RICETTE PARIGINE

Tratto da “I tempi andati e i tempi di cottura (con qualche divagazione)”

Parlo un discreto francese ,piuttosto fluente, anche se non conosco o non ricordo tutte le parole che vorrei, ma ricorrendo a tortuose parafrasi e grazie all’accento è all’abilità di stringermi graziosamente nelle spalle, do l’impressione di essere assolutamente padrona della lingua .

Ho ingannato così un’infinità di Svizzeri e di Francesi, in Italia e all’estero.

Ma voglio parlare di Parigi perché non si pensi che quello che ci spinge ad andarci piuttosto frequentemente sia solo il piacere del cibo.

In realtà ci abbiamo mangiato anche male , anzi malissimo come alle Folies Bergère e al Lidò per esempio, mentre al Crazy Horse e al Moulin Rouge per fortuna abbiamo solo bevuto champagne.

D’accordo é vero che le nostre mete sono quasi sempre gastronomiche , ma ci danno comunque l’opportunitá di allargare le nostre conoscenze,oltre che il nostro giro vita. A Parigi abbiamo scovato molti luoghi incantati praticamente dietro l’angolo.

Pensate a dove il lusso e il glamour della famosa  Rue de Rivoli si stemperano nel Marais, che sembra un villaggio piuttosto che un quartiere o alla Riva della Senna  nei pressi di Notre Dame dove antichi, alti e austeri edifici si appoggiano gli uni agli altri come nottambuli un po’  sbronzi in cerca di un sostegno, o dove l’animazione febbrile di Pigalle diventa uno degli angoli più romantici di Montmartre in Place Suzanne Buisson, coi suoi antiquati lampioni.

Si può dire che a Parigi ci sono una via , o una piazza, per ogni stato d’animo e il segreto per apprezzare appieno questa magica città e cercare di capirla, secondo me , è proprio evitare le sabbie mobili dei monumenti storici  che si pensa di dover assolutamente vedere o visitare, ma prendersela con calma, stare seduti in un Bistrot all’aperto – o dietro la vetrina, a seconda della stagione – e osservare perché i marciapiedi parigini sono un vero palcoscenico: si vedranno passare stranieri che consultano la mappa del Metro, anziani signori che si affrettano verso la boulangerie più vicina per uscirne con l’immancabile baguette sotto il braccio, elegantissime signore in tailleur e tacchi alti con i loro minuscoli e vivacissimi cagnolini, innamorati che si baciano dimentichi di tutto il resto.

Parigi é dunque un’affascinante miscellanea – anzi un pot pourri, alla francese – di curiosità, abbandono, passione, indifferenza. Quindi molto più di una serie di cartoline illustrate.

Vi prego, quando ci tornate non limitatevi a fare il giro da “turisti di massa” dei monumenti storici, ma aprite oltre agli occhi, anche la mente e il cuore e lasciate libera la vostra fantasia.

Perfino là Tour Eiffel, che svetta frivola e decadente, vi apparirà in un’ottica diversa, maggiormente umana e popolare se non vi limiterete a relegarla al ruolo del più elevato punto panoramico della città o al retaggio dell’esaltazione della tecnologia di più di un secolo fa, quando fu costruita come simbolo dell’Esposizione Universale del 1889, ma guardandola terrete a mente che il suo progettista è stato anche il geniale inventore della giarrettiera !

  

CONCHIGLIE SAINT JAQUES AL PERNOD

12 capesante, 1 arancia, 1 limone, 30 gr di burro, 2 cucchiaini di pepe rosa, qualche filo di erba cipollina, 2 cucchiai di Pernod, 1 confezione di panna da cucina, sale e pepe.
Separo i coralli  dalle noci e affetto queste ultime , le copro col succo di arancia e di limone, aggiungo sale e pepe e le lascio macerare al fresco per un paio d’ore.

Intanto faccio fondere il burro e rosolo i coralli, li salo, li spruzzo con il Pernod, unisco la panna e faccio restringere il sugo per qualche minuto.

Distribuisco le fettine di noci sui piatti individuali e le irroro con la loro marinata, a fianco suddivido i coralli e li copro con una salsa tiepida, l’erba cipollina tagliuzzata e il pepe rosa pestato grossolanamente.
Per poterlo apprezzare, Vi deve piacere il gusto di anice stellato del Pernod naturalmente, ma è veramente un antipasto raffinatissimo

COULISSE DI FRAGOLE

4 cestini di fragole, 1/2 vasetto di marmellata di lamponi , 100 gr di zucchero, 250 gr di crème fraiche, 2-3 cucchiai di Cognac,120 gr di biscotti al burro salato,  150 gr di panna montata.

Monto con una spatola la crème fraiche (ossia metà mascarpone metà panna, perchè pur essendo citata anche in moltissime delle ricette di Csaba della Zorza e di Nigella Lawson , la crème fraiche non riesco a trovarla in commercio da nessuna parte, come del resto il latticello, altrettanto utilizzato dalle due famose food  writers) con il Cognac e 50 gr di zucchero.

Sbricciolo grossolanamente i biscotti. Lavo le fragole, le privo del picciolo e le taglio a metà. Ne prelevò circa 1/4 e le frullo con la marmellata. Unisco questo composto alle fragole tagliate, completo con i rimanenti 50 gr di zucchero e mescolo con cura. 

In una bella ciotola di vetro , simile a quella che ho comprato ad Antibes per esempio – ma anche in una pirofila rettangolare e quadrata come quella che usate per il tiramisù per intenderci – alterno strati di coulisse di fragole, biscotti sbriciolati e crema al Cognac.

La sistemo in frigorifero per qualche ora e poi  la servo con ciuffetti di panna montata.

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Shopping  and food

Tratto da “U.S.A. E  JET” ovvero: Come sopravvivere ai viaggi fai da te in America

Come as you are (l’abito non fa il monaco )

Gli Americani sono molto disinvolti per quanto riguarda l’abbigliamento. Questo solo durante il giorno, perché la sera e nelle occasioni formali sono impeccabili. Questo atteggiamento non è comunque univoco e cambia sostanzialmente da luogo a luogo.

A Manhattan, per esempio, le impiegate degli uffici e le commesse di negozi e Grandi Magazzini indossano tailleur e collant anche in piena estate quando temperature infernali fanno sciogliere l ‘asfalto dei marciapiedi intrappolando i tacchi degli Chanel. Lo stesso aplomb si riscontra anche nell’abbigliamento della popolazione maschile del Financial District, con le debite differenziazioni sessuali relative a collant e sandali.

A Miami, al contrario, è raro incontrare qualcuno che indossi le calze. O una camicia in tinta unita.

In piccole località costiere della California come Carlsbad o Pacific Grove, al mattino puoi incrociare sorridenti signore in tuta e bigodini che fanno jogging o spingono un carrello di Albertsons e la sera quasi non riconoscerle mentre cenano ad un tavolo accanto al tuo al Daily News Café o da Toasties, tanto sono truccate, abbigliate ed accessoriate.

Il più delle volte indossano abiti o completi raffinati ed eleganti ma non necessariamente firmati.

Gli accompagnatori sono in genere piu informali: non indossano quai mai la cravatta. Ma nemmeno i jeans.

Credo sappiate tutti quanto poco consideri fondamentale lo shopping griffato. Per me la qualità della vita prescinde dalla Firma di ciò che si indossa , ma è piuttosto un insieme di piccoli piaceri godibili, come la scelta di indulgere alle gioie del gusto, di viaggiare comodamente, di alloggiare in alberghi accoglienti e confortevoli, meglio se si trovano in località panoramiche e rilassanti, e di togliersi qualche capriccio anche rinnovando il proprio guardaroba, ma senza stress. Trovo che siano scelte molto meno appariscenti, ma decisamente più gratificanti, dell’acquisto di una borsa firmata assolutamente riconoscibile, per esempio.

Insomma preferisco essere che apparire.

Se messa di fronte ad un’opzione ,scelgo sempre il modello più alto della categoria inferiore, piuttosto che il modello più basso della categoria superiore. In questo modo si tratta comunque del top di gamma . Pensateci.

Non dovendo scegliere, probabilmente prenderei il massimo di tutto ,perché,come dice Lupo Alberto: ” La vita è bella, ma é meglio la bella vita”.

Per chiudere l’argomento , vi confermo che l’America è il posto giusto per concretizzare il compromesso di fare acquisti da boutique a prezzi da discount.

Negli Outlet, che altro non sono che gli spacci aziendali delle Griffe più note, fare acquisti è assolutamente conveniente e spesso perfino terapeutico, anche se raramente rilassante.

Per me gli Outlet non sono il massimo, mentre adoro i Grandi Magazzini come Macy’s, Nordstrom, JCPenny, Sacks, Bloomingdales, Sears, Neiman Marcus, Bergdorf  Goodman, dove le commesse si fanno in quattro per accontentarti e si possono fare dei veri affari, in quanto ci sono saldi e svendite in qualunque periodo dell’anno, che consentono di comprare abiti e accessori molto interessanti con sconti pazzeschi.

E vogliamo parlare delle Food Court al loro interno? Sono sempre una garanzia di potersi procurare un pasto più che dignitoso.

Durante le esplorazioni di Manhattan invece, quasi sempre per pranzo ci siamo sfamati con i sandwich acquistati nei Deli ( contrazione di Delikatessen), dove si possono sia personalizzare le richieste  che affidarsi ai suggerimenti del locale, in entrambi i casi si tratta di un pasto insolito, appetitoso, divertente ed economico.

All’inizio ci siamo fatti guidare dalle proposte standard del menù, ma poi abbiamo imparato a spaziare liberi e felici fra maionese e fantasia è ormai non ci  ferma più nessuno.

Ci siamo divertiti a comprare golosi sandwich “to go” da mangiare su una panchina di Central Park, dove non ci siamo però addentrati troppo, piuttosto che consumarli seduti scomodamente nella immancabile saletta adiacente al locale. I Deli sono in pratica delle paninoteche, spesso a conduzione familiare che costituiscono un’eccellente alternativa a McDonald’s   e  Burger King, al confronto decisamente più unti e calorici.

Nei Mall ,  dicevamo, ci sono delle aree circoscritte, destinate a rifocillarsi, dove si puó prendere anche solo una tazza di caffè, che durerà almeno mezz’ora, oppure un dolce o un gelato, fare uno spuntino o un pasto completo, tradizionale o etnico, e riposarsi.

Il primo Centro Commerciale del Veneto è stato Le Piramidi di Torri di Quartesolo. Ve lo ricordavate?

I Mall sono spazi enormi che generalmente si sviluppano su un unico piano. Hanno parcheggi sterminati e necessitano di una mappa per essere visitati, ma anche così  si corre a volte il rischio di non riuscire ad orientarsi e di perdersi, come è successo al Plaza Camino Real. Che è il Mall dove non riuscivamo a trovare i jeans perché chiedevamo i Levi’s, così come si scrive, mentre in America devi chiedere i “livais” o nessun commesso capirà cosa stai cercando. Sfiancante.

Una tale fatica merita una sosta, tipo pausa pranzo.

Statisticamenteil pasto più comune che si consuma in una Food Court è l’hamburger con le patatine fritte. Oppure la pizza, che è ormai entrata a far parte del DNA degli Americani, i quali si sono perfino convinti che sia una loro invenzione. Vi confido una mia scoperta: ordinano soprattutto quella con i ” pepperoni”, ( che è il salamino piccante, mentre i peperoni si chiamano “peppers” ) è praticamente quasi nessuno sceglie di aggiungere le acciughe.

In compenso gli Americani ci attribuiscono la paternità degli “Spagetti with meat balls e dei Macaroni and cheese”, che nessun Italiano in realtà cucina abitualmente.

Ma certo che lo so che esistono delle ricette che prevedono le polpettine di carne nel ripieno dei timballi di pasta o riso, ci mancherebbe altro! Ma qui si parla di un’alternativa al ragù , che gli Americani non conoscono. E qualche volta anch’io , per finire i rimasugli di formaggio rimasti nel frigo, faccio le penne ai tre, quattro o cinque formaggi, ma gli Americani pensano che siano per noi una specie di piatto nazionale. Hanno le loro convinzioni. In Piazza Erbe avevamo un vicino, Daniel, di Seattle (col quale ho continuato a fare esercizio di Non-Inglese) che pretendeva di fare le Lasagne alla Bolognese con mozzarella, pommarola e aglio a fettine, convinto che fossero l’originale Pasta “Baloni stail” (esatta pronuncia di “Bologna stile”).

Comunque una cosa c’è, che ho imparato dagli Americani: a mangiare la pizza con le mani senza sporcarmi. È’ stato da Pizza Hut nel 1985. O forse da Sbarro nel 1991.

Poco importa , quello che conta è che volevo sapeste quanto mi piace guardare la gente: c’è sempre qualcosa da imparare e anche da imparare ed evitare, se si osserva con attenzione il prossimo.

E vi assicuro che si tratta di puro interesse, non di curiosità.

Gli Americani non stanno a tavola come noi e non mettono neanche i gomiti sul tavolo. Quando usano una sola posata, tipo per una minestra o un’insalata , mangiano “all’inglese”: cioè con la mano sinistra appoggiata in grembo sul tovagliolo .

Quando devono tagliare il cibo invece , iniziano una vera e propria coreografia : impugnano il coltello con la destra e la forchetta con la sinistra – e questo lo facciamo anche noi Europei  – tagliano, mettiamo , un bocconcino  di bistecca tenendolo fermo con la forchetta  – e anche qui tutto regolare- quindi appoggiano il coltello sul bordo del piatto, passano la forchetta nella mano destra e la portano alla bocca – e qui vi voglio- poi la ripassano nella mano sinistra, raccolgono il coltello con la destra e ricominciano. In pratica , a meno che non siano mancini,  non portano mai la forchetta alla bocca con la mano sinistra. È bello da vedere, perché i movimenti sono fluidi e aggraziati, una specie di Thai Chi da tavola.

Naturalmente parliamo di normali pasti in casa o al ristorante, non seduti al tavolino di un Food Court, su una panchina di un parco cittadino, o in piedi accanto al baracchino degli hot dog , dove in pratica tutto quello che occorre è una manciata di tovagliolini di carta.

Secondo me comunque , nonostante le statistiche, la cosa più invitante da mangiare a pranzo durante un’intensa sessione  di shopping in un Mall è un’insalata.

È fresca, non appesantisce e si consuma velocemente.

Inoltre, quelle che in America chiamano insalate, sono il fiore all’occhiello della ristorazione veloce e informale.

Non si tratta di semplici  ciotole di ortaggi misti, ma di intriganti e generose combinazioni di ingredienti golosi.

Scegliete liberamente quella che vi ispira di più- generalmente sono tutte esposte in bella vista – e consumatela accompagnata magari da un tè freddo , circondate dai vostri acquisti, dando ogni tanto una sbirciatina dentro i sacchetti per gioire intimamente di quanto avete comprato. Insomma questo è quello che farei io. Cioè,  che faccio io, perché i negozi Americani sono il massimo per l’autostima di chiunque.

Anche in America esistono negozi specializzati in taglie forti, che però ti propongono dei veri abiti da donna e non , come da noi, degli informi camicioni tipo quelli della Mami di Via col Vento o dei pantaloni tagliati come i Pigiami Palazzo degli anni 70, imbarazzanti indumenti spesso in tessuto leopardato o mimetico, quasi sempre coi lustrini, che fanno pensare che al momento dell’acquisto fossi indecisa fra il look da Desert Storm o da serata in balera di periferia  e che ti fanno sembrare incinta anche se, oltre che un po’ over size, sei anche over sixty.

In America puoi acquistare invece dei veri calzoni, delle camicette, dei completi e degli abiti che non sono semplicemente un po’ abbondanti , ma tagliati in modo da farti sembrare e sentire comunque una donna , quasi come quando compravi ancora la lingerie da Victoria’s Secret.
  

INSALATA  DI  POLLO

Una delle tante versioni

400 gr di petto di pollo cotto, 30 gr di mandorle a lamelle, 1 cucchiaino di senape , 4 cucchiai di maionese,2 cucchiai di panna da cucina, 1/2 limone, sale e pepe, 1/2 cespo di lattuga.

Si sistemano sul piatto di portata le foglie di lattuga spezzettate con le mani. Sopra si dispone il pollo affettato, si sala e si pepa, poi si prepara il condimento  mescolando insieme la maionese, la panna, la senape, la buccia grattugiata e il succo di limone, ci si cosparge il pollo e si distribuiscono sopra le mandorle prima leggermente tostate.

INSALATA DI SPINACI
Ricetta New Age Angelena

  

500 gr di spinaci freschi, 250 gr di formaggio di capra (chevre) , 3 fette di bacon, 1 tuorlo,1 cucchiaio di vino rosso, 1 cucchiaino di senape, 1 cucchiaino di prezzemolo, 150 ml di olio extravergine, sale e pepe .(Volendo si possono aggiungere pomodoro e noci sgusciate)

Si fa macerare in frigo per tutta la notte il formaggio tagliato in quattro dischi con 100 ml di olio e le foglioline di timo.

Si lavano e si asciugano le foglie degli spinaci.

Si prepara una salsa morbida, tipo maionese, sbattendo con la frusta il tuorlo, il prezzemolo, l’aceto, la senape e l’olio rimasto, si sala e si pepa abbondantemente. Si versa sugli spinaci e si mescola con delicatezza.

Si scalda in padella a fuoco medio l’olio filtrato della marinata, si fanno scaldare i dischi di chevre giusto 30 secondi per parte, si dispongono sull’insalata di spinaci e si cospargono infine con le fette di bacon, fritte fino a diventare croccanti e poi sbriciolate.
È un’insalata molto chic, che riesce sempre bene, a patto che le foglie degli spinaci siano piccole  e tenerissime.

MACARONI AND CHEESE
  

300 gr di pasta tipo cellentani, 200 gr di formaggio provolone piccante grattugiato, 100 gr di emmental grattugiato, 1/2  cucchiaino di senape in polvere, 1/2 cucchiaino di peperoncino in polvere, 1/2 litro di besciamella, 4 cucchiai di pangrattato, 1/2 cucchiaino di paprika , 25 gr di burro.
Si lessa la pasta e si scola al dente. Si aggiungono alla besciamella il provolone grattugiato, la senape e il peperoncino in polvere, si rende il composto omogeneo e si condiscono i “macaroni” che poi si versano in una pirofila imburrata.

Con l’emmental, il pangrattato e la paprika si prepara un composto che si sparge sulla pasta.

Si completa con il burro a fiocchetti e si informa per 25/30 minuti a 180 gradi .La superficie deve assumere un bel colore dorato e sobbollire leggermente.
Gli Americani utilizzano il formaggio Cheddar e non il provolone. Volendo un sapore un po’ meno forte, e un’analoga sfumatura di colore, si può scegliere anche il Gouda Olandese a pasta gialla , che è reperibile anche al Supermercato.

Si dice che la prima realizzazione di questa ricetta sia da attribuire ad uno dei Padri fondatori degli Stati Uniti Thomas Jefferson. Ma pare che gli Americani siano convinti che si tratti di un’invenzione della Kraft.

Infatti quasi nessuno, che io sappia, fa in casa questa ricetta dal sapore, in un certo senso, storico e che è piuttosto buona. Gustosa e appena un po’ piccante.

Un viaggio indimenticabile

Da “I tempi andati e i tempi di cottura (con qualche divagazione)”.

La Polinesia Francese.

Come ho già detto , ormai sono sposata da 40 anni sempre con lo stesso uomo e nella prima metà di questo lungo e felice periodo di convivenza e connivenza, ci eravamo ripromessi di festeggiare le Nozze d’argento con un viaggio in Polinesia.

Ci siamo riusciti nel 1992, un po’ prima di quella importante scadenza, grazie ad una serie di fortunate circostanze legate alla mia professione di allora, che ci hanno consentito di fare un viaggio al di sopra delle nostre aspettative e anche del nostro budget.

Si è trattato di una crociera a 5 Stelle su un veliero altamente tecnologico, il Wind Song (e già il nome faceva sognare, o no?) che partendo da Papetee ci ha portato a Huahiné, Raiatea, Bora Bora e Moorea.
  

I vantaggi : in crociera disfi le valigie una volta sola pur spostandoti ogni giorno. Inoltre ti organizzano escursioni in piroga per raggiungere una piccola isola e risalire il corso di un fiume fra le mangrovie, grigliate con champagne sulla spiaggia più bianca del mondo di un Motu della Barriera Corallina , dove la conchiglia più piccola era grande come una tazza da tè, mezza giornata di osservazione della fauna marina a bordo di una barca dal fondo di vetro, la partecipazione ad un pasto degli squali (e per un attimo  abbiamo anche temuto di essere noi il pasto, ma ci é andata bene) e la visita a  villaggi di coltivatori  di orchidee e di vaniglia nelle isole maggiori, inoltre intensa attività balneare sulle spiagge vicine all’approdo  e water sport tipo banana Boat e parasailing.
Inoltre, tutte le sere cena formale, intrattenimento con bellissime danzatrici di tamurè, incontri con giovani tahitiane che ti insegnavano venticinque modi diversi di indossare il pareo, tutti dimenticati, discoteca ,casinò o piano bar.

Gli svantaggi: da Verona a Tahiti ci sono volute 36 ore di viaggio; a mio marito viene la nausea anche solo guardando l’oblò della lavatrice, le creme solari con indice di protezione 30 fanno giusto ridere e febbraio nel Pacifico Meridionale  è ancora Stagione delle piogge.

Era tale comunque l’entusiasmo per questa fantastica opportunità, che abbiamo superato tutto , anche le difficoltà di riprenderci dal volo charter, di adattarci al rollio della nave, di rassegnarci alla pioggia torrenziale del primo giorno, che ha riempito le piroghe, e al mal di mare sempre in agguato. A bordo,comunque, appoggiate su mensole e tavolinetti c’erano ciotole di pillole contro la nausea da cui servirsi liberamente, per evitare i disagi della navigazione……anche quando si era alla fonda.

A raccontarla così,sembra un inferno, lo so , ma invece è stata veramente una vacanza indimenticabile: pensate solo alla prima parte del racconto.

Per farla breve, le difficoltà climatiche si sono esaurite già il secondo giorno di navigazione, non appena gli alisei hanno sostituito i monsoni e le escursioni giornaliere sulle isole e gli atolli si aprivano su orizzonti inimmaginabili.

I pesci, perfino gli squali, si lasciavano avvicinare con un’indifferenza stupefacente, forse dettata ormai dall’abitudine alla curiosità degli umani.

Le palme si incurvavano con estrema eleganza su spiagge dorate o bianchissime, veramente da sogno. E ti pareva proprio di viverlo in sogno, dai vividi colori abbacinanti della sabbia, dal cielo azzurro e dell’oceano turchese, verde e blu.

  

Sarebbero bastate a nutrirti le sensazioni e le emozioni che solo il clima, la vegetazione e i profumi delle isole sub-tropicali possono regalarti, ma a bordo c’era comunque uno chef Francese molto dotato, versatile e capace.

A mio marito credo che l’impressione di sognare venisse soprattutto dalla quantità , ai limiti del sovradosaggio, di Dramamina che ingurgitava, incoraggiato comunque e assistito dal Medico di bordo, un Inglese ricco di humour che ricordava uno di quegli Ufficiali delle Colonie dell’Impero Britannico del 1800 che si vedono nei film.

E  solo quando si è svegliato, al ritorno, Lino si è reso conto di avere i polpacci e le scapole bruciati dall’esagerata permanenza a pelo d’acqua praticando snorkeling come se quello fosse l’unico scopo della sua vita, che allo scalo di Parigi non avevano caricato i nostri bagagli sull’aereo per Linate e che a Milano pioveva. Proprio come il primo giorno a Tahiti.

Dalla Polinesia ho portato alcune perle nere veramente notevoli, il ricordo di persone deliziose frequentate in un clima molto più rilassato di quello della Fiera dell’Orologeria di Ginevra, bellissimi parei  che uso tutt’ora in casa  per far fronte a certe  afose giornate estive, annodati con grazia ma poca fantasia, o trasformati nel mantello del Conte Dracula  quando voglio divertire mio marito alla fine di una giornata particolarmente pesante di Borsa in flessione .

Ahimè nessuna ricetta , ma se trovate voi da qualche parte i tipici prodotti esotici locali come i leggendari frutti dell’albero del pane o i tuberi di taro, tarna e ufi,  chiamatemi . 

Qualcosa inventeremo.

“Che mangino brioches”

Che Maria Antonietta l’abbia detto o no, poco importa, era per introdurre l’argomento Parigi.

Ditemi, siete stati almeno una volta a Parigi? Sì dai, ne sono sicura. E come lasciarsela scappare? È un mito, un compendio di grandeur, chic, spocchia, sfarzo, storia, arte, moda, musica e grande cucina.

Con la valle della Loira è stata la meta della nostra Luna di miele e forse questo basterebbe a spiegare perché ci torniamo sempre tanto volentieri, sempre molto motivati .

Parigi procura sensazioni e offre occasioni molto varie, tutte da cogliere, che non si scordano facilmente.

In viaggio di nozze ci siamo andati in auto, con un Coupé della Fiat: due ansiosi, emozionati ventenni pieni d’amore e di romantico entusiasmo. Alloggiavamo dalle parti del Bois de Boulogne, in un piccolo, intimo Hotel col garage dove abbiamo lasciato l’auto per muoverci a piedi e in metropolitana. Dormivamo in una stanza minuscola con vista sui tetti e facevamo colazione in camera con café  au lait, croissant caldi e sempre un fiore fresco in un vasetto.

Forse per noi allora questo era il pasto più normale della giornata! Ma lo sapete che abbiamo perfino mangiato più volte nel ristorante vagamente italiano di Charles  Aznavour “La Mamma” per cercare un sapore riconoscibile?!

Quanto abbiamo camminato quel l’aprile del ’69 a Parigi: credo che in una settimana ci siamo fatti almeno 1000 chilometri a piedi! O almeno questa è l’impressione che abbiamo, anche a distanza di più di quarant’anni.

Abbiamo tralasciato le visite più convenzionali ai Musei e ai monumenti muovendoci senza mappe o guide, tuffandosi nella realtà dei diversi quartieri, con i loro aspetti sorprendentemente diversi e affascinanti, per respirare la vera aria di Parigi. Una grande esperienza devo dire.

Alcuni anni dopo, più maturi, più saggi e con un palato più raffinato, ci siamo resi conto di quanto fosse lacunoso da un punto di vista culturale, gastronomico e anche turistico quel nostro primo viaggio e siamo tornati , muniti di cartine, orari dei negozi e dei Musei, indirizzi utili e consigli pratici.

Siamo tornati in aereo, con le Samsonite e la prenotazione all’Hotel di Louvre: posizione eccellente, mobili d’epoca e stanza piccolissima che vibrava ogni volta che passava il Metrò e si affacciava su un trafficatissimo incrocio stradale.

Una sistemazione più lussuosa, ma decisamente meno romantica di quella della prima volta, no? Comunque in questa seconda occasione e nelle successive abbiamo fatto tutto per bene, come ci si aspettava. E anche di più.

Non starò a tediarvi con l’elenco dei Musei e dei monumenti storici  da non perdere, tanto, come si diceva, a Parigi ci siete stati anche voi e quindi sapete di cosa sto parlando, ma sono qui per ricordarvi che per i Francesi il cibo è una faccenda seria e si comportano di conseguenza.

Vi darò dunque alcune dritte perchè quando tornerete nella Ville Lumière possiate adeguatamente rifocillarvi a pranzo, magari al volo con ” le play du Jour”  in un Café o con più soddisfazione a cena in un Bistrot o in una Brasserie, senza commettere gli errori  della nostra prima volta.

  
A Parigi si può mangiare bene quasi ovunque , ma è buona regola ricordare che, come dappertutto, i Ristoranti migliori sono quelli frequentati dai locali.

Come riconoscere i Parigini, vi chiederete. Ma dall’accento, parbleu! E qui ci vogliono orecchio e una parentela adeguata, ma questo ve lo racconto un’altra volta.

I Francesi prendono molto sul serio anche l’aperitivo, quindi prima di ordinare, concedetevi un Pastis o un Kir, meglio forse un Kir Royal e godetevelo mentre consultate il menu, ponderando le scelte con tutta calma e poi aspettando di essere serviti.

Se siete nella zona del Marais, fermatevi a “La Guirlande de Julie” e pranzate sotto i portici di Place des Vosges, se il tempo lo permette. Poi a cena andate nella più antica Brasserie di Parigi, “Bofinger”, dalle parti della Bastiglia, che è anche una delle più belle.

Durante la visita al Louvre, riservate un tavolo all’omonimo Ristorante, anzi a “Le Grand Louvre” , e non so se il nome dipenda dalla mania gallica di grandezza e se esista anche “Le Petit Louvre”, ma non credo.Sia come sia, non mi era mai capitato di trovare un ristorante di questo livello in un Museo.

Nel Quartiere Latino evitate la condiscendente e costosissima cucina della “Tour d’ Argent”, ma sempre sullo stesso Quai, di fronte a Notre Dame, godetevi una parentesi da “Campagne et Provence”. Non resterete delusi né impoveriti.

Sulla Tour Eiffel ho cenato una volta al “Jules Verne”: panorama fantastico, atmosfera soft estremamente elegante, ma è da riservare a un evento particolare, mi capite? 

In zona, i borghesi locali come Guy che abitava in Avenue de Suffren, non lontano dall’École Militaire, mangiano piuttosto al “Bistrot de Breteuil” nell’omonima piazza, che non è proprio vicinissima alla Tour Eiffel, ma offre cibo di buona qualità e piatti inconsueti. Direi che è da provare.

La domenica, quando andate in treno al Marché aux Puches di Saint Ouen, scendendo alla fermata Porte de Glignancourt, non aspettatevi di fare grandi affari. È saggio ricordare infatti che se spesso alcuni venditori non hanno idea del valore di certi oggetti, magari non ce l’avete nemmeno voi, quindi limitatevi    al puro piacere di curiosare. Se ci riuscite.

Poi pranzate da “Luisette” dove i piatti sono accompagnati dal suono di una fisarmonica che infonde un vago senso di malinconia a tutto il locale. È molto pittoresco e fa molto vieux Paris.

Se amate crostacei e molluschi come capesante (ossia conchiglie Saint Jaques), cozze, ostriche e via discorrendo, deviate appena dagli Champs Elysée e da “Sebillon” vi aspettano grandi sorprese a prezzi piuttosto ragionevoli.

Nel Quartiere dell’Opéra e quindi dello shopping più irresistibile, non lasciatevi abbruttire da un vero pranzo o non vi resteranno più energie per continuare il vostro giro di acquisti, anche se la choucoutre genuinamente Alsaziana del “Café Runtz” potrebbe costituire una vera tentazione, piuttosto prevedete una sosta ristoratrice alla “Ferme  St.Hubert”, che con le sue insuperabili fodues rappresenta una piacevole alternativa nella ristorazione parigina.

È ora che la pianti , vero? So che sembro stipendiata dalla Guida Michelin, ma volevo farvi partecipare, come al solito, alle mie scoperte culinarie, stavolta del capoluogo di uno degli otto Dipartimenti dell’Ile-de-France: Paris!

KIR ROYAL

(Per cominciare con stile)

1 parte di Crème de Cassis, 2 parti di Champagne

C’est tout!

VELLUTATA  DI FORMAGGIO

1 litro di brodo di pollo, 80 gr di burro,150 gr di panna , 2 cucchiai di farina, 200 gr di Gruyère,1/2 cucchiaino di paprica dolce, sale e pepe
Preparo un roux con burro e farina, aggiungo il brodo bollente e la panna  e cuocio finché il preparato diventa abbastanza denso da velare il dorso del cucchiaio. Regolo di sale e a questo punto aggiungo il Gruyère a julienne o grattugiato con la paprica. Proseguo la cottura mescolando fino al completo scioglimento del formaggio senza che arrivi mai a bollore.

Servo la vellutata in tegamini di coccio accompagnata dai crostini alle erbe o al tartufo, proprio come fanno a Parigi.

CROSTINI ALLE ERBE

1 confezione di pasta sfoglia rettangolare, 1 tuorlo, 1 spicchio d’aglio,150 gr di Gruyère grattugiato, timo,rosmarino,salvia,prezzemolo,basilico e maggiorana, 20 gr di burro, fleur de sel. 
Frullo insieme tutte le erbe, nelle stesse proporzioni e prelevo circa 2 cucchiai di trito (il resto lo conservo in un vasetto a chiusura ermetica, coperto d’olio, per qualche preparazione futura), aggiungo lo spicchio d’aglio ridotto a crema e il Gruyère (ci stanno bene anche il pecorino o il parmigiano, ma é una scelta molto meno francese) e mescolo.

Stendo la sfoglia e la spennello col tuorlo, poi distribuisco la miscela di erbe e formaggio e la arrotolo aiutandomi con la carta della confezione. La taglio a rondelle spesse circa 1 cm che sistemo sulla placca del forno coperta di stagnola, ben distanziate.

Le spennello di burro fuso e le cospargo di fleur de del (al supermercato lo trovate,tranquilli, anche se il mio l’ho comprato in Costa Azzurra, lo confesso) e le inforno a 200 gradi soltanto per 3, 4 minuti. Mi raccomando non distraetevi!

Con lo stesso procedimento preparo anche dei deliziosi crostini al tartufo, molto sofisticati. Sostituisco semplicemente il composto di erbe e Gruyère con 2 o 3 piccoli tartufi frullati con una puntina di pasta d’acciughe, molto burro e un pizzico di pepe.

FRICASSEA DI VITELLO

  

800 gr di spezzatino di vitello, 1 cipolla, 1 carota, 1 gambo di sedano, 1 spicchio d’aglio, 1 porro, 1 bouquet garni e qualche chiodo di garofano, 1 bicchiere di vino bianco, 1 cucchiaio di farina,200 ml di brodo, 1 confezione di panna da cucina , 2 tuorli, il succo di 1/2 limone, 50 gr di burro, 200 gr di funghi coltivati, 10-12 cipolline , sale ,pepe,noce moscata.

Mi assicuro che i cubetti di carne siano il più possibile delle stesse dimensioni ed eventualmente li rifilo con un coltello ben affilato, poi li sistemo in un tegame con la cipolla intera steccata con i chiodi di garofano, il sedano, il porro e la carota a pezzi. Li copro con il brodo ( che puó essere anche di dado,va bene) e il vino, aggiungo l’aglio e il mazzetto aromatico (bouquet garni) composto di prezzemolo, timo e alloro. Condisco con abbondante pepe bianco.

Porto a bollore, schiumo un paio di volte e cuocio a fuoco moderato col coperchio per circa 1 ora e 1/2. Quando la carne è tenera la tolgo e la tengo al caldo. filtro il brodo, lo rimetto sul fuoco, aggiungo le cipolline sbucciate e i funghetti puliti, che faccio andare ancora per 15 minuti circa (senza coperchio così si restringe un pó ). Aggiusto di sale.

Rimetto la carne nel tegame e la scaldo nuovamente. Intanto batto energicamente i tuorli col succo di limone, la farina, il sale e la noce moscata, aggiungo la panna e verso questa emulsione a filo sulla carne . Mescolo delicatamente e faccio addensare. Infine, fuori dal fuoco incorporo il burro a pezzetti.

La salsa di questi bocconcini delicati ma saporitissimi deve risultare fluida e ben legata.

La prima volta , la fricassea di vitello l’ho assaggiata a casa della Fanou, che l’aveva preparata per il suocero, ma quella proposta nel menù del Bateu Mouche che discende la Senna all’ora di cena mi è parsa molto più gustosa.

Per una variante esotica e vagamente etnica , mi piace servirla con del riso Basmati profumato con succo e buccia di limone,uvette, pinoli e semi di cardamomo .

Cosī magari qualche ospite snob o un nostalgico filo- gollista potranno pensare che si tratti di un piatto originario della Francia Coloniale e gradirlo maggiormente!