El riso co’ l’ua: un insolito risotto con l’uva

Quando il 22 gennaio ho postato la ricetta dei “saltimbocca di sardine” vi ho accennato alla formidabile signora Filomena, ve la ricordate?
Dunque riprendiamo da lì.
Vi raccontavo che quando ero piccola, ma proprio piccola piccola, andavamo “in villeggiatura” al mare in provincia di Venezia, sul litorale del Cavallino, in un isolato casale in mezzo ai vigneti.
Era una costruzione tozza a un piano, separata da una spiaggia infinita e bellissima solo da un centinaio di metri di dune che impedivano la vista del mare.
Era la fine degli anni Quaranta, il mio papà aveva una Balilla nera (prima della serie infinita di FIAT Millecento) e l’Autostrada A4, la Serenissima, non passava ancora per Verona ma la si doveva imboccare a Padova per uscire al Casello di Mestre.
Alloggiavamo in questa sorta di Pensione familiare dove anche gli ospiti paganti mangiavano quello che veniva cucinato per la famiglia, a sorpresa.
A sorpresa perché tutto dipendeva dalla pesca della notte precedente, dalle verdure raccolte nell’orto posteriore, dalla produzione di uova delle galline e dall’estro della signora Filomena.
Era tutto insomma un po’ avventuroso: quando tornavi dalla spiaggia non avevi idea di cosa ci sarebbe stato in tavola.
Finiva a volte che si mangiasse solo polenta con le seppioline, ma a volontà, oppure teglie traboccanti di vongole e telline col sugo di pomodoro in cui intingere fette morbide di pane bianco, scampi e calamari appena fritti o immense omelette con zucchine, pomodori e cipolle, spaghetti con le cozze, cotolette di asià o grosse fette di formaggio fresco locale (la Casatella) dopo un risotto di pesce.
O un risotto con l’uva, che era il mio preferito.
Mi piace ancora, ma non ho quasi mai il coraggio di proporlo, forse perché di gusto troppo amarcord, un piatto decisamente da primo dopoguerra, però così particolare che oggi potrebbe essere considerato addirittura sofisticato.
Volete saperne di più, vero?

20140205-190231.jpgSi fa soffriggere in 30 gr di burro 1 piccola cipolla tritata, si aggiungono 150 gr di lardo (o di pancetta), tritato grossolanamente e si fa rosolare con 1 rametto di rosmarino, che poi si elimina.
Si versano 350 gr di riso, si sfuma con 1 bicchierino di grappa e si cuoce aggiungendo del brodo, come al solito.
Intanto si tagliano a metà i chicchi di un grappolo d’uva bianca (o rosata) di circa 300 gr e si eliminano i vinaccioli.
A cinque minuti dal termine della cottura si uniscono al riso e si prosegue aggiungendo eventualmente il brodo che serve, finché il risotto non è pronto.
Come sempre, fuori dal fuoco si manteca con altro burro e abbondante Parmigiano grattugiato e si insaporisce con molto pepe nero macinato al momento.

Come faccio spesso, anche oggi vi ho rifilato una ricetta della memoria, che magari solo per me ha un senso.
Vi inviterei comunque ad assaggiarlo e a proporlo ai vostri ospiti come un sofisticato e insolito risotto, dati gli ingredienti particolari e curiosi: i miei rimangono sempre molto colpiti dalle mie ricette. E anche dai miei racconti.
Dato però che non è stagione di uva nostrana, perché non provare a sostituire i 300 gr di uva con due grosse mele Royal Gala, sode e profumatissime?
Io l’ho fatto e secondo me nemmeno la signora Filomena ci avrebbe trovato niente da ridire!

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Al lardo! Al lardo!

Al lardo, al lardo?!
No, in effetti sarebbe: “Al ladro, al ladro!” ma dato che oggi voglio parlare di un controfiletto insaporito dallo squisito lardo d’Arnad e non temendo nessun furto, mi sono voluta divertire con un piccolo gioco di parole!
Al contrario sarò molto felice se anche questa ricetta verrà stampata, trascritta, salvata, “rubata” e riutilizzata!
Il controfiletto al lardo è un piatto succulento e saporito che ho mangiato in Valle d’Aosta, come la carbonada di filetto e l’arrosto di girello, robusti piatti montanari pieni di personalità e molto ghiotti.
Piatti adatti alla stagione, che in genere vengono accompagnati da una bella polenta morbida arricchita spesso di formaggio fontina a cubetti, una vera goduria.

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Si stecca un pezzo intero di controfiletto di manzo del peso di 8-900 gr con 2 spicchi d’aglio a filetti e 150 gr di lardo d’Arnad tagliato a bastoncini, praticando dei fori nella carne con un coltello dalla lama sottile.
Si dà qualche giro di spago da cucina perché resti in forma e si fa insaporire in tegame con 3 scalogni affettati sottili e 2 rametti di rosmarino.
Si sala appena, si aggiusta di pepe, si sfuma con 1 bicchiere di vino bianco, si aggiunge 1 mestolo di brodo e si procede nella cottura a fuoco dolce, con il coperchio, per una mezz’ora circa, rigirando la carne un paio di volte e irrorandola di tanto in tanto col suo sugo.
Una volta cotta, si toglie dal tegame e si tiene in caldo. Nel frattempo si filtra il sugo, si deglassa aggiungendo un bicchierino di Cognac, si fa evaporare e si cuoce ancora per qualche minuto a fuoco vivace.
Si affetta la carne e si serve coperta di sugo ben ristretto.

Con o senza polenta, varrebbe proprio la pena di farlo per gustare un piatto ghiotto e succulento che ci rallegri un po’ in questi giorni di tedioso febbraio umido e ventoso.

Scorzette d’arancia candite

Ogni anno preparo un paio di volte, d’inverno naturalmente, le scozette d’arancia candite che si possono conservare anche qualche mese in un contenitore ermetico di vetro o di latta.
Da noi però non durano qualche mese, perché piacciono talmente che finiscono in un lampo.
Una volta che ci si è procurati delle belle arance non trattate con la buccia spessa, con pochi gesti si ottengono questi deliziosi dolcetti che, al naturale o intinti nel cioccolato fanno una bellissima figura nel vassoietto delle friandises da servire col caffè.

20140221-101934.jpgSi eliminano con un coltellino le due estremità di 3 belle arance con le caratteristiche che si diceva prima.
Si taglia la buccia a listarelle larghe circa 1 cm e 1/2, si staccano con delicatezza e si mettono in un tegame coperte di acqua fredda.
Si portano a bollore e dopo 1 minuto si scolano. Si rimettono nel tegame e si ripete questa operazione altre 2 volte, per eliminare tutte le impurità.
Con 300 gr di zucchero e 1/2 litro d’acqua si prepara uno sciroppo, ci si versano dentro le scorzette, si aspetta che si alzi il bollore, si abbassa il fuoco e si mescolano delicatamente con una forchetta.
Occorrerà circa 1/2 ora perché diventino lucide e trasparenti e assorbano tutto lo sciroppo.
Aiutandosi con la forchetta si scolano una ad una e si appoggiano su un foglio di alluminio o di carta forno dove si lasciano asciugare completamente.
A questo punto si possono conservare in una scatola di latta o in un barattolo di vetro, oppure fondere del cioccolato e intingervi le scorzette fino a metà, farle asciugare un’altra volta e finalmente riporle.

Dolcetti così, che ormai bisogna sbrigarsi a preparare finché ci sono ancora le arance in commercio, oltre a bocconcini gratificanti in qualunque momento della giornata, diventano un simpatico pensiero per un’occasione non impegnativa, come una visita pomeridiana a un’amica. Basta semplicemente impacchettarli in un cono di cellophane chiuso da un nastrino di rafia.
Acquistano importanza invece se li confezionate in vecchie scatole di latta o su vassoietti di porcellana. In questo caso li potete anche portare se siete invitati a una cena.

Fiori di zucca ripieni (Fleurs de courgette farcis)

Prima di vendere il negozio, cioè fino al 2000, ogni anno ad aprile andavamo al Salone dell’Alta Orologeria di Ginevra per visionare e acquistare le novità in fatto di orologi e cronografi, ospiti di una delle prestigiose Case produttrici di cui ero concessionaria.
La cucina Svizzera, poco nota e ancor meno menzionata, è invece molto raffinata e in grado di accontentare tutti.
A Ginevra abbiamo mangiato per esempio della semplice carne alla griglia però accompagnata da salse incredibilmente golose (che non hanno niente da invidiare a quelle francesi) sia al Ristorante Le Carnivore nella città vecchia, che a Le Relais de l’Entrecôte, sul lungolago.
Abbiamo pranzato con Fonduta al formaggio e Carne Secca dei Grigioni e cenato al prestigioso Chat Botté, all’interno dell’Hotel Beau Rivage, dove l’antipasto era costituito da deliziosi fiori di zucca ripieni di una brounoise di verdure e filetti di pesce persico, eccellenza del Lago Lemano.

20140219-021424.jpgMagari in un’altra occasione approfondiamo i segreti dell’arte culinaria elvetica, oggi mi limito a segnalarvi la mia versione della ricetta dei “Fleurs de courgette farcis” per i quali vi occorreranno:
12 piccole zucchine col fiore
4 filetti di pesce bianco (orata, branzino, sogliola)
2-3 cucchiaiate di verdure miste tritate come per il classico soffritto
200 gr di ricotta
1 uovo
prezzemolo tritato
zafferano in polvere
sale e pepe
burro e olio
Stacco i fiori dai gambi e li lavo delicatamente.
Taglio a dadini molto piccoli la parte verde delle zucchine e li faccio saltare in poco olio con sedano, carota e cipolla tritati.
Intanto frullo con l’uovo e la ricotta i filetti di pesce a pezzetti. Mescolo questo composto con le verdurine, aggiusto di sale e pepe, incorporo il prezzemolo, aggiungo una bustina di zafferano e farcisco con delicatezza i fiori, ai quali ho tolto il pistillo.
Li sistemo in una teglia antiaderente unta con 1 cucchiaio di burro, condisco con un altro giro d’olio, salo appena e cuocio col coperchio per circa 15 minuti.

La ricetta originale prevede di utilizzare nel ripieno il pesce persico del Lago Lemano, ma non amando particolarmente i pesci d’acqua dolce, preferisco usare per la farcia uno qualunque dei pesci citati.
Vanno bene eventualmente anche i filetti di merluzzo.
Una porzione abbondante costituisce per noi praticamente il pranzo di mezzogiorno.
Siate sinceri: chi direbbe che questa bontà è una ricetta Svizzera?

Filetto di maiale

Il filetto di maiale è un altro di quegli ingredienti che coniugano felicemente sapore ed eleganza.
Presenta inoltre a mio avviso anche alcuni vantaggi rispetto al più blasonato filetto di manzo, oltre al prezzo decisamente inferiore.
Non crea infatti ansia da prestazione in quanto non ha bisogno di restare, come minimo, rosa al centro, ma può essere tranquillamente cotto come i normali arrosti.
Ha inoltre un peso e una dimensione che consente di ottenere belle fette di misura contenuta, facili da tagliare in eleganti medaglioni e da ultimo è molto gustoso e nonostante sia un taglio decisamente magro, resta sempre morbido.
Detto questo, passerei alla ricetta di oggi, che mi pare appetitosa e di facile esecuzione.

20140222-111447.jpgSi pestano nel mortaio 1 cucchiaino di bacche di ginepro e si uniscono a 1 cucchiaino di cannella in polvere e a 1 abbondante macinata di pepe nero.
Si spalma di senape un filetto intero di maiale del peso di circa 800 gr e si fa rotolare nel composto aromatico facendolo aderire bene alla carne.
Si avvolge in circa 150 gr di fettine sottili di speck leggermente sovrapposte e si lega con qualche giro di spago da cucina.
Si fanno imbiondire in olio e burro 3-4 spicchi d’aglio schiacciati, si eliminano e si fa rosolare la carne a fuoco vivo.
Si sfuma con 1/2 bicchiere di Vermut Bianco, si lascia evaporare e si prosegue la cottura a fuoco dolce per una mezz’oretta.
Si sala appena, si elimina lo spago, si lascia riposare qualche minuto, si affetta e si serve coperto con il suo sugo, meglio se insieme ad un purè di patate e a una salsa di mele.

Perché la scelta del Vermut? Perché è meno deciso del Marsala e conferisce alla carne di maiale un sapore leggermente più aromatico e meno dolce.
Se non vi piace l’aroma affumicato dello speck potete usare il prosciutto crudo o la pancetta Piacentina, ma secondo me ci sta bene perché un po’ tutta la ricetta ricorda i piatti Trentini o Altoatesini.
La salsa di mele è un classico per accompagnare gli arrosti di maiale ed è anche semplice.
Io la faccio così: sbuccio e taglio a spicchi sottili 2-3 mele renette. Le faccio rosolare in 40 gr di burro a fuoco alto perché si dorino bene. Le sfumo con 1 bicchierino di grappa, lascio evaporare, aggiungo 1 cucchiaino di zucchero di canna, 1 pizzico di sale, 1/2 cucchiaino di senape in polvere e termino la cottura.
Servo questa salsa a parte, bella calda, insieme al filetto di maiale.

Crème brûlée

Adoro tutti i dolci che hanno come componente la crema pasticcera: dai krapfen ai pasticciotti, dalle crostatine di frutta ai bignè, dalla torta della nonna al diplomatico.
E questi sono solo alcuni dolci di tradizione, poi c’è la Torta degli Avanzi per riciclare il panettone e il golosissimo El Pules che sono tipici di casa nostra e in fine la leggendaria crema fritta della zia Celina, di cui parlo anche nel mio libro, e la crème brûlée, che considero vere preparazioni “in purezza”.
La crema pasticcera insomma è un vero atout.
Un po’ alla volta magari parliamo anche degli altri dessert, ma oggi è la volta della mia crème brûlée.

20140219-143513.jpgFacile.
In una casseruola mescolo insieme 4 cucchiai di farina, 4 di zucchero, la buccia grattugiata di 1 limone e 1 pizzico di sale.
Poi poco alla volta diluisco con 1 litro di latte, attenta a non fare grumi. Aggiungo 4 uova, una alla volta, incorporandole bene al composto e lo metto sul fuoco.
Aspetto che si alzi il bollore e lascio cuocere per una decina di minuti a fuoco dolcissimo, mescolando continuamente con la frusta.
Quando la crema è cotta, la verso in una pirofila e la lascio raffreddare completamente, poi la passo in frigorifero per almeno 3-4 ore.
A questo punto la base è pronta.

Una parte la taglio a losanghe, la impano nel semolino e rosolata nel burro diventa la crema fritta, ma questa è un’altra storia.
Il resto lo divido nelle porzioni di cui ho bisogno, le posiziono sui piattini da dessert, le cospargo di zucchero di canna e col cannello caramellatore ottengo una deliziosa crosticina bruciacchiata. Brûlé, appunto.
Le servo sempre con i frutti di bosco, che con la loro acidità mitigano la dolcezza, altrimenti lievemente stucchevole, della crema.

Pasta e fagioli senza pasta

20140129-182542.jpgCon questa ricetta concludo la trilogia della pasta e fagioli.
Dopo quelle “con” (le cotiche e le cozze) oggi una ricetta “senza” (pasta).
La mia ricetta infatti non contempla l’uso della pasta, ma diventa cremosa grazie all’aggiunta delle patate.
Per questa minestra (come per qualche altra) utilizzo la pentola a pressione, ma chi non l’avesse o non fosse abituato ad usarla, può seguire la stessa ricetta allungando solo i tempi di cottura a due ore circa.
Procedo in questo modo: affetto sottilissima 1 bella cipolla bianca e la faccio appassire con qualche cucchiaiata di olio senza farla colorire, nella pentola a pressione, che avendo il fondo molto spesso facilita questo primo passaggio. Salo un po’ subito così, come dico sempre, la cipolla emette la sua acqua e resta morbida.
Con pazienza, mescolando di tanto in tanto ed eventualmente aggiungendo qualche cucchiaiata d’acqua, aspetto che la cipolla diventi trasparente. Ci vorranno 20 minuti circa.
Non abbiate fretta, è proprio la lunga e lenta cottura della cipolla che dà a questa minestra un ricco sapore d’antan.
Aggiungo adesso 100 gr di pancetta tritata (o di grasso del prosciutto), gli aghi di 1 rametto di rosmarino, 2 patate a cubetti e 300 gr di fagioli secchi di Lamon, sciacquati accuratamente e lasciati a mollo tutta la notte in acqua fredda.
Unisco 1/2 litro di brodo vegetale, chiudo la pentola a pressione e a partire dal fischio faccio cuocere per 40 minuti. Spengo e lascio la minestra a continuare la cottura fuori dal fuoco per un’altra mezz’oretta.
Apro il coperchio, col minipimer a immersione frullo la minestra, che deve risultare molto densa e cremosa e la servo con formaggio parmigiano grattugiato e crostini fritti nell’olio passati a parte.

Questa dunque non è una ricetta tradizionale in senso stretto, ma è la ricetta della mia famiglia. Si è sempre fatta in questo modo e da più o meno 50 anni sempre in pentola a pressione.
Riproporla nel blog è il solito modo affettuoso per condividere e ricordare.

Oggi gratiniamo gli spaghetti allo scoglio

Ieri sicuramente tutti avete fatto quei favolosi spaghetti allo scoglio con una punta di zenzero che li ha resi speciali, vero? (Dai, ditemi di sì, così mi sento gratificata!)
Non solo, ma ne avete fatto di sicuro la quantità prevista per 6 persone mentre eravate solo in 4. (Vi prego continuate ad assentire!)
Quindi siete rimasti con due belle porzioni, che avete conservato in frigorifero e oggi siete sul punto di stupire il partner con una preparazione formidabile.
Pronti a gratinare con successo gli spaghetti preparati in più? (Rispondete affermativamente con grande entusiasmo, vi prego)
Questo è il risultato finale e vi spiego in due parole come arrivarci.

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Si aggiungono semplicemente agli spaghetti 1 uovo leggermente battuto con 50 ml di panna, 1 pizzico di sale, 1 cucchiaino di curry e dell’erba cipollina tagliata sottile.
Si mescolano, si arrotolano con un forchettone e si distribuiscono in due coppapasta, oliati e passati col pangrattato, appoggiati su una teglia coperta di carta forno.
Si decorano con qualche cozza, vongola e gambero tenuti appositamente da parte, si spolverizzano con altro pangrattato e si infornano a 200 gradi per non più di una decina di minuti.
Con l’aiuto di una paletta si fanno scivolare sui piatti, si solleva con attenzione il coppapasta, si decorano con un rametto di prezzemolo e si servono.

Questo è un escamotage da tener presente ed adottare anche quando si hanno ospiti e pur volendo offrire gli spaghetti allo scoglio, si desidera partecipare alle conversazioni in sala da pranzo senza essere relegati in cucina a cuocerli e a farli saltare in padella all’ultimo momento.
Già nel tardo pomeriggio si prepara tutto come se si dovessero servire da un momento all’altro, invece si infornano solo quando si porta in tavola l’antipasto.
Pensateci su perché secondo me è davvero un’ottima idea.

Spaghetti allo scoglio o alla pescatora?

Come spesso mi capita, non sempre colgo la differenza tra le denominazioni diverse di alcuni piatti che si somigliano molto.
Mi era successo con il brasato all’Amarone, ricordate? L’altro venerdì infatti mi chiedevo: brasato, stracotto o stufato?
Oggi è la volta di questi formidabili spaghetti con un interessante sugo: ma sono allo scoglio o alla pescatora?
In qualunque modo siate abituati a chiamarli, comunque eccoli qua, tali e quali a quelli che fate voi.

20140208-212348.jpgIo comincio facendo spurgare per qualche ora 300 gr di vongole e poi sciacquandole, pulendo 300 gr di cozze dalle incrostazioni e dalla barba, scartando i molluschi con il guscio rotto e facendo aprire a fuoco vivace le une e le altre.
Sguscio tutti i molluschi tenendone da parte solo alcuni per la decorazione finale dei piatti, filtro i liquidi che hanno emesso e tengo tutto da parte separatamente.
Faccio imbiondire in un tegame molto capiente 2 spicchi d’aglio schiacciati e 1 peperoncino intero, che poi elimino, e aggiungo 300 gr di calamari puliti già tagliati ad anelli (non amo molto i ciuffi) e sfumo con 1/2 bicchiere di vino bianco.
Lascio cuocere per una decina di minuti, li scolo con un ragno e li tengo al caldo.
Taglio a metà 300 gr di pomodori ciliegino e li faccio appassire per un minuto nello stesso tegame con 4 cucchiai di olio. Non devono spappolarsi.
Aggiungo 300 gr di code di gambero sgusciate e le faccio saltare a fuoco vivo coi pomodorini.
Sono pronte appena cambiano colore. Non occorre farle cuocere di più altrimenti diventano gommose.
Nel frattempo lesso al dente 500 gr di spaghetti, li scolo e li verso nel tegame, aggiungo il liquido dei molluschi e il sugo dei calamari, una macinata di pepe, le cozze, le vongole e i calamari, una cucchiaiata di prezzemolo tritato e 1 pezzetto di zenzero grattugiato che dona al piatto una gradevole e piccante freschezza.
Faccio saltare a fuoco vivo, mescolo e servo.

Se volete improvvisare questa golosa spaghettata e non avete lo zenzero, potete grattugiate la scorza di 1 lime o di 1/2 limone e spruzzare il tutto col loro succo.
Questo tocco pungente darà al piatto una marcia in più.
Posso darvi un suggerimento extra? Tanto è gratis! Queste dosi sono per le classiche 6 porzioni di spaghetti “amletici” (allo scoglio o alla pescatora: questo è il dilemma), ma anche se siete solo in 4… fatene lo stesso tanti.
Domani vi spiego perché.

Escalopes à la créme (scaloppine alla panna)

La prima volta in cui siamo andati a Parigi è stato in luna di miele. In aprile saranno passati 45 anni…
I primi giorni mangiavamo piatti che oltre a non essere in grado di pronunciare, non sapevamo nemmeno riconoscere, ma più passava il tempo più il mio Francese arrugginito diventava fluente e in fatto di cibo cominciavamo ad assorbire inconsciamente profumi e aromi delle specialità francesi.
Senza rendercene conto diventavamo a mano a mano sempre più disinvolti, fino a quando finalmente in un ristorante nel piazzale antistante i cancelli dorati di Versailles, veramente di grande charme (che assomigliava alla descrizione della Locanda del Buon Mugnaio fatta da Alexandre Dumas Padre ne I Tre Moschettieri), abbiamo osato ordinare “scalopes à la crème”: squisite, cremose, tenere scaloppine di vitello, molto francesi e molto chic.
Non le abbiamo mai dimenticate, anche se nel corso dei successivi ripetuti viaggi, in Francia in generale e a Parigi in particolare, abbiamo imparato ad apprezzare moltissimi altri piatti della cucina d’Oltralpe.

20140218-230417.jpgVolendo assaggiarle, bisogna procurarsi:
300 gr di fettine di vitello
150 gr di spugnole
30 gr di burro
4 cucchiai di olio
1 spicchio d’aglio
125 ml di panna da cucina fresca
1 bicchierino di Sherry
1 spruzzo di Cognac
pepe bianco e sale
Si fa imbiondire l’aglio nell’olio, si elimina, si buttano nella padella i funghi mondati con cura e si fanno saltare. Si regolano di sale e si tengono da parte.
Si cuociono nel burro spumeggiante le fettine di vitello, si versa lo Sherry, si salano e si insaporiscono con un pizzico di pepe.
Si tolgono dal tegame e si tengono al caldo, si aggiungono al fondo di cottura il Cognac e la panna e si fa restringere la salsa a fuoco vivace.
Si rimettono i funghi nel tegame, si amalgamano alla panna, si impiattano le scaloppe e si coprono di sugo.

Queste scaloppine si chiamano anche Savoyarde e vengono bene perfino coi petti di pollo.
Sarà difficile che troviate le spugnole, come richiesto dalla ricetta originale, quindi potete usare gli champignon. Sconsiglio i porcini perché tolgono importanza alla salsa.
Lo Sherry, naturalmente, si può sostituire con un ottimo Marsala e il Cognac con il Brandy.
Insomma potete rimescolare la ricetta a vostro piacimento e avrete comunque un piatto eccellente.