A PRANZO IN AMERICA

Oggi vi voglio proporre una divertente guida scritta da Silva per ordinare nel migliore dei modi un pranzo in America. Chi affronta  per la prima volta l’esperienza la tenga ben presente , contiene pillole di saggezza.!!!

Tratto da

  

“In America abbiamo mangiato un po’ di tutto e un po’ dappertutto: sandwich Reuben a Central Park , uova alla Benedict al Rockefeller center, polpettone al Grand Canyon, tortellini al Fisherman Wharf, “All you can eat” a Las Vegas, insalata di granchio a Key West, pasticcio di aragosta a Cape Cod, costine di maiale a Orlando, filetto di Angus a Palm Springs , insalata di astice a Santa Monica e miliardi di altri piatti, ma non senza difficoltà.

Non ho mai assaggiato invece il pollo fritto che si mangia nei fast food KFC, di cui i discendenti del Colonnello Sanders tengono segreta la ricetta, però dalla signora Pina Petrella di Fort Lauderdale, americana di seconda generazione, con cui ho volato casualmente affiancata durante un viaggio in Florida, ho ereditato la ricetta del Pan Fried Chicken come lo cucina lei. Diverso dal pollo fritto di mio nonno Vittorio che pure era buonissimo.

Tornando a noi , avete mai provato ad ordinare un pasto negli Stati Uniti?

Gli Americani sono come i computer: seguono precisi schemi fissi e non sono in grado di uscire da nessuno standard prestabilito.

Lasciamo perdere i Fast Food , dove nutrirsi è una faccenda relativamente semplice. Infatti mentre sei in coda, studi i cartelloni e quando arriva il tuo turno sei pronta ad indicare le foto o a fare a voce la tua ordinazione, ma devi essere veloce e non avere ripensamenti altrimenti il personale comincerà a pressarti e chi ti segue nella fila a manifestare irritazione.

Gli Americani non sono un popolo paziente.

Il problema grosso é nei Family Restaurant con il servizio al tavolo ( che sono l’equivalente delle nostre trattorie ) più che nei Ristoranti eleganti, con le tovaglie sui tavoli insomma ( da cui stare alla larga se si ha un budget limitato, ma dove i camerieri sono più indulgenti).

Mangiare in America è come fare un ballo di gruppo: tutti i passi sono obbligati e la coreografia rigorosa.

Dunque funziona così. Entri nel Ristorante e aspetti, qualcuno ti viene a prendere sorridendo e fino a qualche anno fa ti chiedeva: “Fumatori o non Fumatori?” Mentre adesso ti chiede solo in quanti siete. Forse le famiglie Americane hanno l’abitudine di entrare scaglionate o non è richiesto che il personale sappia contare. Ottenuta la risposta, chi ti ha accolto raccoglie tanti menù quanti sono esattamente i membri del tuo gruppo e ti accompagna a un tavolo chiedendoti se ti va bene. Io rispondo sempre di sì, tanto poi lo cambiamo lo stesso.

Quando ti sei accomodato ti viene consegnato e appare la tua cameriera, quella che si occuperà del vostro tavolo per tutta la durata del pasto, presentandosi per nome ( ma non occorre fare altrettanto; se proprio volete mostrarvi cordiali basta un semplice “Hi” ) e riempiendoti per prima cosa un enorme bicchiere di acqua e ghiaccio.

Ora, sia in Florida, che in California o in Nevada le temperature esterne potrebbero far pensare che hai bisogno di rinfrescarti appena entri in un locale , ma se hai viaggiato in un’auto climatizzata fino al parcheggio, e nel locale ci vuole la felpa perché ci saranno 14 gradi, preferiresti magari una bevanda a temperatura ambiente, ma non c’è verso.

I pasti degli Americani sono quasi sempre accompagnati da una bibita gassata ( e il peggio è che quasi dappertutto c’è il free refill).

Qualunque scegliate, sia Coke, Pepsi, Hawaiian Punch, Dottor Pepper, 7Up, Mountain Dew, Sprite è così via, la vostra cameriera, quella che vi ha invitato a chiamarla per nome, ve la servirà gelata. Quindi, per evitare una congestione, il consiglio é di imparare subito a dire “NOAISPLIS” (no ice please ) e di farlo senza risparmiarvi.

Meno male che in alternativa ai pop drink a pranzo si può bere il caffè.

Può sembrare una scelta disgustosa, lo so, ma a me piace. In fondo, lo sapete, dai, che sono il tipo “Why not?” . E poi il caffè Americano non è cattivo come si potrebbe pensare ed é comunque senz’altro meglio dell’espresso con buccia di limone che ti propongono in alternativa. È lungo, leggero e ustionante d’accordo, ma non è niente male ( soprattutto sugar and cream), anzi finisce col diventare proprio un gusto acquisito.

In ogni caso potrete bere anche del té  freddo, ma difficilmente birra o vino, a meno che il Ristorante che avete scelto non sia licensed. 

Praticamente tutti i menù dei Family Restaurant sono ricchi di foto a colori dei piatti che vengono proposti, quindi potrebbe sembrare relativamente semplice scegliere e poi ordinare. Pia illusione! Adesso vi spiego invece cosa succede.

Ogni portata principale, costituita da pollo, manzo, tacchino o pesce (quasi mai vitello, che viene in pratica proposto unicamente nei ristoranti con la  tovaglia) generalmente prevede anche, compresa nel prezzo, una zuppa o un’insalata, che vi  verrà servita come antipasto , oltre a due contorni. Categorico.

È questo é il momento della verità: in America non si può fare semplicemente un’ordinazione, bisogna sottoporsi ad un estenuante interrogatorio, essere veloci nelle scelte e pronti con le risposte.

Quindi se alla domanda “Soup or salad?” rispondete  mettiamo soup, dovrete poi specificare se volete la Zuppa del giorno, la Zuppa di vongole, la Minestra di verdura o i Tagliolini in brodo. In Inglese.

Se vi era sembrato  più semplice cominciare con salad, sarete obbligati a rispondere correttamente alla domanda “Which dressing?”  in quanto non è previsto l’uso in tavola dell’oliera, ma vi verrà servita un’insalata mista “vestita”, con uno dei seguenti condimenti: Italian,Blue cheese, Caesar, French o Thousand Islands, a seconda della preferenza che avete espresso.

E abbiamo sistemato solo l’antipasto.

Anche scegliere una semplice bistecca può diventare una nervosa performance di abilità linguistica, perché mentre sarete già stressati dalla scelta di prima, inesorabilmente l’interrogatorio si andrà facendo sempre più serrato. Bisogna decidere il tipo di cottura preferito: al sangue (rear), media (medium) o ben cotta (well done). Senza riprendere fiato dovrete poi subito scegliere fra riso o patate. Rice sarà semplicemente del riso pilaf scondito, che ha la funzione del pane ( che quando c’è, in genere si paga a parte in quanto è considerato un contorno) mentre la scelta potato dà luogo ad un altro ventaglio di alternative : patatine fritte, purè o patata intera al forno condita con un’ulteriore opzione fra burro e panna acida (French Fries,mashed oppure baked potato con butter  o sour cream).

A questo punto avete diritto ad un altro contorno, ve lo ricordate? Non crollate proprio adesso e scegliete con sicurezza e rapidità una delle seguenti verdure cotte: cavolfiori, cipolle fritte, funghi,piselli o spinaci (cauliflower,  onion rings, mushrooms, pees o spinach).

Non opponete resistenza: sarebbe inutile.

Sapeste quante volte abbiamo provato ad arginare o modificare questa sequenza di imposizioni! Per esempio a volte avrei preferito, che so, i funghi anziché le patate con gli spinaci, ma non c’è stato verso.

Oppure se i bambini non volevano ne’ la minestra, ne’ l’insalata, dovevano scegliere lo stesso un’opzione ,perché è inutile opporsi: la bistecca, il pollo o la cotoletta “comes with ” . Senza discussioni.

Ad un certo punto, pur di farla finita, conviene davvero rinunciare a cercare un accomodamento con la cameriera e scegliere a caso il secondo contorno, quello che non avete intenzione di mangiare. Magari finirà invece col piacervi. Who knows?

Comunque, ci si abitua anche a questo terzo grado e alla fine si diventa abilissimi e ci si diverte pure, ma tenete  sempre a mente questo suggerimento: imparate a memoria i fondamentali o sarete sopraffatti e vi toccherà decidere di nutrirvi solo di panini , proprio come Poldo.
  

Ah, bisogna inoltre ricordare che se pensate di mangiare anche un dolce, dovrete ordinarlo subito, senza aspettare di verificare se a fine pasto ne avrete ancora voglia, perché con l’ordinazione arrivera’ anche il conto: time out, quindi, senza possibili ripensamenti. La vostra cameriera vi avrà infatti raccomandato, mentre stavate ancora ordinando la portata  principale, “Leave room for the dessert!”

Nei Ristoranti Americani non ci attarda a tavola come qui da noi per sorseggiare un caffè,un canarino, un amaro o fare il “resentin” chiacchierando tranquillamente. Lì, finito di mangiare, si controlla il conto, si lascia sul tavolo circa il 15  per cento come gratuity  ( o tip) per la cameriera e si va a pagare alla Cassa con la Carta di Credito ( chi paga in contanti in America viene guardato con sospetto ) l’importo del check ( o bill) maggiorato delle tasse, che in America sono scorporate da qualsiasi prezzo e la cui percentuale varia da Stato a Stato, anche se lo scarto  é minimo.Le tax, alla fine spuntano sempre e tutti i prezzi sono in realtà più alti di quanto scritto sul cartellino.

La prima volta, volendo liberarci al ritorno dei cent accumulati, prima di imbarcarci abbiamo scelto al Duty Free dell’Aereoporto Life Savers, Jelly Beans e Juicy Fruit facendo i conti con molto cura, ma alla Cassa hanno aggiunto le tasse e dunque il prezzo é diventato più alto di quello conteggiato da noi, quindi abbiamo dovuto pagare con una banconota e ci siamo ritrovati con più monetine in tasca di quanto ne avevamo prima dell’acquisto.

Solita figura da provinciali .

POLLO FRITTO DI MRS. PETRELLA

1 pollo tagliato in otto pezzi, 1/2 litro di latticello,1 cucchiaino di sale , 2 spicchi d’aglio tritati,1 cucchiaino di peperoncino in polvere, farina,olio per friggere.
Si tengono in infusione i pezzi di pollo nel latticello per 24 ore, poi si scolano e si condiscono generosamente con sale , aglio e peperoncino.

Si passano quindi nella farina e si scuotono per eliminare l’eccesso .

Si scalda l’olio in una padella che contenga il pollo di misura e si dispongono i pezzi ben ravvicinati.

Dopo una decina di minuti dovrebbero essere dorati dalla parte a contatto con il fondo della padella e allora si girano proseguendo la cottura dall’altro lato per altri dieci minuti.

Si tolgono dalla padella e si fanno sgocciolare su una griglia ( non sulla carta assorbente).

Lo so, ne abbiamo forse già parlato, il latticello non si riesce a trovarlo in commercio. Comunque in questa ricetta può essere sostituito da 150 ml di latte miscelati con 150 ml di yogurt bianco intero, un  pizzico di sale e un cucchiaio o due di succo di limone. Non solo è la cosa più semplice , ma non mi viene in mente nient’altro da proporvi come surrogato del latticello. Le proporzioni a volte cambiano, a seconda della ricetta, ma gli ingredienti sono sostanzialmente questi.

La signora Petrella mi manda ancora gli auguri  a Natale.

IL POLLO FRITTO DEL NONNO VITTORIO

1 pollo,  1 uovo, 1 bicchiere di latte, pangrattato, farina, sale e pepe, olio per friggere.
Il nonno tagliava con precisione il pollo in 8 pezzi a cui toglieva la pelle, li infarinava, li passava nel l’uovo battuto con il latte e un bel po’ di pepe e poi nel pangrattato.

Ne scuoteva via l’eccesso con delicatezza e li tuffava nell’olio profondo .

Li rigirava bene da tutte le parti con il forchettone , senza pungerli e quando erano belli croccanti li scolava  e li appoggiava sulla carta da pane messa doppia.

E li salava solo allora , perché in cottura la carne non cedesse troppo liquido inumidendo la panatura.
Questo é il pollo fritto della mia infanzia, uno dei ricordi di quel nonno testardo, tenerissimo e sfortunato che se n’è  andato troppo presto, dopo anni di malattia.  “

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Pasticcio di pollo

Quello che i Francesi chiamano Hachis Parmentier, in Gran Bretagna è la Shepherd’s Pie e in America la Chicken (oppure Beef) Pot Pie, preparazioni tutte leggermente differenti, ma sempre squisite.

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In Italia noi non le facciamo in pratica mai, vero? Non rientra nelle nostre abitudini.
Eppure siamo dei grandi cultori di ogni tipo di torte salate, che offriamo indifferentemente come antipasto, piatto unico a pranzo, merenda o nei pic nic, ma di questo pasticcio di pollo non siamo dei veri estimatori.
Peccato, perché si tratta di un piatto molto sostanzioso, decorativo, semplice, goloso e saporito, che si prepara in anticipo e si inforna circa un’oretta prima di metterlo in tavola.
Il ripieno può essere di carne di maiale, di manzo o di pollo, macinata o a tocchetti. Si possono aggiungere piselli, funghi, fagiolini oltre a carote, sedano e cipolle. La copertura può essere di purè di patate oppure di pasta.
Insomma ci sono molti modi diversi per cucinare questa pie. Si può usare la fantasia, tenere conto delle proprie abitudini, rifarsi ad un ricordo particolare, perfino utilizzare quello che si ha nel frigorifero.
Il modo più classico comunque è questo.

Si soffriggono nell’olio cipolla, sedano e carota tritati, si aggiunge 1 barattolo di piselli medi sgocciolati, si fanno cuocere per cinque minuti, si salano e poi si versano in una ciotola eliminando il grasso.
Si uniscono 400 gr di petto pollo cotto allo spiedo o lessato, tagliato a cubetti.
Si fa una besciamella leggera fondendo 50 gr di burro in un pentolino, versando 65 gr di farina e mescolando continuamente per 1 minuto.
Si aggiungono poco per volta prima 250 ml di latte e poi 250 ml di brodo e si continua la cottura senza smettere di mescolare per altri 5 minuti, finché la salsa si addensa. Fuori dal fuoco si aggiusta di sale e pepe e si versa quindi sul pollo e le verdure.
Si mescola e si trasferisce in una pirofila.
Si prepara una pasta brisé, si stende col mattarello dopo averla fatta riposare in frigorifero e si copre il composto sigillando i bordi inumiditi con un po’ di latte, pizzicandoli. Si praticano alcuni tagli sulla superficie della pasta per consentire al vapore di uscire in cottura e la si spennella con 1 uovo leggermente battuto.
Si inforna a 200° per circa 20 minuti. La superficie deve risultare dorata e croccante mentre l’interno si mantiene morbido e cremoso.

È una preparazione deliziosa. A me è piaciuta dalla prima volta in cui l’ho assaggiata e in America la ordino spesso.
La migliore è per me quella che si mangia nei ristoranti della catena Perkins, che sono anche panetteria e pasticceria: forse è per quello che la crosta delle loro Chicken Pot Pie è così buona.
Sono grandiose anche le loro colazioni, abbastanza semplici per lo standard americano, ma con un’infinità di dolci sfornati al momento ai quali è difficile resistere.

La brioche danese

Fra pochi giorni saranno passati 30 anni esatti dal nostro primo viaggio in America.
Siamo partiti a giugno nel 1985, appena finite le scuole, con nostro figlio, che ha compiuto 10 anni al Parco delle Sequoia, e una coppia di amici con una ragazzina della stessa età.
Nostra figlia invece quella volta è rimasta a casa con la nonna e la bisnonna perché aveva solo 3 anni e per lei sarebbe stata maggiore la fatica rispetto al divertimento in un viaggio di quel tipo lungo 3 settimane.
Ne aveva comunque solo 5 quando finalmente ha partecipato al secondo viaggio, quello che ci ha portati fino alle Hawaii, con il fratello, la nonna e due coppie ciascuna con 2 figli, a due a due più o meno coetanei e se l’è goduta un mondo.
Ma a tutte queste esperienze accenno anche nei miei libri.
Dunque, quando abbiamo fatto il nostro primo viaggio in California abbiamo sempre dormito nei Motel e fatto colazione nelle loro caffetterie.
Dopo la sosta a Las Vegas dove anche il breakfast in hotel è faboulous (come viene definita la città nei cartelli stradali che danno il benvenuto agli ospiti), siamo volati a New York e tra le molte altre cose fatte per la prima volta, abbiamo anche ordinato la nostra prima colazione in camera.
Non la colazione all’Americana, ma quella continentale, più vicina alle nostre abitudini e ci hanno servito marmellate, burro, miele, yogurt, tè, caffè, bricchi di latte e di panna, frutta fresca, succo di arancia, succo di mela, pane tostato e un intero cestino di brioche.
L’assaggio delle prime Danish scelte dal Pastry Basket è stato amore a prima vista, un amore che da 30 anni ci accompagna e ci rende felici già dal mattino quando le preparo.

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Si fanno intiepidire 125 ml di latte, si versano in una ciotola e si aggiungono 60 gr di zucchero semolato, 1 pizzico di sale e 1 bustina di lievito di birra disidratato.
Dopo 5 minuti si uniscono 1 uovo intero leggermente sbattuto, 1 piccola patata lessa sbucciata e schiacciata e 100 gr di farina.
Si mescola energicamente e si fa riposare 10 minuti.
Si fondono 80 gr di burro, si uniscono al composto e poco alla volta si uniscono altri 250 gr di farina setacciata, senza fare grumi.
L’impasto deve risultare morbido ma non colloso. Lo si lavora per qualche minuto con le mani, si fa una palla, si copre e si lascia lievitare al caldo in una ciotola unta per almeno 30 minuti.
Si riprende la pasta e la si stende con il mattarello in un rettangolo di 1/2 cm di spessore, si spennella con altri 60 gr di burro fuso, si cosparge con 50 gr di zucchero di canna mescolato con 1 cucchiaio di cannella e si spargono su tutta la superficie 80 gr di uvette fatte rinvenire in acqua tiepida e asciugate.
Si arrotola la pasta su se stessa e si taglia a fette di circa 2,5 cm. Con queste dosi si dovrebbero ottenere 9 roll.
Sul fondo di una teglia da forno spennellata di burro si appoggiano i roll non troppo vicini gli uni agli altri, si copre con un tovagliolo e si fanno lievitare ancora 2 ore.
Si spennellano con un mix di uovo e latte e si infornano a 180° per 35 – 40 minuti, finché non risultano dorati.
Si sfornano e mentre si raffreddano si prepara una ghiaccia classica con zucchero a velo e albume (oppure come la faccio io senza uovo, solo con lo zucchero, l’acqua e il succo di limone).
Si sparge sulle brioche e si lascia rapprendere.
Ecco, sono pronte.

Consiglio di aspettare per farle una giornata di pioggia o addirittura l’autunno… per non dover accendere il forno con queste temperature!

Pasticcio di pere

Ultimamente mi sono resa conto che le pere possono essere versatili quanto le mele. Magari l’ho sempre saputo, ma di recente sto utilizzandole piuttosto spesso e con dei buoni risultati.
Se ricordate, avevo dedicato una torta di pere e gocce di cioccolato anche al mio post n. 500 (23 ottobre 2014), oltre ad essermi divertita a trasformarle in topolini (Basta una pera Williams del 15 febbraio 2014) e uccelli (Divertirsi con la frutta del 13 novembre 2014).
Perché dunque non prenderle in considerazione anche per questa realizzazione decisamente semplice, il cui dolce risultato merita però la condivisione?!

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Si sbucciano 800 gr circa di belle pere mature (kaiser, abate o Passacrassana che sono quelle che ho utilizzato io) e si tagliano a cubetti.
Si passano in padella con 2 cucchiai di zucchero e 1 bicchierino di grappa alla pera Williams, oppure un altro liquore che avete in casa. Si fanno leggermente ammorbidire e caramellare, poi si versano in una teglia da forno in ceramica o in una pirofila a bordi alti con tutto il sugo che si è formato.
Si miscelano direttamente nel vaso del frullatore 200 gr di farina, 1 bustina di lievito per dolci, 1 pizzico di sale, 1 uovo intero, 1 bicchiere di latte, 100 gr di zucchero e 1/2 cucchiaino di semi di papavero.
Ottenuto un composto fluido e omogeneo si versa nella tortiera coprendo tutti i cubetti di pera.
Si inforna a 180 gradi per 40-45 minuti finché la superficie non risulta dorata.
Si lascia intiepidire, si copre di zucchero a velo e si serve a cucchiaiate perché rimane piuttosto morbida e non si può affettare.

L’aggiunta dei semi di papavero non è fondamentale, ma dà alla pasta una delicata croccantezza molto gradevole.

Biscottini morbidi al limone

Ieri ho fatto una cosa semplice e golosa: i biscottini al limone.
Questi biscottini, insieme alle scorzette d’arancia e alle meringhette sono eccezionali a fine pranzo insieme ad una tazza di ottimo caffè.

20141213-014223.jpgCon le fruste elettriche si sbattono 120 gr di burro a temperatura ambiente con 150 gr di zucchero. Quando il composto è gonfio e spumoso si aggiunge 1 uovo intero e sempre continuando a sbattere, il succo di 1 limone e la sua buccia grattugiata, poi poco alla volta 250 gr di farina setacciata con 1/2 bustina di lievito per dolci e 1 pizzico di sale.
Si impasta adesso con le mani e quando è liscio e omogeneo, si fa un panetto e si ripone nel frigorifero per almeno mezz’ora.
Si versano in un piatto fondo 50 gr circa di zucchero vanigliato, lo stesso si fa con 50 gr di zucchero semolato e si tengono da parte.
Si toglie la pasta dal frigorifero, con la punta della dita si prelevano delle palline di pasta grosse come nocciole, si lavorano pochissimo tra i palmi delle mani, si appiattiscono leggermente e si passano prima nello zucchero semolato e poi nello zucchero vanigliato premendo dolcemente.
Si infornano questi dischetti appoggiati ben distanziati su una teglia foderata di carta forno a 180 gradi per una decina di minuti.
Si lasciano raffreddare prima di staccarli con una spatola per non correre il rischio di romperli.

Raccomando di non superare i dieci minuti di cottura se non di un soffio, in modo che questi biscottini non perdano la loro caratteristica morbidezza.

Sformatini di zucca

A Natale ho sempre fatto tre arrosti distinti, perfino differenti ogni anno.
Tutti e tre sono diversamente farciti a seconda del tipo di carne. Utilizzo infatti fesa di tacchino, spinacino oppure noce di vitello e arista di maiale.
La mia mamma voleva sempre sapere in anticipo che farce avrei scelto perché le sue amiche morivano di curiosità e a lei piaceva molto anticipare qualcosa del mio menù per poi completare la descrizione il giorno di Santo Stefano, quando si riunivano per giocare a carte come avevano sempre fatto fin da quando c’erano ancora i mariti.
Ormai erano tutte e sei vedove ma hanno continuato a ritrovarsi la domenica per le loro partite anche quando il gruppo si è a mano a mano assottigliato.
Adesso sono rimaste in due e non so come si regolino. Comunque ne ho incontrata una l’anno scorso a dicembre e dopo due parole di rammarico per aver perso tante amiche mi ha chiesto: “E quest’anno cosa fa per Natale?” Mi sono inventata qualcosa lì per lì, non potevo mica deluderla, no?!
Se la rivedo anche quest’anno le dico di questi sformatini di zucca, che entreranno di diritto fra i contorni degli arrosti, coi popover alle mele e i funghetti gratinati.

20141121-011527.jpgSbuccio 1,500 kg di zucca, la libero dei semi e dei filamenti, la taglio a fette e la inforno per 40 – 50 minuti a 180°: deve risultare tenera e asciutta. Poi la frullo nel mixer con 50 gr di amaretti, 150 gr di grana padano grattugiato, 150 gr di mostarda Mantovana, la scorza grattugiata di mezzo limone, 1 uovo, sale, pepe e noce moscata.
Ungo con il burro degli stampini di plexiglass o di ceramica, ma vanno benissimo anche quelli usa e getta di alluminio, li riempio fino a 3/4 con il mio composto e inforno per 15 minuti a 160°.
Li lascio leggermente intiepidire e li sformo aiutandomi con la lama di un coltello.
Come dicevo, li servo con gli arrosti, ma probabilmente a voi verranno in mente anche altre golose soluzioni.

L’avete riconosciuto? Si tratta in pratica del ripieno dei Tortelli alla Mantovana trasformato in un insolito contorno.
Vedrete, i vostri ospiti ne andranno pazzi e anche una delle due uniche amiche superstiti della compagnia della mia mamma, se le faccio una telefonata…

Sandwich Monte Cristo (o Montecristo)

Ognuno di noi ha fatto esperienze che spesso lasciano indifferenti o perplessi gli altri, ma che fanno parte dell’inestimabile tesoro di ricordi intimi e felici a cui siamo legati.
Sono ricordi che ci commuovono o ci divertono perché li abbiamo vissuti in compagnia delle persone che amiamo.
Per me sono le sensazioni provate nei viaggi che abbiamo fatto in America coi figli: pura gioia.
Però nei miei ricchissimi album dei ricordi di viaggio, strapieni, non c’è stato modo di infilare anche l’emozione provata durante la mia prima visita al Parco Disneyland di Anaheim, l’irresistibile Regno della fantasia, nel 1985.
Ci hanno trovato posto solo i biglietti d’ingresso, le mappe, le contromarche del parcheggio, gli autografi di Paperino, Cip e Ciop e Minnie, la foto abbracciata a Pluto e i conti dei ristoranti a tema.
Il resto, l’aspetto ottimista e ingenuo dello spirito Americano, l’incontro con i personaggi Disney in carne ed ossa, la gioia di emozionarmi e sentirmi parte della favole, il piacere di nutrirmi in modo insolito e allegro, tutto questo mi è rimasto dentro, un ricordo indelebile della suggestione che mi rapisce sempre in questo Parco, dove gli svaghi sono irresistibilmente semplici e piacevoli e l’atmosfera rilassata.
Non smetterei mai di stare in fila per le attrazioni… finché non mi viene fame!
Se c’è un posto al mondo dove vale la pena di sfamarsi con un Sandwich Monte Cristo, oltre che da me naturalmente, è il Café Orleans, nella zona del Parco fra i Pirati dei Caraibi e la Casa dei Fantasmi, la mia preferita.

20141122-182856.jpgPer ogni sandwich occorrono 2 fette di pancarrè a cui per prima cosa si elimina la crosta.
Si spalma la prima con maionese e senape, si copre con una fetta si prosciutto, una di tacchino e una di formaggio svizzero.
Si copre con la seconda spalmata sul lato interno con le salse.
Si immerge ogni sandwich in uovo e latte sbattuti insieme e una volta sgocciolato si fa dorare su entrambi i lati in una padella leggermente unta di burro, a fuoco medio.
Si taglia quindi in due triangoli e per ricreare l’atmosfera della New Orleans Square di Disneyland si cosparge di zucchero a velo e si serve con salsa di mirtilli e frutta fresca.

È un’esperienza insolita e deliziosa che personalmente mi riporta a momenti felici e indimenticabili che in questi giorni di festosi preparativi scaldano il cuore.

Il pane di mais

A proposito del Thanksgiving Day, mi sono accorta che alcuni blog, che in nei giorni scorsi hanno proposto festose ricette a base di tacchino ripieno o tacchino al forno, hanno commesso un grosso errore di data.
In realtà negli Stati Uniti il Giorno del Ringraziamento si celebra l’ultimo giovedì di Novembre, che quest’anno cade il 27, cioè oggi.
Dunque auguri di cuore a tutti gli amici Americani che seguono il mio blog.
Mi sa che la storia la sapete tutti, ma lasciatemela raccontare lo stesso…
I Nativi Americani (come è politicamente corretto chiamare gli Indiani, ossia i Pellerossa) delle zone di Nord Est vivevano cacciavando cervi e tacchini selvatici, in più coltivavano mais e fagioli, pescavano nei fiumi, estraevano lo sciroppo dalla corteccia degli aceri e raccoglievano il miele.
E mentre nel Nuovo Mondo si svolgeva questa bucolica esistenza, circa un centinaio di quelli che chiamiamo Padri Pellegrini sebbene fossero civili e non religiosi, partiti da Immingham, salparono sul Mayflower alla volta dell’America dal porto di Plymouth il 6 Settembre 1620 e raggiunsero la Baia di Cape Cod circa due mesi dopo, l’11 Novembre.
E una volta lì, dopo essere quasi morti di fame, impararono dai saggi indigeni Wampanoag ad utilizzare gli alimenti spontanei del territorio e cominciarono a cucinare con gli ingredienti locali, oltre che con quelli che si erano portati dall’Europa e facevano parte da secoli delle loro abitudini gastronomiche .
La tradizione del Giorno del Ringraziamento nasce proprio dal desiderio di festeggiare l’essere riusciti a superare quel primo durissimo inverno.
Il tacchino ripieno è il piatto simbolo di questa festa, insieme alla salsa di mirtilli, le patate dolci, il purè, le carote glassate, la torta di zucca e il pane di mais.
Noi non festeggiamo il Giorno del Ringraziamento, però mi piace ogni tanto fare il Pane di Mais che servo con certi arrosti, specialmente di petto di tacchino e di pollo che sono sempre un po’ asciutti, mentre questo pane “focaccioso” è morbidissimo e leggermente umido.
Credetemi, per una come me che in pratica non si avventura quasi mai nelle ricette lievitate, ottenere questo risultato è una grande soddisfazione.20141114-015256.jpgPer prima cosa preparo il latticello, che non è facilmente reperibile in commercio: in una tazza miscelo 100 ml di yogurt magro con 100 ml di latte scremato e 1 cucchiaio di succo di limone e lo metto a riposare in frigorifero per 10-15 minuti.
Nel frattempo frullo 1 barattolo di mais sgocciolato, lo verso in una ciotola, aggiungo 1 cucchiaio di zucchero di canna, il latticello, 1 cucchiaio di sciroppo d’acero e infine 1 uovo intero.
Deve risultare un composto granuloso.
Setaccio insieme 200 gr si farina di mais, 150 gr di farina 00, 1/2 cucchiaino di bicarbonato, 1 bustina di lievito di birra disidratato e 1 cucchiaino raso di sale.
Incorporo questi ingredienti secchi al composto umido preparato in precedenza e per ultimo aggiungo 100 gr di burro fuso fatto raffreddare.
Mescolo con cura con una spatola e verso in una tortiera imburrata.
Inforno a 200 gradi per circa mezz’ora.
Quando lo sforno, lo lascio raffreddare e poi lo taglio a cubotti.

Mi pare che adesso il latticello si trovi anche all’Auchan e da NaturaSì.
Se usare il burro vi spaventa, potete sostituirlo con 50 ml di olio… di mais ovviamente.

Filetto in crosta di sfoglia

Manca meno di un mese a Natale, da non crederci, vero?!
È tempo quindi di provare a comporre qualche menù per i giorni di festa, così si ha modo di scegliere le combinazioni che ci piacciono di più, preparando magari qualcosa in anticipo così si evita lo stress di dover fare tutto all’ultimo momento.
Un secondo piatto eccellente e molto elegante su cui fare un pensiero è per esempio il filetto in crosta.
Quest’anno però perché non farlo in monoporzione anziché in un unico pezzo da affettare in tavola? È più elegante e anche più facile da gestire.
Io l’ho appena cucinato per un compleanno ed è venuto stupendo.

Ho preparato un sughetto di funghi per guarnire le fette di filetto tritando un paio di scalogni e facendoli appassire in olio e burro.
Ho messo a bagno in acqua calda 30 gr di porcini secchi, intanto ho affettato sottili i gambi dei funghetti di cui ho utilizzato solo le cappelle nella ricetta degli Champignon gratinatili che ho postato domenica. Ho scolato i funghi secchi, li ho tagliuzzati e versato entrambi nel tegame con gli scalogni.
Ho aggiunto le foglie di un paio di rametti di timo, ho spruzzato con 1 bicchierino di Marsala, regolato di sale e pepe e portato a cottura a fuoco vivace.
Ho lasciato intiepidire e ho diviso questo intingolo su quattro quadrati di pasta sfoglia che ho comprato già pronta e sopra ognuna ho appoggiato un piccolo filetto di manzo di circa 100 gr scottato sulla piastra, salato e pepato.
20141111-152203.jpgHo inumidito con il latte i bordi della pasta e l’ho chiusa tutto intorno alla carne ripetendo l’operazione per tutti e quattro i filetti.
Ho appoggiato i miei “fagottini”, capovolti perché non si vedessero le giunture della sfoglia, sulla placca del forno imburrata e li ho spennellati con un uovo leggermente battuto.
Ho praticato tre tagli sulla superficie per permettere al calore di uscire in cottura e li ho infornati a 180 gradi per circa 15 minuti.20141111-153047.jpgI filetti in crosta di sfoglia sono pronti quando assumono un bel colore dorato.
Si possono sfornare e lasciar intiepidire qualche minuto prima di trasferirli sui piatti individuali e accompagnarli con un ciuffo di misticanza e una cucchiaiata di funghi trifolati alla panna.

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Mi pare di avervi detto tutto. Pensateci su e poi magari ne riparliamo, ma trovo questo filetti individuali in crosta davvero adatti a una qualunque ricorrenza.

Corn dogs

20141022-005546.jpgUno dei Parchi Nazionali che abbiamo visitato negli Stati Uniti è stato il Parco delle Sequoia: un’immensa foresta che si estende sulle pendici della Sierra Nevada.
Ad essere fortunati, all’interno del Parco ci si imbatte in caprioli, orsetti lavatori e volpi. Raramente in linci e puma, sempre se si è fortunati… altrimenti è meglio mettersi a correre!
Ho avuto lì il mio primo incontro con un ranger, altissimo e allampanato come gli alberi che sorvegliava, con in testa tanto di regolamentare “cappello da Sergente” esattamente come quello del Ranger Smith di Yoghi e Bubu o del Ranger Woodlore, quello dell’Orso Onofrio.
Il nostro ci ha indicato come arrivare al General Sherman Tree, un albero alto più di 80 metri, che vanta la venerabile e incredibile età di 2600 anni e ci ha dato anche un utile e goloso suggerimento per il pranzo.
Abbiamo mangiato per la prima volta corn dogs e chili dogs in una vera capanna di tronchi con vista sui boschi e i picchi montuosi.
I Corn dogs sono un peccato di gola, un attentato alla dieta, una bizzarria alimentare insomma alla quale noi Italiani non siamo abituati, ma una volta nella vita secondo me si devono provare, entro certi limiti, anche le eccentricità culinarie.

20141022-010238.jpgQuesti sono ingredienti e dosi per preparare 8 corn dogs:
1 tazza di farina 00
1/2 tazza di farina di mais “fioretto”
1 cucchiaio di zucchero
1 bustina di lievito in polvere per torte salate
1/2 cucchiaino di sale
2 cucchiai di olio di oliva
1 uovo
1/2 tazza di latte
8 würstel tipo Frankfurter
8 lunghi spiedini di legno
olio per friggere
Si spennella con poco olio ogni würstel e si infila in uno spiedino di legno nel senso della lunghezza. Si passa nella farina e si fa aderire bene.
Si miscelano le farine con lo zucchero, il lievito in polvere per torte salate e il sale, si aggiunge l’olio d’oliva e si mescola: risulterà un composto granuloso che andrà diluito con l’uovo leggermente sbattuto e il latte.
Si mescola ancora delicatamente controllando che la pastella non sia troppo liquida.
Si immergono i würstel uno alla volta, facendola aderire bene alla superficie infarinata.
Si fa scaldare l’olio e si friggono finché non sono belli dorati.
Si servono con le classiche salse da hot dog: senape, maionese, ketchup e si completano con insalata di cavoli, crocchette di patate, pannocchie bollite e panini al latte.

Believe it or not, sono deliziosi… ma non chiedetemi se si digeriscono facilmente!
Se volete assaggiarli, senza arrivare fino al Parco delle Sequoia, li potete mangiare anche a Disneyworld nel settore Frontierland, oppure passare da me.
Come vi è più comodo.