LA CUCINA FRANCESE- Galette des Rois, daurade dulgéré, gelatina di pesche, paté maison.

Tratto da “La Cucina Francese e la Cugina Francese” di Silva Avanzi Rigobello.

Capitolo 6 –  Siam giunti , ecco la torre ( Il Trovatore di G. Verdi)

Quando siamo andati ad abitare in campagna , all’inizio non è stato facile legare con i locali , che guardavano sempre con diffidenza , quando non si trattava di circospezione , chi entrava nel loro piccolo mondo ristretto e limitato  di conoscenze di secoli e parentele strette. Potevano però accadere anche cose inconcepibili per chi vive in città , vi faccio un esempio: tornando da Verona , passavamo sempre davanti ad un’abitazione che accanto al cancello d’ingresso aveva uno stupendo cespuglio di dalie viola. Erano fiori di un colore magnifico, che non avevamo mai visto, nemmeno nei vivai.

Un giorno ne parlavo con una vicina che ammirava le aiuole di mio marito e la sua abilità nel coltivare cespugli e bulbi da fiore, rammaricandomi di non avere tra le nostre anche alcune dalie di quella straordinaria tonalità , viste nella frazione limitrofa. Mi ha chiesto precisazioni circa la posizione della casa abbellita dal cespuglio di cui stavamo parlando ed é finita lì.

Dopo qualche giorno si é presentato un omino con un pacchetto di carta da giornale tra le mani. Era lo zio della nostra vicina ( nonchè proprietario delle dalie viola) , che ci aveva portato qualche rizoma, dato che la nipote gli aveva detto che ci piacevano tanto.

E non ha neanche voluto che gli offrissimo il caffè .

Sono cose che succedono solo in campagna.

Comunque ,l’atteggiamento in generale cauto e guardingo dei nostri compaesani induceva anche noi forestieri a radunarci in circoli piuttosto ristretti e a volte decisamente snob,  inutile negarlo.

Ci si trovava spesso a casa di una coppia che abitava nella parte bassa del paese, il più delle volte con la presenza del sindaco, del parroco e del maresciallo dei carabinieri ed essendo la padrona di casa francese serviva principalmente grandi insalate e poi un dessert, tipo la Galette des Rois.Cene a tema, per carnevale o altre feste.

Verosimilmente nella città della Lorena di cui era originaria i rapporti di buon vicinato funzionavano così , ma a me sembravano a volte le gag di certi vecchi film di Louis de Funès.

Comunque , dopo qualche anno di frequentazioni, suo fratello ci invitò  a Parigi, ospiti nella sua casa.

Abitava in un imponente palazzo di una elegante Avenue , quella che separa il 7mo dal 15mo arrondissement e  proprio appena dietro l’angolo c’era la Tour Eiffel , il primo monumento di Parigi che ci dava il buongiorno ogni mattina .

In quell’occasione abbiamo avuto modo di conoscere una Parigi  classica e divertente ma anche intima e familiare.

Erano quindici anni che non tornavamo a Parigi e questa è stata senza dubbio un’esperienza ben diversa da quella vissuta in luna di miele . Sono andata a fare la spesa nel sofisticato mercato rionale di Rue Cler , comprando marmellate, frutta e verdura , formaggi , filetti di manzo, costolette di maiale, fiori e baguette perchè si faceva colazione e generalmente si pranzava a casa, mentre il pomeriggio noi signore abbiamo fatto acquisti in deliziosi negozi poco conosciuti di tessuti, filati, e passamanerie, siamo entrate in piccole “epicerie” che vendevano salse e mostarde, ci siamo provate in eleganti boutique mantelle di mohair per poterne copiare il modello e nelle profumerie ci siamo fatte regalare i campioni mignon dei profumi francesi  per le collezioni delle nostre figlie.

 

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Siamo rimasti da loro tre giorni, ma il quarto siamo ripartiti, per il timore che anche in Francia ospiti e poisson si comportassero come in Italia.

Una sera ci hanno offerto la cena di tre portate al Lido, dove in quel periodo  era in cartellone ” Panache” e mi sono portata via il menù per ricordo, mentre mio marito si sarebbe portato via volentieri una delle 42 Bluebell, ma come dargli torto?

Ci hanno anche accompagnato a curiosare fra gli oggetti antichi del Village Saint Paul, nella zona del Marais, più elegante e raffinato rispetto al famoso, chiassoso , vasto Marché aux Puces di Saint Ouen , che avevamo visitato anche in viaggio di nozze, senza fare peró acquisti degni di nota . In quell’occasione abbiamo pranzato sotto i portici di Place des Vosges, ma  é stato al Village Suisse proprio sotto casa loro, che abbiamo comprato una coppia di eleganti alari di ferro battuto per uno dei camini della casa di campagna .

Per portarli in Italia , anzichè metterli nella valigia, che avrebbe di certo superato il peso, abbiamo pensato di utilizzare una borsa di tela blu che doveva contenere la biancheria sporca e trasportarli con noi in cabina, come bagaglio a mano. Ci era sembrata la soluzione più semplice . Come ci sbagliavamo!

Al Charles de Gaulle , quando la borsa è passata ai raggi x, l’addetto ai controlli ha fatto scattare l’allarme ed è accorsa la Polizia Aereoportuale con i giubbotti antiproiettile elle armi spianate .

Tenendoci sotto tiro, i gendarmi i hanno fatto aprire la borsa incriminata aspettandosi di trovarci dentro due mitra! Ci avevano presi per due dirottatori.

In effetti l’immagine sullo schermo poteva ingannare chiunque: i nostri bellissimi alari antichi , annidati fra calzini, pigiami, mutande e camicie , sembravano proprio due Kalashnikov.

Credo che i nostri figli fino ad oggi non sapessero niente di questo episodio. Non glielo abbiamo mai raccontato perché altrimenti si sarebbero preoccupati ogni volta che avremmo viaggiato da soli.

Scusate ragazzi. Per giustificare la nostra omissione , a questo punto ci starebbe bene la citazione di un proverbio francese simile al nostro “0cchio non vede, cuore non duole” ma non lo conosco.

GALETTE DES ROIS

2 dischi di pasta sfoglia, 50 gr di burro morbido, 2 uova, 1 bicchierino di rum, 100 gr di zucchero, 100 gr di farina di mandorle, 1 cucchiaio di estratto di vaniglia, 1 pizzico di sale .
Sbatto il burro con lo zucchero, poi unisco 1 tuorlo, la vaniglia, il rum e aggiungo la farina di mandorle. Alla fine incorporo 2 albumi montati a neve con il sale, mescolando dal basso in alto perché non smonti.

Verso il composto in una teglia foderata con il disco di pasta sfoglia.

Spennello il bordo con l’altro tuorlo, sbattuto con un cucchiaio d’acqua , e copro con il secondo disco di pasta sigillando con i rebbi di una forchetta.

Partendo dal centro, in cui pratico un piccolo foro, con la punta di un coltello traccio  una raggiera sulla pasta e inforno a 200 gradi per 30 minuti.
I francesi, che preparano questo dolce tradizionalmente per l’Epifania, inseriscono una monetina o un piccolo oggetto di ceramica  nell’impasto. Dato che la torta si serve a fette chi sarà così fortunato da trovare la “fève” nella sua , sarà  il re o la regina per il resto della serata, quelli sfortunati l’indomani andranno dal dentista.

 

DAURADE DULGÉRÉ

 

8 filetti di orata, 100 gr di burro, 2 scalogni, 1/2 cipolla, 200 ml di vino bianco frizzante, 80 ml di panna da cucina, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato, 500 ml di passata di pomodoro, 1 decina di foglie di basilico, 1/2 cucchiaino di zucchero, sale e pepe.
Preparo una riduzione bella densa con la passata di pomodoro, lo zucchero, il basilico tritato e una presa di sale , cuocendo tutto per almeno 20 minuti. Unisco la panna e faccio cuocere altri 5 minuti. Fuori dal fuoco incorporo il burro a pezzetti e tengo al caldo.

Trito insieme scalogni e cipolla e li sistemo sul fondo di una pirofila imburrata, ci adagio sopra i filetti di pesce dalla parte della pelle , salo appena e pepo con abbondanza. Inforno a 200 gradi coperto con carta da forno imburrata per 15 minuti. Una volta cotti, sollevo con una spatola i filetti, li appoggio sui piatti  e copro con la salsa.
Questa ricetta è così semplice che se non fosse per la panna non sembrerebbe nemmeno francese , vero?  Invece era nel menù del Lido.

GELATINA DI PESCHE

4 pesche a pasta gialla , 50 gr di zucchero, 1 bicchierino di Cognac, 1/2 limone, 3 fogli di gelatina.
Sbuccio le pesche , le affetto e le frullo con lo zucchero e il succo di limone. sciolgo la gelatina, precedentemente ammollata  in acqua fredda , nel Cognac appena scaldato e la unisco al rullato di pesche.

Verso il composto in una ( o più ) vaschette di quelle per fare i cubetti di ghiaccio e metto in frigorifero fino al momento di servire.

Questo NON è un dolcetto da fine pasto, ma una gelatina da servire come accompagnamento ad una terrine di foie gras o anche ad un semplice Paté di fegato, come quelli che faccio a Natale.

Vi do un suggerimento molto carino, uno dei soliti ” segreti dello chef ” che chi mi conosce sa che finisco con lo svelare a tutt’Italia: quando ho distribuito la gelatina non ancora rappresa nelle vaschette del ghiaccio, inserisco in ogni cubetto una bella fogliolina intera di basilico  o di menta fresca. É senz’altro un’aggiunta molto chic. E non è neppur e francese, ma tutta mia ! Come mia è la versione piuttosto semplice del paté di fegatini che segue è che potrebbe passare per una ricetta francese.

Provateci, garantisco che non  se ne accorgerà nessuno.

 

PATÉ  MAISON

 

 

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400 gr di fegatini di pollo, 200 gr di cipolle bianche, 200 gr di burro, 1 bicchiere di Recioto di Soave bianco, 2 pezzetti di buccia di limone, 2 foglie di Salvia , 2 foglie di alloro, sale e pepe.

Trito le cipolle  e le faccio appassire con 100 gr di burro a fuoco dolcissimo, con la salvia e l’alloro, senza farle colorire, aggiungendo eventualmente qualche cucchiaiata d’acqua.

Taglio a pezzetti i fegatini, privati del grasso e del fiele e sciacquati. Li aggiungo alle cipolle, unisco la buccia di limone, sfumo col Recioto e porto a cottura fuoco basso.

Lascio intiepidire e regolo di pepe ( meglio bianco) e sale. Elimino le foglie aromatiche e frullo unendo il resto del burro fuso . Sistemo il composto in uno stampo e lo conservo in frigo.
I francesi sono convinti che il paté sia una loro invenzione, ma in realtà era conosciuto già dagli Egiziani e anche dagli antichi Romani, che li accompagnavano con fichi secchi e miele. Come me!

A Natale il paté non manca mai sulla nostra tavola. tuttavia devo riconoscere che in Francia se ne fa un uso veramente intensivo.

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LA CUCINA FRANCESE – brandade, entrecôte mirabeau, bouillabaisse, salsa rouille, churros. 

Tratto da “La Cucina Francese e la Cugina Francese” di Silva Avanzi Rigobello

Capitolo 4- Toreador ( Carmen di George Bizet)

In Francia ormai ci siamo andati  un sacco di volte, alcune per delle vere vacanze, altre solo di passaggio verso altre mete.

Il 1971 è stato l’anno in cui per le ferie estive siamo andati in Spagna, a Tossa de Mar, in Costa Brava, dove parlano Catalano e non il più orecchiabile Castigliano, quindi anche se sei Veneto, lì non inganni nessuno e ti tocca esprimerti a gesti.

Per arrivarci ci abbiamo messo due giorni.

Lo so, a qualcuno di voi instancabili viaggiatori sembrerà ridicola la sosta di una notte per una percorrenza di un migliaio di chilometri , ma a noi è sempre piaciuto prendercela con calma e considerarci già in vacanza anche durante il viaggio per raggiungere la meta finale, anzichè precipitarci come se fossimo inseguiti.

Dopo esserci goduti i luminosi paesaggi incantati della Liguria e della Costa Azzurra , abbiamo raggiunto Aix-en-Provence e  attraversato il Cours Mirabeau, un largo viale alberato fiancheggiato da palazzi riccamente decorati.

A mio avviso si tratta di uno delle vere attrattive di questa  città, insieme alle bellissime fontane e all’incomparabile luce della Provenza , che si ritrova in quasi tutti i dipinti di Paul Cézanne , che qui é nato, alle entrecôte Mirabeau (omonime del viale) e ai calissons, dolcetti di farina di mandorle e canditi che hanno la forma romboidale dei nostri Ricciarelli.

I canditi utilizzati per confezionare i calissons, sono di arancia (scontato) e di melone (insolito).

C’è da dire che i meloni di questa zona sono eccellenti e rinomati in tutta la Francia. Noi ne abbiamo ordinato uno a pranzo: era nella sezione del menù riservata agli antipasti, come lo jambon di Haut Languedoc e pensavamo di aver capito tutto, invece ci é stato servito a palline, marinato nel Porto. Esperienza curiosa ma molto apprezzata, che ci ha preparato il palato all’assaggio del boeuf gardianne, un eccellente stufato di manzo dal gusto deciso , specialità della Camargue, accompagnato dal riso selvatico del delta del Rodano.

È una prelibatezza abbastanza simile al boeuf bourguignon.

La sera ci siamo fermati a dormire ad Arles, impressionante testimonianza del dominio Romano del I secolo d.C. in Provenza.

Esattamente come a Verona, in pieno centro storico si trovano due antichi monumenti molto ben conservati: un notevole Teatro Romano e l’anfiteatro  “Las Arenas” che in epoca moderna ha ospitato anche le corride , deprecabile e cruento costume di questa Regione e le competizioni equestri durante la “Fete des Gardians” .

La città è anche famosa per aver accolto Vincent Van Gogh ed averne influenzato la produzione artistica con i suoi colori luminosi, gli stessi che ispirano ancora i fabbricanti dei vivaci tessuti provenzali, che consiglio di acquistare in Rue Jean Jaurês.

Data la vicinanza alle Bocche del Rodano , un’escursione ( da non perdere) di pochi chilometri offre  la possibilità di vedere da vicino i  fenicotteri rosa, le paludi salate, i tori neri, i cavalli bianchi e i mandriani abbronzati , che sono un conturbante incrocio fra i butteri e i gitani .

Per completare l’esperienza provenzale, si può quindi comprare qualche tovaglia e accostarsi  ad alcune delizie da veri gourmet , che vale la pena di assaggiare.

Cito con grande desiderio di condivisione la Bouillabaisse, che è buona come quella Marsigliese, però se proprio non avete voglia di arrivare così lontano per assaggiarla andate tranquillamente a Viareggio e mangiatevi il cacciucco . Devo dire che secondo me l’unica cosa che fa la differenza è la salsa Rouille.

Ho trovato buonissima anche la Brandade, che ho assaggiato per la prima volta proprio alle porte della Camargue. In confidenza somiglia molto al “baccalà mantecato” che si mangia a Vicenza, ma ha molti estimatori perché, come sempre , i Francesi  sono bravissimi a proporre le loro specialità con maggiore enfasi di noi.

Comunque, in quell’occasione, gli assaggi regionali di pesce li ho fatti in pratica solo io , perché mio marito non si è discostato da semplici scampi, triglie , vongole e cozze cucinati nel modo più basico che riusciva ad ottenere dagli chef. Ma non deve essere andata male nemmeno a lui, dato il profumo irresistibile di maggiorana, rosmarino, ginepro, aneto, finocchio selvatico e timo che i suoi piatti emanavano.
Il giorno successivo ci siamo lasciati alle spalle il confine francese e siamo stati accolti in Spagna da impressionanti cartelli pubblicitari raffiguranti un toro in fiero atteggiamento di sfida , che pubblicizzavano una marca di sherry , ossia di Xeres come correttamente  si chiama quello prodotto nella zona di Jerez de la Frontera.

Ce ne siamo portati a casa alcuni esemplari alla fine della vacanza, ovviamente. 

Stupendo il paesaggio offerto dagli ultimi 10 o 12 chilometri dei circa 150 percorsi per raggiungere Tossa de Mar, una strada tutta curve  che tagliava una fitta foresta di macchia mediterranea .

La Costa  Brava vantava anche allora località balneari molto più mondane del suggestivo paese dal fascino antico dove avevamo prenotato noi, ma siamo stati sempre poco interessati alle discoteche, ai bagni di mezzanotte, ai falò in spiaggia e alla vita notturna in generale, sostanzialmente perché uno di noi due non ha mai imparato a ballare e in più la sera si addormentava sempre presto.

Quindi era perfetta per le nostre esigenze questa bellissima cittadina fortificata medievale, a picco su un mare di un blu così   intenso come solo il Mesiterraneo riesce ad essere, con le sue piccole spiagge  a ferro di cavallo e la “ciutat vella” perfettamente riconoscibile all’interno delle mura di difesa dalle invasioni dei mori.

Fu Marc Chagall a definire questa piccola città il “paradiso blu” e anche lui era uno che di colori se ne intendeva .

Dato che Tossa de Mar dista un centinaio di chilometri da Barcellona , non abbiamo potuto fare a meno di visitarla, per ammirare perplessi alcune opere di Antoni Gaudi come la Cattedrale tuttora incompiuta della Sagrada Familia (che ricorda l’architettura dei castelli a piramide che si fanno sulla spiaggia sgocciolando una miscela di acqua e sabbia dalla punta delle dita) e Casa Batilo ( che potrebbe sembrare la residenza del Presidente dei Puffi ), per passeggiare sulle Ramblas, mangiare tapas e churros e assistere ad uno spettacolo di Flamenco andato un po’ troppo per le lunghe, bevendo sangria.

Abbiam  fatto una vacanza rilassante e divertente insieme.Trascorrevamo le assolate , pigre giornate spagnole quasi sempre sulla Platja Gran, la spiaggia che va dal promontorio della città vecchia fino a dove si radunano i gabbiani. Mi si dice che ora lì c’è una statua intitolata al “Gavina Joan “, il famoso gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach.

Ne sono felice : se lo meritava proprio un monumento l’amico Jonathan, libero e anticonformista rappresentante della New    Age.

Le serate erano dedicate a fare escursioni estemporanee alla Cala Es Codolar, una piccola spiaggia dal fascino speciale , al riparo dai venti, dove i pescatori la sera tiravano in secca le barche , che si raggiungeva scendendo antiche scale dalla sommità del promontorio fortificato, oppure a scoprire i mille negozietti della città vecchia, per passeggiare lungo la Rambla dagli storici edifici secolari su entrambi i lati e scegliere accuratamente la “taberna ” o la “posada” dove cenare.

Cenare, o comunque consumare un pasto in Spagna é una vera festa. Mi sento di affermarlo nonostante la modesta esperienza maturata unicamente in Costa Brava. La  sera ci si sedeva a tavola allegri, dopo la sosta in una “bodega” per una sangria , anche Blanca e si ordinavano la paella Valenciana , Catalana o de Mariscos, la zarzuela ( ma la ricetta non è di Calderòn de la Barca), o semplicemente gamberi e pollo ai ferri.

Inquietante è stata la scoperta che il lunedì i ristoranti offrivano molti più tagli di carne di manzo che durante il resto della settimana, comprese le criadillas fritas. Si sa, in Catalogna la tauromachia era seguita e anche molto apprezzata dalla maggior parte dei suoi abitanti.

Nel ristorante dove andavamo più spesso ( dove ho insegnato allo chef a preparare la carbonara in cambio della sua ricetta “segreta” della sangria), mentre io ordinavo la crema Catalana , mio marito amava concludere il pasto con una grossa coppa di gustose e profumatissime fragole locali. Naturalmente le ordinava in italiano e il nostro cameriere abituale , che ormai aveva imparato le sue preferenze , gli proponeva anziché fresas con nata , “fregole con pana” ,orgoglioso e sorridente perché pensava di pronunciarlo correttamente in italiano. Da parte sua, mio marito era convinto che lo dicesse in catalano e ha continuato a ordinare “fregole con pana” anche in altri locali.

Io non ho avuto il coraggio di disilludere né l’uno né l’altro.

BRANDADE 

Circa 1 chilo di filetti di baccalà dissalato, 2 bicchieri d’olio d’oliva, 1 bicchiere di latte, 2 spicchi d’aglio, 1 patata bollita, 1 tartufo nero, pepe e noce moscata.

Sistemo i filetti di baccalà in una pentola e li copro d’acqua fredda. Porto a ebollizione , faccio cuocere una ventina di minuti, lascio intiepidire lontano dal fuoco, li tolgo dalla pentola ,li spezzetto con una forchetta e li frullo con l’aglio.

Sistemo il composto in un tegame aggiungendo l’olio, la patata calda schiacciata  e il latte  e cuocio mescolando di tanto in tanto, senza mai farlo bollire.

Ottenuta la consistenza di un puré , insaporisco con pepe e noce moscata e incorporo il tartufo tritato.
In sostituzione del tartufo si possono utilizzare delle acciughe, che vanno messe nel tegame per prime , sciolte in poco olio e cotte con il baccalà. Dipende dai gusti.Certo però che l’aggiunta del tartufo conferisce alla preparazione un sapore inaspettato e un profumo molto invitante e raffinato.

In Provenza servono questo piatto come antipasto caldo, accompagnato da crostini sfregati con l’aglio. Anche in Spagna.

ENTRECÔTE MIRABEAU

1 costata di manzo di circa 500 gr, olive farcite, filetti d’acciuga, 20 gr di burro , 1/2 cucchiaino di pasta d’acciughe
Cuocio alla perfezione la costata alla griglia.

La sistemo sul piatto di portata e la spalmo di burro miscelato con la pasta d’acciughe . Sopra sistemo le acciughe creando una griglia e al centro di ogni rombo metto 1/2 oliva tagliata a metà.

 É un modo semplicissimo di cucinare una costata , che però così acquista un sapore molto provenzale. La quantità di filetti d’acciughe e di olive dipende dal gusto personale.

Honoré Gabriel Riqueti conte di Mirabeau fu un uomo politico francese, scrittore ,rivoluzionario e diplomatico del XIII Secolo, ma non ho idea di cosa c’entri  col nome dato alla ricetta.

BOUILLABAISSE

Circa 1500gr di pesci misti ( tra: gallinella,merluzzo, San Pietro, coda di rospo, scorfano, triglie, dentice, orata , sarago , nasello, ecc.) ,8 grossi gamberi, 2 cipolle, 2 carote, 1 gambo di sedano, 1 barattolo di pelati sgocciolati, 2 spicchi d’aglio, 1 peperoncino, 1 ciuffo  di prezzemolo, 2 bustine di zafferano , 1 pezzetto di buccia d’arancia , 2 foglie di alloro , 1 rametto di timo, olio, sale e pepe.

Dal pescivendolo faccio eviscerare tutti i pesci e tagliare a tranci quelli grossi.

In un tegame largo e molto capiente faccio stufare nell’olio le cipolle, le carote e il sedano tritati con l’aglio grattugiato, dopo una decina di minuti aggiungo i pomodori a pezzi , sgocciolati, il timo, l’alloro, la buccia d’arancia, il peperoncino e i pesci che richiedono una cottura più lunga .

Verso il vino, copro a filo con dell’acqua tiepida in cui ho sciolto lo zafferano e li faccio cuocere a fuoco vivace per 10 minuti al massimo, aggiungo gli altri pesci e i gamberi e proseguo la cottura per altri  5 minuti, smuovendo il tegame senza mescolare, salando appena e pepando in abbondanza.

Con molta attenzione tolgo il pesce a pezzi dal brodo di cottura e lo sistemo su un piatto da portata.

Passo al setaccio il liquido rimasto nella pentola e lo distribuisco in piccole terrine di coccio individuali.

Servo accompagnato dalla salsa rouille e da qualche bruschetta all’aglio. A parte passo i pesci.

Si dice che il segreto della vera bouillabaisse stia nella cottura rapida, che non deve superare i 15 minuti: io ci provo.

I marsigliesi sono così orgogliosi della loro zuppa di pesce, da averne addirittura depositato il brevetto. La mia è solo una delle tante versioni che presento però come i Francesi , destrutturata, servendo separatamente i pesci, il brodo, i croutons e la salsa in ciotoline individuali.

Non temete, di norma i pescivendoli si prestano gentilmente a fare per voi il “lavoro sporco” di squamare ed eviscerare i pesci che avete scelto e di tagliare a tranci i più grossi . Vi indicheranno anche quali sono quelli da cuocere per primi.

SALSA ROUILLE N 1

1 peperone rosso, 1 peperoncino piccante , 2 spicchi d’aglio, 1 panino senza la crosta, 1 mestolo di brodo di pesce, 1 tuorlo, 150 ml di olio, 1 pizzico di sale.

Passo il peperone sotto il grill, lo spello e lo taglio a pezzetti. Faccio ammorbidire il panino nel brodo ( anche granulare) di pesce. Frullo entrambi con il peperoncino privato dei semi, gli spicchi d’aglio senza il germoglio  interno, il tuorlo, un pizzico di sale e circa 1/3 dell’olio. Sempre frullando aggiungo a filo il rimanente olio fino a che la salsa si ispessisce .

Di questa salsa, che si spalma sui crostoni di pane grigliati e accompagna le diverse versioni di zuppa di pesce tipiche del Sud della Francia, ho anche una variante più semplice, ma di sapore più forte, forse maggiormente adatta al gusto dei pescatori marsigliesi, che però  può  andare bene anche a voi che non soffrite di gastrite o di ulcera , se vi va di cucinare una volta o l’altra alla Mediterranea .

SALSA ROUILLE n 2

3  spicchi  d’aglio, 1 peperoncino piccante, 1 tuorlo, 1 cucchiaio di mostarda di Digione piccante, 100 ml di olio ,1 pizzico di sale.
Pesto nel mortaio l’aglio e il peperoncino prima tritati finemente, li trasferisco in una ciotola, li mescolo al tuorlo e alla mostarda.

Aggiungo un pizzico di sale e con la frusta comincio a montare la salsa unendo l’olio a filo come per una normale maionese.
CHURROS

125 gr di farina, 1 cucchiaino di lievito per dolci, 1 cucchiaio di olio, 250 ml di acqua calda, olio per friggere, zucchero semolato e cannella.

In una ciotola mescolo insieme la farina e il lievito, aggiungo l’olio e un po’ alla volta l’acqua calda.  Mescolo energicamente il composto e lo inserisco in una sac à poche  munita di una bocchetta grande scanalata.

Porto l’olio in temperatura e friggo la pastella tagliandola con un  coltello affilato , a mano a mano che esce dal beccuccio , in piccoli cilindri rigati di circa 8-10 cm di lunghezza.

Quando sono belli dorati li scolo sulla carta da cucina e poi li faccio rotolare in una miscela di zucchero e cannella.

Spero perdonerete lo sconfinamento gastronomico iberico, ma i churros sono talmente buoni che mi sarei sentita insopportabilmente egoista se non avessi condiviso la ricetta con voi.

           

Arista al latte con salsa di mele e di cipolle

Da un po’ sto seguendo in TV un Talent Show culinario che si svolge in Australia. Mi piace molto, anche se non riesco a trarre grandi ispirazioni dalle ricette che le coppie in gara presentano.
Comunque ho notato che quello a cui tengono particolarmente i due giudici Manu Feildel, chef di origine francese già giudice di Masterchef Australia e Pete Evans, chef autore di molti best sellers di cucina, è la salsa che accompagna, o dovrebbe accompagnare le ricette dei concorrenti: per entrambi non ce n’è mai a sufficienza e quindi giudicano spesso le preparazioni troppo asciutte.
Io sono una grande sostenitrice di questa necessità: anche la carne più tenera e saporita ha bisogno di una salsa per essere perfetta.
L’arista, per esempio, è una preparazione molto gustosa ma ha purtroppo il limite di non essere morbida e succulenta come ci si aspetta da un arrosto.
Un modo per renderla meno asciutta è cuocerla con il latte e servirla con qualche salsa ricca e morbida in aggiunta al suo sugo.

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Si fanno rosolare in olio e burro circa 8-900 grammi di lombata di maiale disossata, o lonza, che una volta cotta prenderà il nome di arista.
Si aggiungono 2 spicchi d’aglio schiacciati, 1 rametto di rosmarino, 1 foglia di alloro, 3-4 foglie di salvia, un paio di rametti di timo e se è possibile anche 1 di mirto.
Si rigira ripetutamente e quando la carne è ben rosolata dappertutto, si sfuma con 1/2 bicchiere di Marsala, si sala e si pepa, si insaporisce con 2 chiodi di garofano e qualche bacca di ginepro e si copre con 1 litro di latte caldo.
Si mette il coperchio e si fa cuocere almeno per un’ora facendo attenzione che a mano a mano che il latte si consuma la carne non si attacchi al fondo del tegame.
Se il liquido dovesse asciugarsi troppo, si può aggiungere 1 mestolo di brodo oppure altro latte.
A fine cottura, dopo circa un’ora e mezza, la carne deve risultare morbida e il sugo trasparente in superficie. Sul fondo invece si sarà formato un “sedimento”, lasciato dal latte, che darà ancora più gusto alla carne.
Fintanto che l’arista cuoce si prepara una salsa di accompagnamento a base di mele, che col maiale stanno benissimo, e una di cipolle per bilanciare la loro dolcezza.
Si tagliano a metà e si affettano non troppo sottili 600 gr di cipolle dorate, quelle dolci, o in alternativa quelle bianche.
Si fanno stufare dolcemente in olio e burro, si salano e si lasciano ammorbidire aggiungendo qualche cucchiaiata d’acqua.
Quando diventano trasparenti e quindi sono appassite ma non rosolate, si tolgono dal tegame con l’aiuto di una forchetta e si tengono da parte.
Si versano nello stesso tegame 1/2 kg di mele renette sbucciate e tagliate a pezzi.
Si fanno saltare a fuoco vivo, si aggiunge 1 cucchiaio di miele e si completa con una manciata di noci tritate molto grossolanamente.
Si serve l’arista a fette accompagnata dalle due salse, di mele e di cipolle, e si passa a parte in salsiera il sugo della carne filtrato.

Secondo me questo si può considerare uno dei grandi arrosti da prendere in considerazione anche a dicembre. Tenetelo a mente perché quando saremo sotto le Feste tornerà utile avere qualche idea nuova da portare in tavola.
L’arista si può cuocere anche al forno e la salsa si può fare anche cuocendo insieme mele e cipolle, ma questa volta mi piaceva di più offrire due salse anziché una, per dare più importanza alla ricetta…

Sugo “con le conchiglie”

Gli spaghetti con le vongole li facciamo un po’ tutti. Conosco moltissime ricette, che differiscono fra loro per motivi diversi: il genere di molluschi, le tradizioni regionali, le abitudini familiari, la propensione o meno verso il piccante, i gusci nel piatto, l’aggiunta del pomodoro.
Insomma gli spaghetti con le vongole sono fantastici cucinati in mille modi.
Ho già postato almeno altre tre ricette di sughi con le vongole, sembrerebbe impossibile che avessi ancora qualcosa di nuovo da dire al riguardo, ma ho in serbo un’altra sorpresa.
Questa ricetta mi è tornata in mente mentre mi preparavo a cucinare proprio un sugo di vongole, ricordando i tanti viaggi in America fatti con i figli prima che diventassero adulti indipendenti e ne è uscito un post, oltre a un insolito e saporitissimo piatto.

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L’Old Town di San Diego è un insediamento che ricostruisce gli albori della California e le sue origini Messicane, riconoscibili dall’architettura delle case e della chiesa di un bianco abbagliante.
È un quartiere turistico che ha comunque un suo fascino. È ricco di negozi di souvenir locali, di artigianato tipico dei Nativi Americani e di ristoranti per lo più messicani, con camerieri vestiti come i Mariachi.
Le volte in cui ci siamo andati noi c’erano comunque anche una pizzeria italiana e il Brigantino, uno dei migliori ristoranti di pesce, insieme al Vera Cruz, della Contea di San Diego.
Questi sono dunque gli spaghetti con le vongole che qualche volta si mangiano in California. Sono cucinati con il bacon, ma garantisco che non c’è di che lamentarsi.

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L’esecuzione della ricetta è semplice come al solito.
Faccio spurgare accuratamente per qualche ora in acqua molto salata 1/2 kg di vongole, poi le controllo battendole sul tavolo per essere certa che non contengano più sabbia.
Le faccio aprire in padella a fuoco vivace con uno spicchio d’aglio, qualche gambo di prezzemolo e uno spruzzo di vino bianco.
Le sguscio lasciandone qualcuna intera per decorare il piatto.
Filtro il liquido e lo conservo.
In un tegame grande abbastanza per contenere anche gli spaghetti, faccio imbiondire 2 spicchi d’aglio con qualche cucchiaiata di olio, li elimino e aggiungo 150 gr di bacon a cubetti.
Lo faccio rosolare, unisco un peperoncino fresco privato dei semi e affettato sottile, le vongole sgusciate e il loro liquido tenuto da parte.
Aggiungo 320 gr di spaghettini lessati e scolati al dente, aggiusto di sale se occorre e completo con abbondante pepe al mulinello.
Li faccio saltare finché il liquido è stato assorbito dalla pasta, li servo cosparsi di prezzemolo tritato e li completo con le vongole nel guscio, come decorazione.

Ho chiamato questo sugo “con le conchiglie” perché quando erano piccoli, a nessuno dei miei figli piaceva il pesce, e per pesce intendo anche crostacei e molluschi, e quando preparavo gli spaghetti con le vongole li definivano con un certo disgusto: quelli con le conchiglie.

Bavette con scampi e ricotta al profumo di pompelmo

Tutto è cominciato mercoledì con il solito giro al mercato qui sotto, di cui ho parlato spesso, quello che offre opportunità di shopping alimentare e gastronomico, di abbigliamento, complementi d’arredo, biancheria, attrezzi da cucina e giocattoli per bambini per tutti i gusti e per tutte le tasche.
Si spazia infatti dai prodotti alimentari di nicchia e di alta qualità alle offerte speciali di salumi, dolciumi e formaggi a basso prezzo, dagli indumenti Made in China ai capi d’abbigliamento firmati di fine serie, che se sei fortunata e trovi la tua taglia, puoi acquistare con sconti strepitosi.
Insomma un giorno ci dovete proprio venire perché nonostante non sia enorme, il mercato del mio quartiere offre molte interessanti opportunità di svago e di acquisto a tutti i livelli.
Nel frattempo vi dico cosa ho comprato l’ultima volta e come l’ho cucinato, ma intanto godetevi il risultato finale: sono delle bavette condite con un insolito sugo di scampi.

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C’era sul banco del pescivendolo un ciuffo di code di scampi già sgusciate, rosa e bellissime che erano rimaste dall’ordine di un ristorante.
Finché facevo la fila, speravo che nessuno davanti a me le comprasse perché non ce n’erano a sufficienza per accontentare più di un cliente.
Fortunatamente me le sono accaparrate io ed è stata una fortuna che fossero solo da devenare e sciacquare, perché il carapace degli scampi è molto tenace e io mi taglio sempre le dita quando li sguscio da crudi.

Ho tritato 2 scalogni e li ho fatti rosolare con il burro, ho aggiunto gli scampi (circa 250 gr), sfumato con un sorso di Cognac e tolto dal fuoco non appena hanno cambiato colore, per mantenerli morbidi e polposi. Una cottura prolungata infatti rende i crostacei decisamente gommosi.
Li ho tolti dal tegame e tenuti in caldo avvolti in un foglio doppio di alluminio.
Ho unito al fondo di cottura il succo di 1/2 pompelmo rosa e la sua buccia grattugiata, qualche goccia di Tabasco, 1 cucchiaino di curry in polvere, 1-2 cucchiaiate di ricotta vaccina e ho rimesso il tegame sul fuoco emulsionando gli ingredienti con una piccola frusta.
Ho versato gli scampi, salato leggermente, insaporito con una macinata di pepe e ho aggiunto 150 gr di bavette lessate al dente e scolate.
Ho fatto saltare la pasta mentre la salsa si addensava e ho servito subito con una filangé di foglioline di menta.

Ho scelto di cucinare il sugo per un primo piatto anziché l’insalata che avevo in mente all’inizio, perché ormai si comincia a mangiare più volentieri qualche piatto caldo. Anche da voi?

Linguine tartufo e salsiccia

In questi fine settimana in molti paesi delle nostre Prealpi ci sono una quantità di Feste del tartufo, con interessanti degustazioni e la possibilità di acquistare qualche bel tartufo nero delle nostre parti a prezzi ragionevoli.
I tartufi del Veronese non sono particolarmente pregiati, ma hanno una loro storia e delle tradizioni antiche.
Infatti importanti riferimenti storici sono riconducibili al Marchese Agostino Pignolati, membro della Pubblica Accademia di Agricoltura istituita dalla Repubblica Veneta nel 1768, il quale, soprattutto per quanto riguarda l’area del Monte Baldo, scriveva: “Li tartuffi di Caprino sono li più odorosi e saporiti del territorio”.
Ma la conoscenza e la degustazione dei tartufi hanno origini ben più lontane.
L’erudito latino Plinio il Vecchio (circa 79 d.C.) riporta nella sua Naturalis Historia degli aneddoti che dimostrano che quello che veniva chiamato semplicemente tuber era molto apprezzato sulla tavola dei Romani.
Ne tratta anche il filosofo greco Plutarco di Cheronea nel primo secolo d.C. attribuendo la natura dei tartufi all’azione combinata di acqua, calore e fulmini.
Giovenale ne spiegò l’origine come conseguenza di un fulmine scagliato da Giove, famoso per la sua esuberanza sessuale, per cui al tartufo vengono attribuite anche qualità afrodisiache.
Data la vicinanza alla Lessinia e al Monte Baldo dunque, a casa nostra si sono sempre mangiati: freschi nella stagione della raccolta e tutto il resto dell’anno conservati nel riso come faceva la mia bisnonna o congelati come è più pratico fare adesso.

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Si fa imbiondire una piccola cipolla bianca con una noce di burro e due foglie di salvia.
Si spellano e si sgranano con la forchetta 300 gr di salsicce, quelle che da noi si chiamano luganeghe, si fanno rosolare, si spruzzano di vino bianco e si portano a cottura,
Si lessano 320 gr di linguine, si scolano e si condiscono con il sugo di salsiccia.
Si impiattano e si completano con un bel tartufo nero della Lessinia o del Monte Baldo affettato generosamente al momento.

Sconsiglio di utilizzare il parmigiano grattugiato in questo piatto, perché toglierebbe in parte l’aroma inconfondibile e prezioso del tartufo.

Mostarda di fichi

Vi dirò la verità: dato che i fichi erano in offerta speciale, una sorta di saldi di fine stagione, ne ho comprati ancora ma, parola d’onore, sono proprio gli ultimi di quest’anno.
Dunque, se la merce in vendita ha un prezzo ribassato, significa che c’è sotto qualcosa, ma io sono in fondo ingenua e credulona e anche un po’ scordarella, se no non mi sarei dimenticata del primo acquisto di fichi della stagione, che ho dovuto camuffare perché non erano saporiti come mi aspettavo (https://silvarigobello.com/2015/07/29/insalata-coi-fichi/).
Quelli erano i primi ed essendo questi gli ultimi, la storia è la stessa.
Ho rimediato preparando qualche vasetto di mostarda che fra qualche mese sarà perfetta.

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Si lava un chilo di fichi, si asciugano e si tagliano a pezzetti. Si versano in un tegame con 400 gr di zucchero di canna e il succo di un limone.
Si porta a bollore e si fa cuocere circa un’ora, l’aspetto deve essere lucido e appiccicoso come quello della marmellata.
Si aggiunge 1 cucchiaio di senape in polvere, che da una piccantezza piacevolmente avvertibile ma non esagerata, oppure qualche goccia di essenza, ma io con questa non mi regolo.
Si mescola con cura per amalgamare tutto.
Si travasa nei vasetti di vetro sterilizzati, che si chiudono ermeticamente. Si capovolgono e si conservano in dispensa per almeno due mesi.

La mostarda di fichi è perfetta con i formaggi piccanti, stagionati o erborinati, la frutta secca, il bollito e i paté di fegato.
Alla fine acquistare questi fichi, non proprio eccellenti, si è rivelato un buon affare perché all’assaggio la mostarda era perfetta.

Salsa allo yogurt per carni grigliate

Un’eccellente salsa allo yogurt è un modo goloso e felice per accompagnare la carne alla brace, alla griglia o allo spiedo.
È quello che ci vuole per esempio per rendere più fresco il sapore intenso e sapido degli involtini al mirto, come raccomandavo qualche giorno fa nel post https://silvarigobello.com/2015/09/07/involtini-al-mirto-con-salsa-allo-yogurt/ ma è perfetta con qualunque tipo di grigliata.
Ha anche il vantaggio che si prepara molto semplicemente.

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Si emulsionano con l’aiuto di una piccola frusta 200 gr di ricotta, 1 vasetto di yogurt magro, il succo di 1/2 limone, la sua scorza grattugiata, qualche filo di erba cipollina tagliata sottile, un pizzico di sale e di pepe.
Questa è la base della salsa. A questo punto si può decidere se arricchirla di bacche di pepe rosa e sedano tritato, o di cipollotto fresco affettato sottile, di gorgonzola piccante sbriciolato, di erbe provenzali (timo, basilico, rosmarino, prezzemolo, origano, maggiorana, dragoncello, aglio, lavanda, salvia, alloro), di aglio e peperoncino fresco tritati… insomma si può scegliere a seconda del proprio gusto personale l’abbinamento che piace di più.

Io li ho provati tutti e non sapendo mai quale scegliere, di volta in volta preparo una Salsa allo yogurt diversa e ghiotta che accompagna le carni alla griglia con leggerezza e un sapore decisamente fresco.

Salsa di peperoni

Quella di oggi è una ricetta “complementare”. Complementare perché, per poter essere utilizzata, ha bisogno di un supporto.
Trattandosi di una salsa, è inevitabile. Questa volta ha arricchito un sandwich di quelli che costituiscono il mio pasto preferito quando non devo garantire il nutrimento a nessun altro membro della famiglia che non siano i gatti, i quali si accontentano di una scatoletta di tonno specifica per loro e di una manciata di croccantini.

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Si lavano, si privano del picciolo, dei semi e dei filamenti 2 peperoni rossi e si tagliano a striscioline.
Si fa rosolare con qualche cucchiaio d’olio 1 cipolla bianca tritata grossolanamente insieme a 1 spicchio d’aglio.
Si uniscono i peperoni e si lasciano insaporire per qualche minuto, si salano, si pepano e si aggiunge peperoncino in polvere secondo il proprio gusto.
Quando i peperoni sono appassiti, si aggiungono 1 tazza di salsa di pomodoro, 10-12 pomodorini secchi sott’olio tagliuzzati, un ciuffo di basilico, 1/2 cucchiaino di origano secco, 1 cucchiaiata di capperi sott’aceto strizzati, si mescola e si cuoce una mezz’ora a fuoco moderato.
Il sugo deve risultare denso e asciutto.
Al termine della cottura si frulla, ottenendo una salsa corposa e omogenea.
Se risultasse ancora troppo fluida, si fa asciugare a fuoco dolce quanto occorre per farla ispessire.

Questa volta ha arricchito in modo superbo un sandwich di pane integrale tostato, farcito con petto di tacchino alla piastra, salsa al formaggio e rucola.
E adesso sbizzarritevi voi a cercare il modo di utilizzare questa robusta e gustosa salsa di peperoni non necessariamente solo per insaporire un sandwich.