A PRANZO IN AMERICA

Oggi vi voglio proporre una divertente guida scritta da Silva per ordinare nel migliore dei modi un pranzo in America. Chi affronta  per la prima volta l’esperienza la tenga ben presente , contiene pillole di saggezza.!!!

Tratto da

  

“In America abbiamo mangiato un po’ di tutto e un po’ dappertutto: sandwich Reuben a Central Park , uova alla Benedict al Rockefeller center, polpettone al Grand Canyon, tortellini al Fisherman Wharf, “All you can eat” a Las Vegas, insalata di granchio a Key West, pasticcio di aragosta a Cape Cod, costine di maiale a Orlando, filetto di Angus a Palm Springs , insalata di astice a Santa Monica e miliardi di altri piatti, ma non senza difficoltà.

Non ho mai assaggiato invece il pollo fritto che si mangia nei fast food KFC, di cui i discendenti del Colonnello Sanders tengono segreta la ricetta, però dalla signora Pina Petrella di Fort Lauderdale, americana di seconda generazione, con cui ho volato casualmente affiancata durante un viaggio in Florida, ho ereditato la ricetta del Pan Fried Chicken come lo cucina lei. Diverso dal pollo fritto di mio nonno Vittorio che pure era buonissimo.

Tornando a noi , avete mai provato ad ordinare un pasto negli Stati Uniti?

Gli Americani sono come i computer: seguono precisi schemi fissi e non sono in grado di uscire da nessuno standard prestabilito.

Lasciamo perdere i Fast Food , dove nutrirsi è una faccenda relativamente semplice. Infatti mentre sei in coda, studi i cartelloni e quando arriva il tuo turno sei pronta ad indicare le foto o a fare a voce la tua ordinazione, ma devi essere veloce e non avere ripensamenti altrimenti il personale comincerà a pressarti e chi ti segue nella fila a manifestare irritazione.

Gli Americani non sono un popolo paziente.

Il problema grosso é nei Family Restaurant con il servizio al tavolo ( che sono l’equivalente delle nostre trattorie ) più che nei Ristoranti eleganti, con le tovaglie sui tavoli insomma ( da cui stare alla larga se si ha un budget limitato, ma dove i camerieri sono più indulgenti).

Mangiare in America è come fare un ballo di gruppo: tutti i passi sono obbligati e la coreografia rigorosa.

Dunque funziona così. Entri nel Ristorante e aspetti, qualcuno ti viene a prendere sorridendo e fino a qualche anno fa ti chiedeva: “Fumatori o non Fumatori?” Mentre adesso ti chiede solo in quanti siete. Forse le famiglie Americane hanno l’abitudine di entrare scaglionate o non è richiesto che il personale sappia contare. Ottenuta la risposta, chi ti ha accolto raccoglie tanti menù quanti sono esattamente i membri del tuo gruppo e ti accompagna a un tavolo chiedendoti se ti va bene. Io rispondo sempre di sì, tanto poi lo cambiamo lo stesso.

Quando ti sei accomodato ti viene consegnato e appare la tua cameriera, quella che si occuperà del vostro tavolo per tutta la durata del pasto, presentandosi per nome ( ma non occorre fare altrettanto; se proprio volete mostrarvi cordiali basta un semplice “Hi” ) e riempiendoti per prima cosa un enorme bicchiere di acqua e ghiaccio.

Ora, sia in Florida, che in California o in Nevada le temperature esterne potrebbero far pensare che hai bisogno di rinfrescarti appena entri in un locale , ma se hai viaggiato in un’auto climatizzata fino al parcheggio, e nel locale ci vuole la felpa perché ci saranno 14 gradi, preferiresti magari una bevanda a temperatura ambiente, ma non c’è verso.

I pasti degli Americani sono quasi sempre accompagnati da una bibita gassata ( e il peggio è che quasi dappertutto c’è il free refill).

Qualunque scegliate, sia Coke, Pepsi, Hawaiian Punch, Dottor Pepper, 7Up, Mountain Dew, Sprite è così via, la vostra cameriera, quella che vi ha invitato a chiamarla per nome, ve la servirà gelata. Quindi, per evitare una congestione, il consiglio é di imparare subito a dire “NOAISPLIS” (no ice please ) e di farlo senza risparmiarvi.

Meno male che in alternativa ai pop drink a pranzo si può bere il caffè.

Può sembrare una scelta disgustosa, lo so, ma a me piace. In fondo, lo sapete, dai, che sono il tipo “Why not?” . E poi il caffè Americano non è cattivo come si potrebbe pensare ed é comunque senz’altro meglio dell’espresso con buccia di limone che ti propongono in alternativa. È lungo, leggero e ustionante d’accordo, ma non è niente male ( soprattutto sugar and cream), anzi finisce col diventare proprio un gusto acquisito.

In ogni caso potrete bere anche del té  freddo, ma difficilmente birra o vino, a meno che il Ristorante che avete scelto non sia licensed. 

Praticamente tutti i menù dei Family Restaurant sono ricchi di foto a colori dei piatti che vengono proposti, quindi potrebbe sembrare relativamente semplice scegliere e poi ordinare. Pia illusione! Adesso vi spiego invece cosa succede.

Ogni portata principale, costituita da pollo, manzo, tacchino o pesce (quasi mai vitello, che viene in pratica proposto unicamente nei ristoranti con la  tovaglia) generalmente prevede anche, compresa nel prezzo, una zuppa o un’insalata, che vi  verrà servita come antipasto , oltre a due contorni. Categorico.

È questo é il momento della verità: in America non si può fare semplicemente un’ordinazione, bisogna sottoporsi ad un estenuante interrogatorio, essere veloci nelle scelte e pronti con le risposte.

Quindi se alla domanda “Soup or salad?” rispondete  mettiamo soup, dovrete poi specificare se volete la Zuppa del giorno, la Zuppa di vongole, la Minestra di verdura o i Tagliolini in brodo. In Inglese.

Se vi era sembrato  più semplice cominciare con salad, sarete obbligati a rispondere correttamente alla domanda “Which dressing?”  in quanto non è previsto l’uso in tavola dell’oliera, ma vi verrà servita un’insalata mista “vestita”, con uno dei seguenti condimenti: Italian,Blue cheese, Caesar, French o Thousand Islands, a seconda della preferenza che avete espresso.

E abbiamo sistemato solo l’antipasto.

Anche scegliere una semplice bistecca può diventare una nervosa performance di abilità linguistica, perché mentre sarete già stressati dalla scelta di prima, inesorabilmente l’interrogatorio si andrà facendo sempre più serrato. Bisogna decidere il tipo di cottura preferito: al sangue (rear), media (medium) o ben cotta (well done). Senza riprendere fiato dovrete poi subito scegliere fra riso o patate. Rice sarà semplicemente del riso pilaf scondito, che ha la funzione del pane ( che quando c’è, in genere si paga a parte in quanto è considerato un contorno) mentre la scelta potato dà luogo ad un altro ventaglio di alternative : patatine fritte, purè o patata intera al forno condita con un’ulteriore opzione fra burro e panna acida (French Fries,mashed oppure baked potato con butter  o sour cream).

A questo punto avete diritto ad un altro contorno, ve lo ricordate? Non crollate proprio adesso e scegliete con sicurezza e rapidità una delle seguenti verdure cotte: cavolfiori, cipolle fritte, funghi,piselli o spinaci (cauliflower,  onion rings, mushrooms, pees o spinach).

Non opponete resistenza: sarebbe inutile.

Sapeste quante volte abbiamo provato ad arginare o modificare questa sequenza di imposizioni! Per esempio a volte avrei preferito, che so, i funghi anziché le patate con gli spinaci, ma non c’è stato verso.

Oppure se i bambini non volevano ne’ la minestra, ne’ l’insalata, dovevano scegliere lo stesso un’opzione ,perché è inutile opporsi: la bistecca, il pollo o la cotoletta “comes with ” . Senza discussioni.

Ad un certo punto, pur di farla finita, conviene davvero rinunciare a cercare un accomodamento con la cameriera e scegliere a caso il secondo contorno, quello che non avete intenzione di mangiare. Magari finirà invece col piacervi. Who knows?

Comunque, ci si abitua anche a questo terzo grado e alla fine si diventa abilissimi e ci si diverte pure, ma tenete  sempre a mente questo suggerimento: imparate a memoria i fondamentali o sarete sopraffatti e vi toccherà decidere di nutrirvi solo di panini , proprio come Poldo.
  

Ah, bisogna inoltre ricordare che se pensate di mangiare anche un dolce, dovrete ordinarlo subito, senza aspettare di verificare se a fine pasto ne avrete ancora voglia, perché con l’ordinazione arrivera’ anche il conto: time out, quindi, senza possibili ripensamenti. La vostra cameriera vi avrà infatti raccomandato, mentre stavate ancora ordinando la portata  principale, “Leave room for the dessert!”

Nei Ristoranti Americani non ci attarda a tavola come qui da noi per sorseggiare un caffè,un canarino, un amaro o fare il “resentin” chiacchierando tranquillamente. Lì, finito di mangiare, si controlla il conto, si lascia sul tavolo circa il 15  per cento come gratuity  ( o tip) per la cameriera e si va a pagare alla Cassa con la Carta di Credito ( chi paga in contanti in America viene guardato con sospetto ) l’importo del check ( o bill) maggiorato delle tasse, che in America sono scorporate da qualsiasi prezzo e la cui percentuale varia da Stato a Stato, anche se lo scarto  é minimo.Le tax, alla fine spuntano sempre e tutti i prezzi sono in realtà più alti di quanto scritto sul cartellino.

La prima volta, volendo liberarci al ritorno dei cent accumulati, prima di imbarcarci abbiamo scelto al Duty Free dell’Aereoporto Life Savers, Jelly Beans e Juicy Fruit facendo i conti con molto cura, ma alla Cassa hanno aggiunto le tasse e dunque il prezzo é diventato più alto di quello conteggiato da noi, quindi abbiamo dovuto pagare con una banconota e ci siamo ritrovati con più monetine in tasca di quanto ne avevamo prima dell’acquisto.

Solita figura da provinciali .

POLLO FRITTO DI MRS. PETRELLA

1 pollo tagliato in otto pezzi, 1/2 litro di latticello,1 cucchiaino di sale , 2 spicchi d’aglio tritati,1 cucchiaino di peperoncino in polvere, farina,olio per friggere.
Si tengono in infusione i pezzi di pollo nel latticello per 24 ore, poi si scolano e si condiscono generosamente con sale , aglio e peperoncino.

Si passano quindi nella farina e si scuotono per eliminare l’eccesso .

Si scalda l’olio in una padella che contenga il pollo di misura e si dispongono i pezzi ben ravvicinati.

Dopo una decina di minuti dovrebbero essere dorati dalla parte a contatto con il fondo della padella e allora si girano proseguendo la cottura dall’altro lato per altri dieci minuti.

Si tolgono dalla padella e si fanno sgocciolare su una griglia ( non sulla carta assorbente).

Lo so, ne abbiamo forse già parlato, il latticello non si riesce a trovarlo in commercio. Comunque in questa ricetta può essere sostituito da 150 ml di latte miscelati con 150 ml di yogurt bianco intero, un  pizzico di sale e un cucchiaio o due di succo di limone. Non solo è la cosa più semplice , ma non mi viene in mente nient’altro da proporvi come surrogato del latticello. Le proporzioni a volte cambiano, a seconda della ricetta, ma gli ingredienti sono sostanzialmente questi.

La signora Petrella mi manda ancora gli auguri  a Natale.

IL POLLO FRITTO DEL NONNO VITTORIO

1 pollo,  1 uovo, 1 bicchiere di latte, pangrattato, farina, sale e pepe, olio per friggere.
Il nonno tagliava con precisione il pollo in 8 pezzi a cui toglieva la pelle, li infarinava, li passava nel l’uovo battuto con il latte e un bel po’ di pepe e poi nel pangrattato.

Ne scuoteva via l’eccesso con delicatezza e li tuffava nell’olio profondo .

Li rigirava bene da tutte le parti con il forchettone , senza pungerli e quando erano belli croccanti li scolava  e li appoggiava sulla carta da pane messa doppia.

E li salava solo allora , perché in cottura la carne non cedesse troppo liquido inumidendo la panatura.
Questo é il pollo fritto della mia infanzia, uno dei ricordi di quel nonno testardo, tenerissimo e sfortunato che se n’è  andato troppo presto, dopo anni di malattia.  “

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Rossetti e Rossini

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Nei paraggi di Portofino

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Tradizione e fantasia

da “I tempi andati e i tempi di cottura ( con qualche divagazione)

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Mi piace pensare di essere figlia d’arte e un po’ anche nipote.
Più per le caratteristiche culinarie del ramo materno ,che per quelle legate allo spettacolo del ramo paterno. Anche se in fondo, sotto certi aspetti, non mi manca una piccola dose di teatralità.
La mia nonna materna, l’indimenticabile nonnina Virginia, entusiasta esempio di come si possa trarre gioia anche dalle cose più semplici, era una persona straordinaria, piena di calore umano e quando era felice manifestava la sua gioia battendo le mani come una bambina.
È vissuta con noi per lunghi periodi,prima a Cisano e poi a Cavaion,aiutandomi a tirare su i bambini con amore infinito e a tenere in ordine il giardino con indomabile entusiasmo, in cambio di una ospitalità affettuosa e di una grande considerazione per la sua esperienza, la sua saggezza, il suo calore e la sua umiltà.
Cucinava benissimo,come del resto la mia mamma, che però non ci metteva la stessa dose di allegria, ma piuttosto considerava la fantasia in cucina un po’ una perdita di tempo,uno sforzo inutile e non amava sperimentare di persona nuove ricette.
Era una persona pragmatica e volitiva, di grande rigore, poco incline ad accettare la ” diversità” in qualunque campo, quindi anche in cucina.
In questo non le somiglio affatto: io mi butto nelle novità come Tania Cagnotto si tuffa dal trampolino e m’ingarello come Valentino Rossi se si tratta di provare un piatto nuovo. E mi ci diverto.So di essere una persona complessa, non complicata,ma con qualche contraddizione.
Esempio: una volta l’anno-più spesso non si potrebbe- faccio i sugoli seguendo esattamente la ricetta di mia suocera Dina,che faccio di tutto per non dimenticare nonostante non ci sia più da così tanti anni, e anche la bole,ossia il castagnaccio,proprio come lo facevano la mia mamma, mia nonna e prima ancora probabilmente la mia bisnonna Libera,che ho conosciuto prima che morisse,alla fine degli anni ‘ 40. Faccio inoltre la crema fritta a rombi,impanati nel semolino come mi ha insegnato la zia Celina.
Insomma ,nel mio piccolo, salvo le ricette tradizionali,quelle di famiglia, perché non vadano perdute e perché la vita non è tutta nouvelle cuisine in fondo.
Ecco volevo dire questo accennando alla mia indole complessa: faccio il ragù che resta sul fornello almeno tre ore,proprio come lo faceva la mia mamma, ma anche degli amuse bouche di granchio, che le sarebbero piaciuti per raccontarlo alle amiche e degli antipasti insoliti e diversi ogni Natale, che la stupivano sempre.Ma del Natale parliamo un’altra volta perché questa si che è una faccenda complessa e complicata!
Quando ancora lavoravo e avevo veramente poco tempo da dedicare alla cucina, oltre che dei sughi per la pasta assolutamente squisiti (di funghi, di tonno e di piselli), la mia mamma ci faceva un pollo al limone che era una delizia, quello che mio figlio,verso i tre,quattro anni chiamava il “pollo zoppo” .E con ragione.
Si trattava di cucinare per noi mezzo pollo, a quarti, con l’aggiunta di un petto per il bambino e tre patate sbucciate ma intere:una a testa perché in quel tegame pesante, basso e un po’ ammaccato che usava per il pollo e che ho sempre visto per casa, di più non ce ne stavano.
Un bambino intelligente e precoce come il mio Simone,guardando nel tegame,non poteva non chiedersi perchè ci fosse un’unica coscia,giungendo quindi alla conclusione che il pollo della nonna, prima di finire in pentola, doveva aver avuto grossi problemi di deambulazione.
Abbiamo continuato a chiamare questo particolare pollo arrosto “pollo zoppo” anche dopoché la famiglia è cresciuta e il pollo veniva cucinato intero e non piu “mutilato” e questa definizione è nostalgicamente diventata parte del nostro lessico familiare.
È una ricetta che non ho mai replicato da quando la mia mamma non c’è più. La sua voce, il suo sguardo, i suoi gesti, i profumi e i sapori che continuo a considerare ” di casa” nonostante abbia una mia famiglia da più di quarant’anni , mi mancano ancora dolorosamente.
L’elaborazione di un lutto è un processo lungo e penoso, me ne sono accorta, ma sto cercando di metabolizzare immagini e ricordi per arrivare ad una serena accettazione di quello che considero ancora un abbandono. E quando ci sarò riuscita ,allora forse potrò cucinare anche il pollo al limone in modo che le lacrime dipendano solo dalla cipolla.

CREMA FRITTA

1 litro di latte intero,4 uova,4cucchiai di zucchero, 4 cucchiai di farina,buccia grattuggiata di 1 limone, 1 pizzico di sale,semolino per impanare,burro per friggere ,zucchero a velo per completare.

In una casseruola mescolo insieme farina,zucchero,buccia di limone e sale.Poi poco alla volta diluisco col latte,attenta a non fare grumi. Aggiungo le uova una alla volta,incorporandole bene al composto e lo metto sul fuoco.
Aspetto che si alzi il bollore e lascio cuocere per una decina di minuti a fuoco dolcissimo,mescolando continuamente.
Quando la crema è cotta ,la verso in una pirofila larga in uno strato alto circa 2 cm. e la lascio raffreddare completamente, poi la passo in frigorifero per almeno 3-4 ore.
La taglio quindi a rombi regolari non troppo grandi,li impano con il semolino e li friggo nel burro spumeggiante pochi alla volta, rigirandoli una sola volta.
A mano a mano che sono pronti li tolgo dal tegame e li cospargo con zucchero a velo setacciato col colino fine.

Giuro che non ricorda per niente quella che si mangiava in Piazza Erbe al banchetto dei bomboloni. Quella di “casa Martini” è buonissima.

AMUSE BOUCHE DI GRANCHIO

200 gr di polpa di granchio in scatola, 1 cipollotto fresco, 2 cucchiaiate di mascarpone,il succo di 1/2 lime,qualche goccia di Tabasco,1 cucchiaiata di prezzemolo tritato, 2 cucchiaiate d’olio,sale e pepe.

Tolgo la polpa di granchio dalla scatoletta,la sgocciolo bene e la metto in una ciotola.
Con la punta delle dita spezzetto ed elimino le eventuali cartilagini (che ci sono sempre).
Affetto molto sottilmente la parte bianca del cipollotto e lo unisco alla polpa di granchio,aggiungo anche il mascarpone e l’olio,il succo di lime, il Tabasco (qui regolatevi voi: la quantità dipende da quanto vi piace il piccante) e il prezzemolo.Salo appena e pepo abbondantemente.
Mescolo con delicatezza per amalgamare perfettamente tutti gli ingredienti e suddivido questo composto sui cucchiaini da tè che poi posiziono a raggiera su un bel piatto.

Servo i cucchiaini di granchio in salotto,prima di andare a tavola: sono uno sfiziosissimo accompagnamento all’aperitivo che precede,per esempio, una cena a base di pesce.

POLLO ZOPPO

1 pollo tagliato in quattro,1 piccola cipolla,1 foglia di alloro,2-3 foglie di salvia,1 spicchio di aglio, 1 limone non trattato, 1/2 bicchiere di vino bianco, 4 patate non troppo grosse,olio e burro,sale e pepe.

La mia mamma tritava la cipolla e la faceva imbiondire appena in olio e abbondante burro,poi accomodava nel tegame i pezzi di pollo,li irrorava col succo di limone,salava, pepava pochissimo e aggiungeva salvia,aglio e alloro.
Rigirava la carne un paio di volte per farla leggermente rosolare , metteva il coperchio e proseguiva la cottura.
Trascorsa la prima mezz’oretta spruzzava col vino e aggiungeva le patate lavate e sbucciate ,accomodandole tra i pezzi di pollo.
Ogni tanto controllava che il sugo restasse abbondante e la carne morbida. Se occorreva aggiungeva un mestolino d’acqua calda in cui scioglieva una punta di Legorn.
Quando il pollo e le patate erano pronti li toglieva dal tegame e filtrava il sugo con un colino eliminando gli odori.Poi rimetteva tutto nella pentola e ce lo faceva avere.
A me non restava che spruzzarlo con dell’altro vino bianco e dare una scaldatina prima di servirlo.

È un piatto semplice e gustoso,un sapore perduto di famiglia che mette sempre un po’ di malinconia.

Pennino

Copyright by Pennino

Il sapore dei ricordi

da “I tempi andati e i tempi di cottura (con qualche divagazione)”

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Un po’ come le briciole che riportarono a casa Pollicino,soprattutto quando organizzo una cena,chiamiamola formale, i miei piatti sono un susseguirsi di ingredienti e sapori che danno loro un carattere,un senso,un gusto particolare e riconoscibile che in un certo qual modo cerca di condurti da qualche parte: verso un angolo della memoria, tipo un giardino di Sorrento che profuma di zagare e limoni, una terrazza sul mare in Costa Azzurra che odora di erbe Provenzali, un Taco Bell in California con l’aroma pungente di Chipote, da Giggi Er Sozzone al Testaccio dove la cucina è vicina alla toilette….ma qui passerei oltre. In generale, sono tutti ricordi ed emozioni che si possono mettere in tavola.
C’è chi le chiama cene a tema, ma io non sarei tanto generica e qualunquista. Insomma non è che a settembre mi metto in mente di fare dei funghi la colonna sonora prevedibile e scontata di un menù a base di ovoli,porcini,finferli e chiodini.
Si può fare,certo,e sarebbe senz’altro tutto squisito…. ma che noia! La mia amica Melina avrebbe detto di sicuro: “Mi scoccio!” dovendo cucinare cose così banali.Tanto vale fare una gita sulle Dolomiti,dove i funghi li fanno benissimo dappertutto e risparmiarsi la fatica.
Insomma quello che voglio dire è che mi piace – e vorrei che finisse col piacere anche a voi, così ne possiamo parlare quando avrò un blog – lavorare intorno a un’idea e svilupparla con fantasia.
Dunque,il tema di una cena di settembre non saranno i funghi e morta lì,ma una gustosa rievocazione di una gita al lago di Carezza,di una passeggiata in pineta a Folgaria,della vista delle Tre Cime di Lavaredo.Capito cosa intendo?
Quindi comincerei col servire un’insalatina di porcini e mele,seguita da maltagliati con pinoli e formaggio di malga,involtini di maiale al ginepro e un gelato alla nocciola con del miele di castagno. Che ne dite?
Adesso non è che per forza vi dovete intestardire su ricette dell’Alto Adige, ma era solo un’idea per mettere in tavola il sapore di un ricordo e condividerlo.
E poiché i ricordi sono come le ciliegie e uno tira l’altro, mi è venuta in mente un’esperienza piuttosto recente vissuta proprio in Trentino.
La regina Vittoria, sovrana molto illuminata, con grande liberalità diceva che “Ognuno può fare quello che vuole, basta che non lo faccia per strada e non spaventi i cavalli”.
Trovo che sia un grande pensiero, di cui avrebbe dovuto tener conto un certo ristoratore, con velleità alberghiere, al quale una Stella Michelin e un trofeo televisivo hanno un po’ dato alla testa,tanto da indurlo ad aprire un Hotel che credo sia il Relais più kitsch delle Tre Venezie ,nonostante le sue 5 Stelle Lusso.
Si tratta di un piccolo Albergo a ridosso di un bellissimo bosco,che vanta lussuosissime suite sontuosamente arredate,ricche di incredibili optional,tipo soffitti di cristallo che ti consentono di guardare le stelle,ampia zona Jacuzzi,biblioteca ben fornita e raccolta di film e CD notevole,oltre a proporre una squisita cena gourmet servita in camera e un massaggio con oli essenziali da eseguire a lume di candela,inclusi nel pacchetto.
Detto così sembra suggestivo vero? Ci avevamo creduto anche noi quando l’abbiamo prenotato l’anno scorso a fine Agosto,dopo che da un pezzo davo il tormento a mio marito per indurlo a passare un weekend in Trentino.
Quando ci siamo decisi,abbiamo scelto la Val di Non un po’ perché è vicina e un po’ perché ci intrigava quello che avevamo letto di questo Hotel.
In realtà la vantata Villa e il Ristorante sorgono in una viuzza decentrata, accanto a piccoli condomini di appartamenti da affittare e casette a due piani decorate col bucato steso ad asciugare, con biciclette e altri giochi per bambini abbandonati in giardinetti mal tenuti. Un quartiere modesto,poco in linea con la ricerca del lusso e raffinatezza inseguita dai proprietari dell’hotel
Il “benessere” era affidato ad un estetista molto dolce ma un po’ improvvisato e mentre Lino si godeva lo splendido Golf Club Dolomiti,per il mio massaggio, anziché rilassarci in camera, sono dovuta scendere in accappatoio al Centro estetico del sotterraneo, dove faceva anche freddino.
Il menù del famoso Ristorante il giorno successivo si è rivelato privo di grandi possibilità di scelta per noi, che avendo goduto la sera precedente della luculliana degustazione compresa nella proposta “Romantica”, in pratica avevamo già assaggiato tutti i piatti più significativi durante una cena servita nella suite e durata un po’ troppo a causa della lentezza del servizio.Abbiamo scelto comunque due proposte abbastanza interessanti, ma non certo indimenticabili ,che ci sono state servite con sussiego e una certa diffidenza dall’arcigna madre del già citato chef, mentre i vini ci venivano consigliati dal gemello sommelier.
Non ho niente contro le conduzioni familiari ,anzi a volte sono proprio vincenti , ma le preferisco meno pretenziose e decisamente meno salate di quella, a mio avviso sopravvalutata, dell’Orso Grigio (Villa e Ristorante). Peccato però , perché le intenzioni erano buone, ma mancava forse quel pizzico di classe, di esperienza e di eleganza che avrebbero fatto la differenza.

INSALATINA DI PORCINI E MELE

300gr di funghi porcini- 2 mele Granny Smith,1 cipollotto,1 gambo di sedano,aglio e prezzemolo,1/2 bicchiere di latte,succo di limone,olio,sale e pepe.

Pulisco benissimo i funghi porcini- che ho scelto con cura dal Mariano- e li affetto. Poi affetto anche il cipollotto e lo metto a bagno nel latte.
Intanto trito insieme il prezzemolo ,il sedano e l’aglio(io ne metto appena una scaglietta, ma se ne può utilizzare anche mezzo spicchio : va a gusti.)
Lavo e sbuccio le mele, le affetto sottili sottili e le spruzzo con il succo del limone perché non anneriscano.
Poi comincio ad assemblare l’insalata ,direttamente nei piatti individuali così non c’è da mescolare e non si corre il rischio di frantumare sia i funghi che le mele.
Dunque, faccio uno strato di fettine di mela, sopra appoggio qualche rondellina di cipollotto scolato dal latte e tamponato con la carta da cucina e sopra ancora distribuisco i porcini.Preparo una citronette classica ma non troppo acida e la miscelo al composto di aglio,sedano e prezzemolo.
Condisco con questa salsina le insalatine e le servo come antipastino….Ma che carino!

INVOLTINI AL GINEPRO

12 fettine sottili di lonza di maiale,150 gr di polpa di maiale macinata, 1 salsiccia, 100 gr di prosciutto cotto a cubetti, bacche di ginepro, 1 rametto di rosmarino, qualche foglia di salvia,olio e burro,sale e pepe, poca farina, 1 bicchierino di gin.

Pesto nel mortaio qualche bacca di ginepro, diciamo 5 o 6 e le mescolo agli aghi di rosmarino tritati,poi unisco il macinato, la salsiccia spellata e i cubetti di prosciutto.
Suddivido questo composto sulle fettine di lonza,le chiudo a involtino e le fermo con uno stuzzicadenti.
Le infarino leggermente ,poi le cuocio in olio e burro con la salvia.
Verso la fine della cottura le spruzzo con il gin e lo lascio evaporare.
Prima di portarle in tavola ,elimino gli stuzzicadenti.

Se non siete patiti del Cocktail Martini, non state a fare spese in più. Se in casa non avete il Gin,usate pure della buona grappa:vengono bene comunque ed hanno una rustica ed apprezzabile aria montanara.

Pennino

Copyright by Pennino

La scoperta dell’America

da “I tempi andati e i tempi di cottura con qualche divagazione”

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Nel 1985 sono andata per la prima volta negli Stati Uniti
Sognavo di riuscirci fin da bambina , da quando, verso la metà degli anni Cinquanta, nel nostro quartiere abitavano le famiglie dei militari della SETAF di stanza alla caserma Passalacqua e io subivo il fascino esotico di Cadillac, Chevrolet, Buick ,Ford, sconfinate Station Wagon, biciclette super accessoriate, abiti con le sottogonne, guantoni da baseball e ragazzine che sembravano tutte figlie di Doris Day.
Sono tornata negli Stati Uniti altre dodici volte e restano sempre una delle mie mete preferite.
Contrariamente alla maggioranza dei miei coetanei o quasi- tanto per stabilire un punto fisso generazionale vi ricordo che sono del ’47 – non ho mai associato l’idea di “America” a New York.
Per me l’America è la California. Lo è sempre stata. In fondo sono venuta su a pane e Hollywood, data la professione del mio papà e la mia idea di America è sempre stata la West Coast, senza ripensamenti.
Ormai adesso tutti fanno viaggi intercontinentali con molta facilità , spesso a costi competitivi ed estremamente ragionevoli e poi internet – a saperlo usare – ti da’ la possibilità di prenotare voli e alberghi senza passare dalle Agenzie Viaggi e ti consente di accedere sia tour virtuali che a tariffe scontate, ma negli anni Ottanta era tutto un po’ più complicato e molto più avventuroso.
Noi eravamo tra pochi a non scegliere i viaggi organizzati, ne’ allora ne’ mai, anzi proprio “vade retro”!
Per affrontare quel primo viaggio mi ero procurata il maggior numero possibile di depliant e tutte le brochure che ero riuscita a racimolare e sera dopo sera, creavo il mio itinerario, lo modificavo, lo ampliavo o lo riducevo tenendo conto dei desideri e delle esigenze degli altri partecipanti alla nostra avventura, delle mete da raggiungere, dei luoghi da visitare, del chilometraggio giornaliero-anzi del “mileage”- e degli orari dei “domestic flies”, se previsti.
A questo punto ero pronta a confrontarmi vis-à- vis col mio referente dell’Agenzia Viaggi, che alla fine mi consegnava i biglietti aerei, la ricevuta dell’Autonoleggio, il blocchetto di Voucher dei Travelodge e le prenotazioni pre-pagate degli Hotel nelle grandi città, le metropoli, dove non puoi mica dormire nei Motel ,scherziamo?
Il più era fatto , praticamente si poteva partire. Immaginare e comporre come un mosaico quella prima avventura Americana è stato bellissimo. E anche un po’ pionieristico. Quante aspettative, quante illusioni ,quanta eccitazione, quante speranze!
Sono emozioni che riesco a provare ancora, anche adesso che sono cintura nera di viaggi in U.S.A.
Pensate: ogni volta che sbarco a Los Angeles mi manca il fiato.Lo so ,probabilmente non dipende dall’emozione ma piuttosto dal monossido di carbonio presente nell’aria ma, che vi devo dire, per me è sempre una sensazione fantastica.
Sono affetta da una memoria di ferro,che a volte è proprio una maledizione perché non dimentico proprio niente e non riuscendo ad essere selettiva, purtroppo spesso vengo assalita da reminiscenze anche sgradevoli, ma nel complesso riesco a ripescare e rivivere momenti che vale proprio la pena di ricordare.
Di quel primo viaggio in America, il più classico dei cosiddetti Coast to Coast (Los Angeles-San Diego-Las Vegas-Parco delle Sequoia-Monterey-San Francisco-New York) non ho buttato via niente ,nemmeno fisicamente,anche se ho dovuto ridurre la quantità di ricordi cartacei perché entrassero nell’album delle memorabilia,album con poche foto ma tutte le matrici degli ingressi ai Parchi,gli scontrini di Macy’s e di Saks Fifth Avenue, i tovagliolini di carta col logo dei Fast Food- che non erano ancora arrivati in Italia- e perfino le Guide TV. E sono solo degli esempi.
Quello che non sono riuscita a mettere nell’album me lo ricordo comunque:Aldo che si gonfiava, la Fanou che preferiva la “piscine” alla Seventeen Miles Drive, la Melodie che si annoiava a See Word, la felicità di Simone che ha passato il decimo compleanno dentro il Toys “R” Us di Visalia, il mio primo pranzo a base di insalata al Blue Bayou di Disneyland.
Ho vissuto quelle prime tre indimenticabili settimane negli Stati Uniti anche come esperienza culinaria, mentre mio marito si è cibato praticamente solo di New York steak, qualche T-Bone steak e baked potatoes.Solo occasionalmente si è adattato all’assunzione di un sandwich, rigorosamente al prosciutto,ignorando le zuppe e le insalate.
In fatto di cibo era sempre stato molto abitudinario e anche un pochino diffidente.Adesso è cambiato, ampliando enormemente i suoi orizzonti culinari e oggi appoggia con fervore molte specialità gastronomiche prima disdegnate, anche Statunitensi.
Dovreste sentirlo in America, come ordina ormai con disinvoltura e senza grossi errori di pronuncia, Clam chowder,Prime Rib, Pancake,Sea food,Hashbrown e soprattutto steamed,baked o broiled Lobster, il tutto con l’entusiasmo del neofita che è uscito dal tunnel della falsa convinzione che gli Americani mangino solo Hamburger e Hot Dog.

CLAM CHOWDER
(Le dosi sono a tazze perché la ricetta è quella originale)

2 confezioni di vongole surgelate sgusciate, 6 tazze di acqua, 1/2 tazza di bacon tritato grossolanamente, 1 tazza e 1/2 di cipolle bianche tritate, 2 tazze e 1/2 di patate a cubetti, 2 tazze di latte tiepido, 1 confezione di panna da cucina, 1 foglia di alloro, sale e pepe bianco , prezzemolo tritato.

Faccio scongelare le vongole,quelle veraci quando le trovo, filtro il liquido che si è formato nel sacchetto e lo tengo da parte. Sciacquo le vongole e le conservo a temperatura ambiente.
In una casseruola piuttosto grande faccio rosolare il bacon a fuoco basso finché non rilascia tutto il suo grasso e comincia ad abbrustolire ed è allora che aggiungo le cipolle e le faccio cuocere salando appena e mescolando spesso perché diventino morbide ma non colorite.
Unisco il liquido delle vongole, le patate, l’alloro e l’acqua e dopo una decina di minuti aggiungo le vongole e continuo la cottura per una mezz’oretta :le patate devono essere morbide. Verso il latte e la panna e aspetto che la zuppa riprenda il bollore mescolando di tanto in tanto con delicatezza, abbasso la fiamma e faccio cuocere altri dieci minuti.
Elimino l’alloro (non vorrei mai che qualche commensale mangiasse la foglia e poi scoprisse la ricetta!) e la clam chowder è pronta.Regolo di sale e pepe la porto in tavola.

Mi piace servirla in ciotole individuali, cosparsa di prezzemolo tritato e accompagnata dai cracker all’acqua,proprio come fanno nel New England. E anche in tutto il resto degli Stati Uniti per la verità.

CAESAR SALAD

Lattuga romana, 1 spicchio d’aglio,2 cucchiai di succo di limone, 1 cucchiaio di salsa Worcestershire, 1 cucchiaio di senape, 3 cucchiai di panna da cucina, 1 tazzina di olio d’oliva, sale e pepe, parmigiano a scaglie, filetti di alici sott’olio,crostini fritti.

Riduco a crema l’aglio e lo lavoro con la senape, il succo di limone e la Worcester .Un po’ alla volta unisco la panna e l’olio, salo e ottengo un’emulsione ben montata con la quale condisco la lattuga prima lavata e poi spezzettata con le mani.
Mescolo delicatamente e poi cospargo di pepe nero appena grattugiato e di scaglie di parmigiano.
Completo con i filetti d’acciuga e un cucchiaio di crostini e l’insalata e’ pronta.

Negli Stati Uniti la propongono come entree prima del Main course, ma diventa un piatto unico a pranzo se si arricchisce con un petto di pollo alla griglia tagliato a listarelle , oppure con una tazza di gamberetti al vapore.
La panna e’ una variante che preferisco all’uovo crudo o in camicia che spesso si trova nelle ricette originali e che crea una specie di maionese: se volete provate anche questa versione, ma come la faccio io è proprio buona.

Pennino

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Filetto quasi alla Wellington

Da anni faccio un filetto in crosta che darebbe del filo da torcere a quello alla Wellington, che peraltro preferisco cucinare in monoporzioni (https://silvarigobello.com/2014/11/26/filetto-in-crosta-di-sfoglia/) se si dovessero sfidare in una gara.
Si tratta di un piatto laborioso, con tanti passaggi e tre diverse cotture, ma il risultato è straordinario.

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Metto a rosolare a fuoco vivace, in una casseruola che lo contenga di misura, un filetto di maiale di circa 600 gr con 1/2 bicchiere di olio, 2 spicchi d’aglio e un rametto di rosmarino.
Quando mostra una bella crosticina su tutti i lati, salo e pepo generosamente, abbasso la fiamma, incoperchio e continuo la cottura per altri 10 minuti rigirandolo più volte.
Tolgo il filetto dalla casseruola e lo lascio raffreddare.
Intanto faccio trifolare 300 gr di funghi champignon affettati sottili nel burro con aglio, pepe, sale e prezzemolo. A fine cottura, fuori dal fuoco, unisco 400 gr di polpa di maiale macinata e mescolo bene.
Imburro uno stampo da plum cake, lo fodero di carta forno anch’essa imburrata, accomodo sul fondo circa 1/3 dell’impasto di funghi e macinato, sopra appoggio il filetto sgocciolato, conservando il sugo, e copro con il restante impasto riempiendo anche i lati dello stampo, facendo attenzione che non restino dei vuoti.
Copro con un foglio di alluminio e inforno a 160° per 50 minuti.
Quando è cotto, aspetto a sformarlo che si sia raffreddato.
Recupero il sugo che si è formato sul fondo dello stampo inclinandolo e versandolo nel contenitore dove ho conservato quello della cottura del filetto.
Capovolgo lo stampo con attenzione al centro di una confezione di pasta sfoglia pronta, stesa sul piano di lavoro e avvolgo il filetto “bardato” di macinato e funghi, sigillandolo con il latte.
Appoggio la preparazione, con la giuntura sotto, su una teglia coperta di carta forno imburrata, la spennello con altro latte e inforno nuovamente a 180° per una ventina di minuti: la sfoglia deve risultare bella dorata.
Sforno, aspetto 5 minuti e intanto unisco i due sughi ottenuti dalla cottura delle carni, li filtro con un colino fine, li scaldo aggiungendo un generoso pezzetto di burro e servo a parte in salsiera.
Naturalmente porto in tavola il filetto intero e lo affetto davanti agli ospiti, perché il suo bello è proprio mostrarlo con la crosta, delicata, friabile, intatta.

Lo so che è una ricetta complicata e laboriosa, ma in certe occasioni vale davvero la fatica.
In fondo però si tratta di un piatto che si può preparare in più riprese, quindi… sapete già come la penso.

Risotto con porcini e castagne (o marroni)

La ricetta di oggi è in fondo il frutto di un’elaborazione del ripieno di uno dei miei arrosti stagionali, al momento non saprei precisare quale, ma in uno almeno, se non due sono presenti gli ingredienti di questo risotto morbido, dal sapore pieno e una piacevole consistenza che sorprende ad ogni boccone: i funghi e le castagne, o più precisamente i porcini e i marroni.

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La realizzazione della ricetta può apparire complessa e in fondo lo è, ma se si esaminano le preparazioni dei due ingredienti principali, ci si rende conto che si possono, anzi si devono, eseguire in tempi diversi, riuscendo così a diluire l’impegno.

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Comincio lessando dei bei marroni locali, che si acquistano proprio in questi giorni alle varie fiere delle località prealpine della Lessinia, non le castagne, che come ci ha di recente ricordato Simona di Grembiule da Cucina, sono più difficili da sbucciare, anche se sono più dolci.
La quantità di marroni da utilizzare è a discrezione.
Per questa ricetta di risotto per due persone, giusto per darvi un’idea, ne ho usati 8, numero che si può aumentare o diminuire, ma a me è parsa una quantità equilibrata.
Finché bollivano, ho mondato e affettato degli stupendi funghi porcini e li ho cucinati brevemente con aglio, burro, olio, scalogno e prezzemolo, nel solito, classico modo insomma.
Ne preparo in genere molti più di quanti non me ne servano per la ricetta del risotto di oggi perché poi li utilizzo anche in un ripieno o come contorno, non occorre deciderlo sul momento: come i marroni, i funghi sono talmente versatili da non costituire un problema se ce ne sono in abbondanza, no?!
Una volta sbucciati i marroni, li tagliuzzo in 4-5 pezzi e li faccio insaporire nel tegame dove ho travasato 2 generose cucchiaiate di porcini trifolati e tengo tutto al caldo.
Preparo il risotto con 2 tazze di brodo nel quale verso una tazza di riso appena arriva a bollore e lo porto a cottura senza mai mescolare.
Quando è cotto ed ha quindi assorbito tutto il liquido, fuori dal fuoco aggiungo, burro, parmigiano, il sugo di porcini con i marroni, mescolo e servo spruzzato di prezzemolo tritato.

Credo che chi mi conosce non si stupirà più del mio modo di cucinare il risotto, comunque se non vi piace, suggerisco di prepararlo come fareste un comune risotto con i funghi aggiungendo le castagne alla fine, al momento di mantecare.
Mi sono resa conto che in quest’ultimo periodo, salvo rarissime eccezioni, non ho mai cucinato la pasta.
Sarà che il non averlo mai preparato per tutta l’estate mi è mancato molto, dunque non faccio che utilizzare per i miei primi piatti asciutti il riso anziché la pasta e mi sa che il blog ne potrebbe risentire perché potrei essere un po’ ripetitiva.
Spero che non succeda perché i risotti consentono una tale varietà di ricette che sarebbe un peccato non parlarne.

Chicken fingers: strisce di petto di pollo quasi come al Mel’s Drive-in

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Giovedì sera sono rimasta in piedi fino a tardi per rivedere i film della trilogia di Ritorno al Futuro.
Sono film che da tanti anni mi piacciono moltissimo e non mi annoiano mai: per la bravura di Michael J. Fox e di Christopher Lloyd, perché per l’epoca in cui sono stati girati sono geniali e soprattutto perché amo il cinema, amo Hollywood e amo ricordare quando ho visitato per la prima volta gli Universal Studios, dove ho visto tra i molti set di film famosi, anche il Municipio con la torre dell’orologio e la mitica DeLorean, accanto alla quale ci si poteva far fotografare con un sosia di Doc.

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Se Hollywood è il luogo dove vi piacerebbe che i vostri sogni diventassero realtà, gli Universal Studios sono l’occasione per entrare e divertirsi in questo mondo di celluloide.
Visitare questo enorme studio cinematografico, che si sviluppa nella parte orientale delle colline di Hollywood, e tutto il parco a tema che lo compone, significa immergersi in una bellissima esperienza. Sempre che siate appassionati di cinema, conserviate lo spirito e l’entusiasmo dei ragazzi e siate disposti a divertirvi.

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Tra i tanti ristoranti di questo che a tutti gli effetti è diventato un Parco a tema, quello che forse mi è piaciuto di più è Il Mel’s Drive-In, bellissimo locale arredato in perfetto stile anni ’50 al cui esterno sono parcheggiate permanentemente delle stupende auto d’epoca proprio dello stesso periodo, che fanno parte dell’immenso parco macchine degli Universal Studios, pronte a farvi rivivere l’atmosfera del periodo di Happy Days, American Graffiti, Greese e non solo.

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Oltre ad ascoltare dai favolosi jukebox posizionati sui tavoli di questo locale perfetta musica anni Cinquanta, ci si può sedere sui divanetti rossi e ordinare frullati in stile Milk Shake, Anelli di cipolla fritti, Hamburger e patatine, Sandwich di pollo e deliziosi Chicken Fingers, strisce di petto di pollo impanate e cotte al forno, quasi come queste.

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Se pensate che vi possano piacere, vi racconto subito come le preparo.
Taglio a fette e poi a listarelle un petto di pollo ben pulito da grasso e filamenti. Lo sistemo in un sacchetto gelo a chiusura ermetica, quelli che compro all’Ikea e funzionano benissimo per molti e diversi usi.
Preparo una marinata con un vasetto di yogurt bianco, il succo di 1/2 limone, un cucchiaio di olio, sale, pepe, uno spicchio d’aglio schiacciato e peperoncino in polvere in quantità variabile a seconda del gusto personale
Mescolo bene e verso questa miscela sul pollo, che lascio insaporire in frigorifero nel sacchetto sigillato, anche tutta la notte.
Pesto con il mattarello o nel mortaio una scatola di crackers Ritz e verso le briciole in un piatto largo e profondo.
Sgocciolo le listarelle di pollo e le passo una alla volta nella panatura di cracker avvolgendole completamente, poi le allineo sulla placca del forno coperta di alluminio e le inforno a 200° per 15-20 minuti.
Nonostante manchi il tradizionale passaggio nell’uovo sbattuto, questa panatura risulta comunque dorata e croccante.

Non posso dire che questo pollo marinato e “fritto” in forno ricrei proprio l’atmosfera degli Universal Studios, ma serve almeno a farmici ripensare e a godere di nuovo di bellissimi ricordi, di esperienze entusiasmanti e di voglia di rifare tutto di nuovo.

Il mio contributo alla campagna di solidarietà #SaveRummo: un pacco di spaghetti e una ricetta semplice

Ho aderito alla mobilitazione per salvare il pastificio Rummo di Benevento, devastato dall’alluvione nella notte tra il 14 e il 15 ottobre, acquistando qualche pacco di pasta.
Più che una ricetta, questo vuole essere niente più che un gesto di solidarietà nei confronti di un’Azienda che ha sofferto drasticamente per l’alluvione che ha colpito nelle scorse settimane il beneventano e le cui conseguenze ancora impensieriscono, impressionano e coinvolgono.
La solidarietà si esprime in questo caso acquistando uno o più pacchi di pasta Rummo, che a Verona ho trovato da Eat’s, il Food Market che propone solo prodotti d’eccellenza, al n.6 di Via Mazzini, in pieno centro storico.

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Gli Spaghetti Grossi n.5 del Pastificio Rummo sono perfetti per un piatto di semplice pasta aglio, olio e peperoncino perché i prodotti dei maestri pastai di questa azienda ora in ginocchio non hanno bisogno di sughi elaborati per essere apprezzati.

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Si fanno scaldare in olio extravergine, alcuni spicchi d’aglio sbucciati, tagliati a metà e privati del germoglio. Prima che imbiondiscano si aggiunge abbondante peperoncino e un pizzico di sale.
Si versano nella stessa padella gli spaghetti lessati al dente e si fanno saltare brevemente perché si insaporiscano.
Unica variante alla ricetta tradizionale: io aggiungo della rucola, che dona al piatto un aroma fresco e pungente.

Credo che acquistando qualche pacco di pasta Rummo, potremo dare un piccolo aiuto a chi è in gravissima difficoltà, senza porci troppe domande, come a suo tempo abbiamo fatto comprando il Parmigiano delle Aziende colpite dal terremoto dell’Emilia del 2012.