Lonza arrosto con bacon e mele

Non ditemi che non eravate preparati: sta per cominciare la stagione degli arrosti.
Questo è infatti il periodo perfetto per iniziare a cucinare qualcuna di quelle ricette sontuose e succulente che potranno essere replicate per i pranzi e le cene del periodo in cui si sta volentieri in casa a preparare e a gustare piatti particolarmente ricercati e gustosi.
E questo arrosto sembra davvero piuttosto elaborato, anche se in realtà l’unica difficoltà potrebbe essere preparare la “stuoia” di bacon che avvolge la carne.
Osservare le fotografie comunque, aiuta senz’altro a superare l’ostacolo.

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Si fanno soffriggere in olio e burro un paio di scalogni tritati e uno spicchio d’aglio intero.
Si accomoda nel tegame circa 1 kg di lonza di maiale in un solo pezzo e si fa dorare da tutti i lati.
Si insaporisce con sale, pepe, una grattugiata di noce moscata e si aggiungono 2 chiodi di garofano, 3-4 bacche di ginepro, una stecca di cannella (o 1/2 cucchiaino di cannella in polvere), una foglia di alloro e 1 rametto di salvia.
Si sfuma con 1 bicchiere di vino bianco, si aggiunge 1 mestolino di brodo e si porta a cottura, col coperchio, rigirando la carne e aggiungendo altro brodo se necessario.
Finché l’arista cuoce conviene procedere alla preparazione dell’intreccio di circa 200 gr di fettine di bacon appoggiandole su un foglio di carta forno, che se non si è già abituati a farlo con le strisce di pasta sulle crostate, porta via un po’ di tempo.

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Quando si è ottenuto un rettangolo di misura adeguata a coprire l’arista, si tiene da parte.
Quando l’arista è morbida e quindi cotta (ci vorrà circa 1 ora e 1/2) si toglie dal tegame e si appoggia su una teglia da forno.
Si copre con la “stuoia” di bacon: il calore della carne aiuterà a farla aderire.
Intorno si accomodano alcune mele Golden delicious lavate, tagliate a quarti, private del torsolo ma non sbucciate.
Si spennella tutto con il fondo di cottura filtrato e si inforna a 200 gradi sotto il grill finché il bacon non risulta dorato e le mele morbide ma non sfatte.
Si serve con patate al forno e il sugo dell’arrosto a parte, in salsiera.

È un arrosto davvero di grande effetto anche se, come ho prima anticipato e poi dimostrato, è di facilissima esecuzione.
A me l’abbinamento classico delle mele con il maiale piace molto, ma chi non ama aggiungere la frutta alla carne, può ometterle.

Cosa c’è di nuovo? Le Code di gambero impanate!

Sto soffrendo un po’ di nostalgia per quei viaggi che negli ultimi trent’anni abbiamo fatto così spesso in America.
Dato che al momento non mi è possibile riprendere quella bella abitudine di super-vacanze oltre Oceano, ripesco nella memoria, negli album di fotografie e nelle raccolte di souvenir e memorabilia frammenti di ricordi che mi facciano rivivere situazioni e sapori unici e piacevoli.
Ho già detto spesso che negli Stati Uniti si mangia benissimo, come confermo in ognuno dei 16 capitoli del mio libro U.S.A. e Jet, basta uscire dagli stereotipi.

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Questo è un esempio di “combo”: un piatto unico ricco e composito che si può ordinare in molti ristoranti negli Stati Uniti. Si tratta di un controfiletto accompagnato da verdure miste e code di gambero impanate e fritte, come se fossero mini cotolette, accompagnate da una salsina agrodolce in cui intingerle.
Come ho già avuto occasione di dire, a parte vengono serviti riso o patate oppure una fetta di pane all’aglio.
Sempre nella stessa catena di Ristoranti si può anche ordinare il combo di aragosta e filetto, a prezzi più che ragionevoli considerato che è veramente un grande piatto, preparato con ingredienti pregiati e di qualità.

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Chi pensava di andare in America dovendosi nutrire solo di hamburger e hot dog, si dovrà ricredere.
Di questi piatti eccezionali ci siamo innamorati la prima volta che siamo andati in Florida, durante il nostro terzo viaggio in U.S.A. perché le prime due volte abbiamo sempre mangiato in modo più tranquillo e formale: o carne, o pesce, o insalate.
Una volta scoperto il mondo dei combo però è stato tutto un altro modo di viaggiare!
Il mio ingrediente preferito di questo piatto sono quei gamberi che non sono fritti in pastella o infarinati, ma passati nell’uovo e nel pangrattato dopo essere stati aperti sul dorso. Dopo vi spiego.
Questo è il risultato che ottengo facendoli a casa. Lo so, non sono proprio uguali, ma temo sia il massimo a cui posso aspirare.

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Per fare le “cotolette” di gamberi, occorrono delle belle code di gambero grosse e polpose. Si sgusciano lasciando le codine e, come si fa a volte per devenarle, con un coltellino affilato si incide il dorso tagliandole però quasi del tutto.
Si elimina il filo intestinale e si appiattiscono aperte premendole leggermente in un piatto in cui è stata versata della farina.
Si scuotono delicatamente tenendole per la coda per eliminarne l’eccesso, si passano nell’uovo sbattuto e poi nel pane grattugiato fine o meglio nei grissini frullati.
A questo punto per friggerle l’ideale sarebbe uno di quei tegami col cestello, ma l’importante è comunque l’olio profondo (di arachidi).
Appena sono dorate si recuperano con la schiumarola, si appoggiano sulla carta da cucina, si salano e si servono con una salsa a piacere per intingerli.

Chi fosse scettico su quello che ho affermato circa il costo di un piatto comprendente coda di aragosta e controfiletto ai ferri, controlli pure la locandina pubblicitaria del locale:

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Ah, il prezzo del piatto comprende anche la possibilità di servirsi al ricchissimo buffet caldo e freddo.

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E voi volevate farvi un hot dog?! Leggete il mio libro prima di partire o vi perderete metà del divertimento.

Risotto ai funghi porcini con tartufo su cialde di parmigiano

Dell’autunno, una delle tante cose che amo oltre ai suoi colori, sono i doni che la terra ci offre con generosità.
Questa è la stagione dei funghi più pregiati, dei tartufi più prelibati, delle zucche più polpose.
Con queste meraviglie cucino piatti classici e saporiti, come i risotti, che le esaltano e fanno felici chi li assaggia.
Arricchisco per esempio il tradizionale “riso co’ la suca” delle nostre parti con le capesante, ma questa ricetta la posterò uno dei prossimi giorni.
Oggi parliamo del risotto con i porcini, che è quanto di più semplice si possa cucinare, ma l’aggiunta di qualche preziosa lamella di tartufo lo rende sofisticato e il contenitore da appoggiare sul piatto, a base di parmigiano grattugiato ne fa un piatto di grande eleganza.

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Si parte mondando e affettando circa 200 gr di porcini piccoli e profumati.
Si fa rosolare con olio e burro uno scalogno tritato con 1 spicchio d’aglio grattugiato e 1 cucchiaio di prezzemolo tritato.
Si aggiungono i funghi a fettine e si fanno saltare a fuoco vivace senza farli cuocere troppo a lungo. Si insaporiscono con sale e pepe e si tengono da parte.
Si portano a bollore 2 tazze di brodo leggero (di pollo o vegetale), si versa una tazza di riso, si scuote il tegame, si copre con il coperchio lasciando una piccola apertura, che mia nonna chiamava “sbacèto” cioè spiraglio e si porta a cottura senza mai mescolare.
Nel frattempo si preparano le cialde di parmigiano facendo fondere in una padella antiaderente, più o meno della stessa misura del piatto fondo, 3-4 cucchiaiate di formaggio parmigiano distribuito su tutta la superficie in maniera omogenea.
Quando è completamente fuso si trasferisce con una spatola (e molto garbo) su un piatto fondo capovolto facendogli prendere la forma di una conca.
Si ripete l’operazione per altre tre volte.
Questa è una preparazione che ho visto anche in molti altri blog e che personalmente non avevo mai sperimentato con un elemento caldo, come il risotto o una vellutata al suo interno. Temevo che il calore del contenuto la fondesse in fretta, invece regge.
Nel frattempo il riso è pronto. Si spegne il fuoco, si manteca con burro e parmigiano e si condisce con i porcini.
Si spolverizza di prezzemolo tritato, si suddivide nei contenitori di parmigiano sistemati sui piatti (raddrizzati!) e si completa con il tartufo affettato con l’apposito attrezzo.
Si serve immediatamente perché, anche se non velocemente come temevo io, il calore del risotto tende a fondere la cialda di parmigiano.

Il titolo è lungo e pomposo, lo so, ma volevo che si capisse a prima vista di cosa tratta la ricetta, anche se fa pensare a un piatto servito a casa della Contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare… con buona pace di Fantozzi.

Curry di pollo con anacardi

Di tanto in tanto, ma davvero molto raramente, mi azzardo ad entrare nel mondo della cucina etnica, pratica del tutto disdicevole secondo mio marito, che ha gusti molto filo-europei.
L’occasione è la visita di uno dei figli per esempio, che mi consente di preparare e gustarmi una porzione di profumato, ricco, cremoso e pungente pollo al curry, visto che solo per me non lo faccio di certo.
Nonostante, come dicevo, sia un piatto che cucino raramente, mi piace comunque variarlo sempre un po’, soprattutto per divertirmi.
L’ultima volta, come innovazione, l’ho arricchito con gli anacardi e la consistenza croccante della frutta secca è stata una carta vincente.

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Metto in tegame un po’ d’olio e 1 bella cipolla bianca tritata, la faccio leggermente imbiondire, unisco 1 petto di pollo a cubetti e lo faccio rosolare.
Aggiungo 1 foglia di alloro, 1 manciata di uva sultanina fatta rinvenire in acqua tiepida e poi strizzata, una manciata di anacardi, 1 cucchiaio di curry forte in polvere sciolto in una tazza di brodo vegetale, sale, pepe, 2 chiodi di garofano e del prezzemolo tritato.
Dopo qualche minuto aggiungo 1 confezione di panna da cucina e porto a cottura. Ci vorranno 20 minuti circa, se i bocconcini di petto di pollo sono piuttosto piccoli. Mescolo delicatamente di tanto in tanto.
Se nel frattempo la salsa si è addensata troppo, unisco del latte.
Quando il piatto è pronto lo servo su un letto di rucola.

Questo delizioso piatto vagamente esotico si può servire con un riso pilaf cotto in brodo vegetale arricchito con qualche spezia, come il cardamomo, la cannella, i chiodi di garofano e l’anice stellato, oppure appoggiato su una focaccia di pane azzimo.

San Francisco

Una delle tante celebri frasi di Tom Hanks nei panni di Forrest Gump è: Una promessa è una promessa.
Giusto.
Nel post https://silvarigobello.com/2015/10/09/i-gamberi-di-forrest-gump/ avevo promesso che avrei parlato più approfonditamente delle esperienze maturate visitando per tre volte, nel corso di circa dieci anni, San Francisco.
Ecco un riassunto di quello che ci si può aspettare da questa magica città sulla costa del Pacifico.

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Questa è la più classica delle foto che chiunque sia stato a San Francisco ha sicuramente scattato da Alamo Square.
Ci sono in primo piano le inconfondibili Painted Ladies vittoriane e sullo sfondo lo skyline del Downtown.
San Francisco è una città straordinaria, dove gli uomini sono galanti forse più per necessità che per indole.
In alcune strade della città infatti, una volta parcheggiato, non mancano mai di aprire la portiera alla signora che ha viaggiato con loro sul sedile del passeggero…

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Il perché è intuibile dalla foto: per aprirsi da sola la portiera del passeggero di un’auto parcheggiata a pettine, una signora dovrebbe possedere una forza erculea oppure aiutarsi facendo leva coi piedi, soprattutto in Lombard Street, che è la strada più ripida del mondo.

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Chi parcheggia contro il marciapiede in una delle tante strade in discesa, ha l’obbligo di girare le ruote verso il cordolo o verrà multato. E anche in questo caso è evidente come la pendenza sia un vero rischio per la sicurezza delle auto in sosta.

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San Francisco, come Boston è una delle rare grandi città americane che si potrebbero girare senza aver noleggiato un’auto. Anche Manhattan, in realtà, ma solo perché il traffico cittadino impedisce una circolazione ragionevolmente veloce.

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A San Francisco invece i mezzi di trasporto pubblici sono comodi, pratici e soprattutto nel caso dei Cable Cars, anche divertenti, storici e panoramici.
Viaggiare anche se per brevi tratti all’interno (o perfino all’esterno) di un tram, dona insolite emozioni: la malinconica vista di Alcatraz, l’attraversamento della magnifica Chinatown e l’arrivo al Fisherman’s Wharf, dove la cosa più caratteristica sono le centinaia di leoni marini che stazionano sulle zattere ormeggiate al Pier 39.

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L’auto è comunque indispensabile per attraversare il Golden Gate Bridge e godere della vista di tutta la Baia di San Francisco prima di tornare in città.

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Con tutto questo girare vi sarà venuta sicuramente fame, dunque propongo un pranzo decisamente stile San Francisco, che può essere una porzione di straordinari Dungeness Crab, i granchi autoctoni della Bay Area, da acquistare a una delle bancarelle del Fisherman’s Wharf e gustare su una panchina guardando la baia. Sono bolliti e vengono venduti completi di una ciotolina di burro fuso aromatizzato.

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Io ci aggiungerei anche una Clam Cowder calda magari servita in un panino: è un’esperienza indimenticabile, soprattutto perché a San Francisco fa sempre freddo ad esclusione dei pochi giorni dell’Estate Indiana, che sarebbe un po’ l’equivalente della nostra Estate di San Martino.

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Cosa manca per completare un primo assaggio di San Francisco? Fare shopping a Union Square, da Macy’s e da Saks, che hanno sempre un irresistibile angolo delle occasioni in ogni stagione.
La vista più bella della piazza è quella che si gode dalla terrazza dei ristorante The Cheesecake Factory, che consiglio vivamente.

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Non si può evitare la visita al Golden Gate Park, il parco cittadino più esteso del mondo, ricco di piante, fiori, animali, serre e padiglioni bellissimi, dove ci si può ossigenare e rilassare.

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Un’ultima tappa a Ghirardelli Square, l’antica fabbrica del cioccolato convertita in centro commerciale e si può affermare di aver visto quasi tutto di San Francisco.

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Se volete fare i turisti fino in fondo, che è una cosa estremamente piacevole, a cena andate a rimpinzarvi di gamberi al Bubba Gump Shrimp Co. sul molo, con una splendida vista e un servizio assolutamente informale.

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I richiami a Forrest Gump, anche se ormai datati, sono un po’ in tutto il locale, ma mentre qui li avrei considerati assolutamente kitsch, là mi hanno divertito da morire, tanto da indurmi a rubare la ricetta dei gamberi fritti che vi ho proposto nel post citato prima.

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Mi pare che questo post riesca a dare un’idea di come si presenta San Francisco ai turisti, per saperne qualcosa di più non vi resta che acquistare il mio libro “U.S.A. & Jet Ovvero come sopravvivere ai viaggi fai da te in America” su Amazon o ordinandolo in una Libreria Feltrinelli, come vi è più comodo.

Insalata Waldorf autunnale

Qualche giorno fa abbiamo parlato della classica Insalata Waldorf (https://silvarigobello.com/2015/10/06/insalata-waldorf/) che oltre ad essere un modo eccellente e moderno di sostituire il sorbetto fra la portata di pesce e quella di carne nei pranzi importanti, è anche un fresco contorno adatto a molti piatti.
Quella di oggi è una mia variante autunnale della storica insalata creata verso la fine dell’Ottocento all’hotel Waldorf-Astoria di New York ed è estremamente semplice.
Spero che lo spirito di Oscar Tschirky mi perdonerà le aggiunte e le varianti.

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Si lavano e si tamponano 250 gr di spinacini tenerissimi.
Si sgrana un piccolo grappolo di uva rosata e si tagliano a metà gli acini, eliminando i semi.
Si sgusciano e si spezzettano 6-7 noci.
Si affetta piuttosto sottile un gambo tenero di sedano.
Si lava una mela rossa grossa e succosa e, senza sbucciarla, si priva del torsolo e si taglia a cubetti.
Si prepara un’emulsione con 2 cucchiai di maionese, 1 cucchiaio di yogurt bianco, 1 cucchiaio di succo di limone, 1 cucchiaio di salsa Worcestershire, sale, pepe, 2-3 gocce di Tabasco.
Si versano ortaggi e frutta in una ciotola e si condiscono delicatamente con la salsa.

È un’insalata semplice, scenografica, insolita, golosissima: correte a prepararla, no?!
Io l’ho servita con la carne alla griglia, ma se invece aggiungete una dadolata di formaggio emmental, per esempio, può diventare un intelligente piatto unico per un pranzo veloce.

Mousse al limone con salsa di limoni caramellati

L’altra sera, dopo esserci riappacificati col mondo e rilassati finendo quello che restava della bottiglia di Gewurztraminer utilizzato per sfumare i gamberi per il risotto (https://silvarigobello.com/2015/10/15/gamberi-in-salsa-di-prezzemolo-su-riso-cremoso-di-mare/), come dicevo ci siamo concessi un piccolo dessert che ha degnamente completato la cena.
Anche per questo post mio marito aveva suggerito un titolo poetico e ridondante, ma mi sono rifiutata di chiamare il dessert “Poesia al sapore di limone” perché è proprio solo una mousse accompagnata da una salsa gradevolmente asprigna che ha ridato freschezza al palato dopo il burroso risotto ai gamberi.

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Si fanno ammollare in acqua fredda 2 fogli di gelatina e poi si fanno fondere nel succo leggermente riscaldato di 1 limone.
Mentre si raffredda si montano con le fruste elettriche 250 gr di ricotta, 1 vasetto di yogurt al limone, e 75 gr di zucchero a velo.
Si montano a parte 125 ml di panna fresca e si amalgamano al composto con una spatola.
Si incorpora delicatamente anche la gelatina e si suddivide la mousse in 6 stampini foderati di pellicola che si conservano in frigorifero per almeno 4 ore.
Al momento di servire si capovolgono sui piatti da dessert e si decorano con una cucchiaiata di salsa di limoni caramellati.

Per la salsa si toglie la scorza a 600 gr di limoni, meglio se del Garda (https://silvarigobello.com/2015/10/12/spiedini-di-salmone-coi-limoni-del-garda/) e si taglia la polpa a cubetti, recuperando il succo ed eliminando i semi.
Si versa tutto in una casseruola dai bordi alti, si aggiungono 400 gr di zucchero, il succo di un altro limone, i semi di un baccello di vaniglia e si fa bollire per una decina di minuti, muovendo delicatamente i cubetti con una forchetta, finché non assumeranno un aspetto lucido e caramellato.
La salsa che eventualmente avanza si conserva in un vasetto di vetro ben chiuso in frigorifero.
Se i limoni utilizzati non sono stati trattati, con le scorzette si può fare un liquorino.

Gamberi in salsa di prezzemolo su riso cremoso di mare

Non guardatemi male: il titolo alla ricetta ha voluto darlo mio marito, preso da un grande entusiasmo assaggiando questo risotto coi gamberi, arricchito di altri gamberi cotti con una salsa speciale, mentre io stavo ancora fotografando il piatto.
Abbiamo avuto una settimana difficile, o meglio solo un po’ complicata, ma comunque ci meritavamo una cenetta speciale, quindi ho cucinato questo risotto, che anche se è elencato tra i Primi piatti, noi l’abbiamo considerato un piatto unico a cui ho fatto seguire solo una mousse al limone.
“Solo” in realtà è forse un po’ riduttivo, ma giudicherete voi domani quando posterò la ricetta di questo pungente dessert.
Intanto pensiamo al risotto.

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Si sciacquano, si sgusciano, si privano del filo intestinale circa 500 gr di code di gambero e si tagliano a pezzetti tenendone da parte 12.
Si fanno imbiondire 2-3 scalogni in 30 gr di burro.
Si versano nel tegame le code di gambero, si mescolano con un cucchiaio di legno e appena cambiano colore, si sfumano con 1/2 bicchiere di vino bianco, che si fa evaporare. Si tolgono dal fuoco e si tengono da parte.
Si portano a bollore 2 tazze di brodo di dado granulare di pesce, se non si ha a disposizione quello vero, e appena alza il bollore si aggiunge una tazza di riso.
Si scuote il tegame, si copre a metà e si fa sobbollire piano finché tutto il brodo non viene completamente assorbito dal riso.
Ci vorranno i soliti 15-18 minuti a seconda del riso scelto.
Nel frattempo si prepara un trito di aglio e prezzemolo e si insaporiscono le code lasciate intere facendolo aderire bene.
Si fanno saltare con olio e burro per un minuto per parte, si sfumano con un bicchierino di Cognac e si tengono al caldo.
Quando il riso è cotto, morbido e al dente, si aggiungono burro e parmigiano e si unisce il sugo di gamberi preparato in precedenza, si mescola e si impiatta (queste dosi come al solito sono per quattro, regolatevi).
Su ogni piatto si aggiungono 3 code intere con il loro sugo e si serve subito.

Il risotto naturalmente si può fare a modo mio oppure come siete abituati. Sul mio risultato garantisco, per esprimermi sul vostro… dovrei assaggiarlo.
Spero abbiate notato come ho preparato le code di gambero intere perché è un modo elegante e insolito di presentarle. Se non risulta abbastanza chiaro dalla fotografia, chiedete pure.

Arista al latte con salsa di mele e di cipolle

Da un po’ sto seguendo in TV un Talent Show culinario che si svolge in Australia. Mi piace molto, anche se non riesco a trarre grandi ispirazioni dalle ricette che le coppie in gara presentano.
Comunque ho notato che quello a cui tengono particolarmente i due giudici Manu Feildel, chef di origine francese già giudice di Masterchef Australia e Pete Evans, chef autore di molti best sellers di cucina, è la salsa che accompagna, o dovrebbe accompagnare le ricette dei concorrenti: per entrambi non ce n’è mai a sufficienza e quindi giudicano spesso le preparazioni troppo asciutte.
Io sono una grande sostenitrice di questa necessità: anche la carne più tenera e saporita ha bisogno di una salsa per essere perfetta.
L’arista, per esempio, è una preparazione molto gustosa ma ha purtroppo il limite di non essere morbida e succulenta come ci si aspetta da un arrosto.
Un modo per renderla meno asciutta è cuocerla con il latte e servirla con qualche salsa ricca e morbida in aggiunta al suo sugo.

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Si fanno rosolare in olio e burro circa 8-900 grammi di lombata di maiale disossata, o lonza, che una volta cotta prenderà il nome di arista.
Si aggiungono 2 spicchi d’aglio schiacciati, 1 rametto di rosmarino, 1 foglia di alloro, 3-4 foglie di salvia, un paio di rametti di timo e se è possibile anche 1 di mirto.
Si rigira ripetutamente e quando la carne è ben rosolata dappertutto, si sfuma con 1/2 bicchiere di Marsala, si sala e si pepa, si insaporisce con 2 chiodi di garofano e qualche bacca di ginepro e si copre con 1 litro di latte caldo.
Si mette il coperchio e si fa cuocere almeno per un’ora facendo attenzione che a mano a mano che il latte si consuma la carne non si attacchi al fondo del tegame.
Se il liquido dovesse asciugarsi troppo, si può aggiungere 1 mestolo di brodo oppure altro latte.
A fine cottura, dopo circa un’ora e mezza, la carne deve risultare morbida e il sugo trasparente in superficie. Sul fondo invece si sarà formato un “sedimento”, lasciato dal latte, che darà ancora più gusto alla carne.
Fintanto che l’arista cuoce si prepara una salsa di accompagnamento a base di mele, che col maiale stanno benissimo, e una di cipolle per bilanciare la loro dolcezza.
Si tagliano a metà e si affettano non troppo sottili 600 gr di cipolle dorate, quelle dolci, o in alternativa quelle bianche.
Si fanno stufare dolcemente in olio e burro, si salano e si lasciano ammorbidire aggiungendo qualche cucchiaiata d’acqua.
Quando diventano trasparenti e quindi sono appassite ma non rosolate, si tolgono dal tegame con l’aiuto di una forchetta e si tengono da parte.
Si versano nello stesso tegame 1/2 kg di mele renette sbucciate e tagliate a pezzi.
Si fanno saltare a fuoco vivo, si aggiunge 1 cucchiaio di miele e si completa con una manciata di noci tritate molto grossolanamente.
Si serve l’arista a fette accompagnata dalle due salse, di mele e di cipolle, e si passa a parte in salsiera il sugo della carne filtrato.

Secondo me questo si può considerare uno dei grandi arrosti da prendere in considerazione anche a dicembre. Tenetelo a mente perché quando saremo sotto le Feste tornerà utile avere qualche idea nuova da portare in tavola.
L’arista si può cuocere anche al forno e la salsa si può fare anche cuocendo insieme mele e cipolle, ma questa volta mi piaceva di più offrire due salse anziché una, per dare più importanza alla ricetta…

Semifreddo al caffè con cioccolato e marron glacé

Lo so che non siamo nemmeno a metà ottobre, ma secondo me non è mai troppo presto per cominciare a pensare ai menù delle Feste.
Se per voi è ancora troppo presto, suggerisco comunque di creare un’occasione di festa per fare un primo assaggio di quella che potrebbe essere la ghiotta conclusione di un banchetto, ma anche di uno spuntino.
Preferisco sempre sperimentare le ricette nuove prima di proporle in occasione di pranzi o cene con ospiti, così vado sul sicuro.
Il dessert che offro più spesso è il semifreddo. Ne ho postato già diverse versioni, ma questo goloso insieme di panna, rum, cioccolato, caffè e marron glacé è una novità.

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La prima operazione da fare è foderare uno stampo rettangolare con due strisce di carta forno lasciandole debordare, per facilitare l’estrazione del dolce dopo il riposo nel freezer.
Con le fruste elettriche si montano leggermente 500 ml di panna fresca con 150 gr di zucchero a velo senza farla diventare troppo densa: diciamo che deve avere la consistenza della schiuma da barba.
Si divide in due ciotole.
Sempre con le fruste elettriche a bassa velocità si incorpora a una metà 1 bicchierino di rum.
All’altra metà si unisce una tazzina di caffè ristretto, completamente freddo e non zuccherato, utilizzando sempre le fruste.
A questo secondo composto si aggiungono anche 6-7 marron glacé spezzettati e 120 gr di cioccolato fondente tritato grossolanamente.
Si mescola delicatamente con una spatola e si versa nello stampo. Si livella, si batte sul tavolo per eliminare i vuoti e di copre con la panna aromatizzata al rum distribuendola su tutta la superficie.
Si mette nel freezer per almeno 4/6 ore.
Al momento di servire, si sollevano i lembi di carta forno e si estrae il semifreddo dallo stampo. Si affetta e si serve.

Prevengo alcune delle vostre domande: se non vi piacciono i marron glacé, utilizzate le ciliegie candite, per esempio; se lo preparate anche per i bambini omettete il rum e il caffè e sostituiteli con il latte di cocco e il Nesquik. Però non garantisco la stessa riuscita.