LA CUCINA FRANCESE – Tapenade, Soupe au pistou, Pistou (pesto provenzale)

Tratto da ” La Cucina Francese e La Cugina Francese” di Silva Avanzi Rigobello

Capitolo 7 – Vi ravviso, o luoghi ameni ( La Sonnambula di Vincenzo Bellini)

Avevamo timidamente cominciato a fare qualche puntata in Costa Azzurra già il secondo anno di matrimonio, quando siamo andati in ferie a Porto Maurizio, l’altra metà di Imperia, quella balneare, dove mio marito andava in vacanza da adolescente.

Ci siamo ripassati casualmente nei pressi proprio qualche anno fa, quando dovevamo decidere se Alassio sarebbe potuta essere una località interessante dove passare le vacanze e pensate, abbiamo scovato per caso un mercatino dell’antiquariato perfino a Bordighera..

Già che eravamo così vicini a Porto Maurizio, siamo tornati a rivedere la spiaggia, il campo da pallanuoto delimitato dal muraglione del porto, l’albergo dove alloggiavamo e la stradina in discesa per arrivare alla spiaggia, dove ora hanno montato degli ascensori con le pareti di cristallo come a Monte Carlo.

Certo che sono comodi quando si torna su dalla spiaggia, infiacchiti da una mattinata di sole, stanchi dalle rinfrescanti nuotate nel Mar Ligure, non proprio cristallino, trasportando una borsa di paglia appesantita da libri, giornali, solari,costumi bagnati, teli di spugna umidi e pieni di sabbia.

Ma sono cose alle quali facciamo caso adesso , allora invece, nel 1970, affrontavamo quella ripida salita carichi come muli, ma di buon passo, affamati e sempre allegri, tenendoci per mano.

Appena lasciata Oneglia, procedendo verso Occidente, siamo entrati dunque a Porto Maurizio e rivedendo quei luoghi, mi sono ricordato tutto subito ( d’accordo: come al solito).

Ho ritrovato senza sforzo la deviazione per il porto, dove passeggiavamo la sera, mangiavamo un gelato e guardando le barche dei pescatori sognavamo di comprarci un gozzo di legno da portarci sul Lago di Garda per passare le domeniche “bordesando”.

E le sere in cui giocavamo a fingere di voler emulare Braccio di Ferro, giocavamo alla roulette .

Andavamo qualche volta al Casino di San Remo, ma più spesso al leggendario Casinó Municipale di Monte Carlo , anche se era più distante. Adoravamo la sontuosa eleganza del sofisticato ambiente Bella Epoque ( creato dal stesso architetto che ha ideato l’Opèra di Parigi), i soffitti affrescati con maliziosi e opulenti nudi di donna, il sommesso mormorio delle conversazioni, l’inconfondibile suono della pallina, i maestosi lampadari dei Salons Europèens dove ai tavoli della roulette si vincono e si perdono fortune, o si gioca solo l’equivalente di una serata in discoteca.

E sebbene parcheggiassimo il nostro modesto Coupè accanto ai Jaguar, Ferrari, Lamborghini e Maserati, ci sentivamo dei gran fighi.

Sono ricordi di cosi tanti anni fa da sembrare anacronistici e pensare che sono del secolo scorso mette anche un pó di malinconia.

Porto Maurizio era un buon punto di partenza per visitare la Costa Azzurra, ma in realtà siamo andati solo a Nizza e a Cannes, oltre che a Monaco.

In albergo ci davano il cestino con il pranzo e abbiamo consumato il picnic una volta su una panchina del lungomare di Nizza, sotto le palme, e la seconda lungo la Moyenne Corniche, in un giardino nei pressi di Èze, godendoci il panorama.

Anche questo faceva parte del modo di andare in vacanza di quegli anni. Anni giovani,semplici,allegri,curiosi,aperti alle novità, fatti per scoprire luoghi sconosciuti,profumi e sapori dolci e stimolanti.

Ma perchè abbiamo lasciato passare cosi tanto tempo prima di tornare in Costa Azzurra?

E pensare    chre    è talmente bella,elegante,esotica,luminosa, e in fondoanchecosi a portata di mano, che è un vero peccato non approfittarne, come invece hanno fatto grandissimi artisti tipo quei furbacchioni diChagal, Matisse,Renoir, Picasso,Van Gogh, Signac e Dufy, per esempio, che avendo scelto di viverci
Si sono appropriati dei suoi inimitabili colori eli hanno riprodotti nei loro capolavori.

Cézane e Fragonard, che in Provenza sono nati, invece erano dei predestinati.

Ricordo che allora, quando passavamo il confine a Mentone per arrivare a Nizza, a Cannes o a Monaco, dovevamo mostrare le Carte d’Identità ai doganieri, all’andata e al ritorno. Oggi basta munirsi di monete da gettare nei cestini automatici dei caselli autostradali e si puó percorrere tutta la Riviera francese e arrivare, volendo, fino a Perpignan senza che nessuno ti chieda piú “Rien à déclarer?”

Gli ultimi disadorni chilometri della provincia di Imperia,punteggiati dalle serre,si trasformano in panorama non appena si passa il confine, ormai del tutto vortuale.

Sembra incredibile assistere ad un cambiamento cosi radicale, ma questo ai francesi dobbiamo riconoscerlo:  ci sanno proprio fare.

Mentone, distante da  Ventimiglia poco piú di venti chilometri ( e non venti miglia), si puó considerare la periferia di Nizza, perché è una città totalmente diversa  dalle nostre, anche se molti abitanti parlano il dialetto ligure, ma l’atmosfera, i colori, il mercato coperto e gli stupendi giardini, la collocano inequivocabilmente in Francia.

A Nizza abbiamo passeggiato sulla “Promenade des Anglais”, celebre lungomare con molte ville Belle Époque, che fa pensare ad un’autostrada sia per la sua lunghezza che per l’intensitá del traffico e ci siamo fermati ad ammirare la magnifica architettura dell’Hotel Negresco dando unasbirciatina all’immenso salone dove é appeso un lampadario di Baccarat che fu disegnato per lo Zar.

Abbiamo bevuto due caffé espressi, quasi decenti, inCours Saleya, al mercato dei fiori e degli ortaggi e abbiamo comprato un sacco di vasetti di paté di olive,senape rustica, acciughe sott’olio e trecce d’aglio intrecciate, da portare a casa.

Cannes ci era parsa già allora piú raffinata, con negozi e ristoranti piú esclusivi rispetto a Nizza e perfino dal lungomare, il “Boulevard de la Croisette”, si godeva una vista sul golfo che chissà perchè aveva un’aria maggiormente sofisticata. Anche il lussuoso ” Marché Forville”  offriva prodotti locali freschi, ma le teste d’aglio sembravano intrecciate con piú grazia, Abbiamo comprato solo dei mazzetti profumatissimi di maggiorana e origano che durante il viaggio di ritorno hanno peró perso quasi tutte le foglioline.

Per adeguarci all’ ambiente abbiamo bevuto due café crème, che decisamente facevano piú atmosfera “Cotè d’Azur” degli espressi di Nizza.

Se si escludono le puntate serali al Casinó, durante quella vacanza ci siamo fermati a visitare il principato di Monaco solo una volta, soprattutto per assistere alla cerimonia del cambio della guardia, che si tiene tutti i giorni a mezzogiorno meno cinque.

Siamo arrivati in anticipo in cima a “La Rocher”, nello spiazzo alberato di fronte al palazzo dei Grimaldi, massiccio maniero color zabaione che allora ospitava ancora la consorte straniera del Principe Ranieri, con il suo alone di algida bellezza, classe innata, ricercata eleganza, innegabile raffinatezza, e garbo squisito, la cui love story infiamma ancora i cuori dei piú romantici.

Avrete senz’altro riconosciuto Carla Bruni, vero? Ma no, dai, scherzavo: era Grace Kelly ,ovviamente.

Prevedendo  una grande affluenza di  pubblico, se molti altri turisti come noi si fossero lasciati sedurre dalla magia di questa Città-Stato così glamour, insolita e circondata da un alone di romantica decadenza, alle 11 eravamo già in postazione, in attesa della banda e dei carabinieri monegaschi.

Eravamo gli unici, ma pensavamo che presto saremmo stati raggiunti da altri curiosi.

Nell’ora successiva non è  successo niente. Scoraggiati, accaldati e delusi, pensando che la cerimonia fosse stata per qualche motivo rinviata o soppressa, ci siamo allontanati dal Palais du Prince scendendo ripide scalinate tra muri di mattoni.

Solo una volta lasciato Monte Carlo abbiamo realizzato che nel più piccolo Stato del Mondo dopo il Vaticano non era in vigore l’ora legale e quindi ci eravamo presentati con oltre un’ora di anticipo sull’orario stabilito per il cambio della guardia.

Non ci siamo più tornati e non l’abbiamo raccontato a nessuno per il timore di essere derisi.

TAPENADE

300 gr di tonno sott’olio,100 gr di filetti d’acciughe sott’olio, 200 gr di olive nere, 50 gr di capperi sott’aceto, 1 spicchio d’aglio,il succo di mezzo limone, 200 ml di olio.
Tolgo i noccioli alle olive e le frullo con le acciughe, i capperi e l’aglio incorporando un pò alla volta l’olio e il succo di limone.

Scolo il tonno, lo sbriciolo e lo aggiungo all’impasto

Si serve come antipasto con pomodori e uova sode.

SOUPE AU PISTOU

200 gr di fagioli cannellini sgranati, 200 gr di fagioli borlotti sgranati, 200 gr di fagiolini, 400 gr di patate, 400 gr di zucchine, 3 pomodori, 1 carota, 80 gr di prosciutto crudo, sale e pepe , 100 gr di pasta
Metto in pentola entrambi i tipi di fagioli, li copro completamente d’acqua e li faccio sobbollire dolcemente per almeno 1 ora.

Sbuccio le patate e le taglio a cubetti, tuffo i pomodori in acqua bollente,li spello e li taglio a filetti, affetto la carota e le zucchine, trito il prosciutto e metto  tutto nella pentola dei fagioli.

Aggiusto di sale e pepe, mescolo e faccio cuocere altri 3/4 d’ora a fuoco basso rimestanto ogni tanto. Unisco 100gr di pasta corta e porto a cottura. Fuori dal gioco aggiungo il pistou, che è un pesto provenzale, ma ha origini genovesi.

PISTOU

2 spicchi d’aglio, 1 mazzetto di basilico, 2 pomodori maturi sbucciati, privati dei semi e tagliati a cubetti, 30 gr di gruyère, 30 gr di parmigiano, 1/2 bicchiere d’olio, sale e pepe

Frullo tutto assieme e lo aggiungo alla zuppa.

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LA CUCINA FRANCESE  – Scalopes a la créme, coq au vin, soupe aux champignons,tarte tatin

Tratto da “La Cucina Francese e la Cugina Francese ” di Silva Avanzi Rigobello

Capitolo 3-  Viva il vino spumeggiante. ( Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni )

Lasciata Parigi, prima di proseguire verso la Valle della Loira, seconda importante meta della nostra Luna di miele, verdissima e incantata Regione di castelli , stagni e foreste, ci siamo fermati a visitare Versailles.

La visita della reggia di Versailles deve averci in qualche modo impressionato a livello subliminale, perché a distanza di una trentina d’anni abbiamo cominciato ad apprezzare  i mobili e gli arredi un po’ frou-frou cari a due o tre Luigi e a prenderli inpunemente ad esempio nel decorare casa nostra.Dopo essere partiti dai mobili lucidi bianchi e laccati, passando attraverso acciaio e vetro fume’ , seguiti dal rigore dei mobili svedesi in betulla , fino al classico Ottocento incupito da qualche importante pezzo del Seicento, siamo infine approdati al lezioso Settecento, con le sue dorature, i riccioli e le volute e all’eclettico e sfarzoso Napoleone III.

Comunque, sarà che l’esperienza parigina ci aveva fortificati, sarà che l’aver assistito agli spettacoli del Moulin Rouge e del Crazy Horse bevendo ogni volte mezze bottiglie di Champagne ci aveva resi audaci, o più semplicemente sarà che avevamo finito con l’assorbire incoscientemente odori ed aromi delle specialità francesi , fatto sta che in un ristorante del piazzale antistante i cancelli dorati di Versailles, che poteva essere la Locanda del Buon Mugnaio descritta da Alexandre Dumas  (Padre) , abbiamo osato ordinare ” Scalopes à la créme”.

E perfino  due calici di Bordeaux.

É stata un’esperienza che ci ha sdoganato dal timore di nutrirci  con qualcosa che oltre a non essere in grado di pronunciare , non sapevamo nemmeno riconoscere .

É successo tutto d’un botto, come quando da piccolo non sai  leggere l’ora sul quadrante dell’orologio che ti hanno regalato per la Prima Comunione e poi improvvisamente il significato della posizione delle lancette non é più un mistero.

Il mio francese era all’inizio timido e arrugginito, ma le lingue straniere sono come le biciclette: più fai esercizio, più corri veloce. La citazione non deve essere proprio esatta, ma credo che il concetto che ho espresso  non si presti ad interpretazioni  distorte.

A mano a mano che la permanenza sul suolo gallico si protraeva, riuscivo a capire quasi tutto e ad elaborare ed esternare concetti sostanzialmente ricchi di significato.

Insomma, oltre a chiedere correttamente indicazioni per andare alla toilette , a Parigi avevo un dialogo non impegnativo con il giornalaio, con l’addetto alla lavanderia all’angolo (di certo anche lui imparentato con i titolari del nostro albergo di Neuilly ) e con camerieri ai quali avevo avuto il coraggio di chiedere cosa diavolo fossero un “filet Richelieu o il Coq au vin” , capendo le risposte.

Alla fine abbiamo raggiunto  Blois , una deliziosa cittadina feudale che fu la culla della dinastia Capetingia (punto di partenza per visitare Tours e Orléans e soprattutto i castelli della Valle della Loira),  dove ci saremmo fermati mi pare quattro notti in un pittoresco alberghetto  , una costruzione del ‘500 , col tetto di ardesia blu e vista sulla Cattedrale di Saint Louis e sul primo ponte edificato sulla Loira intorno all’anno 1000, devastato dai bombardamenti del 1940 e poi ricostruito.

Non é che li volevo vedere proprio tutti  e 300 i castelli della zona , ma quello che mi ero immaginata  di queste storiche e imponenti magioni, era che si trovassero sulla riva del fiume.

Mi aspettavo insomma che fossero facilmente raggiungibili e che il tour dei Castelli della Loira fosse una specie di escursione come la mini crociera che avevo fatto l’anno precedente per ammirare le Ville Venete della Riviera del Brenta, a bordo del Burchiello. Invece i 300 suddetti castelli , costruiti tra il Medioevo e il XVII secolo, sono in parte situati nella Valle della Loira vera e propria e in parte lungo valli trasversali, spesso sulle rive di altri fiumi.

Comunque, ne abbiamo visitato sei, più quello di Blois. Vi do un’idea veloce delle loro caratteristiche , perché vale proprio la pena di andarci , anche se c’è da spostarsi un pochettino in auto per vederli.

Chambord é un indiscusso capolavoro di raffinato equilibrio tra l’austerità di una fortezza medievale e l’eleganza dell’architettura italiana del Rinascimento;

Azay-le-Rideau, costruito su un’isola al centro del fiume Indre, è a mio avviso il più romantico di tutti, tanto che potrebbe essere servito da modello ai vecchi cartoni animati di certe favole Disney;

Chenonceau, il più visitato dopo la Reggia di Versailles, noto come il Castello delle Dame, sorge direttamente sul suggestivo fiume Cher, che corre per un tratto sotto il salone da ballo ;

Amboise, dalle linee severe , in origine era una fortezza e fu la dimora di Luigi XI, Carlo III, Francesco I e Caterina de’ Medici. A suo interno, nella cappella Saint Hubert è sepolto Leonardo da Vinci;

Chaumont-aur-Loire, che sorge in posizione dominante su una collinetta  e richiede una passeggiata di almeno 15 minuti per essere raggiunto dal parcheggio, ospitò fra le sue mura anche Nostradamus, Benjamin Franklin e di nuovo Caterina de’ Medici , che essendo la regina poteva fare un po’ quello che le pareva , perfino sovvertire , come in realtà ha fatto, le regole francesi dello stare a tavola  e introdurre alcune ricette toscane di cui ora i francesi rivendicano la paternità;

Cheverny è il più spettacolare  e merita senz’altro una visita per l’eccezionale eleganza degli arredi, la ricchezza di dipinti alle pareti e la raffinatezza delle decorazioni.

Infine, il Castello Reale di Blois, che ospitò ben 7 Re e 10 Regine, è un fantastico esempio di architettura eclettica : medievale, gotica e rinascimentale, con alcuni accenni di stile classico . Quello che ricordo ancora è  la magnifica eleganza del maestoso scalone a spirale che domina il cortile e gli stupendi arredi e corredi delle cucine.

Magari per uno dei prossimi anniversari ci torniamo sulla Loira . Si potrebbe inserirla nell’itinerario di rientro dalla Bretagna. La trovo una buona idea , voi che cosa ne pensate? 

Non so però se avrò il coraggio di farmi fotografare di nuovo seduta sulla spalletta del ponte, per non essere costretta a fare brutali confronti con quelle foto in cui sono ritratta col vestitino azzurro sopra il ginocchio e quel l’aria di trepida aspettativa, di fiduciosa curiosità per tutte le cose che di lì in avanti mi avrebbe riservato la vita .

Sapete cosa adorerei? Riuscire a prenotare , come allora, la mezza pensione in quella locanda sulla Loira, se c’è ancora. Era senza grandi pretese, ma accogliente e suggestiva , con in più un ristorante è una cantina veramente notevoli.
Parlo liberamente della cantina perché finalmente i vini francesi ci avevano conquistato. Abbandonata la birra che in pratica ci aveva dissetato durante tutto il soggiorno a Parigi, accompagnavamo ormai con un vino d’eccellenza come il Sancerre bianco, i pasti veloci del mezzogiorno a base di andouillette , terrine maison ed eccezionali formaggi di capra, gli stessi che facevano dire a Rabelais che questa Regione era ” il luogo del ben vivere e del buon mangiare”.

La sera cenavamo in albergo con soupe aux champignons o à l’ognon , hachis parmentier , blancs de volaille Mireille , confit d’oie farci accompagnati da qualche bicchiere di Chinon e finivamo con generose porzioni di tarte Tatin servite con panna fresca e vino Muscadet. 
Probabilmente ci coricavamo un po’ brilli, ma credo che nessuno si aspetti che la caratteristica peculiare della luna di miele sia la sobrietà.

SCALOPES  À LA CRÉME

300 gr di fettine di vitello, 150 gr di spugnole, 30 gr di burro , 4 cucchiai di olio , 1 spicchio d’aglio, 125 ml di panna da cucina fresca, 1 bicchierino di Sherry , 1 spruzzo di Brandy ,sale e pepe bianco.
Faccio imbiondire l’aglio nell’olio, lo elimino, butto nella padella i funghi mondati e li faccio saltare . Regolo di sale e li tengo da parte.

Cuocio nel burro spumeggiante le fettine di vitello, le spruzzo con il brandy , sale e pepe.

Le tolgo dal tegame e le tengo al caldo , aggiungo al fondo di cottura lo Sherry e la panna e faccio restringere a fuoco vivace.

Rimetto i funghi nel tegame, li amalgamo alla panna , impiatto le Scalopes e le copro col sugo.

Queste scaloppine si chiamano anche  Escalopes Savoyarde e vengono bene perfino coi petti di pollo. Se non trovate le spugnole, come richiesto dalla ricetta originale , potete usare  gli champignon , ma sconsiglio i  porcini che tolgono importanza alla salsa. Lo Sherry , naturalmente, si può sostituire con un ottimo Marsala. Insomma potete rimescolare la ricetta a vostro piacimento e avrete comunque un piatto eccellente.

COQ AU VIN

1 pollo tagliato in 8 pezzi, 1 bottiglia di Borgogna, 50 gr di porcini secchi , 200 gr di cipolline, 1 cipolla, 2 spicchi d’aglio, 2 carote, 50 ml di brandy, 50 ml di brodo , 200 gr di lardo, 15 gr di farina, 200 gr di burro , 3 foglie di alloro , chiodi di garofano e pepe nero in grani, 2 cucchiaini di zucchero, olio, pepe e sale, timo e alloro
La sera precedente preparo la marinata. Metto in una grossa ciotola le carote a fette, la cipolla tagliata in quattro, l’aglio, l’alloro, i chiodi di garofano, i grani di pepe, il vino e anche i pezzi di pollo. Copro con la pellicola è conservo in frigo per almeno 12 ore.

Il giorno successivo metto a bagno in acqua tiepida i porcini secchi . Filtro il liquido della marinata , lo metto a bollire in un pentolino e lo riduco della metà. Trito la cipolla e il lardo e li faccio soffriggere con circa 40 gr di burro , strizzo i funghi , li tagliuzzo grossolanamente e li unisco al soffritto , aggiungo i pezzi di pollo sgocciolati , salo ,pepo e li lascio rosolare.

Sfumo con il brandy ,aggiungo la riduzione di vino e lascio cuocere a fuoco medio, coperto, per circa 1 ora.

Intanto verso in un piccolo tegame due cucchiai di olio, le cipolline, lo zucchero, il mestolino di brodo , sale e pepe e lascio cuocere fino a farle glassare .

Tolgo i pezzi di pollo dal tegame e li tengo al caldo, intanto frullo il fondo di cottura , rimestando incorporo a piccoli pezzi il restante burro , che ho miscelato alla farina e rimetto la salsa sul fuoco.

Quando si è addensata, aggiungo i pezzi di pollo e le cipolline , che ormai sono pronte e lascio il tegame sul fuoco ancora 5 minuti, mescolando una o due volte.

Questa versione del Coq ai vin é stata resa più semplice e quindi più moderna. L’originale prevede per prima cosa l’utilizzo di un gallo ruspante dalle carni sode e tenaci , inoltre come in molte altre preparazioni francesi, suggerisce una prima rosolatura del volatile , che poi va tolto dal tegame, nel quale si fanno successivamente cuocere gli altri ingredienti comprese le verdure della marinata, quindi un passaggio in forno, oltre a due cotture separate delle  cipolline e dei funghi champignon freschi. Scegliete voi: sono entrambe ottime.

Fate conto che una potrebbe essere la ricetta di Julia Child  e l’altra quella di Auguste Escoffier. Dovrebbe esisterne anche una terza, molto più antica , risalente ai tempi di Giulio Cesare ( forse durante la conquista della Gallia) che ne era un grande estimatore, ma ne ignoro le fasi di preparazione.

SOUPE AUX CHAMPIGNONS

1/2 chilo di funghi coltivati, 30gr di  funghi secchi , 1 litro di brodo di pollo, 60 gr di farina, 80 gr di burro, 2 scalogni,  2 pomodori pelati, prezzemolo tritato, sale e pepe.
Faccio ammollare i funghi secchi in acqua calda, quando si sono ammorbiditi li trito.

In una casseruola faccio soffriggere  gli scalogni affettati molto sottili in circa 25 gr di burro, aggiungo i funghi secchi e gli champignon a fettine, salo e pepo e li faccio cuocere a fuoco moderato per una mezz’oretta: l’acqua di vegetazione emessa deve evaporare completamente .

Nel frattempo faccio sciogliere il rimanente burro , aggiungo la farina e giro con un mestolo di legno per non fare grumi. Un po’ alla volta unisco il brodo e faccio cuocere per una decina di minuti.

Verso questo composto nel tegame dei funghi, aggiungo i pelati  sgocciolati e tagliati a filetti e proseguo la cottura a fuoco basso per altri  10 minuti .

Insaporisco con sale  e pepe e spolverizzo col prezzemolo tritato .

La porto in tavola caldissima in una zuppiera..

TARTE TATIN

200 gr farina, 100  più 80 gr di burro , circa 75 ml d’acqua gelata , 1 pizzico di sale , 1 chilo di mele golden,  200 gr di zucchero .
Preparo la pasta brisè tagliuzzando nella farina , col sale, 100 gr di burro molto freddo , impasto velocemente con la punta delle dita unendo l’acqua gelata poca per volta. Faccio  un panetto e lo metto in frigo.

Intanto preparo un caramello biondo con 150 gr di zucchero e 2 cucchiai d’acqua , lo verso in una tortiera ben imburrata e sistemo sopra le mele , sbucciate e tagliate a quarti, ben accostate.

Spolverizzo con i restanti 50 gr di zucchero e distribuisco il burro rimasto a fiocchetti . Stendo la pasta con il matterello, l’appoggio sulle mele e la rimbocco tutto intorno.

Inforno a 180 gradi per 30-35 minuti. Quando la pasta è bella dorata la sforno e la capovolgo su un piatto da portata.

In Francia non lo farebbero mai, però io ho provato ad unire allo zucchero che ho sparso sulle mele, un cucchiaino di cannella .

Ho poi servito la torta ancora calda con qualche cucchiaiata di panna montata con lo zucchero a velo. È questo invece in Francia lo fanno : la chiamano crema Chantilly, che da noi invece  è più complessa.

Coast to coast

RICORDI E RICETTE

 

Tratto da ” U.S.A.  E   JET    Ovvero: come sopravvivere ai viaggi fai te in America ”

 

 

Mi ero sempre detta: ” Prima o poi viaggerò per l ‘America in lungo e in largo”. In realtà l’ho fatto soprattutto in lungo, sia sulla S.R.I  Oregon/California che sulla U.S.I  Maine/Florida, strade storiche che percorrono entrambe le Coste degli Stati Uniti da Nord a Sud. E viceversa.

Le mie esplorazioni, anche se non avventurose come quelle del rivalutato Leif Eriksson nel 1000 d. C., si sono spinte sia lungo la Costa Atlantica che lungo la Costa del Pacifico, con qualche modesta penetrazione all’interno ed uno sconfinamento alle Hawaii, ma il mio ” Coast to Coast ” l’ho fatto sempre solo in volo. Non proprio come me l’ero immaginato insomma.

Sebbene gli Inglesi siano considerati i principali colonizzatori dell’America, furono gli Spagnoli i primi ad esplorare la Florida e la California, cioè la parte più meridionale del Paese.

Fu infatti Ponce de Leon che il 2 Aprile del 1513, Domenica delle Palme, scopri l’attuale Florida (The Sunshine State) e la battezzò “Pascua Florida” , in riferimento appunto al periodo Pasquale.

In seguito, proprio lì si dedicò anima e corpo alla ricerca della Fonte dell’Eterna Giovinezza, ma nessun libro di storia racconta se l’abbia mai trovata.

A Disney World c’è ne una riproduzione e io l’ho bevuta l’acqua di quella fontana, ma credetemi, è una bufala : continuo a dimostrare la mia vera età. Forse bisognava farci dentro il bagno.

Il bagno comunque, ma nell’oceano, l’abbiamo fatto qualche giorno dopo a Key West mentre alloggiavamo all’altisonante Casa Marina Beach & Resort Club Waldorf Astoria, l’unico di tutta l’Isola con la spiaggia privata.

Eccezionale premessa, vero? Ma è uno di quegli Hotel di lusso ingannevoli in cui spesso ci siamo imbattuti  in America. Infatti ricordava un po’ un Marriot dove abbiamo dormito a Orlando, che aveva una hall da togliere il fiato, ma le stanze dislocate in costruzioni sparse nel parco, del tutto simili come “architettura” ai condomini dell’Agec.

Key West è raggiungibile con la famosissima e scenografica Overseas Highway, spettacolare Autostrada a doppia corsia tra l’Oceano Atlantico e il Golfo del Messico, che attraversa 34 isole e 42 ponti, alcuni dei quali lunghi più di 10 chilometri e corre a cavallo di uno strabiliante mare aperto e cristallino . Credetemi, guidare fra due Oceani, o quasi, non è cosa di tutti giorni e non si dimentica.

La U.S.I. fu costruita lungo un itinerario ferroviario mai completato a causa della famosa crisi del ’29, i cui binari furono spazzati via nel 1935 da un uragano. Alcuni tratti sono ancora tristemente visibili e vagamente inquietanti.

Le Florida Keiys sono la dorsale emersa di una barriera corallina. Si tratta di un arcipelago di isole e isolotti, che inizia circa 15 miglia a Sud di Miami e prosegue per 240 chilometri, estendendosi ad arco verso ovest.

Vi assicuro che offrono alcuni dei più di panorami marini che io ricordi di aver visto. Si guida circondati da cielo e mare e anche se dall’auto non è possibile accorgersene, sotto la superficie il paesaggio marino è ricchissimo di coralli, aragoste e pesci tropicali.

Per vederli da vicino occorre solo fermarsi a bere un drink a Marathon o a Isla Morada.

Key West è l’ultima di queste isole ed convenzionalmente considerata il punto più meridionale degli U.S.A. , come testimonia il pilone nero, rosso e giallo simile ad una boa, che si trova sulla bella spiaggia di South Beach, in fondo a Duval Street.

Risente fortemente dell’influenza Cubana ed è anche estremamente contraddittoria: narcisista, liberale, pacchiana, raffinata e se vogliamo anche un pochino commerciale comunque non più di Firenze o Venezia, ma come upgrade offre una rilassante atmosfera caraibica  e uno stile di vita lento e informale tra natura e mare, in attesa degli uragani.

Accanto a bellissime ville coloniali ci sono catapecchie col tetto di lamiera, colorati negozi di souvenir ( i migliori vendono spugne naturali), bar turistico/ storici come lo Sloppy Joe e localini anonimi  che propongono vera cucina cubana, ottimi alberghi e motel di dubbia reputazione, boutique che vendono abbigliamento vagamente tropicale, ristoranti anche modesti dove però si mangia benissimo, casette malridotte, con giardinetti invasi dalla vegetazione spontanea.

 

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Per strada si vedono dappertutto banani e palme reali , mi si dice anche galletti in libertà. Quelli non  li ricordo, mi sa che ho visto solo i gatti a sei dita che hanno ereditato la casa di Hemingway.

Sull’isola colpisce soprattutto la romantica architettura delle vecchie case color pastello, con i portici di legno abbelliti dai rampicanti fioriti nei cestini appesi  alle travi un po’ scrostate, le sedie a dondolo e i divanetti di vimini sotto i pergolati e le staccionate bianche che delimitano piccoli giardini pieni di esuberanti piante tropicali.

A Mallory Square  l’incanto dei colori del mare fa da sfondo al famoso tramonto sul Golfo del Messico, che è considerato, a ragione, uno dei più belli al mondo. È un appuntamento a cui non si può mancare, stipati fra improbabili sosia di Hemingway, turisti accaldati e artisti di strada, respirando l’aria piacevolmente salmastra, ma insopportabilmente umida.

 

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E ammirando il “sunset” si bevono rigorosamente Mojito,Daiquiry alla frutta e Cuba Libre, perchè nemmeno all’ora del tramonto si trova sollievo all’asfissiante clima tropicale e all’altissimo tasso di umidità dell’Isola, dovuto alle brevi piogge giornaliere.

Nessuna brezza ristoratrice arriva infatti dal meraviglioso Oceano turchese, tiepido a qualunque ora del giorno, bordato di finissima sabbia bianca da cui ogni tanto spunta una conchiglia conch ( che si pronuncia konk e che è anche il nomignolo dato all’isola), una di quelle che se le accosti all’orecchio senti il rumore del mare. L’unico modo per mitigare il caldo è fare continuamente il bagno, bere intrugli gelati, mangiare frutta tropicale e qualche freschissima fetta di Key Lime Pai.

Visitare Key West è una bella esperienza e la scritta che Cuba è  a sole 90 miglia è un concetto molto esotico, molto caribe , che secondo me sottintende: qui finiscono gli Stati Uniti.

Dove invece gli Stati Uniti sono cominciati è nel New England.

L’abbiamo visitato nel 1997, organizzando un bellissimo viaggio che è iniziato con uno sbarco al Logan di Boston, dove ci siamo fermati qualche giorno poer una visita senza fretta , respirando la civile armonia della città moderna e le antiche testimonianze delle origini dell’America.

Qui si passeggia  letteralmente nella giovane storia Americana, attraverso anguste stradine lastricate che furono percorse dai primi coloni , costeggiando antiche chiese e piccoli cimiteri, attraversando ampi viali con magnifiche case di mattoni rossi dagli eleganti bow window ed elaborati balconi in ferro battuto, o vagando per il Common, il verdissimo parco cittadino con le barchette a forma di cigno nel laghetto, dove agli albori dell’America pascolava il bestiame.

Lì per la prima volta ho visto con stupore un nutrito gruppo di Cinesi praticare con eleganza, sincronismo e coordinazione il Tai Chi, senza ancora sapere in realtà di che cosa si trattasse esattamente.

Bisogna ammettere che il clima di Boston non è proprio ideale, ma se fa freschetto si può sempre scaldarsi con un’eccellente zuppa di molluschi,la famosa Clam Chowder, a cui far seguire una golosa fetta di torta alla crema, la Boston cream pie, orgoglio della città.Giusto per non parlare solo di storia.

 

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Lasciando il Massachusetts, per raggiungere il Maine si imbocca la Route 1, quella che inizia a Fort Kent, al confine con il Canada, e dopo 3846 chilometri termina proprio a Key West.

Superato il confine statale si incontra Kittery, di cui tutti si dimenticano che è il più antico insediamento della regione, perché  adesso è famoso per i numerosissimi outlet che ospita. Magari  state pensando che proprio per questa ragione così consumistica e decisamente poco storica, meriti una sosta.

Ma si, se amate lo shopping fermatevi: vale proprio la pena di ritardare di qualche ora la Maine experience che avevate programmato per fare ottimi acquisti a prezzi di fabbrica.

Percorrere la Costa del Maine significa passare da una tranquilla passeggiata a Perkins Cove o lungo il Marginal Way dalle innumerevoli e rilassanti spiagge sabbiose , all’asprezza di desertici paesaggi marini rocciosi, testimoni della potenza delle onde che aggrediscono i massi già erosi dalla forza dell’Oceano e sembrano voler ostentatamente ignorare la presenza dell’uomo nel loro territorio.

Noi, turisti pigri e amanti del massimo comfort, abbiamo scelto di soggiornare nella zona più elegante e accogliente, la meno selvaggia, quella con i classici edifici rivestiti di assicelle di legno che il tempo muta nell’inconfondibile grigio di quasi tutte le” mansion” del New England e le locande famose per le specialità a base di molluschi e crostacei.

Da York a Kennebunkport, dove avevamo prenotato allo storico, Nonantum Resort, ci sono miglia e miglia di bellissime spiagge e si trova anche la più alta concentrazione di Antique shops, di cui abbiamo già parlato.

Cittadine dal fascino un pò retro sono diventate fin dagli inizi del XX secolo colonie di artisti, ricche di gallerie che espongono dipinti di vecchi velieri o baleniere, fornitissimi empori, deliziosi caffè , un certo numero di Riserve naturali  e anche Walker’s Point ,che è la residenza estiva dell’ex Presidente George Busch. Posso affermarlo perché mi sono informata dopo averlo visto di persona e da vicino.

Non era Dabliu, ma proprio il vecchio George , il marito della Barbara, quello della Prima Guerra del Golfo, il 41 Presidente degli Stati Uniti per intenderci.Mentre faceva jogging con la guardia del corpo , in tuta grigia e walkman con gli auricolari,  si è fermato a prendere non so che accordi con il nostro maitre e ci siamo sorrisi, non perché fosse stato uno dei miei Presidenti preferiti , ma vedendo un anziano che mi pareva di conoscere , mi è venuto naturale. Lo faccio anche qui.

Quando ho incrociato il Presidente Bush era la mattina della partenza per il Vermont. Dopo una colazione a base di pancake ai mirtilli , aspettavamo seduti su stupende Adirondack chairs sotto il portico del Resort , che arrivasse la nuova auto in sostituzione della Lincoln Town Car, di cui la sera prima un sasso ci aveva casualmente danneggiato un finestrino.

Questo inconveniente non ci aveva comunque dissuasi da cenare al Colony , il miglior ristorante della città, dove servono le aragoste fresche ( che in realtà sono astici) più grandi e succulente del New England da intingere in ciotole ipercaloriche  di burro fuso, insieme a zuppe di crostacei, patate al forno, insalate profumate all’aglio, , panini di mais, casseruole di granchi e una grande varietà di molluschi in umido, serviti nelle loro conchiglie.E si finisce con pie di mirtilli , crema e gelato.

Molto più che la visita alla’Arcadia Park è questa che definisco un’autentica Maine experience!

 

 

MOROS Y CRISTIANOS

specialità della cucina creola

 

 

200 gr di fagioli neri secchi, 200 gr di riso parboiled,200 gr di bacon, 200 gr di cipolla,1 spicchio d’aglio, 2 peperoncini verdi dolce, 1/2 cucchiaino di semi di cumino,, 1 cucchiaino di coriandolo secco, peperoncino in scaglie a piacere,pepe nero, sale, 30 gr di burro.

 

 

Si mettono a bagno i fagioli ben sciacquati in una pentola con 1 litro di acqua per tutta la notte.

Il giorno successivo si mette la pentola sul fuoco e si fa cuocere coperto per circa un’ora.

Intanto si fa soffriggere il bacon a cubetti , con il burro , si unisce la cipolla tritata con un spicchio di aglio e si fa rosolare.

Si versa il riso sul soffritto, si sala , si aggiungono le spezie e i peperoncini, quelli non troppo piccanti,affettati sottili.  Si uniscono i fagioli cotti con tutto il loro liquido e si fa cuocere coperto per altri 15/20 minuti a fiamma bassa rimestando di tanto in tanto.

Quando tutto il liquido è stato assorbito si sgrana il riso con la forchetta prima di servire.

Questo, piatto, tipico della cucina cubana, raffigura due popoli e due culture contrapposte che però convivono, rappresentati dai fagioli neri e dal riso bianco.

 

 

KEY LIME PIE

specialità di Key West.

 

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per la crosta: 150 gr di biscotti tipo Digestive frullati, 70 gr di burro fuso, 1 cucchiaino di zucchero.

 

per il ripieno: 4 tuorli,1 scatola di latte condensato zuccherato, 125 ml di succo di lime,buccia di un lime grattugiato finemente.

Si mescolano con cura biscotti, burro e zucchero e si comprime il composto sul fondo di una tortiera  a cerniera imburrata. Si inforna a 180 gradi per 10 minuti.

intanto si incorporano i tuorli al latte  condensato e si diluisce con il succo di lime; si unisce la buccia grattugiata, si mescola con cura e si versa nella tortiera sul guscio  di biscotti.

Si inforna ancora per 15 minuti, poi si lascia raffreddare e si mette in frigo fino al momento di servire.

La mia ricetta è differente: utilizza gli albumi anziché i tuorli, non passa in forno e si mette in freezer e non in frigo, ma questa viene dal ristorante Nine One Five di Key West e magari lì ne sanno più di me. Entrambe comunque si servono con ciuffi di panna  montata leggermente zuccherata.

 

 

LOBSTER BISQUE

Specialita’ del Colony

 

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300 gr di polpa di aragosta bollita o cotta al vapore,2 cipollotti,  2 scalogni, 1 spicchio d’aglio, 250 gr di salsa di pomodoro, 1/2 bicchiere di vino bianco, 4 cucchiai di Sherry, 200 ml di panna da cucina,  250 ml d’acqua calda,1 cucchiaio di salsa Worcester, 1 cucchiaino di Tabasco, 1/2 cucchiaino di timo secco, 2 foglie d’alloro, 1 cucchiaino di paprika, 50 gr di burro,  sale e pepe, 1 rametto di timo fresco.

 

Si fanno saltare in padella  con il burro scalogni e cipollotti tritati con l’aglio grattugiato. Si sfuma col vino, si aggiungono salsa Worcester, timo e Tabasco, si fa soffriggere  ancora 1 o 2 minuti poi si aggiunge lo Sherry. Si uniscono l’acqua, la salsa di pomodoro e l’alloro, si aggiusta di sale e pepe e si insaporisce con la paprika.

Si fa sobbollire per una decina di minuti perché la salsa si addensi leggermente e poi si aggiunge la panna e si completa con la polpa di aragosta tagliata a pezzetti.

Si tiene sul fuoco basso ancora pochi minuti, mescolando, e si serve in piccole ciotole di terracotta cospargendo con foglioline di timo fresco, o se preferite in piatti normali.

Anche di questa ricetta ho una versione diversa, ma non ve la dico: non vorrei inimicarmi proprio lo chef del Colony.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Roma (senza aggettivi, Roma va bene così)

Tratto da ” I tempi andati e i tempi di cottura (con qualche divagazione).”

E chi non è stato a Roma? Ci si va per il  Papa , il Colosseo, Porta Portese, i Musei. Ci si va per lavoro, per turismo, in pellegrinaggio, in treno, in auto, in pullman, in aereo, ma ci si va. E ci si torna.

La nostra prima volta è stato nel ’74 per reperire, nell’Archivio della Sede Centrale dell’allora Banco di Roma in Via del Corso, materiale di supporto e approfondimento per la tesi sperimentale di Tecnica Bancaria in cui Lino stava per laurearsi.

Ci siamo rimasti mi pare quattro giorni, naturalmente lavorativi, durante i quali uno faceva ricerche mirate e l’altra shopping selvaggio.

Fare shopping a Roma in quegli anni era come assistere ad uno spettacolo  del Circo Americano a Tre Piste: non sapevi da che parte guardare per non perderti nemmeno un’opportunità.

Oggi persino Verona offre un sacco di occasioni per gli acquisti, ma allora non esisteva niente di simile alla profusione di negozi di pelletteria, profumeria, abbigliamento, articoli da regalo, complementi d’arredo e casalinghi in cui perdersi, tutti con prezzi assolutamente ragionevoli, spesso ridicolmente bassi, irresistibili. E tutti in centro, così mi muovevo rigorosamente solo a piedi e di tanto in tanto potevo tornare in hotel, in Via del Tritone quella prima volta, a depositare i pacchi.

A pranzo facevo uno spuntino da sola in uno di quei bar per la pausa degli impiegati, locali che a Verona non erano ancora necessari in quanto qui, anche con una sola ora di intervallo, gli impiegati tornavano tutti a casa a mangiare al volo una pastasciutta, che mamme e più raramente mogli, preparavano con incredibile tempismo.

Direi fino alla metà degli anni ’80, a Roma ci siamo tornati una o due volte l’anno, per lo più per Corsi di Aggiornamento e Riunioni Strategiche straordinarie e io aspettavo sempre con gioia queste occasioni.

Roma era allora una città assolutamente vivibile, sicura e rassicurante, allegra e prevedibile.

Negli anni in cui abbiamo dormito dalle Monache della Domus Aurelia andavo in centro su un autobus affollato di gente caciarona  e  disponibile, con la battuta pronta e una certa sfrontatezza mai offensiva, che rendeva il tragitto dalle Mura Vaticane a Piazza Venezia un’esperienza colorita e divertente, nonostante la ressa, la lentezza del traffico e qualche strusciata occasionale quasi educata: più un complimento che una sfacciataggine.

Certo, se il capolinea fosse stato ai Parioli anzichè a Prima Valle magari sarebbe stata tutta un’altra storia.

Ancora oggi torniamo di tanto in tanto a Roma, non di frequente come in quegli anni ma sempre molto volentieri, anche se non facciamo più le cose come una volta, quando stavamo separati tutto il giorno per ritrovarci solo la sera per andare a cena.

Adesso visitiamo insieme i Musei, le Chiese, le Piazze – ah le piazze di Roma – e facciamo shopping consapevole, scegliamo Ristoranti consigliati dalle Guide, ci spostiamo quando serve in taxi e ci ripetiamo spesso ” Ti ricordi? “.
  

Ma non siamo solo noi ad essere cambiati, neanche Roma è più la stessa e paradossalmente è finita con l’assomigliare un po’ a Verona. In entrambe le città ci sono ora i locali che offrono l’Happy Hours e i tramezzini a pranzo, i vuccumprà con le borse taroccate,gli ingorghi anche sulla tangenziale di Verona Nord e non solo sul Grande Raccordo Anulare, i Ristoranti che hanno chiuso e si sono portati via i tuoi ricordi. È un po’ della tua giovinezza.

Roma, comunque, com’era una volta non si potrà mai dimenticarla. C’erano cose a Roma che trovavi solo a Roma.

Nessun’altra città al mondo ti darà mai quelle piccole emozioni che sono destinate a restarti dentro per sempre, quei tesori della memoria nei quali ri riconosci anche a distanza di anni: le azalee di Trinità dei Monti, l’aria dubbiosa in quella foto con la mano nella bocca della Verità , la chitarra e gli stornelli mentre ceni a Trastevere, gli scambi di opinioni coi tassisti, i rigatoni – e non gli spaghetti – alla carbonara, il pizzaiolo egiziano, gli antiquari di Via Giulia, tutti quei chilometri macinati a piedi sulle vestigia delle antiche strade dei Cesari, i pini marittimi in centro fra i ruderi, le colonne abbattute, l’indolente attesa del tramonto sui tetti della terrazza dell’Hotel , sorseggiando l’aperitivo.

E poi il pizzardone, che quando ti sei tolta gli occhiali da sole al tavolino di quel caffè di Piazza Venezia , ti ha fatto uno dei più bei complimenti della tua vita dicendoti: ” Se rimetta l’occhiali sinnò l’arresto. L’occhi sua so’ n’arma ‘mpropria.”  ed é tornato a dirigere il traffico.

Ah, i romani de Roma!

  

POLLO AI PEPERONI

1 pollo tagliato in 8 pezzi,1 bicchiere di vino bianco, 3 peperoni gialli, 300 gr di passata di pomodoro, 1/2 cipolla , circa 1 dl di olio, 4 spicchi d’aglio, abbondante basilico, sale e pepe.

Scaldo il vino ( che naturalmente sarà Frascati, Colli Albani,Marino, Colonna o Est est est. Ma dai scherzavo: va bene anche Soave o Lugana) e ci faccio macerare gli spicchi d’aglio schiacciati per qualche ora. Geniale eh?

Intanto spello i peperoni dopo averli bruciacchiati sul fornello, li taglio a pezzi grossi, elimino semi e filamenti e li cuocio in una padella con poco olio, pepe e sale.

In un altro tegame rosolo i pezzi di pollo a fuoco vivo col resto dell’olio, li rigiro di tanto in tanto e aggiusto di sale e pepe. Dopo circa 20 minuti li tolgo dal tegame e li tengo al caldo.

Nel fondo di cottura faccio imbiondire la cipolla tritata, unisco il vino filtrato e riduco di circa 2/3. Aggiungo la passata di pomodoro, sale e pepe e il basilico spezzettato con le mani.

Faccio restringere il sugo per circa 1/4 d’ora mescolando ogni tanto, poi rimetto il pollo nel tegame, aggiungo i peperoni e lascio sobbollire ancora per una decina di minuti.

Non so fare ne’ i rigatoni con la pajata, ne’ la coda alla vaccinara, quindi vi dovete accontentare del pollo.Abbiate pazienza.

RIGATONI  ALLA CARBONARA

500 gr di rigatoni, 150 gr di guanciale, 2 spicchi d’aglio, 3 uova, 100 gr di pecorino romano, 1 ciuffo di prezzemolo ( chi l’avrebbe mai detto, eh?),  olio EVO, sale e pepe.
Taglio il guanciale a listarelle e lo faccio soffriggere con poco olio e con l’aglio schiacciato fino a quando non risulterà bello croccante, poi elimino l’aglio.

Intanto sbatto le uova col sale e metà del pecorino. Cuocio i rigatoni al dente, li scolo e li verso nella padella in cui ho rosolato il guanciale, abbasso la fiamma e aggiungo le uova a filo.

Mescolo con cura per qualche secondo, distribuisco la pasta nei piatti individuali e cospargo con il resto del pecorino, il prezzemolo tritato e un’abbondantissima macinata di pepe nero.
Abitualmente la carbonara io non la faccio mica così è nemmeno voi immagino, ma è la vera ricetta di come si mangiava in una Trattoria vicino alla Fontana di Trevi , dove andavamo a cena a piedi, che adesso è diventata un Ristorante Cinese.

Prima che cambiasse gestione ci ho mangiato anche i Maccheroncini alla Cubana e le Pennette alla Vodka, quindi dovevano per forza essere gli anni ’80, se questi piatti erano ancora di moda.

Nei paraggi di Portofino

Da “i tempi andati e i tempi di cottura (con qualche divagazione)” Fin dai primi anni del nostro matrimonio abbiamo festeggiato gli anniversari con un weekend romantico si, ma già da allora con un occhio alla cucina. La nostra meta … Continua a leggere

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La scoperta dell’America

da “I tempi andati e i tempi di cottura con qualche divagazione”

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Nel 1985 sono andata per la prima volta negli Stati Uniti
Sognavo di riuscirci fin da bambina , da quando, verso la metà degli anni Cinquanta, nel nostro quartiere abitavano le famiglie dei militari della SETAF di stanza alla caserma Passalacqua e io subivo il fascino esotico di Cadillac, Chevrolet, Buick ,Ford, sconfinate Station Wagon, biciclette super accessoriate, abiti con le sottogonne, guantoni da baseball e ragazzine che sembravano tutte figlie di Doris Day.
Sono tornata negli Stati Uniti altre dodici volte e restano sempre una delle mie mete preferite.
Contrariamente alla maggioranza dei miei coetanei o quasi- tanto per stabilire un punto fisso generazionale vi ricordo che sono del ’47 – non ho mai associato l’idea di “America” a New York.
Per me l’America è la California. Lo è sempre stata. In fondo sono venuta su a pane e Hollywood, data la professione del mio papà e la mia idea di America è sempre stata la West Coast, senza ripensamenti.
Ormai adesso tutti fanno viaggi intercontinentali con molta facilità , spesso a costi competitivi ed estremamente ragionevoli e poi internet – a saperlo usare – ti da’ la possibilità di prenotare voli e alberghi senza passare dalle Agenzie Viaggi e ti consente di accedere sia tour virtuali che a tariffe scontate, ma negli anni Ottanta era tutto un po’ più complicato e molto più avventuroso.
Noi eravamo tra pochi a non scegliere i viaggi organizzati, ne’ allora ne’ mai, anzi proprio “vade retro”!
Per affrontare quel primo viaggio mi ero procurata il maggior numero possibile di depliant e tutte le brochure che ero riuscita a racimolare e sera dopo sera, creavo il mio itinerario, lo modificavo, lo ampliavo o lo riducevo tenendo conto dei desideri e delle esigenze degli altri partecipanti alla nostra avventura, delle mete da raggiungere, dei luoghi da visitare, del chilometraggio giornaliero-anzi del “mileage”- e degli orari dei “domestic flies”, se previsti.
A questo punto ero pronta a confrontarmi vis-à- vis col mio referente dell’Agenzia Viaggi, che alla fine mi consegnava i biglietti aerei, la ricevuta dell’Autonoleggio, il blocchetto di Voucher dei Travelodge e le prenotazioni pre-pagate degli Hotel nelle grandi città, le metropoli, dove non puoi mica dormire nei Motel ,scherziamo?
Il più era fatto , praticamente si poteva partire. Immaginare e comporre come un mosaico quella prima avventura Americana è stato bellissimo. E anche un po’ pionieristico. Quante aspettative, quante illusioni ,quanta eccitazione, quante speranze!
Sono emozioni che riesco a provare ancora, anche adesso che sono cintura nera di viaggi in U.S.A.
Pensate: ogni volta che sbarco a Los Angeles mi manca il fiato.Lo so ,probabilmente non dipende dall’emozione ma piuttosto dal monossido di carbonio presente nell’aria ma, che vi devo dire, per me è sempre una sensazione fantastica.
Sono affetta da una memoria di ferro,che a volte è proprio una maledizione perché non dimentico proprio niente e non riuscendo ad essere selettiva, purtroppo spesso vengo assalita da reminiscenze anche sgradevoli, ma nel complesso riesco a ripescare e rivivere momenti che vale proprio la pena di ricordare.
Di quel primo viaggio in America, il più classico dei cosiddetti Coast to Coast (Los Angeles-San Diego-Las Vegas-Parco delle Sequoia-Monterey-San Francisco-New York) non ho buttato via niente ,nemmeno fisicamente,anche se ho dovuto ridurre la quantità di ricordi cartacei perché entrassero nell’album delle memorabilia,album con poche foto ma tutte le matrici degli ingressi ai Parchi,gli scontrini di Macy’s e di Saks Fifth Avenue, i tovagliolini di carta col logo dei Fast Food- che non erano ancora arrivati in Italia- e perfino le Guide TV. E sono solo degli esempi.
Quello che non sono riuscita a mettere nell’album me lo ricordo comunque:Aldo che si gonfiava, la Fanou che preferiva la “piscine” alla Seventeen Miles Drive, la Melodie che si annoiava a See Word, la felicità di Simone che ha passato il decimo compleanno dentro il Toys “R” Us di Visalia, il mio primo pranzo a base di insalata al Blue Bayou di Disneyland.
Ho vissuto quelle prime tre indimenticabili settimane negli Stati Uniti anche come esperienza culinaria, mentre mio marito si è cibato praticamente solo di New York steak, qualche T-Bone steak e baked potatoes.Solo occasionalmente si è adattato all’assunzione di un sandwich, rigorosamente al prosciutto,ignorando le zuppe e le insalate.
In fatto di cibo era sempre stato molto abitudinario e anche un pochino diffidente.Adesso è cambiato, ampliando enormemente i suoi orizzonti culinari e oggi appoggia con fervore molte specialità gastronomiche prima disdegnate, anche Statunitensi.
Dovreste sentirlo in America, come ordina ormai con disinvoltura e senza grossi errori di pronuncia, Clam chowder,Prime Rib, Pancake,Sea food,Hashbrown e soprattutto steamed,baked o broiled Lobster, il tutto con l’entusiasmo del neofita che è uscito dal tunnel della falsa convinzione che gli Americani mangino solo Hamburger e Hot Dog.

CLAM CHOWDER
(Le dosi sono a tazze perché la ricetta è quella originale)

2 confezioni di vongole surgelate sgusciate, 6 tazze di acqua, 1/2 tazza di bacon tritato grossolanamente, 1 tazza e 1/2 di cipolle bianche tritate, 2 tazze e 1/2 di patate a cubetti, 2 tazze di latte tiepido, 1 confezione di panna da cucina, 1 foglia di alloro, sale e pepe bianco , prezzemolo tritato.

Faccio scongelare le vongole,quelle veraci quando le trovo, filtro il liquido che si è formato nel sacchetto e lo tengo da parte. Sciacquo le vongole e le conservo a temperatura ambiente.
In una casseruola piuttosto grande faccio rosolare il bacon a fuoco basso finché non rilascia tutto il suo grasso e comincia ad abbrustolire ed è allora che aggiungo le cipolle e le faccio cuocere salando appena e mescolando spesso perché diventino morbide ma non colorite.
Unisco il liquido delle vongole, le patate, l’alloro e l’acqua e dopo una decina di minuti aggiungo le vongole e continuo la cottura per una mezz’oretta :le patate devono essere morbide. Verso il latte e la panna e aspetto che la zuppa riprenda il bollore mescolando di tanto in tanto con delicatezza, abbasso la fiamma e faccio cuocere altri dieci minuti.
Elimino l’alloro (non vorrei mai che qualche commensale mangiasse la foglia e poi scoprisse la ricetta!) e la clam chowder è pronta.Regolo di sale e pepe la porto in tavola.

Mi piace servirla in ciotole individuali, cosparsa di prezzemolo tritato e accompagnata dai cracker all’acqua,proprio come fanno nel New England. E anche in tutto il resto degli Stati Uniti per la verità.

CAESAR SALAD

Lattuga romana, 1 spicchio d’aglio,2 cucchiai di succo di limone, 1 cucchiaio di salsa Worcestershire, 1 cucchiaio di senape, 3 cucchiai di panna da cucina, 1 tazzina di olio d’oliva, sale e pepe, parmigiano a scaglie, filetti di alici sott’olio,crostini fritti.

Riduco a crema l’aglio e lo lavoro con la senape, il succo di limone e la Worcester .Un po’ alla volta unisco la panna e l’olio, salo e ottengo un’emulsione ben montata con la quale condisco la lattuga prima lavata e poi spezzettata con le mani.
Mescolo delicatamente e poi cospargo di pepe nero appena grattugiato e di scaglie di parmigiano.
Completo con i filetti d’acciuga e un cucchiaio di crostini e l’insalata e’ pronta.

Negli Stati Uniti la propongono come entree prima del Main course, ma diventa un piatto unico a pranzo se si arricchisce con un petto di pollo alla griglia tagliato a listarelle , oppure con una tazza di gamberetti al vapore.
La panna e’ una variante che preferisco all’uovo crudo o in camicia che spesso si trova nelle ricette originali e che crea una specie di maionese: se volete provate anche questa versione, ma come la faccio io è proprio buona.

Pennino

Copyright by Pennino

Riso e code di astice

Uno dei piatti più semplici e prelibati che io abbia mai assaggiato, e naturalmente poi riproposto a casa, è un semplice risotto bianco.
Naturalmente c’è un inghippo: in realtà era “avvolto” da due code di aragosta bollite ed era stato cotto con il loro “brodo”, un court bouillon aromatico, profumato e molto raffinato.
Se avete in programma un piccolo festeggiamento per una ricorrenza o un evento a due che richieda una certa classe, prendetelo in considerazione, perché è di una semplicità assurda e se l’occasione consente un budget adeguato, be’ non esitate!
Io ho utilizzato due piccole code di astice surgelate anziché l’aragosta: la misura è perfetta, non c’è scarto, non sono difficili da reperire.

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Un court bouillon perfetto per questo piatto si ottiene portando a ebollizione 2 litri d’acqua insaporita con 1 carota a rondelle, 1 gambo di sedano affettato, 1 cipolla tagliata in quattro, 1 foglia di alloro, i gambi di qualche rametto di prezzemolo, 1 foglia esterna di un finocchio, 1/2 cucchiaino di pepe nero in grani, 1 cucchiaino raso di sale marino grosso e 1/2 bicchiere di vino bianco.
Si lascia sobbollire delicatamente, col coperchio, per circa un’ora, poi si filtra eliminando gli odori, si riporta a bollore e si immergono 2 code di astice surgelate decongelate e sciacquate, di circa 400 gr l’una.
Si fanno bollire per una decina di minuti, poi si lasciano intiepidire nel brodo. Si scolano e si rimuove il carapace tagliando dorso e lato inferiore con il trinciapollo, facendo attenzione a lasciare intera la polpa. Si tengono al caldo.
Si prepara il risotto portando a ebollizione 2 tazze di court bouillon (meglio assaggiare per controllare se c’è bisogno di regolare di sale).
Si versa a pioggia 1 tazza di riso, si scuote leggermente il tegame, si cuoce a fuoco medio per circa 15 minuti, cioè fino a che non avrà assorbito il brodo. Si manteca con 40 gr di burro e 2 cucchiai di succo di limone.
Si accomoda sul piatto da portata esattamente al centro, accanto si sistemano le due code di astice che lo devono “abbracciare”.
Si decora con qualche stelo di erba cipollina tagliata con l’apposita forbicina e si porta in tavola, dove si divide equamente in due piatti.

Facile come dicevo, vero? Ma che risultato!
Il risotto è fatto nel solito modo di cui parlo sempre: senza mescolare e il suo volume deve essere la metà del liquido in cui cuocerà.
Il vino che utilizzo per questo court bouillon profumato di finocchio è il Gewurztraminer, aromatico e signorile. Poi lo servo anche con questo piatto, naturalmente.

Zuppa di cipolle

Sono convinta che se la cugina francese Thérèse, quella delle Poires au Chocolat, per intenderci (https://silvarigobello.com/2015/07/16/torta-al-cioccolato-con-pere-affogate/) mi vedesse preparare questa Soup à l’oignon, approverebbe annuendo con eleganza. Sfido, la ricetta è sua! Permettetemi di spendere due parole al riguardo.
Thérèse era una di quelle parentele acquisite che diventano ben presto legami d’affetto molto profondi. Era la sorella della seconda moglie di uno dei figli della cugina “francese” di mia nonna, una di quelle relazioni un po’ complicate che hanno sempre contraddistinto i rapporti con il ramo francese della famiglia della mia mamma.
Personalmente ho sempre accettato con disinvoltura queste liaison tutte francesi per le quali per esempio nonostante avessi solo quattro quarti cugini, potevo contare su sette coniugi e un nugolo di figli tra quelli realmente consanguinei e quelli invece acquisiti con i secondi o i terzi matrimoni.
Io li ho sempre adorati per la disinvoltura con cui d’estate arrivavano in Italia affittando case enormi nelle quali convivevano felicemente queste insolite famiglie allargate, mentre la mia mamma era un po’ scandalizzata della cosa.
Erano altri tempi.
Il divorzio e la zuppa di cipolle non rientravano allora nel nostro quotidiano, ma almeno per quanto riguarda la seconda, la mia mamma decise di fare uno strappo alla sua moralità e imparò a cucinarla. Così ho imparato anch’io.

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Faccio dorare in un tegame capiente dal fondo spesso 2 belle cipolle dorate affettate non troppo sottili, con 30 gr di burro e 2 cucchiai di olio.
Spolverizzo con 1 cucchiaio di farina, mescolo e dopo i primi 5 minuti sfumo con 1/2 bicchiere di birra scura, mescolo e aggiungo 1 cucchiaino di sale, 1/2 cucchiaino di pepe, 1 cucchiaino di zucchero di canna e le foglioline di 1 rametto di timo.
Faccio cuocere coperto, mescolando di tanto in tanto, a fuoco dolce finché le cipolle diventano di un bel colore dorato.
Aggiungo 1/2 litro di brodo e proseguo la cottura per altri 40 minuti.
Imburro 4 fette di pane casereccio, ciabatta o naturalmente baguette e sopra distribuisco 150 gr di formaggio Gruyère e 50 gr di grana grattugiati.
Le sistemo sul fondo di quattro tegamini adatti ad andare in forno e li copro con qualche mestolo di calda e densa zuppa di cipolle.
Inforno sotto il grill finché il formaggio sul pane, che è venuto a galla, non risulta perfettamente gratinato.

Ci sono molte altre interessanti ricette per preparare la conosciutissima Soupe à l’oignon, la nostra prevede l’uso della birra perché la famiglia di Thérèse era di origine Alsaziana.
Molti piatti alsaziani infatti hanno fra gli ingredienti proprio la birra.

Risotto con porcini e castagne (o marroni)

La ricetta di oggi è in fondo il frutto di un’elaborazione del ripieno di uno dei miei arrosti stagionali, al momento non saprei precisare quale, ma in uno almeno, se non due sono presenti gli ingredienti di questo risotto morbido, dal sapore pieno e una piacevole consistenza che sorprende ad ogni boccone: i funghi e le castagne, o più precisamente i porcini e i marroni.

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La realizzazione della ricetta può apparire complessa e in fondo lo è, ma se si esaminano le preparazioni dei due ingredienti principali, ci si rende conto che si possono, anzi si devono, eseguire in tempi diversi, riuscendo così a diluire l’impegno.

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Comincio lessando dei bei marroni locali, che si acquistano proprio in questi giorni alle varie fiere delle località prealpine della Lessinia, non le castagne, che come ci ha di recente ricordato Simona di Grembiule da Cucina, sono più difficili da sbucciare, anche se sono più dolci.
La quantità di marroni da utilizzare è a discrezione.
Per questa ricetta di risotto per due persone, giusto per darvi un’idea, ne ho usati 8, numero che si può aumentare o diminuire, ma a me è parsa una quantità equilibrata.
Finché bollivano, ho mondato e affettato degli stupendi funghi porcini e li ho cucinati brevemente con aglio, burro, olio, scalogno e prezzemolo, nel solito, classico modo insomma.
Ne preparo in genere molti più di quanti non me ne servano per la ricetta del risotto di oggi perché poi li utilizzo anche in un ripieno o come contorno, non occorre deciderlo sul momento: come i marroni, i funghi sono talmente versatili da non costituire un problema se ce ne sono in abbondanza, no?!
Una volta sbucciati i marroni, li tagliuzzo in 4-5 pezzi e li faccio insaporire nel tegame dove ho travasato 2 generose cucchiaiate di porcini trifolati e tengo tutto al caldo.
Preparo il risotto con 2 tazze di brodo nel quale verso una tazza di riso appena arriva a bollore e lo porto a cottura senza mai mescolare.
Quando è cotto ed ha quindi assorbito tutto il liquido, fuori dal fuoco aggiungo, burro, parmigiano, il sugo di porcini con i marroni, mescolo e servo spruzzato di prezzemolo tritato.

Credo che chi mi conosce non si stupirà più del mio modo di cucinare il risotto, comunque se non vi piace, suggerisco di prepararlo come fareste un comune risotto con i funghi aggiungendo le castagne alla fine, al momento di mantecare.
Mi sono resa conto che in quest’ultimo periodo, salvo rarissime eccezioni, non ho mai cucinato la pasta.
Sarà che il non averlo mai preparato per tutta l’estate mi è mancato molto, dunque non faccio che utilizzare per i miei primi piatti asciutti il riso anziché la pasta e mi sa che il blog ne potrebbe risentire perché potrei essere un po’ ripetitiva.
Spero che non succeda perché i risotti consentono una tale varietà di ricette che sarebbe un peccato non parlarne.

Tortelli di zucca dal cuore delicato

Questa è la vera stagione dei ravioli (o tortelli) di zucca, che però io mangio con la stessa soddisfazione in qualunque periodo dell’anno.
I miei preferiti sono quelli classici alla mantovana, che ho proposto a gennaio dell’anno scorso (https://silvarigobello.com/2014/01/14/i-tortelli-alla-mantovana-ossia-i-ravioli-di-zucca/), ma non tutti amano il sapore particolare del ripieno arricchito dalla mostarda di frutta, che sia la mantovana di mele cotogne affettate sottili, che ovviamente è la più adatta a questa ricetta, oppure la cremonese con la frutta candita intera, o la vicentina con mele, pere, buccia di arancia e di limone e cedro candito.
Mia nuora fa infatti una versione molto delicata del ripieno, che incontra i gusti di chi ama sapori meno intensi e decisi, pur apprezzando i ravioli di zucca, per esempio mio figlio.

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Per questi ravioli occorre mondare e tagliare a fette almeno 1300 gr di zucca, che va messa ad asciugare in forno finché la polpa non si stacca dalla buccia.
Mentre è ancora calda si recupera con un cucchiaio, si versa in una ciotola e si riduce a crema.
Si insaporisce con una bella presa di sale e un cucchiaino di cannella, anziché la tradizionale noce moscata. Si aggiungono 50 gr di amaretti pestati nel mortaio, 150 gr di parmigiano grattugiato e se il composto non fosse abbastanza asciutto 1-2 cucchiai di pane grattugiato fine.
Si prepara la pasta con 300 gr di farina e 3 uova. Si tira la sfoglia piuttosto sottile e si adagiano a distanza regolare dei mucchietti di ripieno, aiutandosi con un cucchiaino.
Si richiudono le strisce ripiegando sopra l’altra metà della sfoglia, si preme bene tutto intorno al ripieno perché esca l’aria e la pasta si sigilli e si tagliano con l’apposita rotella dentellata.
Come sempre, il modo migliore per gustarli è con burro e salvia.

Come dicevo, questo ripieno ha un sapore più delicato di quello tradizionale che farcisce i ravioli alla mantovana ed è deliziosamente gustoso senza essere aggressivo.