Il “Nadalin”, un dolce medievale

C’era una volta un’amica blogger che mi aveva chiesto di fare il Pandoro… ma non l’ho accontentata.
Ho però in serbo un’altra ricetta tradizionale Veronese che vale la pena di farle conoscere perché è veramente un dolce delizioso. Spero le piaccia.
La mamma di Giorgio, il mio consuocero, ha lasciato in eredità a Luisa Anna la ricetta del vero Nadalin Veronese, antichissimo dolce nato ancora prima del più famoso e diffuso Pandoro, creato solo nella seconda metà dell’Ottocento.
La tradizione popolare fa risalire invece l’origine del Nadalin addirittura al 1260, all’epoca dei festeggiamenti per l’investitura degli Scaligeri come Signori di Verona.
Molti Veronesi preferiscono ancora questo dolce casalingo medievale ai dolci industriali più famosi.
La cosa importante è ricordare che il Nadalin necessita di uno stampo particolare per mantenere la tradizione Veronese dei dolci Natalizi a forma di stella.
La ricetta esatta di questa meraviglia, appena sfornata dalla Luisa Anna, secondo me non andrebbe divulgata, come accade per quelle di certi prodotti cult, tipo la Coca Cola o la Nutella, ma dato che generosamente oggi mi ha dato sia la ricetta che il dolce, almeno la ricetta, la condivido con voi.

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Con lo sbattitore elettrico si lavorano in una ciotola 200 gr di zucchero, 150 gr di burro morbido, 3 uova, la buccia grattugiata di 1 limone e 1 pizzico di sale.
Intanto si scioglie 1 cubetto di lievito di birra in 1/2 tazza da tè di acqua tiepida e si unisce al composto.
Si aggiungono poi 1/2 kg di farina setacciata e 2 fialette di essenza di vaniglia, continuando a mescolare.
Si versa l’impasto nel caratteristico stampo a stella e si lascia lievitare coperto con un canovaccio, in luogo tiepido, per 4 ore.
Quando la lievitazione è completa, si cosparge la superficie con 50 gr di zucchero semolato, 60 gr di pinoli e 60 di mandorle a filetti.
Si inforna a 180 gradi per circa un’ora.
Una volta tolto dal forno si cosparge con 100 gr di zucchero a velo.

È tradizione mangiare il Nadalin al rientro dalla Messa di mezzanotte accompagnato da una tazza di cioccolata calda e densa o un bicchiere di vino Recioto.

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Capesante allo scalogno

Ci risiamo, eccomi qua a proporvi di nuovo le capesante, che sono un ingrediente decisamente nelle mie corde e che so preparare in molti modi diversi e tutti squisiti e stuzzicanti.
È la terza volta che ne parliamo, dopo i post del 17 ottobre e del 4 novembre, proprio per avere più alternative in previsione dei prossimi pranzi o cene di festa, che richiedono piatti un po’ speciali.
Quella di oggi è una ricetta semplicissima e succulenta, dal gusto intenso, che si prepara velocemente e si cuoce in forno.
Prevede che si utilizzino i molluschi senza toglierli dalla conchiglia, semplicemente liberandoli dalla sabbia e dalle cartilagini e sciacquandoli accuratamente.

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In una piccola ciotola si miscelano pangrattato e scalogno, sedano, prezzemolo e maggiorana tritati insieme, sale e pepe, succo e buccia grattugiata di limone e un filo d’olio.
Si distribuisce questa miscela sulle capesante e si infornano a 200 gradi per pochi minuti: 5 o 6.

Tutto qua, ma sono realmente squisite, in grado di accontentare soprattutto chi ama i sapori decisi, specialmente se le spruzzate con succo di limone, qualche goccia di salsa Worcestershire e le mangiate molto calde.
Insomma sono proprio da provare se avete in previsione di inserire le capesante nel menù Natalizio e siete stufi della semplice, classica gratinatura.

Thanksgiving Day

Vi prego di considerare questo post una specie di P.S. in calce a quello di stamattina.
Oggi è il Giorno del Ringraziamento, che cade sempre l’ultimo giovedì di novembre, me l’ero scordato.
Come Halloween, che però abbiamo fatto nostra, non è una festa Italiana, ma ha le sue origini negli Stati Uniti, dove è forse considerata anche più importante del Natale come momento per riunire le famiglie.
Da noi non viene considerata una ricorrenza da festeggiare, ma ho voluto ricordarla lo stesso perché credo che ognuno abbia almeno una ragione per essere grato, nonostante le difficoltà, i disagi, le afflizioni, le delusioni e le contrarietà.
Se guardiamo in fondo al nostro cuore sono certa che riusciremo a trovare almeno un motivo per formulare un ringraziamento.
Quindi, felice Thanksgiving Day a tutti, soprattutto agli amici che mi seguono con affetto dagli Stati Uniti, ma anche al resto di voi che condividete con me la passione per la cucina e per la vita.
Un abbraccio.
Silva

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Perché le biscottiere sono vuote?

20131128-094247.jpgCome dicevano Benjamin Franklin e anche mia nonna: Ogni cosa al suo posto e un posto per ogni cosa.
Perciò queste particolari biscottiere sono ancora vuote perché andranno riempite con degli squisiti dolcetti fatti col panettone avanzato… e ancora non ne ho!
Un sacco di tempo fa, proprio per recuperare quello che non era stato consumato durante le Feste avevo cominciato a fare un dessert che è stato battezzato dagli amici che l’avevamo assaggiato: il dolce degli Avanzi, con la a maiuscola, dato il nostro cognome di famiglia!
Era così buono che, su richiesta, è diventato per molti anni il dessert del pranzo di Natale. Poi le cose sono cambiate di nuovo… ma è il bello della diretta!
Se lo rifaccio, ne riparliamo. Intanto col panettone avanzato faccio dei deliziosi bon bon molto decorativi, che servo a Natale col caffè. Ed è di questi che oggi vi voglio parlare anche se non ho la foto da mostrarvi, ma vi prometto che la pubblico appena possibile.

Ci vogliono 300 gr di fette di panettone (quello classico con uvette e canditi) che si riducono a cubetti e si mettono in una ciotola.
Si irrorano con 2 bicchierini di rum 100 gr di amaretti e mentre si imbevono, si sciolgono a bagnomaria150 gr di cioccolato fondente spezzettato e si versano sul panettone.
Si uniscono anche gli amaretti e con le mani inumidite con l’acqua di fiori d’arancio si mescolano tutti gli ingredienti e si formano delle palline grandi come noci.
Si allineano su un vassoio coperto di carta forno e si fa colare irregolarmente su ognuna un po’ di glassa reale (zucchero a velo, albume, succo di limone) simulando un mini nevicata.
Si sistemano sulla sommità di ogni pallina imbiancata due frammenti di ciliegina candita verde tagliati come due foglioline lanceolate e un frammento rotondo di ciliegina rossa che rappresenta una bacca.
L’illusione del clima Natalizio, o quanto meno invernale, è completa.
Si fanno asciugare bene, si sistemano nei pirottini di carta e finalmente nelle biscottiere munite di coperchio.

Questi dolcetti non si conservano a lungo (e non vanno riposti in frigorifero o si induriscono troppo). Come vi dicevo non ho una foto da mostrarvi al momento, ma mi pare di essere stata esauriente. In ogni caso sono sempre qua.
Non preoccupatevi se vi ho detto che non si conservano in frigo, tanto una volta che comincerete ad assaggiarli, non ve ne resteranno poi molti!

Un’idea per la cena della Vigilia

Festeggiare la Vigilia con una cena di pesce non è una tradizione Veneta.
Chi tuttavia ha in programma la vera cena “di magro” della notte di Natale, magari può trarre ispirazione da questi flan individuali di Squilla nantis…
Preoccupati? Niente panico! Volevo solo fare sfoggio di cultura.
Infatti “Squilla nantis” è il nome scientifico delle canocchie, o cannocchie, pannocchie o cicale di mare, squisiti crostacei dalle carni delicate e saporite che nelle ricette di mare dell’Adriatico si sprecano.
Dalle vostre parti come le chiamate? Qui da noi in Veneto semplicemente canoce, ciò.
Sono eccellenti nella preparazione di sughi per la pasta e insalate di mare e sono straordinarie in umido.
Indipendentemente dalle premesse però, oggi vi propongo la ricetta per degli squisiti sformatini da servire con una delicata salsa al Prosecco, adattissimi ad una ricorrenza importante.
Seguitemi e non ve ne pentirete.

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Preparo un court bouillon con 750 ml d’acqua, 1 bicchiere di Prosecco, 1 carota, 1 gambo di sedano, 1 foglia di alloro, 1 scalogno sbucciato, qualche gambo di prezzemolo e 4-5 grani di pepe.
Quando sta per alzare il bollore, ci tuffo dentro circa una ventina di canocchie sciacquate e le faccio cuocere 5 minuti, poi le lascio intiepidire nel court bouillon.
Intanto trito altri 2 scalogni e li faccio imbiondire con 30 gr di burro. Scolo le canocchie dal liquido di cottura ed estraggo la polpa tagliando i carapaci con le forbici.
Ne tengo da parte 12 e trito le altre grossolanamente. Verso la polpa in una ciotola con lo scalogno appassito, 1 tuorlo, 2 cucchiai di pangrattato fine, 2 cucchiai di grana grattugiato, la buccia e il succo di 1/2 limone, 1 cucchiaino di prezzemolo tritato, poco sale e una macinata di pepe. Mescolo con cura.
Imburro e spolverizzo di pangrattato, miscelato con una punta di aglio ridotto a crema e 1 cucchiaino di prezzemolo, i canonici 6 stampini, meglio se di alluminio usa e getta che facilitano l’estrazione dei flan a fine cottura.
Sistemo in ognuno 2 canocchie sul fondo contro la parete e distribuisco il composto fino a 3/4 degli stampini.
Inforno a 180 gradi per una ventina di minuti. Prima di sformarli, li lascio leggermente intiepidire.
Nel frattempo filtro il brodo di cottura, lo metto in un pentolino e lo faccio ridurre a fuoco vivace finché ne resta circa 1/4 di litro. Fuori dal fuoco unisco 125 ml di panna da cucina, 2 cucchiai di Prosecco, 1 cucchiaino di maizena, qualche filo di erba cipollina tagliuzzata sottile e del prezzemolo tritato.
Faccio addensare brevemente questa salsa senza mai arrivare all’ebollizione e la distribuisco nei piatti. Sopra sformo i flan di canocchie estratti con delicatezza dagli stampini.
Figurone garantito.

Ovviamente anche chi non aveva intenzione di festeggiare la Vigilia, si può comunque aggregare e godere di questo stupefacente antipasto o piatto di mezzo, a scelta, oppure tenerne conto per un’altra occasione festosa.
Per la stessa ricetta si possono utilizzare anche i gamberi o gli scampi, ma le canoce… le canoce sono uniche!

Fettuccine dei Lessini

Insomma è proprio inverno. In due giorni le colline e le montagne si sono imbiancate, il vento gelido rotola giù dal Nord e si infila dappertutto.
Cresce la voglia di sapori caldi, intensi, pieni, di quei piatti insomma dei quali è meglio non tener conto delle calorie…
Anche la pasta che vi propongo oggi è tutt’altro che dietetica, ahimè. È ricca, saporita, profumata, golosa: non può essere anche ipocalorica!
E poi il sugo per condire queste fettuccine è particolare perché riunisce la raffinatezza del tartufo (quello nero dei Monti Lessini), delizia delle tavole signorili fin dall’epoca Napoleonica e la rustica salsiccia, proletaria e popolare (la nostra gustosa luganega).
L’abbinamento può sembrare ardito, ma mi sento di suggerirvi di provarlo… e dopo ne riparliamo.

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Le fettuccine si fanno in casa con farina e uova, oppure si comprano belle e pronte, come preferite, calcolando 80 gr a testa in caso di pasta fresca e 50-60 gr se si tratta di pasta secca, ma ovviamente ognuno conosce l’appetito dei suoi commensali…
Adesso concentriamoci sulla preparazione del condimento per 4 persone normoaffamate.

Si trita una piccola cipolla e si fa appassire con una noce di burro in un tegame grande abbastanza da poter contenere poi la pasta, si aggiungono 4 foglie di salvia e 300 gr di salsicce spellate e sminuzzate.
Si fanno rosolare mescolando spesso. Si sfuma con 1 bicchierino di Cognac e una volta evaporato si finisce la cottura. La salsiccia deve risultare asciutta e sgranata.
Si toglie il tegame dal fuoco, si elimina la salvia, si uniscono 80 gr di gherigli di noci pestati nel mortaio (non frullati) insieme a 2 cucchiai di Parmigiano grattugiato e pepe nero.
Nel frattempo si lessano al dente le fettuccine, si scolano e si versano nel tegame del sugo aggiungendo qualche cucchiaiata di acqua di cottura e alcuni fiocchetti di burro.
Si spadella velocemente e si serve caldissimo nei piatti individuali cospargendo con abbondante tartufo grattugiato al momento.

Questa è proprio la stagione migliore per la raccolta dei nostri tartufi (da novembre a marzo), mentre la qualità di quelli estivi è senz’altro inferiore.
Quando li trovo a prezzi ragionevoli ne compro un certo quantitativo e li ripongo in freezer.
I più grossi li conservo interi sigillati in un vasetto a chiusura ermetica, mentre i più piccoli li grattugio e li unisco al burro ammorbidito ottenendo un panetto da tagliare a scaglie all’occorrenza.

Filetto alla Wellington? Non proprio…

Oggi vorrei proprio stupirvi e farvi partecipi dei miei tentativi, quasi sempre riusciti, di coniugare il sapore con la fantasia.
Più di una volta, in occasioni importanti come una ricorrenza, un compleanno o una festività, ho cucinato con successo il filetto di manzo alla Wellington, adesso è venuto il momento di andare oltre, di fare un salto di qualità e spostarci sul filetto di pesce.

20131125-114133.jpgQuesta è una ricetta relativamente facile, nonostante la curiosità che senz’altro suscita una preparazione così fuori dagli schemi.
Come ingrediente principale ho scelto il merluzzo perché se ne ricavano dei tranci di un bello spessore e la carne è soda anche se non tanto saporita.
Se l’idea del merluzzo non vi piace potete utilizzare in alternativa il nasello o anche il salmone, ma sconsiglierei i filetti di orata o di branzino perché non sono sufficientemente alti per questa preparazione.

Si fa appassire in padella con 1-2 cucchiai di olio 1 bella cipolla bianca affettata sottile. Si toglie e si tiene da parte.
Si rosolano nella stessa padella 100 gr di bacon a cubetti. Si scolano e si uniscono alla cipolla.
Si fanno saltare adesso nel grasso del bacon 300 gr di funghi champignon a fettine e quando hanno assorbito tutta l’acqua di vegetazione, si aggiungono nella padella le cipolle e il bacon messi da parte, si aggiusta di sale, si insaporisce con del pepe bianco, 1 pizzico di peperoncino, 1 cucchiaino di prezzemolo tritato e 200 ml di panna da cucina.
Si fa restringere il sugo aggiungendo 1/2 cucchiaio di maizena.
Intanto si fanno dorare con 30 gr di burro 6 filetti di merluzzo di circa 200 gr l’uno, leggermente infarinati.
Si sfumano con 1 bicchierino di Cognac, poi con 1/2 bicchiere di vino bianco, si salano appena e si portano a cottura.
Si stendono sul piano di lavoro 2 confezioni di pasta sfoglia rettangolare, se ne ricavano 6 rettangoli (4 dalla prima e 2 dalla seconda), conservando intera la porzione che non si utilizza.
Su ognuno si appoggia 1 cucchiaiata abbondante di salsa fatta raffreddare, si accomoda sopra 1 filetto di merluzzo, si spennellano i bordi della pasta con 1 uovo sbattuto e si richiude a pacchetto sigillandolo perfettamente.
Dalla sfoglia tenuta da parte si ricavano 6 figure a tema coi taglia biscotti e si “incollano” sui pacchetti con altro uovo con cui si spennella anche tutta la superficie dei pacchetti di sfoglia e si infornano per 15-20 minuti: devono risultare perfettamente dorati.
Si servono tiepidi.

Si raccolgono i complimenti dei commensali. Senza falsa modestia.

Una ricetta vintage

La mia cucina è piena di oggetti Vintage.
Non mi riferisco alle cioccolatiere di rame, agli stampi da aspic di vetro o ai sifoni per il seltz, che sono molto più vecchi. Intendo semplicemente alcuni oggetti della nostra Lista Nozze.
Lo zucchero e il sale grosso e fino, per esempio, da quarantaquattro anni sono sempre negli stessi barattoli di porcellana a fiori col tappo in tek accanto ai fornelli, come nella cucina della nostra prima casa. Questa è la quarta. La quarta casa e la quarta cucina intendo.
Il vassoietto ovale della Alessi per i nostri due caffè, le tazze da colazione con le roselline, i coltelli da formaggio, il mortaio e il tagliere di legno sono stati tutti acquistati alla fine degli anni Sessanta, quindi sono ormai decisamente Vintage.
Sarà quindi questa atmosfera retró che aleggia nella mia cucina a suggerirmi spesso ricette datate o addirittura in disuso se non obsolete.
Io faccio ancora le mele cotte, per esempio. Semplici, rassicuranti, antiquate mele al forno, dolci e nostalgiche.

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Meglio di tutto sarebbe poter avere a disposizione le mele di Zevio, dalla caratteristica buccia ruvida, dolci, croccanti e aromatiche, ma vanno bene anche le normali Golden Delicious.

Io lavo bene le mie mele lasciando il picciolo, le dispongo in una pirofila a bordi alti, ben accostate così non si rovesciano.
Sopra ognuna verso 1 cucchiaio di miele, spolverizzo con la cannella, un pizzico di noce moscata e appoggio sulla sommità alcune uvette fatte rinvenire nella grappa tiepida e 1 chiodo di garofano.
Inforno a 180 gradi per 20-25 minuti. Finito.

Sono uno stupendo fine pasto. Ancora tiepide sono eccezionali con una pallina di gelato alla vaniglia. Sono antiquate e irresistibili, perfette per una domenica sera…

Promozione Natalizia

20131123-084641.jpgChe fra poco è Natale, lo sto dicendo dal 1° di ottobre, quando ho parlato del paté di fegatini, che ha un suo perché sulla tavola delle Feste.
Poi, in più occasioni, raccontandovi di arrosti ripieni, mostarde, pere e Capesante ho continuato a ricordarvi che Natale è alle porte e che bisogna darsi una mossa.
Coi regali per esempio, come siete messi?
Chi fa doni artigianali e ha cioè la capacità, la pazienza, il gusto e la fantasia di prepararli personalmente, avrà già cominciato.
Chi fa gli acquisti Natalizi on line, avrà già curiosato nei diversi Siti che offrono proposte adatte al periodo.
Chi è a corto di idee… che dire? Si lasci consigliare.

Tutta questa premessa è per pubblicizzare il mio libro “I tempi andati e i tempi di cottura (con qualche divagazione)” che dal mio punto di vista e da quello di chi l’ha già acquistato e si sta godendo i 28 capitoli e la novantina di ricette in esso riportate, è senz’altro un’eccellente idea regalo.
È divertente, a tratti commovente, pieno di spunti, idee, confidenze, dritte, ricordi di famiglia e di viaggio.
E se lo acquistate direttamente dall’Editore, inserendo il codice NATALE13 fino al 15 dicembre avrete lo sconto del 25% sia sull’edizione cartacea, che costa normalmente 18 Euro, che sulla versione eBook, che ne costa 2.99.
Ci tenevo proprio a dirvelo perché sono certa che regalandolo farete una bella figura a un prezzo più che ragionevole.
Ve lo ricordo di nuovo: manca solo un mese a Natale!

Le promesse vanno mantenute

Avevo promesso che mi sarei fatta perdonare l’insalata di frutta e pesce spada che avevo preparato ieri a pranzo, quindi oggi: pasta col ragù.
Non le penne, come avevo anticipato, ma i vermicelli.
Fa lo stesso però, perché indipendentemente dalla pasta scelta, il ragù di carne, quello tradizionale, profumato e fragrante, il ragù della nonna insomma, schietto e familiare è squisito… e la nonna adesso sono io!

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A casa nostra (fin dai tempi non di mia nonna, ma addirittura della bisnonna Libera*) il ragù di carne si fa rigorosamente in un solo modo, il seguente.

In una capace casseruola dal fondo pesante si mettono a freddo 1 chilo di carni miste (manzo, vitello, maiale) macinate, 1 scatola di pelati tagliati a pezzi, 1 carota, 1 cipolla e 1 gambo di sedano tritati, gli aghi di 1 rametto di rosmarino tagliati sottili con la forbice, 1 foglia di alloro, 1 chiodo di garofano, 100 gr di burro, 1 cucchiaino di sale grosso.
Si porta a bollore, si abbassa la fiamma e si copre a metà con il coperchio, rimestando di tanto in tanto.
Dopo la prima ora si aggiunge 1/2 bicchiere di buon vino rosso e si riprende la cottura, cottura che dura circa 3 ore, a fuoco basso, facendo sobbollire il ragù piano piano, ma regolarmente.

Come diceva mia nonna (ve l’ho già svelato in un’altra occasione) il ragù è pronto quando rimestandolo lo si sente sfrigolare dolcemente attorno alle pareti della casseruola e i grassi sono diventati trasparenti.

*La mia bisnonna materna si chiamava Libera, perché era nata nel 1861, anno in cui fu eletto il Primo Re d’Italia e il nostro Paese fu liberato dal giogo Austriaco.
Era lei la moglie del mugnaio. Ma anche questa è un’altra storia…