LA CUCINA FRANCESE – brandade, entrecôte mirabeau, bouillabaisse, salsa rouille, churros. 

Tratto da “La Cucina Francese e la Cugina Francese” di Silva Avanzi Rigobello

Capitolo 4- Toreador ( Carmen di George Bizet)

In Francia ormai ci siamo andati  un sacco di volte, alcune per delle vere vacanze, altre solo di passaggio verso altre mete.

Il 1971 è stato l’anno in cui per le ferie estive siamo andati in Spagna, a Tossa de Mar, in Costa Brava, dove parlano Catalano e non il più orecchiabile Castigliano, quindi anche se sei Veneto, lì non inganni nessuno e ti tocca esprimerti a gesti.

Per arrivarci ci abbiamo messo due giorni.

Lo so, a qualcuno di voi instancabili viaggiatori sembrerà ridicola la sosta di una notte per una percorrenza di un migliaio di chilometri , ma a noi è sempre piaciuto prendercela con calma e considerarci già in vacanza anche durante il viaggio per raggiungere la meta finale, anzichè precipitarci come se fossimo inseguiti.

Dopo esserci goduti i luminosi paesaggi incantati della Liguria e della Costa Azzurra , abbiamo raggiunto Aix-en-Provence e  attraversato il Cours Mirabeau, un largo viale alberato fiancheggiato da palazzi riccamente decorati.

A mio avviso si tratta di uno delle vere attrattive di questa  città, insieme alle bellissime fontane e all’incomparabile luce della Provenza , che si ritrova in quasi tutti i dipinti di Paul Cézanne , che qui é nato, alle entrecôte Mirabeau (omonime del viale) e ai calissons, dolcetti di farina di mandorle e canditi che hanno la forma romboidale dei nostri Ricciarelli.

I canditi utilizzati per confezionare i calissons, sono di arancia (scontato) e di melone (insolito).

C’è da dire che i meloni di questa zona sono eccellenti e rinomati in tutta la Francia. Noi ne abbiamo ordinato uno a pranzo: era nella sezione del menù riservata agli antipasti, come lo jambon di Haut Languedoc e pensavamo di aver capito tutto, invece ci é stato servito a palline, marinato nel Porto. Esperienza curiosa ma molto apprezzata, che ci ha preparato il palato all’assaggio del boeuf gardianne, un eccellente stufato di manzo dal gusto deciso , specialità della Camargue, accompagnato dal riso selvatico del delta del Rodano.

È una prelibatezza abbastanza simile al boeuf bourguignon.

La sera ci siamo fermati a dormire ad Arles, impressionante testimonianza del dominio Romano del I secolo d.C. in Provenza.

Esattamente come a Verona, in pieno centro storico si trovano due antichi monumenti molto ben conservati: un notevole Teatro Romano e l’anfiteatro  “Las Arenas” che in epoca moderna ha ospitato anche le corride , deprecabile e cruento costume di questa Regione e le competizioni equestri durante la “Fete des Gardians” .

La città è anche famosa per aver accolto Vincent Van Gogh ed averne influenzato la produzione artistica con i suoi colori luminosi, gli stessi che ispirano ancora i fabbricanti dei vivaci tessuti provenzali, che consiglio di acquistare in Rue Jean Jaurês.

Data la vicinanza alle Bocche del Rodano , un’escursione ( da non perdere) di pochi chilometri offre  la possibilità di vedere da vicino i  fenicotteri rosa, le paludi salate, i tori neri, i cavalli bianchi e i mandriani abbronzati , che sono un conturbante incrocio fra i butteri e i gitani .

Per completare l’esperienza provenzale, si può quindi comprare qualche tovaglia e accostarsi  ad alcune delizie da veri gourmet , che vale la pena di assaggiare.

Cito con grande desiderio di condivisione la Bouillabaisse, che è buona come quella Marsigliese, però se proprio non avete voglia di arrivare così lontano per assaggiarla andate tranquillamente a Viareggio e mangiatevi il cacciucco . Devo dire che secondo me l’unica cosa che fa la differenza è la salsa Rouille.

Ho trovato buonissima anche la Brandade, che ho assaggiato per la prima volta proprio alle porte della Camargue. In confidenza somiglia molto al “baccalà mantecato” che si mangia a Vicenza, ma ha molti estimatori perché, come sempre , i Francesi  sono bravissimi a proporre le loro specialità con maggiore enfasi di noi.

Comunque, in quell’occasione, gli assaggi regionali di pesce li ho fatti in pratica solo io , perché mio marito non si è discostato da semplici scampi, triglie , vongole e cozze cucinati nel modo più basico che riusciva ad ottenere dagli chef. Ma non deve essere andata male nemmeno a lui, dato il profumo irresistibile di maggiorana, rosmarino, ginepro, aneto, finocchio selvatico e timo che i suoi piatti emanavano.
Il giorno successivo ci siamo lasciati alle spalle il confine francese e siamo stati accolti in Spagna da impressionanti cartelli pubblicitari raffiguranti un toro in fiero atteggiamento di sfida , che pubblicizzavano una marca di sherry , ossia di Xeres come correttamente  si chiama quello prodotto nella zona di Jerez de la Frontera.

Ce ne siamo portati a casa alcuni esemplari alla fine della vacanza, ovviamente. 

Stupendo il paesaggio offerto dagli ultimi 10 o 12 chilometri dei circa 150 percorsi per raggiungere Tossa de Mar, una strada tutta curve  che tagliava una fitta foresta di macchia mediterranea .

La Costa  Brava vantava anche allora località balneari molto più mondane del suggestivo paese dal fascino antico dove avevamo prenotato noi, ma siamo stati sempre poco interessati alle discoteche, ai bagni di mezzanotte, ai falò in spiaggia e alla vita notturna in generale, sostanzialmente perché uno di noi due non ha mai imparato a ballare e in più la sera si addormentava sempre presto.

Quindi era perfetta per le nostre esigenze questa bellissima cittadina fortificata medievale, a picco su un mare di un blu così   intenso come solo il Mesiterraneo riesce ad essere, con le sue piccole spiagge  a ferro di cavallo e la “ciutat vella” perfettamente riconoscibile all’interno delle mura di difesa dalle invasioni dei mori.

Fu Marc Chagall a definire questa piccola città il “paradiso blu” e anche lui era uno che di colori se ne intendeva .

Dato che Tossa de Mar dista un centinaio di chilometri da Barcellona , non abbiamo potuto fare a meno di visitarla, per ammirare perplessi alcune opere di Antoni Gaudi come la Cattedrale tuttora incompiuta della Sagrada Familia (che ricorda l’architettura dei castelli a piramide che si fanno sulla spiaggia sgocciolando una miscela di acqua e sabbia dalla punta delle dita) e Casa Batilo ( che potrebbe sembrare la residenza del Presidente dei Puffi ), per passeggiare sulle Ramblas, mangiare tapas e churros e assistere ad uno spettacolo di Flamenco andato un po’ troppo per le lunghe, bevendo sangria.

Abbiam  fatto una vacanza rilassante e divertente insieme.Trascorrevamo le assolate , pigre giornate spagnole quasi sempre sulla Platja Gran, la spiaggia che va dal promontorio della città vecchia fino a dove si radunano i gabbiani. Mi si dice che ora lì c’è una statua intitolata al “Gavina Joan “, il famoso gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach.

Ne sono felice : se lo meritava proprio un monumento l’amico Jonathan, libero e anticonformista rappresentante della New    Age.

Le serate erano dedicate a fare escursioni estemporanee alla Cala Es Codolar, una piccola spiaggia dal fascino speciale , al riparo dai venti, dove i pescatori la sera tiravano in secca le barche , che si raggiungeva scendendo antiche scale dalla sommità del promontorio fortificato, oppure a scoprire i mille negozietti della città vecchia, per passeggiare lungo la Rambla dagli storici edifici secolari su entrambi i lati e scegliere accuratamente la “taberna ” o la “posada” dove cenare.

Cenare, o comunque consumare un pasto in Spagna é una vera festa. Mi sento di affermarlo nonostante la modesta esperienza maturata unicamente in Costa Brava. La  sera ci si sedeva a tavola allegri, dopo la sosta in una “bodega” per una sangria , anche Blanca e si ordinavano la paella Valenciana , Catalana o de Mariscos, la zarzuela ( ma la ricetta non è di Calderòn de la Barca), o semplicemente gamberi e pollo ai ferri.

Inquietante è stata la scoperta che il lunedì i ristoranti offrivano molti più tagli di carne di manzo che durante il resto della settimana, comprese le criadillas fritas. Si sa, in Catalogna la tauromachia era seguita e anche molto apprezzata dalla maggior parte dei suoi abitanti.

Nel ristorante dove andavamo più spesso ( dove ho insegnato allo chef a preparare la carbonara in cambio della sua ricetta “segreta” della sangria), mentre io ordinavo la crema Catalana , mio marito amava concludere il pasto con una grossa coppa di gustose e profumatissime fragole locali. Naturalmente le ordinava in italiano e il nostro cameriere abituale , che ormai aveva imparato le sue preferenze , gli proponeva anziché fresas con nata , “fregole con pana” ,orgoglioso e sorridente perché pensava di pronunciarlo correttamente in italiano. Da parte sua, mio marito era convinto che lo dicesse in catalano e ha continuato a ordinare “fregole con pana” anche in altri locali.

Io non ho avuto il coraggio di disilludere né l’uno né l’altro.

BRANDADE 

Circa 1 chilo di filetti di baccalà dissalato, 2 bicchieri d’olio d’oliva, 1 bicchiere di latte, 2 spicchi d’aglio, 1 patata bollita, 1 tartufo nero, pepe e noce moscata.

Sistemo i filetti di baccalà in una pentola e li copro d’acqua fredda. Porto a ebollizione , faccio cuocere una ventina di minuti, lascio intiepidire lontano dal fuoco, li tolgo dalla pentola ,li spezzetto con una forchetta e li frullo con l’aglio.

Sistemo il composto in un tegame aggiungendo l’olio, la patata calda schiacciata  e il latte  e cuocio mescolando di tanto in tanto, senza mai farlo bollire.

Ottenuta la consistenza di un puré , insaporisco con pepe e noce moscata e incorporo il tartufo tritato.
In sostituzione del tartufo si possono utilizzare delle acciughe, che vanno messe nel tegame per prime , sciolte in poco olio e cotte con il baccalà. Dipende dai gusti.Certo però che l’aggiunta del tartufo conferisce alla preparazione un sapore inaspettato e un profumo molto invitante e raffinato.

In Provenza servono questo piatto come antipasto caldo, accompagnato da crostini sfregati con l’aglio. Anche in Spagna.

ENTRECÔTE MIRABEAU

1 costata di manzo di circa 500 gr, olive farcite, filetti d’acciuga, 20 gr di burro , 1/2 cucchiaino di pasta d’acciughe
Cuocio alla perfezione la costata alla griglia.

La sistemo sul piatto di portata e la spalmo di burro miscelato con la pasta d’acciughe . Sopra sistemo le acciughe creando una griglia e al centro di ogni rombo metto 1/2 oliva tagliata a metà.

 É un modo semplicissimo di cucinare una costata , che però così acquista un sapore molto provenzale. La quantità di filetti d’acciughe e di olive dipende dal gusto personale.

Honoré Gabriel Riqueti conte di Mirabeau fu un uomo politico francese, scrittore ,rivoluzionario e diplomatico del XIII Secolo, ma non ho idea di cosa c’entri  col nome dato alla ricetta.

BOUILLABAISSE

Circa 1500gr di pesci misti ( tra: gallinella,merluzzo, San Pietro, coda di rospo, scorfano, triglie, dentice, orata , sarago , nasello, ecc.) ,8 grossi gamberi, 2 cipolle, 2 carote, 1 gambo di sedano, 1 barattolo di pelati sgocciolati, 2 spicchi d’aglio, 1 peperoncino, 1 ciuffo  di prezzemolo, 2 bustine di zafferano , 1 pezzetto di buccia d’arancia , 2 foglie di alloro , 1 rametto di timo, olio, sale e pepe.

Dal pescivendolo faccio eviscerare tutti i pesci e tagliare a tranci quelli grossi.

In un tegame largo e molto capiente faccio stufare nell’olio le cipolle, le carote e il sedano tritati con l’aglio grattugiato, dopo una decina di minuti aggiungo i pomodori a pezzi , sgocciolati, il timo, l’alloro, la buccia d’arancia, il peperoncino e i pesci che richiedono una cottura più lunga .

Verso il vino, copro a filo con dell’acqua tiepida in cui ho sciolto lo zafferano e li faccio cuocere a fuoco vivace per 10 minuti al massimo, aggiungo gli altri pesci e i gamberi e proseguo la cottura per altri  5 minuti, smuovendo il tegame senza mescolare, salando appena e pepando in abbondanza.

Con molta attenzione tolgo il pesce a pezzi dal brodo di cottura e lo sistemo su un piatto da portata.

Passo al setaccio il liquido rimasto nella pentola e lo distribuisco in piccole terrine di coccio individuali.

Servo accompagnato dalla salsa rouille e da qualche bruschetta all’aglio. A parte passo i pesci.

Si dice che il segreto della vera bouillabaisse stia nella cottura rapida, che non deve superare i 15 minuti: io ci provo.

I marsigliesi sono così orgogliosi della loro zuppa di pesce, da averne addirittura depositato il brevetto. La mia è solo una delle tante versioni che presento però come i Francesi , destrutturata, servendo separatamente i pesci, il brodo, i croutons e la salsa in ciotoline individuali.

Non temete, di norma i pescivendoli si prestano gentilmente a fare per voi il “lavoro sporco” di squamare ed eviscerare i pesci che avete scelto e di tagliare a tranci i più grossi . Vi indicheranno anche quali sono quelli da cuocere per primi.

SALSA ROUILLE N 1

1 peperone rosso, 1 peperoncino piccante , 2 spicchi d’aglio, 1 panino senza la crosta, 1 mestolo di brodo di pesce, 1 tuorlo, 150 ml di olio, 1 pizzico di sale.

Passo il peperone sotto il grill, lo spello e lo taglio a pezzetti. Faccio ammorbidire il panino nel brodo ( anche granulare) di pesce. Frullo entrambi con il peperoncino privato dei semi, gli spicchi d’aglio senza il germoglio  interno, il tuorlo, un pizzico di sale e circa 1/3 dell’olio. Sempre frullando aggiungo a filo il rimanente olio fino a che la salsa si ispessisce .

Di questa salsa, che si spalma sui crostoni di pane grigliati e accompagna le diverse versioni di zuppa di pesce tipiche del Sud della Francia, ho anche una variante più semplice, ma di sapore più forte, forse maggiormente adatta al gusto dei pescatori marsigliesi, che però  può  andare bene anche a voi che non soffrite di gastrite o di ulcera , se vi va di cucinare una volta o l’altra alla Mediterranea .

SALSA ROUILLE n 2

3  spicchi  d’aglio, 1 peperoncino piccante, 1 tuorlo, 1 cucchiaio di mostarda di Digione piccante, 100 ml di olio ,1 pizzico di sale.
Pesto nel mortaio l’aglio e il peperoncino prima tritati finemente, li trasferisco in una ciotola, li mescolo al tuorlo e alla mostarda.

Aggiungo un pizzico di sale e con la frusta comincio a montare la salsa unendo l’olio a filo come per una normale maionese.
CHURROS

125 gr di farina, 1 cucchiaino di lievito per dolci, 1 cucchiaio di olio, 250 ml di acqua calda, olio per friggere, zucchero semolato e cannella.

In una ciotola mescolo insieme la farina e il lievito, aggiungo l’olio e un po’ alla volta l’acqua calda.  Mescolo energicamente il composto e lo inserisco in una sac à poche  munita di una bocchetta grande scanalata.

Porto l’olio in temperatura e friggo la pastella tagliandola con un  coltello affilato , a mano a mano che esce dal beccuccio , in piccoli cilindri rigati di circa 8-10 cm di lunghezza.

Quando sono belli dorati li scolo sulla carta da cucina e poi li faccio rotolare in una miscela di zucchero e cannella.

Spero perdonerete lo sconfinamento gastronomico iberico, ma i churros sono talmente buoni che mi sarei sentita insopportabilmente egoista se non avessi condiviso la ricetta con voi.

           

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LA CUCINA FRANCESE – filetto richelieu, fagottini alla richelieu, grande salade Paul Bocuse .

Tratto da “La Cucina francese e la Cugina francese” di Silva Avanzi Rigobello

Capitolo 2. – Parigi o cara  (  La  Traviata di Giuseppe Verdi  )

A Parigi quella prima volta arrivammo al tramonto e fu una sensazione indimenticabile . Insomma indimenticabile lo è stata per me, che ricordo quasi tutto quello che mi succede, ma non certo per mio marito , che essendo piuttosto scordatello, mi guarda sempre un pò stranito , quando gli parlo del nostro vissuto.

Non nego che in passato questo suo atteggiamento, che reputavo una manifestazione di scarso interesse nei confronti dei nostri ricordi di gioventù, mi indispettiva e mi addolorava non poco, ma l’età ha smussato molti spigoli del mio carattere e adesso, quando per farmi contenta finge di ricordare alcuni particolari  di quelli che gli sto raccontando di un viaggio, un luogo, un film o un incontro che abbiamo condiviso, anch’io fingo di credere che se ne ricordi davvero , così alla fine siamo contenti entrambi. Sono i vantaggi dei matrimoni nei quali la convivenza finisce col diventare connivenza.

Dunque, arrivando da Sud, a Parigi siamo entrati dalla Porte d’ Italie ( toh!). Era tardo pomeriggio e il cielo era soffuso di rosa, con qualche cirro argenteo in lontananza. Soffiava una brezza leggera che muoveva appena le foglie verde tenero degli alberi che fiancheggiavano i larghi viali, mentre dall’autoradio Aznavour cantava solo per noi “Il faut savoir”.

Vi piace come scena romantica di apertura eh?!  Bé è falsa.

Vi devo confessare che in realtà nemmeno io ricordo quale fosse la canzone che la radio trasmetteva in quel momento. Poteva trattarsi anche del bollettino metereologico,dato che l’attenzione per la musica  era del tutto compromessa dalla necessità di districarsi indenni fra le acrobazie degli automobilisti parigini , che guidando scassati catorci e ignorando le precedenze, mi impedivano di assaporare appieno ogni felice attimo di quel primo incontro con Parigi, mentre ero impegnata a consultare la piantina per cercare di individuare l’incrocio che ci avrebbe portati a Neuilly , al nostro hotel ad un passo dal Bois de Boulogne e non lontano da Place de l’Étoile (oggi Place De Gaulle).

L’ingresso dell’hotel era incuneato tra un piccolo “bistrot” e un negozio di fiori, aveva una hall minuscola, un “concierge” disponibile e corpulento e una scala ripidissima. Niente ascensore, ma una stanza rivestita di carta a fiorellini color lavanda, col soffitto mansardato e due piccole finestre a timpano con una toccante vista sui tetti del quartiere.

In albergo non c’era la sala da pranzo, quindi la colazione ci veniva servita ogni mattina in camera da una “demoiselle” così seducente che induceva mio marito a sbarbarsi e pettinarsi fin  dalle prime ore del mattino, per non farsi cogliere impreparato.

Il vassoio era sempre abbellito da un fiore fresco in un minuscolo vasetto. Potrei giurare che il café au lait e i croissant  caldi venissero dal bistrot lì sotto e che il fornitore dei fiori fosse quasi sicuramente il negozio  accanto. Erano forse un’associazione oppure una branchia della mafia Marsigliese, o più probabilmente una famiglia.

Ci avevano riservato un posto-auto nel garage di una strada laterale ( che apparteneva probabilmente ad un cugino) , così dopo aver comprato il Corriere della Sera del giorno prima al chiosco di fronte (forse gestito da un cognato) , andavamo in giro in Metrò e poi a piedi senza farci mancare niente di emozionante , tenero o divertente nei diversi ” arrondissement” che visitavamo.

Ho nel cuore la foto tipo “trompe l’oeil” scattata al Trocadero con la Tour Eiffel sul palmo della mano, 

la  cena sul “bateau mouche”, i rovesci improvvisi e brevissimi di pioggia che ci coglievano di sorpresa e ci facevano correre a ripararci sotto accoglienti portoni di eleganti palazzi, gli acquisti dei capi di abbigliamento firmati e scontati alle Galerie Lafayette , compresi  un impermeabile di tessuto” cirè ” nero strizzato in vita, molto chic e perfino una pelliccia di marmotta dal taglio ” haute couture ” come in Italia non se ne vedevano ancora

I baci scambiati sul” quais ” come le altre giovani coppie di innamorati parigini, alcune interminabili contrattazioni coi ” bouquinistes” per accaparrarsi incantevoli “affiche “, le soste ai tavolini piccoli come vassoi dei bistrot, a bere caffè lunghi e fragranti e eau gazeuse, il mazzolino di mughetti comprati da una vecchietta in Boulevard des Capucines e la ricerca di qualche ristorante che offrisse cibi riconoscibili.

Adesso ne ridiamo, ma allora veramente é stato problematico arrabattarsi fra piatti di poisson, crustacès, volaille, veau o boeuf, ognuno accompagnato da un numero infinito di salse con nomi di donna, di personaggi famosi e di località , quindi difficilmente decifrabili da due giovani inesperti.

In Francia preparano sontuosissime, ricche, vellutate salse di gusto, come dire, barocco, a base di panna, burro, Cognac, sherry, tartufi, funghi ( quelli che noi chiamiamo champignon, lì li chiamano funghi di Parigi) e  foie  gras.Queste straordinarie salse sono tra le più prelibate al mondo, ma allora non lo sapevamo e in fondo non ci interessava tanto quanto adesso, quindi ci siamo in pratica limitati a mangiare nelle “brasserie” semplici filetti di manzo o costate alla griglia accompagnate da patate fritte e piselli al burro, alternandoli ad assiette à fromage o a baguette au jambon consumate nei Café e annaffiate da bière pression , in pratica per tutta la durata del soggiorno a Parigi, ma non era poi così male.

Mi rammarico solo che le baguette intere, calde e profumate, non le abbiamo mai comprate e non siamo quindi riusciti a infilarcele sotto il braccio disinvoltamente, continuando la nostra passeggiata, come vedevamo fare invece ad ufficiali in divisa, anziani in completo grigio, eleganti signore con lo charme di ex “mannequin”, portinaie col grembiule e il foulard e ragazze sorridenti dall’aria maliziosa e i tacchi alti.

In crisi di astinenza abbiamo di tanto in tanto mangiato persino lasagne al forno e spaghetti al pomodoro in uno dei ristoranti La Mamma, che in quegli anni Charles Aznavour aveva aperto a Parigi, ma adesso ce ne vergogniamo molto.

La luna di miele è poi continuata con la visita ai Castelli della Loira, ulteriore itinerario romantico, di cui vi parlo più avanti.

FILETTO RICHELIEU

2filetti di manzo di circa 200 gr l’uno, 2 cappelle di grossi funghi di Parigi, 1 pomodoro di tipo ramato,1. invidia belga, 1 piccolo scalogno ,burro, prezzemolo,aglio,origano,sale e pepe

Salsa Madeira : 50 gr  di burro,30gr di farina, 75 ml di brodo, 75 ml di vino Madeira, pepe nero appena macinato

Taglio a metà il pomodoro lavato e privato del picciolo e lo svuoto dai semi. Pulisco le cappelle dei funghi e le asciugo Preparo una miscela di pangrattato,aglio ridotto a crema,prezzemolo tritato, origano, sale ,pepe e olio e la distribuisco su funghi e pomodori.

Inforno a 180 gradi per un quarto d’ora circa. Quando sono cotti, li tengo al caldo.

Faccio appassire lo scalogno tritato nel burro,lavo l’invidia, la taglio a metà per il lungo e la faccio brasare nello stesso tegame, la salo e tengo al caldo anche questa.

Preparo la salsa sciogliendo circa metà del burro in un piccolo tegame, poi aggiungo la farina e la faccio abbrustolire mescolando per non fare grumi. Aggiungo il brodo caldo poco per volta senza smettere di girare col mestolo di legno e faccio ridurre a 1/4 della quantità iniziale.

Unisco il vino, pepo abbondantemente e cuocio per altri 15 o 20 minuti. Fuori dal fuoco aggiungo i rimanenti 25 gr di burro a piccoli pezzi mescolando con la frusta fino ad ottenere una salsa liscia e vellutata.

A questo punto cuocio i due filetti sulla piastra, li impiatto , li circondo con le  verdure e li cospargo di salsa.

Si tratta di una di quelle ricette complesse, ma non difficili, tipiche della cucina Francese. L’unica difficoltà nella preparazione di questa prelibatezza è trovare la densità ottimale della salsa.

Ho anche un’altra ricetta “alla Richelieu”, simile alla precedente. Ma forse meno complicata e costosa, che adesso vi propongo:

FAGOTTINI ALLA RICHELIEU

6 fettine di vitello (circa 800 gr in tutto) 4 salsicce, 150 gr di funghi champignon, 1/2 cipolla tritata, 1 spicchio d’aglio, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato, 1 mazzetto guarnito (alloro,dragoncello e timo).,1 mestolo di brodo,1 cucchiaio di farina, 3 pomodori tondi, 50 gr di burro, 2 cucchiai di olio, 1/2 bicchiere di vino bianco, sale e pepe

Trito i funghi e li faccio saltare in padella con aglio e olio, sale e pepe. Li metto in una ciotola e aggiungo le salsicce spellate e sbriciolate e il prezzemolo. Tengo da parte circa un terzo di questo composto e distribuisco il resto sulle fettine di vitello arrotolandole come gli involtini.

Faccio appassire la cipolla nel burro con il mazzetto guarnito e il vino bianco, aggiungo gli involtini legati con spago da cucina e infarinati, li faccio dorare, poi proseguo la cottura bagnando col brodo.

Intanto taglio le calotte superiori ai pomodori, li svuoto dai semi, li salo e li tengo capovolti perché perdano il liquido di vegetazione, poi li farcisco con il ripieno tenuto da parte e li cuocio in padella con l’olio. Quando tutto è cotto, impiatto un involtino e 1/2.pomodoro per commensale irrorandoli col sugo.

È veramente un grande piatto, molto saporito. Si mangia in genere nei “bistrot” piuttosto che nelle “brasserie” eleganti, che offrono di norma cibo più convenzionale, proponendo menù completi di più portate e dove troverete con maggiori difficoltà piatti unici o insalate.

E a proposito di insalate, ve ne suggerisco una “firmata” molto elegante, che a noi all’inizio era sfuggita (0 quel domage!)

GRANDE SALADE PAUL BOCUSE

1 bel cespo di lattuga, 200 gr di fagiolini, 80 gr di foie gras, 80 gr di tartufi neri, vinagrette (pepe,sale,olio: d’oliva,aceto balsamico)
Utilizzo solo il cuore della lattuga e quindi dispongo le foglie centrali su due piatti individuali.

Sopra divido i fagiolini spuntati, lavati , lessati e sgocciolati.

Taglio a fettine il fegato, a julienne i tartufi e li appoggio sui fagiolini.

La condisco con la vinaigrette. Ciascuno mescolerà la propria insalata 
Consiglio di fare almeno una volta questa squisita esperienza, che può essere un antipasto o un piatto unico: dipende dal vostro appetito.

 Il foie gras, ça va sans dire, dovrete comprarlo pronto in una gastronomia di lusso, mentre i tartufi potrete procurarveli anche qua sui Lessini, dove in genere si trovano ad un prezzo ragionevole.

Se promettete di non raccontarlo in giro, vi confido un segreto, anzi due: io ci aggiungo anche dei gherigli di noce e una volta ho usato non il foie  gras ma fettine sottili di fegato molto chiare saltate in padella con il burro.

D’accordo, è un po’ meno francese e non è  così  “bocusiana” ma è una alternativa comunque molto saporita.

LA CUCINA FRANCESE – salade lyonnaise, boeuf bourguignon,pesca melba

Tratto da “La Cucina Francese e la Cugina Francese ” di Silva Avanzi Rigobello

Capitolo 1 –  libiamo ne’ lieti calici (la Traviata di Giuseppe Verdi)

Ai matrimoni piango sempre . Proprio non resisto . A volte ho anche rovinato con lacrime e qualche sommesso ma udibile singhiozzo cerimonie magistralmente orchestrate dai migliori  Wedding  Planner. Oppure ho reso inguardabili certe foto scattate in chiesa, mandando a farsi friggere servizi fotografici altrimenti perfetti. La commozione  dura comunque solo fino al lancio del riso. Dopo mi passa.

E appena ho tra le dita lo stelo della prima flûte di Champagne, o anche di bollicine nazionali , sono già sulla soglia di una lieta euforia.

L’unico matrimonio al quale non ho pianto, è stato il mio . Anzi ,perfino durante la cerimonia ero allegra e sorridente e civettavo un po’.
  
19 Aprile 1969

Sono stata una delle prime spose dell’era moderna a non arrivare in chiesa in ritardo, a sposarmi in lungo e in bianco, ma senza il velo regolamentare, ad avere un testimone di sesso femminile,  a firmare i documenti davanti all’altare e non in sagrestia, per permettere al nostro amico del cuore di cantare per noi l’Ave Maria di Schubert ( non quella di Gounod , ne sono certa) , che non è consentita dalla liturgia ecclesiastica durante la celebrazione delle cerimonie nuziali, a fare una luna di miele incredibilmente romantica a Parigi, nonostante respirassimo ancora la polvere sollevata dal Sessantotto.

La scelta era caduta su Parigi perché secondo noi era  – ed è tuttora – la città più eccitante, poetica, appassionata e sentimentale del mondo. Una città intima ed emozionante , nonostante le sue dimensioni.

In realtà anche Venezia ha le stesse caratteristiche, ma per il viaggio di  nozze sarebbe stata una meta un po’ troppo “sotto casa”.

Siamo partiti subito dopo il pranzo al Re Teodorico,scelto per il menù molto raffinato, ma soprattutto per il panorama, così sarebbero venute bene anche le foto.

Era la prima volta che visitavo la Francia è anche la prima di molte altre cose.

Dopo la notte nuziale trascorsa in un albergo di Stresa, con vista sul lago Maggiore, con le nostre belle valigie di pelle marrone, regalo di nozze di uno zio testimone, ci siamo avviati per affrontare i 240 chilometri  fino al traforo del Frejus, che va da Bardonecchia , in alta Val di Susa,  a Modane , nella Savoia Francese.

Adesso un po’ di storia patria.

La realizzazione di questo storico traforo ferroviario , inaugurato il 17 settembre 1871, si è concretizzata grazie alla lungimiranza  di grandi personaggi del nostro Risorgimento, del calibro di Carlo Alberto, Vittorio Emanuele II, Cavour, Quintino Sella e Massimo d’Azeglio, oltre ad una schiera di tecnici e di ingegneri Italiani e Francesi, che si servirono  di innovative perforatrici  automatiche e moderni compressori pneumatici per realizzare quello che all’epoca fu il più lungo tunnel ferroviario del mondo.

Nella mia vita da ragazza in avevo mai viaggiato granché in treno ed ero molto eccitata. Questa nuova emozione aveva in parte mitigato il disagio per un imbarazzante episodio  verificatosi la sera precedente. Dato che ve ne ho accennato, se volete vi racconto cosa è successo perché non pensiate si sia trattato di un incidente dovuto a virginale ritrosia.

Dopo essermi struccata ed aver scosso dai capelli gli ultimi chicchi di riso rimasti intrappolati, ritenendo che l’attesa fosse di per sè una specie di afrodisiaco (e lo penso ancora), ho fatto un bagno con dei sali profumati e indossato la camicia acquistata proprio per la prima notte di nozze: di seta color avorio, lunga, appena aderente, con un nastro di raso che metteva in risalto la scollatura. Era uno dei pezzi più belli del corredo, acquistato proprio per quel momento speciale in un negozio di Mantova specializzato in accessori per le spose.

Volendo vedermi per intero, dal momento che l’unico specchio del bagno era quello sopra il lavandino, sono salita in piedi sul bordo sul bordo della vasca, che era proprio di fronte e ci sono scivolata dentro con una gamba… e non l’avevo ancora svuotata.

Ne sono uscita umidiccia e stropicciata  e ho dovuto sostituire la camicia da notte, che puntava tutto su un discreto gioco strategico di pizzi ” ti vedo e non ti vedo”, con un malizioso baby doll color albicocca, che intendevo invece riservare a momenti di intimità già collaudata .

Se smettete di ghignare , adesso possiamo tornare alla nostra navetta Bardonecchia/Modane.

Quello che immaginavo di questo tratto del percorso verso Parigi era che, una volta agganciata l’auto al pianale del vagone, ne saremmo scesi per viaggiare comodamente  in una elegante carrozza ferroviaria addirittura tipo quelle dell’Orient Express, con sontuosi sedili di velluto verde bottiglia, bordeaux o blu pavone e nappe dorate alle tende dei finestrini.

Invece , siamo dovuti restare seduti dentro la macchina e attraversare al buio i 13.600 metri di storico tunnel intasato di chissà quali miasmi e gas mefitici senza poterci muovere.

Be’,meno male che avevamo ancora un Coupè  e non la Spider di qualche anno dopo, sennò sai che esperienza!

Dato che la distanza tra Stresa e Parigi è di circa 850 chilometri avevamo previsto che il nostro secondo pernottamento da coniugati sarebbe stato a Lione, che è circa a metà strada.

Quella di fare le nostre vacanze con calma, senza fretta e senza stress è una filosofia di vita alla quale abbiamo sempre cercato di attenerci in questi primi 45 anni di vita in comune, a volte senza successo, ma sempre con il massimo impegno.

A Lione abbiamo cenato nel ristorante dell’hotel perchè non abbiamo avuto il coraggio di avventurarci  nei misteri della cucina locale in una città nota come ” la bonne bouffe”, di cui allora non sapevamo nemmeno che fosse la patria dello chef internazionale Paul Bocuse, l’inventore della Novelle Cuisine. E pensare che quella Lionese è considerata la gastronomia migliore di Francia e i”bouchons”  (osterie che prendono il nome dai tappi di sughero delle bottiglie ) della Città Vecchia rallegrano da sempre , con le loro specialità , i pasti dei turisti e degli abitanti del luogo in quello che è conosciuto come il più grande quartiere Rinascimentale d’Europa.

Abbiamo dormito  in un letto piccolissimo , poco più che a una piazza e mezza. ,con due rulli imbottiti al posto dei guanciali, che ci hanno impedito di riposare bene per tutta la notte. Da questa esperienza abbiamo comunque imparato che se all’arrivo in hotel chiedevi degli  “oreillers “, ottenevi  che te li sostituissero con due cuscini normali, mentre per le dimensioni dei letti non c’era niente da fare. Essendo in luna di miele però, questo non rappresentava certo un problema .

Per arrivare da Lione a Parigi, si passa piuttosto vicino a Digione, capitale della Borgogna , oltre che della “moutarde “,la salsa che da noi si chiama senape ( mentre la nostra mostarda di frutta , tipo la Vicentina, la Cremonese , o la Mantovana è tutta un’altra storia).

La distanza è tanto esigua da giustificare una piccola deviazione per una breve visita a questa bellissima città , fondata dai Romani nel 52 a.C.  e ricca di eleganti palazzi rinascimentali che ne testimoniano il fastoso passato, con alcuni notevoli esempi di architettura gotica in un curioso intrico di stradine medievali che conducono a piazze signorili piene di fascino, pavimentate come nei secoli scorsi, che sembrano voler raccontare ad ogni angolo storie di assedi e di antiche dinastie.

Di Digione so anche che ha dato i natali a Gustav Eiffel , l’uomo che ideò, oltre alla giarrettiera, come già sapete, l’omonima torre e fu co-ingegnere nella costruzione della Statua della Libertà, due monumenti che sono nell’immaginario collettivo, i simboli di Parigi e di New York nel mondo, ma non é fondamentale ricordarselo.

Importante è piuttosto ricordare quali specialità gastronomiche offre la città ( anche se allora non ci avevamo fatto molto caso ) , come il boeuf bourguignon  e la fondue bourguignone , che avendo lo stesso cognome, potrebbero sembrare una coppia di coniugi, il  profumato pain  d’épice e la Crème de Cassis, indispensabile base  per il Kir, l’aperitivo che ha preso il nome dal suo inventore, l’abate Felix Kir .

Dunque, fin qui eravamo arrivati. Non ci restava che percorrere il resto di quel migliaio di chilometri che ci avrebbe portato a Parigi.

SALADE LYONNAISE  X 4
  

250 gr di fegatini di pollo, 1/2 cipolla, 4 uova, 8 belle foglia di lattuga, 40 gr. di burro, 80 ml di olio, 2 cucchiai di aceto di vino rosso, 1 cucchiaino di senape antica, sale e pepe nero appena macinato.

Affetto la cipolla e la metto a bagno in acqua fredda fino al momento di utilizzarla. Sciacquo le foglie di lattuga , le scolo, tolgo la crosta centrale e le asciugo.

Lavo e pulisco molto bene i fegatini e li faccio saltare velocemente nel burro a fuoco vivace, li salo e poi li taglio a fettine.

Cuocio 4 uova pochè, vale a dire in camicia , una alla volta, e le tolgo delicatamente con la schiumarola per non romperle.

Preparo il condimento mescolando con una piccola frusta olio, aceto, senape, sale e pepe e assemblo i piatti.

Dispongo per prima la lattuga, suddivido i fegatini, ci appoggio sopra l’uovo, cospargo con le fettine di cipolla scolate e asciugate e distribuisco il condimento.

Questa è solo una delle varianti di una ricetta rustica, semplice e gustosa, per appetiti robusti.




BOEUF  BOURGUIGNON   X  6

Circa 1500 gr di polpa magra di manzo, 200 gr di pancetta tesa, 1 litro di vino Borgogna, 200 gr di carote, 200 gr di cipolle, circa 1 litro di brodo, 30 gr di farina, 2 spicchi d’aglio, 3 rametti di timo, 3 di rosmarino, 1 foglia di alloro, 30 gr di maizena , 25 gr. di concentrato di pomodoro, olio, sale e pepe.

300 gr di cipolline ,100 ml di brodo, olio e burro, sale e pepe

500 gr di funghi di Parigi, 1 spicchio d’aglio, prezzemolo, olio, sale e pepe.

Trito grossolanamente la pancetta e la faccio rosolare con l’olio per una decina di minuti , la sgocciolo, la tengo da parte e nel suo grasso  faccio scottare a fuoco vivo la polpa di manzo che mi sono fatta tagliare dal macellaio in cubi di circa 5 o 6 cm di lato.

La rigiro continuamente perchè non bruci , ma si rosoli   bene da tutti i lati . Quando è dorata la tolgo, la scolo e la tengo da parte con la pancetta.

Trito le cipolle e le carote e le faccio appassire nel  grasso rilasciato dalla  carne. Dopo circa 10 minuti rimetto manzo e pancetta nel tegame, aggiusto di sale e pepe, cospargo di farina e mescolo per distribuirla.

Inforno senza coperchio a 250 gradi  per una decina di minuti e rimescolo una volta  dopo i primi 5.

Quando sulla carne si è formata una bella crosticina, la tolgo dal forno, unisco il vino e il brodo nel quale ho fatto sciogliere il concentrato di pomodoro. Il liquido deve coprire del tutto la carne.

Aggiungo l’aglio , il timo , l’alloro e il rosmarino legati insieme, così è più facile  eliminarli a fine cottura  . Inforno di nuovo a 130 gradi, questa volta coperto e lo faccio cuocere per almeno 3 ore badando che continui a sobbollire leggermente.Trascorso questo tempo, spengo il forno, ma lascio che il boeuf si raffreddi al suo interno.

Finché il manzo cuoce, preparo le cipolline: le pulisco e le faccio rosolare in padella con olio e burro per una decina di minuti  e aggiungo il brodo, incoperchio e continuo la cottura finché risultano belle dorate.

Preparo anche i funghetti: li libero dalla terra, li lavo brevemente e li taglio a spicchi. Faccio imbiondire l’aglio nell’olio, lo elimino e faccio saltare i funghi a fuoco vivace, finché si è asciugato tutto il liquido che hanno emesso in cottura.

Dal tegame del manzo elimino l’aglio e il mazzetto guarnito, tolgo la carne con la pinza, aggiungo al fondo di cottura il grasso delle cipolline e dei funghetti e frullo per ottenere una salsa omogenea.

Rimetto nel tegame la carne , le cipolline e i funghi, faccio riprendere il bollore e cuocio ancora qualche minuto per scaldare tutto per bene.

É veramente un piatto squisito, ma non si discosta molto dai nostri brasati, in fondo, solo che è già tagliato e non occorre affettarlo dopo la cottura. Pensateci.

Questa è però una ricetta con molti più  passaggi , che da l’impressione quindi di essere più sofisticata ed elaborata delle nostre. Dipende un pò  dall’abilità dei Francesi a gettare fumo negli occhi e dalla loro attitudine a considerarsi migliori di tutti .

Vedrete comunque anche più avanti che nella cucina francese  è fondamentale per prima cosa  rosolare separatamente la carne, toglierla e poi procedere alla cottura degli altri ingredienti nello stesso tegame, cosa che di norma noi non facciamo, ma questo procedimento, questa “sigillatura ” , consente alla carne di conservare all’ interno tutti i suoi succhi senza disperderli nel tegame, facendola risultare così più gustosa.

Onore al merito.




PESCA MELBA  x 6
  

6 pesche mature, circa 1 chilo di gelato alla vaniglia, 250 gr di lamponi, 150 gr.di zucchero a velo, 30 grammi di lamelle di mandorle.
Scotto le pesche in acqua bollente , le scolo e le tuffo in una ciotola di acqua e ghiaccio, poi le taglio a metà, le pelo ed elimino il nocciolo.

Frullo 200 gr.di lamponi con lo zucchero.

Distribuisco il gelato su un piatto , o in coppette, ci adagio sopra le pesche, copro con il coulis di lamponi  e decoro con i rimanenti 50 gr. di  lamponi interi.

Li cospargo infine con le lamelle di mandorle che ho fatto leggermente tostare in forno.

È’ una ricetta di Auguste Escoffier (creata appositamente per la cantante lirica australiana Nellie Melba che lui ammirava molto ) e per questo merita una menzione , ma francamente non mi pare un’idea così strabiliante.

PRANZO A RODEO DRIVE

Silva era una donna eccezionale. E non lo dico perchè ne ero e sono profondamente innamorato ma perché nella sua vita ha fatto moltissime cose , e tutte nel migliore dei modi.

Non parlo dei ruoli  di amica, fidanzata, moglie, amante, mamma, nonna , nei quali ha reso la mia vita completa e bellissima ma nelle attività lavorative delle quali si è occupata. L’ultima è stata la creazione e gestione di un prestigioso negozio nel centro di Verona che con la sua consueta fantasia ha chiamato “Gioielli e Tentazioni” . In breve lo ha trasformato in una delle gioiellerie più chic del centro con vetrine leggendarie per la bellezza  e l’accostamento degli oggetti ,rinomata e frequentata  per la cortesia e gentilezza riservata alla clientela e per il gusto raffinato delle proposte di vendita .Fino al 1999 è stato il suo regno..

  

In questo racconto , la memoria  della sua esperienza commerciale si fonde con i sogni e con la descrizione e il consiglio di acquisto di oggetti particolari,profumi esclusivi,  gioielli  preziosi , tutto sempre tipicamente di Beverly Hills

Senza dimenticare, alla fine ,le solite gustose ricette.

RINGS AND THINGS
(La filiale americana di Gioielli e Tentazioni)

Se a suo tempo avessi aperto una gioielleria anche in America, con tutta probabilità  l’avrei chiamata Rings and things.

Non avrei potuto farlo a Cavaion naturalmente, dove come minimo sarebbe diventata Rin Tin Tin. Perfino l’allora Sindaco Giacomelli confondeva il mio splendido Gioielli e Tentazioni  con Sorrisi e Canzoni.

Se ,in particolare, l’avessi aperto a Rodeo Drive, il nome sarebbe stato quasi certamente Rodeo d’or, che si legge come Rodeo door (cioè “La porta su Rodeo”, sottinteso Drive) e che trovo essere un trade Mark molto intrigante, soprattutto se accompagnato da una porta d’ingresso antica , dall’aspetto insolito e lussuoso,adatta agli standard locali.

Che io sappia, l’unica vera conquista culturale Californiana è poter voltare a destra agli incroci anche col semaforo rosso……non mi viene in mente altro, quindi sono convinta che l’apparizione di un autentico antico portoncino italiano dell’Ottocento, sobriamente blindato all’interno e inserito in una lastra di cristallo anti sfondamento,avrebbe suscitato un certo interesse commerciale, ma soprattutto culturale.

Sarebbe stato inutile andare più indietro nei secoli nella ricerca della porta, tanto mi  sa che in pochi laggiù avrebbero colto la differenza tra Luigi Filippo e Luigi XV.

Secondo me il target di clienti che si dedica regolarmente allo shopping a Beverly Hills e ci abita, o al limite ci viene apposta da Bel Air, avrebbe molto gradito il mix di proposte gioielli/piccolo antiquariato che avevo in mente.

Eh sì, ci ho fantasticato su un bel po’ quasi vent’anni fa, ma siccome ho più immaginazione che coraggio ( leggi : più idee che quattrini per realizzarle) è finita che non ne ho fatto niente.

Eppure come mi sarebbe piaciuto per esempio, proporre anche in America quegli inconfondibili gioielli miniati, che sempre venduto con tanto successo anche ai turisti Americani in visita a Verona , quelle bellissime miniature realizzate a mano su oro che sono tutti pezzi unici.

In questo modo non avrei dovuto temere la concorrenza di Tiffany, Bulgari, Cartier, VanCleef & Arples e Harry Winston. In alternativa ai loro gioielli principeschi , i miei sarebbero stati oggetto di nicchia divertenti ma costosi: un connubio perfetto per i ricconi.

Avrei messo nelle vetrine anche alcuni di quei braccialetti con i charms, rigorosamente Made in Italy, che raccontavano ognuno  una storia diversa, personalizzati per ciascuna cliente, quelli con alcune parti mobili per cui le porte delle casette si aprivano, alle automobiline giravano le ruote, si abbassava il ponte levatoio dei castelli, si muovevano le lancette degli orologi e così via . Ve li ricordate? No? Peccato, perché erano proprio speciali e molto chic.

Accanto ai gioielli ci sarebbero stati bene piccoli oggetti di antiquariato di provenienza italiana o al limite inglese o francese, non di alta epoca, ma di effetto e di impatto immediato: quelli insomma che costituivano le mie “tentazioni”.

Sogni, sogni,sogni: fantasie irrealizzabili, divertimenti privati immaginati tanto per passare il tempo, progettando l’impossibile.

Sono sempre dell’opinione comunque che anche una semplice botteghetta  di bric-à – brac farebbe la sua ottima in America. Posso dirlo con sicurezza perché li ho visti i loro negozi di Antiques, sia in California, che nel New England e persino in Florida.

Ci ho fatto anche qualche acquisto, ma solo perché-  come Oscar Wilde- so resistere a tutto ma non alle tentazioni.

Dunque , questi negozi di anticaglie ( non certo di antichità) espongono alla rinfusa una gran quantità di deliziose cianfrusaglie e siccome in genere hanno l’aria condizionata, se siete accaldati, fatevi un giro all’interno.

Troverete vecchie bandiere,bottoni, cuscini,tortiere,dagherrotipi,bambole di pezza,bicchieri spaiati,gioielli indiani coi turchesi,quinta,originali addobbi per l’albero di Natale,copertine illustrate da Norman Rockwell,piatti commemorativi,scatole di latta,anatre di legno,carpet bag, piccole zagare per il burro, boccali raffiguranti le avventure dei Supereroi, vecchie pubblicità della Coca, riproduzioni della lanterna di Paul Revere,libri di ricette degli anni 60, tre di legno usati e molto di più.

Magari non si tratta proprio di pezzi di antiquariato, ma nella giovane America vengono considerati più che oggetti di modernariato.

Un’altra cosa che trovo irresistibile in America è comprare profumi, perché ne trovo alcuni che non vengono esportati in Europa, quindi, se li comprate anche voi, ve ne andrete in giro spargendo un alone aromatico di essenze assolutamente diverso dalle solite combinazioni, che vi renderà uniche e speciali agli occhi, ma più che altro al naso, di chi incontrerete.

Fino agli anni 80 l’incontrastata egemonia del mercato dei profumi era in mano ai francesi, che ne avevano fatto un grande business internazionale.

E’ stato verso la metà del decennio, al culmine dell’edonismo Reaganiano, che è iniziato il boom della produzione Americana in questo settore della cosmesi.

“Giorgio Of Beverly Hills”  e “Charlie” di Revlon erano già presenti in Italia da un bel po’, ma gli anni 80 sono stati il momento magico di “Beautiful” di Ester Lauder, di “Sun flower” di Elisabeht Arden e perfino di “Sweet honesty” di Avon . E io c’ero!.

Nella  città dei sogni e dei sognatori , percorrendo con un senso di curiosità reverenziale l’equivalente angeleno di Faubourg-St-Honorè o via Montenapoleone, si ha quasi subito la sensazione  di esserci  già stati, di aver già visto tutto, merito forse della Julia Roberts di Pretty Woman.

Lo dico sempre: Los Angeles é una città che mi toglie il fiato e non mi interessa se si tratta di vera emozione o di esagerata concentrazione di monossido di carbonio, la adoro.

Sotto un cielo incredibilmente perfetto, di un azzurro intenso così raro a Los Angeles ( che ricorda un po’ il turchese degli infissi di Santorini per intenderci) , circondata da abbronzature permanenti, seni rifatti e denti incapsulati, passando accanto a limousine e auto fuori serie accostate a marciapiedi, quella prima volta è stato fantastico entrare negli esclusivi negozi di Rodeo Drive per acquistare almeno un profumo.

Ho cominciato nel 1985 da Fred Haiman, con il famoso ” 237″ , che altro non è se non il numero civico della storica boutique (dove adesso però c’è Louisiana Vuitton, che ne ha comprato ,o affittato, lo spazio) e in seguito sono passata al più sofisticato “Touch with love”.

I profumi di Fred adesso si trovano dappertutto, grazie alla grande distribuzione. Per me hanno quindi perso gran parte del loro fascino. Mi piacciono sempre, ma mi divertono meno perché  non sono più così esclusivi.

Quando sono entrata per la prima volta da Bijan, che è considerata la boutique più cara del mondo , mi hanno offerto una Perrier con una fetta di lime. A chi fa acquisti importanti offrono probabilmente dello champagne . Non ci si poteva sbagliare su quale fosse il negozio, perché lì davanti c’era sempre parcheggiata la Bugatti  Veyrondel proprietario Bijan Pakzad. Il suo ” Bijan di Bijan ” con l’inconfondibile tappo bianco che sembra una ciambella mal riuscita, caratteristico più del flacone , è stato per anni  il mio profumo preferito.

“Carolina Herrera” dell’omonima stilista Venezuelana è stata un’altra mia scoperta degli anni 90, ma adesso i suoi profumi li puoi comprare anche online e non vale quindi più la pena di pensarci , perché ormai non sono così speciali come in quegli anni , anche se restano sempre fragranze molto eleganti.

Oggi, senza allontanarsi da Beverly Hills, molti profumi, anche quelli poco conosciuti ma senz’altro notevoli ( e non solo), si possono trovare nel lussuoso The Rodeo Collection per esempio, dove conviene anche pranzare con un bagel al salmone o un classico Club sandwich.

Quando invece si è moderatamente affamati e si vuole avere un trattamento da VIP, si può’ senz’altro scegliere di provare il Ristorante di uno dei grandi Alberghi. A mezzogiorno i prezzi sono ragionevoli, il servizio impeccabile  e i camerieri sono quasi tutti aspiranti attori. Il che  non guasta, da un punto di vista puramente estetico.

Se non volete sforare di troppo il budget, scegliete una di quelle famose  insalate che più o meno sono le stesse in tutti gli States, o un piatto unico  a base di riso, sempre molto abbondante.

Vedrete che il prezzo non supererà quello del calice di Chardonnay o di Chablis che non avete resistito alla tentazione di ordinare. Ma in fondo si era detto “trattamento da VIP”, no?

A noi una volta al ristorante  del Beverly Wilshire hanno dato  addirittura  un tavolo vicino alla vetrata che da sul l’esterno, sul  crocevia di Rodeo Drive con Wilshire Boulevard, probabilmente per  i sacchetti che avevamo con noi venivano tutti dai negozi del Golden Triangle. Ma c’è lo siamo fatto cambiare.

Perché  era al sole o perché l’aria condizionata era troppo alta, non me lo ricordo, ma ci siamo spostati nel patio interno, con i nostri prestigiosi pacchetti è quella riconoscibile aria di borghese eleganza Europea che tanto piace ai Californiani.

Devo dire in tutta onestà che non era niente male neanche lì fuori, con le palme in vaso e i gelsomini tappezzanti , ma mi sono giocata la possibilità di guardare da vicino le Star di passaggio e di farmi vedere da loro. Dovrò tornarci.

Alla fine della giornata della giornata che avrete deciso di dedicare alla conoscenza , o all’approfondimento , di questa zona di L.A. , prima di riprendere la macchina per allontanarvi dal lusso leggendario del quartiere, dove come tutti gli umani , avete fatto più jogging che shopping , ricordatevi di allungare la passeggiata fino all’acciottolato italiano di Two Rodeo, un’aggiunta relativamente recente alla mitica omonima strada.

Questa via ha un’ambientazione che gli Americani insistono a trovare molto Europea, forse perché c’è anche la boutique di Ferre’ .

A me francamente ricorda di più la New Orleans Square di Disneyland . Stessi lampioni.

Dicevo, se l’aver solo guardato le vetrine anziché curiosare all’interno delle leggendarie boutique di Rodeo Drive ( dove si può anche entrare tranquillamente senza obbligo di acquisto un po’ come si fa da noi nei Grandi Magazzini) , vi ha particolarmente affaticato e accaldato, prima di lasciare Two Rodeo, fermatevi da Tiffany.

L’ingresso è libero, i commessi sono tutti eleganti e gentilissimi, troverete veri oggetti di culto in argento a prezzi quasi convenienti e in più tengono l’aria condizionata a palla.

BAGEL AL SALMONE
Ciambelle  kosher per un pranzo veloce

400 gr di farina, 1/4 di litro di latte fresco,50 gr di burro, 1 cubetto di lievito di birra, 1 cucchiaino di sale, 1 cucchiaino di zucchero, 1 uovo intero separato

Per la farcitura : 200 gr di salmone affumicato,200 gr di formaggio fresco,aneto o finocchietto,cipolla tritata,pepe nero macinato, poco succo di limone
Si fa sciogliere il burro nel latte scaldato con lo zucchero, si fa intiepidire e si unisce il lievito sbriciolato. Lo si lascia schiumare leggermente in superficie, quindi si aggiunge l’albume montato a neve. Si unisce gradualmente la farina, poi il sale e si mescola fino ad ottenere un impasto morbido e senza grumi che si lascerà lievitare coperto e al caldo per circa un’ora.

Quando è aumentato due volte di volume, si lavora brevemente e si suddivide in 12 pezzi . Si formano delle palline usando il manico di un cucchiaio di legno si pratica un foro nel mezzo e si allarga facendole ruotare perché assumano l’aspetto di ciambelle.

Si coprono con un tovagliolo e si lasciano lievitare ancora 10/15 minuti.

Si porta a ebollizione abbondante acqua in una pentola capiente , si tuffano poche alla volta e si tolgono dopo 2 minuti con una schiumarola o un ragno.

Si sgocciolano bene e si dispongono su una teglia foderata di carta forno.

Si sbatte il tuorlo con due cucchiai d’acqua e si spennellano.

Si infornano a 180 gradi per 20 minuti e una volta raffreddati, si tagliano a metà e si farciscono con il formaggio fresco (  che può essere Philadelphia, ma anche mascarpone o ricotta ) ,qualche fettina di salmone e si completano con il finocchietto o l’aneto e, se piace, con poca cipolla. Si spolverizza con il pepe e,volendo, si può aggiungere qualche goccia di limone.

Spuntino raffinato e saporito. Molto chic. Decisamente adatto a Beverly Hills.

CREAMED SCALLOPS
Capesante alla panna

12 grosse Capesante, 250 gr di funghi coltivati, 1 piccolo peperone rosso, 2 cipollotti freschi ,1 gambo di sedano, 50 gr di burro, 200 ml di panna da cucina, Tabasco, 1 mazzetto di prezzemolo, sale e pepe bianco, 2 tazze di riso bollito
Si affettano molto finemente i cipollotti e il sedano a cui si sono tolti i filamenti, si taglia a striscioline sottili il peperone privato dei semi, si affettano anche i funghi e si fanno saltare tutte le verdure nel burro.Si prosegue la cottura per una decina di minuti mescolando di tanto in tanto, si condisce con sale e pepe, si aggiungono la panna e poche gocce di Tabasco.

Si lascia sobbollire piano ancora per qualche minuto.

Si lavano e si asciugano le Capesante, si dividono in due in senso  orizzontale  e si fanno insaporire nel tegame con le verdure, per non più di cinque minuti, a fiamma bassa.

Si versa la preparazione sul riso lessato e scolato e si cosparge di prezzemolo.

Gli americani  utilizzano solo le ” noci ” delle Capesante e non cucinano mai il “corallo”.Io pero’ ce lo metto perché per me così è una prelibatezza.

Le Capesante o coquille Saint-Jacques sono dette anche Pettini di mare  .In America quelle pescate nell’Atlantico si chiamano Sea o Bay scallop, mentre quelle del Pacifico pragmaticamente solo Pacific scallop.

CLUB SANDWICH
Il più famoso sandwich d’America 

3 fette di pancarrè tostato da ambo i lati, 4 fette sottili di tacchino arrosto, 2 cucchiai di maionese,3 piccole foglie di lattuga, 4 fette sottili di pomodoro , 4 fette di bacon croccante
Si spalma di maionese una fetta di pane , si copre con la lattuga e ci si mette sopra il tacchino .Si copre con un’altra fetta di pane spalmata di maionese su ambo i lati e si dispongono sopra pomodoro e bacon .Si completa con la terza fetta di pane anche questa spalmata di maionese, ma solo sul lato a contatto con il bacon.Si taglia in quattro diagonalmente ed ogni triangolo si infilza con uno stuzzicadenti decorativo.

Variante della famiglia Avanzi: noi ci mettiamo anche una fetta sottile di formaggio Emmenthal e uniamo alla maionese un cucchiaino di senape tipo Digione e poi lo ripassiamo sulla  piastra o nel tostapane perché si sciolga il formaggio.

Non ditelo agli Americani però,non capirebbero perché abbiamo introdotto questa variante.

Ah, non lasciatevi sfuggire neanche la confidenza sull’utilizzo del corallo delle Capesante, mi raccomando.

I HAVE A DREAM  (sognare non costa nulla)

Tratto da   “U.S.A.  E   JET  ovvero:  Come sopravvivere ai viaggi fai da te in America” Dopo alcuni racconti tratti da ” I tempi andati e i tempi di cottura (con qualche divagazione)” desidero ora proporvi alcuni brani ,scritti … Continua a leggere

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Riso e code di astice

Uno dei piatti più semplici e prelibati che io abbia mai assaggiato, e naturalmente poi riproposto a casa, è un semplice risotto bianco.
Naturalmente c’è un inghippo: in realtà era “avvolto” da due code di aragosta bollite ed era stato cotto con il loro “brodo”, un court bouillon aromatico, profumato e molto raffinato.
Se avete in programma un piccolo festeggiamento per una ricorrenza o un evento a due che richieda una certa classe, prendetelo in considerazione, perché è di una semplicità assurda e se l’occasione consente un budget adeguato, be’ non esitate!
Io ho utilizzato due piccole code di astice surgelate anziché l’aragosta: la misura è perfetta, non c’è scarto, non sono difficili da reperire.

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Un court bouillon perfetto per questo piatto si ottiene portando a ebollizione 2 litri d’acqua insaporita con 1 carota a rondelle, 1 gambo di sedano affettato, 1 cipolla tagliata in quattro, 1 foglia di alloro, i gambi di qualche rametto di prezzemolo, 1 foglia esterna di un finocchio, 1/2 cucchiaino di pepe nero in grani, 1 cucchiaino raso di sale marino grosso e 1/2 bicchiere di vino bianco.
Si lascia sobbollire delicatamente, col coperchio, per circa un’ora, poi si filtra eliminando gli odori, si riporta a bollore e si immergono 2 code di astice surgelate decongelate e sciacquate, di circa 400 gr l’una.
Si fanno bollire per una decina di minuti, poi si lasciano intiepidire nel brodo. Si scolano e si rimuove il carapace tagliando dorso e lato inferiore con il trinciapollo, facendo attenzione a lasciare intera la polpa. Si tengono al caldo.
Si prepara il risotto portando a ebollizione 2 tazze di court bouillon (meglio assaggiare per controllare se c’è bisogno di regolare di sale).
Si versa a pioggia 1 tazza di riso, si scuote leggermente il tegame, si cuoce a fuoco medio per circa 15 minuti, cioè fino a che non avrà assorbito il brodo. Si manteca con 40 gr di burro e 2 cucchiai di succo di limone.
Si accomoda sul piatto da portata esattamente al centro, accanto si sistemano le due code di astice che lo devono “abbracciare”.
Si decora con qualche stelo di erba cipollina tagliata con l’apposita forbicina e si porta in tavola, dove si divide equamente in due piatti.

Facile come dicevo, vero? Ma che risultato!
Il risotto è fatto nel solito modo di cui parlo sempre: senza mescolare e il suo volume deve essere la metà del liquido in cui cuocerà.
Il vino che utilizzo per questo court bouillon profumato di finocchio è il Gewurztraminer, aromatico e signorile. Poi lo servo anche con questo piatto, naturalmente.

Strudel di mele e salsiccia con formaggio Asiago

Vi fidate di me? Allora seguitemi in questa che sembra una follia ed è invece una delizia.
Come dice il titolo, si tratta di uno strudel salato ingannevolmente comune, mentre invece è anticonformista e molto ricercato.
Frequentiamo spesso alcune località del limitrofo Trentino per ossigenarci, fare due passi ai margini delle pinete, rivedere luoghi della nostra giovinezza e nutrirci delle specialità locali.
Il mese scorso, andando a fare rifornimento di funghi e di grappe, abbiamo avuto l’occasione di assaggiare questo strudel salato, che un po’ ricorda quel tortino del post https://silvarigobello.com/2015/09/30/sorpresa-bacon-mele-e-formaggio/. Ma questo è un piatto molto più completo perché c’è la sfoglia, che racchiude ingredienti e sapori aggiunti come in uno scrigno goloso.

Si prepara una pasta elastica e sottile con 300 gr di farina, 100 ml d’acqua, 50 ml di olio extravergine, 1 uovo e 1 pizzico di sale.
Si riuniscono tutti gli ingredienti, si impastano a lungo e si sbatte ripetutamente la pasta sul piano del tavolo per renderla elastica, poi si riprende e si impasta ancora.
Quando è morbida e malleabile si avvolge nella pellicola e mentre riposa si preparano gli ingredienti per il ripieno.
Si lava, si taglia a metà e si affetta una mela Granny Smith oppure un altro tipo sempre dalla polpa croccante, si strofina con 1/2 limone e si mette in una ciotola.
Si fanno rosolare con una noce di burro e 2 foglie di salvia, 4 belle salsicce tipo lucaniche spellate e sbriciolate, si sfumano con una generosa spruzzata di vino bianco, si scolano dal grasso e si lasciano raffreddare.
Si sgusciano una decina di noci e si spezzettano, si affettano sottili circa 200 gr di formaggio Asiago oppure un eccellente formaggio di Malga, si sciacquano e si asciugano un paio di cucchiaiate di mirtilli rossi disidratati.
Si riprende la pasta, si lavora brevemente e si stende sottile con il mattarello dandole una forma rettangolare.
Si appoggia su una teglia coperta di carta forno leggermente imburrata e si praticano dei tagli regolari di 3 cm di altezza da entrambi i lati per circa 1/3 per parte, lasciando intera la parte centrale, l’ultimo terzo, su cui andranno appoggiati a strati gli ingredienti del ripieno.
Guardare la fotografia aiuta la comprensione di questo passaggio, vero?

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Si spalma con 2 cucchiai di miele di castagno la parte centrale della pasta, il terzo che non è stato tagliato, per intenderci.
Sopra si adagia metà del formaggio, si prosegue con le fettine di mela sgocciolate e asciugate, la salsiccia e il resto del formaggio.
Si completa con le noci tritate e i mirtilli rossi.
Si intrecciano con una certa precisione le strisce laterali di pasta sopra il ripieno e si ottiene uno strudel salato, ma non troppo, molto bello ed elegante.

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Si spennella tutta la superficie con una miscela di uovo sbattuto e latte e si inforna a 180 gradi per 40 minuti circa, finché la pasta non risulta bella dorata.

Per realizzare questo insolito strudel salato si può anche ricorrere alla scorciatoia di utilizzare la pasta sfoglia pronta anziché preparare la pasta. Naturalmente si può anche sostituire il formaggio, ma occorrerà sceglierne uno che non fonda troppo per non sciupare l’intreccio con la sua fuoruscita tra le strisce.

Sandwich col pane ai cinque cereali

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Vi vorrei raccontare anche oggi dei nostri sandwich del sabato sera, che quando non siamo fuori o non abbiamo ospiti, costituiscono soprattutto per me, un divertente modo di cenare a fine settimana.
Ieri è stata la volta del pane ai cinque cereali, affettato un po’ spesso, farcito in modo molto saporito.
Si distribuisce su due fette una cucchiaiata di composta di cipolle (https://silvarigobello.com/2015/01/16/composta-di-cipolle-rosse-di-tropea/), si aggiungono 2 fette di prosciutto di Praga, alcune fettine sottili di mela Granny Smith, acidula e lievemente croccante, una foglia di lattuga e si può ritenere completato il sandwich.
Se però ce l’aveste in casa e a noi purtroppo mancava, 2 fettine di provolone piccante in aggiunta, ci starebbero proprio bene.
Buona domenica.

Sandwich a scacchiera

Oggi è domenica: niente ricette ma solo il mini-racconto della nostra cena di ieri.
Ormai sta diventando un po’ un’abitudine in casa nostra quella di chiudere la settimana con un sandwich.
È divertente e poco impegnativo. E si può gustare anche seguendo in TV gli anticipi del campionato di calcio.
Si possono scegliere tutti gli ingredienti che ci piacciono e variare ogni volta.
Volendo stare veramente sul semplice, ieri sera ho imburrato una fetta di pane da toast integrale e una di farina bianca, le ho coperte di emmental tagliato sottile, ho aggiunto del pomodoro e un paio di fette di prosciutto cotto. Ho spalmato della maionese su altre due fette di pane, una bianca e una integrale e chiuso i sandwich.
E siccome, come dicevo, mi volevo divertire, li ho tagliati in 9 cubetti e li ho ricomposti alternando il colore del pane.

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Abbiamo completato la cena con un dessert niente male. Domani vi racconto.

Curry di pollo con anacardi

Di tanto in tanto, ma davvero molto raramente, mi azzardo ad entrare nel mondo della cucina etnica, pratica del tutto disdicevole secondo mio marito, che ha gusti molto filo-europei.
L’occasione è la visita di uno dei figli per esempio, che mi consente di preparare e gustarmi una porzione di profumato, ricco, cremoso e pungente pollo al curry, visto che solo per me non lo faccio di certo.
Nonostante, come dicevo, sia un piatto che cucino raramente, mi piace comunque variarlo sempre un po’, soprattutto per divertirmi.
L’ultima volta, come innovazione, l’ho arricchito con gli anacardi e la consistenza croccante della frutta secca è stata una carta vincente.

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Metto in tegame un po’ d’olio e 1 bella cipolla bianca tritata, la faccio leggermente imbiondire, unisco 1 petto di pollo a cubetti e lo faccio rosolare.
Aggiungo 1 foglia di alloro, 1 manciata di uva sultanina fatta rinvenire in acqua tiepida e poi strizzata, una manciata di anacardi, 1 cucchiaio di curry forte in polvere sciolto in una tazza di brodo vegetale, sale, pepe, 2 chiodi di garofano e del prezzemolo tritato.
Dopo qualche minuto aggiungo 1 confezione di panna da cucina e porto a cottura. Ci vorranno 20 minuti circa, se i bocconcini di petto di pollo sono piuttosto piccoli. Mescolo delicatamente di tanto in tanto.
Se nel frattempo la salsa si è addensata troppo, unisco del latte.
Quando il piatto è pronto lo servo su un letto di rucola.

Questo delizioso piatto vagamente esotico si può servire con un riso pilaf cotto in brodo vegetale arricchito con qualche spezia, come il cardamomo, la cannella, i chiodi di garofano e l’anice stellato, oppure appoggiato su una focaccia di pane azzimo.