e si spezzettano sopra 5-6 noci.
Si prepara il condimento per la nostra Waldorf emulsionando bene 2 cucchiai di maionese con 1 cucchiaio di yogurt bianco, 1 pizzico di sale, una macinata di pepe e 1 cucchiaio di succo di limone.
Si versa sull’insalata e si mescola tutto delicatamente.

È un piatto famosissimo in America, citato anche nella canzone di Cole Porter You’re the Top: “You’re the Louvre Museum – You’re a Shakespeare’s sonnet – You’re the Waldorf Salad – You’re the top!”
Vale la pena di ricordare che Oscar Tschirky è anche l’ideatore delle celebri e squisite Uova alla Benedict (https://silvarigobello.com/2014/08/01/uova-alla-benedict/).

Sugo “con le conchiglie”

Gli spaghetti con le vongole li facciamo un po’ tutti. Conosco moltissime ricette, che differiscono fra loro per motivi diversi: il genere di molluschi, le tradizioni regionali, le abitudini familiari, la propensione o meno verso il piccante, i gusci nel piatto, l’aggiunta del pomodoro.
Insomma gli spaghetti con le vongole sono fantastici cucinati in mille modi.
Ho già postato almeno altre tre ricette di sughi con le vongole, sembrerebbe impossibile che avessi ancora qualcosa di nuovo da dire al riguardo, ma ho in serbo un’altra sorpresa.
Questa ricetta mi è tornata in mente mentre mi preparavo a cucinare proprio un sugo di vongole, ricordando i tanti viaggi in America fatti con i figli prima che diventassero adulti indipendenti e ne è uscito un post, oltre a un insolito e saporitissimo piatto.

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L’Old Town di San Diego è un insediamento che ricostruisce gli albori della California e le sue origini Messicane, riconoscibili dall’architettura delle case e della chiesa di un bianco abbagliante.
È un quartiere turistico che ha comunque un suo fascino. È ricco di negozi di souvenir locali, di artigianato tipico dei Nativi Americani e di ristoranti per lo più messicani, con camerieri vestiti come i Mariachi.
Le volte in cui ci siamo andati noi c’erano comunque anche una pizzeria italiana e il Brigantino, uno dei migliori ristoranti di pesce, insieme al Vera Cruz, della Contea di San Diego.
Questi sono dunque gli spaghetti con le vongole che qualche volta si mangiano in California. Sono cucinati con il bacon, ma garantisco che non c’è di che lamentarsi.

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L’esecuzione della ricetta è semplice come al solito.
Faccio spurgare accuratamente per qualche ora in acqua molto salata 1/2 kg di vongole, poi le controllo battendole sul tavolo per essere certa che non contengano più sabbia.
Le faccio aprire in padella a fuoco vivace con uno spicchio d’aglio, qualche gambo di prezzemolo e uno spruzzo di vino bianco.
Le sguscio lasciandone qualcuna intera per decorare il piatto.
Filtro il liquido e lo conservo.
In un tegame grande abbastanza per contenere anche gli spaghetti, faccio imbiondire 2 spicchi d’aglio con qualche cucchiaiata di olio, li elimino e aggiungo 150 gr di bacon a cubetti.
Lo faccio rosolare, unisco un peperoncino fresco privato dei semi e affettato sottile, le vongole sgusciate e il loro liquido tenuto da parte.
Aggiungo 320 gr di spaghettini lessati e scolati al dente, aggiusto di sale se occorre e completo con abbondante pepe al mulinello.
Li faccio saltare finché il liquido è stato assorbito dalla pasta, li servo cosparsi di prezzemolo tritato e li completo con le vongole nel guscio, come decorazione.

Ho chiamato questo sugo “con le conchiglie” perché quando erano piccoli, a nessuno dei miei figli piaceva il pesce, e per pesce intendo anche crostacei e molluschi, e quando preparavo gli spaghetti con le vongole li definivano con un certo disgusto: quelli con le conchiglie.

Uova sode passepartout

Le uova sode ripiene sono una di quelle soluzioni, facilissime ed economiche che aggiungono però sapore e completezza ad una semplice porzione di lattuga.
Le servo a volte come antipasto arricchendole con qualche coda di gambero al vapore e una salsa intrigante, per esempio, oppure diventano la mia insalata/pranzo con vicino alcune fettine di prosciutto di Parma.

20150321-121237.jpgSe le preparo solo per me, non sto a decorarle come quando sono destinate agli ospiti, ma il sapore del ripieno è comunque goloso e stuzzicante.
Quelle della foto le ho preparate facendo rassodare 4 uova per 8 minuti. Le ho poi fatte raffreddare, tagliate a metà e ho prelevato i tuorli.
Li ho messi nel vaso del frullatore, ho aggiunto 1 scatola grande di tonno al naturale sgocciolato, 2-3 acciughe sott’olio, 1 cucchiaio di capperi sciacquati molto bene, 1 spruzzo di limone, 1 cucchiaio di salsa Worcestershire, 2 cucchiai di ricotta, 1 cucchiaino di curcuma, 1 pizzico di pepe bianco e 1 di peperoncino in polvere.
Ho frullato tutto e ottenuto un composto con il quale ho riempito i mezzi albumi tenuti da parte. Ho condito una piccola insalata di lattuga tagliata a striscioline con una citronette alla senape. Sopra ho appoggiato la mia porzione di uova (decorate con qualche cappero) e alcune fette di prosciutto crudo.
Ho accompagnato questo pranzetto con 1 cucchiaiata di maionese e i grissini al sesamo .

Niente di che, lo so, a occhio sarà la quinta volta che ripropongo le uova sode ripiene, ma ogni volta vario un po’ gli ingredienti che aggiungo ai tuorli e mi pareva che anche questo ripieno andasse condiviso perché è proprio ghiotto.

Il pasticcio di pollo “caldo” di mia nonna

In agosto vi avevo proposto una terrina fredda di pollo specialità di mia nonna (https://silvarigobello.com/2015/08/17/il-pasticcio-di-pollo-freddo-di-mia-nonna/) accennando che ne faceva anche una calda, entrambe per recuperare, a seconda della stagione, il surplus di pollo lesso che invadeva la sua cucina.
Questa è dunque la ricetta della terrina che si serve tiepida, o a temperatura ambiente, ma prima va cotta.
Anche questa lei la chiamava “pasticcio di pollo” e per differenziarlo dall’altro aggiungeva semplicemente: “caldo”.

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Si fa la pasta con 250 gr di farina, 1 uovo, 1 cucchiaio di olio, 1 pizzico di sale e tanta acqua tiepida quanta ne serve per ottenere un composto morbido che non si appiccichi alle dita.
Si lavora a lungo e quando la pasta è omogenea ed elastica si tira sottile sottile con il mattarello e si fodera uno stampo da plumcake ben imburrato ritagliando un triangolo ad ogni angolo perché la pasta non si sovrapponga, ma sia ben sigillata.
Si lascia debordare in modo da poter poi coprire completamente la farcia.
Se vi sembra troppo complicata, vi consento la scorciatoia della pasta sfoglia pronta, ma questa è più compatte e friabile.
Mia nonna passava tutto al passaverdure, ma fortunatamente ormai si può contare sugli apparecchi elettrici e per il ripieno si frullano a lungo 500 gr di pollo lesso disossato, 200 gr di mortadella di Bologna a fettine, 200 gr di formaggio Asiago a cubetti, 1 panino raffermo bagnato in una tazza di brodo tiepido e strizzato e 1 uovo intero.
Si versa il composto in una ciotola, si aggiungono 50 gr di pistacchi salati, quelli da aperitivo insomma, 70 gr di parmigiano grattugiato, 150 gr di prosciutto cotto a cubetti e si insaporisce con abbondante noce moscata. Eventualmente si aggiusta di sale.
Si amalgamano tutti gli ingredienti e si versa il ripieno nello stampo, si compatta, si copre completamente con la pasta e si inforna a 200 gradi per 20-25 minuti, il tempo sufficiente perché la pasta diventi dorata.
Quando si sforna si aspettano almeno altri 20 minuti prima di sformare il “pasticcio” così diminuisce il rischio di rompere la pasta.
Mia nonna lo capovolgeva su un piattone ovale di terracotta smaltata adatto al calore del forno, spennellava tutta la pasta di burro fuso e latte e lo infornava nuovamente per altri 10 minuti, così risultava dorato su tutti i lati.
Lo presentava in tavola appena tiepido e lo affettava direttamente sul piatto da forno.

Secondo me questa è una ricetta per le grandi occasioni, non un semplice recupero.
Io ho apportato un’unica modifica, se si esclude l’uso del frullatore e del forno elettrico, ma ve la dico perché è giusto raccontare questa ricetta di famiglia esattamente come ce la offriva la nonna nella sala da pranzo accanto alla cucina, affacciata sul cortile con il fico: anziché i pistacchi lei usava le noci.
Per il resto la ricetta è tale e quale, ma i pistacchi sono più scenografici.
Scusa nonna.