Il sapore dei ricordi

da “I tempi andati e i tempi di cottura (con qualche divagazione)”

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Un po’ come le briciole che riportarono a casa Pollicino,soprattutto quando organizzo una cena,chiamiamola formale, i miei piatti sono un susseguirsi di ingredienti e sapori che danno loro un carattere,un senso,un gusto particolare e riconoscibile che in un certo qual modo cerca di condurti da qualche parte: verso un angolo della memoria, tipo un giardino di Sorrento che profuma di zagare e limoni, una terrazza sul mare in Costa Azzurra che odora di erbe Provenzali, un Taco Bell in California con l’aroma pungente di Chipote, da Giggi Er Sozzone al Testaccio dove la cucina è vicina alla toilette….ma qui passerei oltre. In generale, sono tutti ricordi ed emozioni che si possono mettere in tavola.
C’è chi le chiama cene a tema, ma io non sarei tanto generica e qualunquista. Insomma non è che a settembre mi metto in mente di fare dei funghi la colonna sonora prevedibile e scontata di un menù a base di ovoli,porcini,finferli e chiodini.
Si può fare,certo,e sarebbe senz’altro tutto squisito…. ma che noia! La mia amica Melina avrebbe detto di sicuro: “Mi scoccio!” dovendo cucinare cose così banali.Tanto vale fare una gita sulle Dolomiti,dove i funghi li fanno benissimo dappertutto e risparmiarsi la fatica.
Insomma quello che voglio dire è che mi piace – e vorrei che finisse col piacere anche a voi, così ne possiamo parlare quando avrò un blog – lavorare intorno a un’idea e svilupparla con fantasia.
Dunque,il tema di una cena di settembre non saranno i funghi e morta lì,ma una gustosa rievocazione di una gita al lago di Carezza,di una passeggiata in pineta a Folgaria,della vista delle Tre Cime di Lavaredo.Capito cosa intendo?
Quindi comincerei col servire un’insalatina di porcini e mele,seguita da maltagliati con pinoli e formaggio di malga,involtini di maiale al ginepro e un gelato alla nocciola con del miele di castagno. Che ne dite?
Adesso non è che per forza vi dovete intestardire su ricette dell’Alto Adige, ma era solo un’idea per mettere in tavola il sapore di un ricordo e condividerlo.
E poiché i ricordi sono come le ciliegie e uno tira l’altro, mi è venuta in mente un’esperienza piuttosto recente vissuta proprio in Trentino.
La regina Vittoria, sovrana molto illuminata, con grande liberalità diceva che “Ognuno può fare quello che vuole, basta che non lo faccia per strada e non spaventi i cavalli”.
Trovo che sia un grande pensiero, di cui avrebbe dovuto tener conto un certo ristoratore, con velleità alberghiere, al quale una Stella Michelin e un trofeo televisivo hanno un po’ dato alla testa,tanto da indurlo ad aprire un Hotel che credo sia il Relais più kitsch delle Tre Venezie ,nonostante le sue 5 Stelle Lusso.
Si tratta di un piccolo Albergo a ridosso di un bellissimo bosco,che vanta lussuosissime suite sontuosamente arredate,ricche di incredibili optional,tipo soffitti di cristallo che ti consentono di guardare le stelle,ampia zona Jacuzzi,biblioteca ben fornita e raccolta di film e CD notevole,oltre a proporre una squisita cena gourmet servita in camera e un massaggio con oli essenziali da eseguire a lume di candela,inclusi nel pacchetto.
Detto così sembra suggestivo vero? Ci avevamo creduto anche noi quando l’abbiamo prenotato l’anno scorso a fine Agosto,dopo che da un pezzo davo il tormento a mio marito per indurlo a passare un weekend in Trentino.
Quando ci siamo decisi,abbiamo scelto la Val di Non un po’ perché è vicina e un po’ perché ci intrigava quello che avevamo letto di questo Hotel.
In realtà la vantata Villa e il Ristorante sorgono in una viuzza decentrata, accanto a piccoli condomini di appartamenti da affittare e casette a due piani decorate col bucato steso ad asciugare, con biciclette e altri giochi per bambini abbandonati in giardinetti mal tenuti. Un quartiere modesto,poco in linea con la ricerca del lusso e raffinatezza inseguita dai proprietari dell’hotel
Il “benessere” era affidato ad un estetista molto dolce ma un po’ improvvisato e mentre Lino si godeva lo splendido Golf Club Dolomiti,per il mio massaggio, anziché rilassarci in camera, sono dovuta scendere in accappatoio al Centro estetico del sotterraneo, dove faceva anche freddino.
Il menù del famoso Ristorante il giorno successivo si è rivelato privo di grandi possibilità di scelta per noi, che avendo goduto la sera precedente della luculliana degustazione compresa nella proposta “Romantica”, in pratica avevamo già assaggiato tutti i piatti più significativi durante una cena servita nella suite e durata un po’ troppo a causa della lentezza del servizio.Abbiamo scelto comunque due proposte abbastanza interessanti, ma non certo indimenticabili ,che ci sono state servite con sussiego e una certa diffidenza dall’arcigna madre del già citato chef, mentre i vini ci venivano consigliati dal gemello sommelier.
Non ho niente contro le conduzioni familiari ,anzi a volte sono proprio vincenti , ma le preferisco meno pretenziose e decisamente meno salate di quella, a mio avviso sopravvalutata, dell’Orso Grigio (Villa e Ristorante). Peccato però , perché le intenzioni erano buone, ma mancava forse quel pizzico di classe, di esperienza e di eleganza che avrebbero fatto la differenza.

INSALATINA DI PORCINI E MELE

300gr di funghi porcini- 2 mele Granny Smith,1 cipollotto,1 gambo di sedano,aglio e prezzemolo,1/2 bicchiere di latte,succo di limone,olio,sale e pepe.

Pulisco benissimo i funghi porcini- che ho scelto con cura dal Mariano- e li affetto. Poi affetto anche il cipollotto e lo metto a bagno nel latte.
Intanto trito insieme il prezzemolo ,il sedano e l’aglio(io ne metto appena una scaglietta, ma se ne può utilizzare anche mezzo spicchio : va a gusti.)
Lavo e sbuccio le mele, le affetto sottili sottili e le spruzzo con il succo del limone perché non anneriscano.
Poi comincio ad assemblare l’insalata ,direttamente nei piatti individuali così non c’è da mescolare e non si corre il rischio di frantumare sia i funghi che le mele.
Dunque, faccio uno strato di fettine di mela, sopra appoggio qualche rondellina di cipollotto scolato dal latte e tamponato con la carta da cucina e sopra ancora distribuisco i porcini.Preparo una citronette classica ma non troppo acida e la miscelo al composto di aglio,sedano e prezzemolo.
Condisco con questa salsina le insalatine e le servo come antipastino….Ma che carino!

INVOLTINI AL GINEPRO

12 fettine sottili di lonza di maiale,150 gr di polpa di maiale macinata, 1 salsiccia, 100 gr di prosciutto cotto a cubetti, bacche di ginepro, 1 rametto di rosmarino, qualche foglia di salvia,olio e burro,sale e pepe, poca farina, 1 bicchierino di gin.

Pesto nel mortaio qualche bacca di ginepro, diciamo 5 o 6 e le mescolo agli aghi di rosmarino tritati,poi unisco il macinato, la salsiccia spellata e i cubetti di prosciutto.
Suddivido questo composto sulle fettine di lonza,le chiudo a involtino e le fermo con uno stuzzicadenti.
Le infarino leggermente ,poi le cuocio in olio e burro con la salvia.
Verso la fine della cottura le spruzzo con il gin e lo lascio evaporare.
Prima di portarle in tavola ,elimino gli stuzzicadenti.

Se non siete patiti del Cocktail Martini, non state a fare spese in più. Se in casa non avete il Gin,usate pure della buona grappa:vengono bene comunque ed hanno una rustica ed apprezzabile aria montanara.

Pennino

Copyright by Pennino

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Lonza arrosto con bacon e mele

Non ditemi che non eravate preparati: sta per cominciare la stagione degli arrosti.
Questo è infatti il periodo perfetto per iniziare a cucinare qualcuna di quelle ricette sontuose e succulente che potranno essere replicate per i pranzi e le cene del periodo in cui si sta volentieri in casa a preparare e a gustare piatti particolarmente ricercati e gustosi.
E questo arrosto sembra davvero piuttosto elaborato, anche se in realtà l’unica difficoltà potrebbe essere preparare la “stuoia” di bacon che avvolge la carne.
Osservare le fotografie comunque, aiuta senz’altro a superare l’ostacolo.

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Si fanno soffriggere in olio e burro un paio di scalogni tritati e uno spicchio d’aglio intero.
Si accomoda nel tegame circa 1 kg di lonza di maiale in un solo pezzo e si fa dorare da tutti i lati.
Si insaporisce con sale, pepe, una grattugiata di noce moscata e si aggiungono 2 chiodi di garofano, 3-4 bacche di ginepro, una stecca di cannella (o 1/2 cucchiaino di cannella in polvere), una foglia di alloro e 1 rametto di salvia.
Si sfuma con 1 bicchiere di vino bianco, si aggiunge 1 mestolino di brodo e si porta a cottura, col coperchio, rigirando la carne e aggiungendo altro brodo se necessario.
Finché l’arista cuoce conviene procedere alla preparazione dell’intreccio di circa 200 gr di fettine di bacon appoggiandole su un foglio di carta forno, che se non si è già abituati a farlo con le strisce di pasta sulle crostate, porta via un po’ di tempo.

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Quando si è ottenuto un rettangolo di misura adeguata a coprire l’arista, si tiene da parte.
Quando l’arista è morbida e quindi cotta (ci vorrà circa 1 ora e 1/2) si toglie dal tegame e si appoggia su una teglia da forno.
Si copre con la “stuoia” di bacon: il calore della carne aiuterà a farla aderire.
Intorno si accomodano alcune mele Golden delicious lavate, tagliate a quarti, private del torsolo ma non sbucciate.
Si spennella tutto con il fondo di cottura filtrato e si inforna a 200 gradi sotto il grill finché il bacon non risulta dorato e le mele morbide ma non sfatte.
Si serve con patate al forno e il sugo dell’arrosto a parte, in salsiera.

È un arrosto davvero di grande effetto anche se, come ho prima anticipato e poi dimostrato, è di facilissima esecuzione.
A me l’abbinamento classico delle mele con il maiale piace molto, ma chi non ama aggiungere la frutta alla carne, può ometterle.

Bombe alla pesarese

Nel mio libro racconto che da ragazzina un anno sono andata coi miei genitori in villeggiatura a Pesaro, dove sono tornata in diverse occasioni anche da adulta.
Pesaro era una bella cittadina, con dintorni storici e paesaggistici molto interessanti, una cucina straordinaria, una discreta scelta di divertimenti serali e trattandosi di una vera città, offriva una mondanità balneare decisamente più soft ed elegante rispetto a quella più aggressiva e modaiola della limitrofa Riviera Romagnola.
Come dicevo la cucina Marchigiana è fantastica e non solo quella di pesce, che è sublime.
Non ho ancora dimenticato le famigerate “bombe”, (che assomigliano un po’ alle Uova alla Scozzese) gustate a casa di un’amica Pesarese, che sospetto venissero chiamate così non per la loro forma, ma piuttosto perché erano delle vere bombe caloriche.
Ma a quei tempi chi ci pensava: la cellulite allora era lontanissima dalle nostre menti e anche dai nostri glutei!
Quando la “nostalgia gastrica” che di tanto in tanto mi assale, diventa insopportabile, me le preparo e le assaporo con immenso piacere, persa nei ricordi dell’adolescenza felice e lontana.

20140917-005153.jpgFaccio rassodare per 6 minuti 6 uova, le lascio raffreddare e le sguscio.
Preparo un impasto con 50 gr di grana grattugiato e 50 gr di pangrattato, 1/2 spicchio d’aglio, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato, 150 gr di mortadella di Bologna passata al frullatore con 1 panino raffermo ammollato nel latte e strizzato, pochissimo sale e abbondante pepe nero.
Allineo 6 fettine sottili di prosciutto e su ognuna spalmo il composto, dividendolo equamente e le avvolgo con precisione intorno ad ogni uovo, ripiegando subito i lati verso l’interno, così in cottura il ripieno non esce.
Passo ogni “bomba” prima nella farina, poi in 2 uova sbattute con un po’ di latte, le faccio rotolare nel pangrattato, poi di nuovo nella miscela di uova e latte e ancora nel pangrattato facendolo aderire bene.
Le friggo in olio profondo ben caldo fino a quando non assumono un bel colore dorato.
Le servo indifferentemente calde o fredde e mi piacciono con la salsa di mirtilli e un’insalatina di rucola.

Le bombe dei miei ricordi di adolescente venivano fritte nello strutto, ma personalmente non ho una grande familiarità con questo grasso, quindi uso l’olio.
Non illudetevi, il vostro fegato vi odierà lo stesso!

Involtini sofisticati

Mi piacciono moltissimo i piatti a base di carni farcite. Lo testimoniano gli arrosti ripieni che vi ho proposto per tutto l’inverno.
Quando comincia la bella stagione però, tendo a trasformare gli arrosti in involtini, che si farciscono e si maneggiano con più facilità e hanno tempi di cottura decisamente più brevi.
Oggi dunque facciamo gli involtini anziché con prosciutto, formaggio fondente e salvia fresca come al solito, con ingredienti un po’ più sofisticati, così si possono servire anche non strettamente in famiglia e sorprendere con il sapore fantastico del loro ripieno.
In pratica insomma vi sto offrendo un’alternativa (altrettanto raffinata e succulenta) ai miei famosi arrosti farciti.

20140513-010528.jpgSul piano di lavoro sistemo 1/2 chilo circa di fettine di lonza di maiale tagliate sottilissime.
Preparo intanto la farcia: frullo 150 gr di prosciutto crudo, San Daniele o Parma come preferite, con 3-4 alici sott’olio spezzettate, 1 piccolo tartufo affettato, 1 tuorlo e 30 gr di parmigiano grattugiato.
Quando il composto è ben amalgamato, formo delle quenelle che appoggio al centro delle fettine di lonza. Le arrotolo e le fermo con gli stecchini.
Scaldo olio e burro in una padella, vi adagio gli involtini, salo e pepo. Faccio rosolare a fuoco vivace, bagno con 1/2 bicchiere di Madera, faccio evaporare, aggiungo un mestolino di brodo e cuocio a fuoco moderato e a tegame coperto per una mezz’oretta rigirandoli ogni tanto.
A cottura ultimata aggiungo qualche cucchiaiata di panna da cucina, restringo il sugo e li servo subito.

Buoni eh? Non fanno certo rimpiangere gli arrosti farciti a cui vi avevo abituati, vero?

Arista al latte

C’è un arrosto che nella mia famiglia si cucina dal 1800… fa effetto eh? Ma è proprio vero.
La mia bisnonna, la moglie del mugnaio, si chiamava Libera perché era nata nel 1861, anno in cui fu eletto il Primo Re d’Italia e il nostro Paese fu liberato dal giogo Austriaco, ma ve l’ho già raccontato.
Lei ha insegnato a mia nonna Virginia e alle altre tre sue figlie a cucinare molti dei piatti che io gelosamente custodisco, preparo… e adesso condivido spesso con voi.
L’arista di maiale al latte è uno di questi.
È un piatto semplice, genuino, dove il metodo di cottura rende la carne così morbida da sciogliersi in bocca. Fondamentale è cucinarlo insieme ad alcune patate intere (come quelle del pollo zoppo) che si imbevono di sugo e assorbono tutti gli aromi della carne che cuoce per restituire un sapore ricco e profumato ad ogni boccone.

20140521-011525.jpgSi fa rosolare da tutti i lati in olio e burro un pezzo intero di lonza di maiale di circa 1 chilo.
Si aggiungono 2 spicchi d’aglio, 1 rametto di rosmarino, 2 foglie di salvia, 1 foglia di alloro (fatta prima seccare), 2 chiodi di garofano, 2-3 bacche di ginepro, alcuni semi di finocchio.
Si fa insaporire, si sala, si pepa, si sfuma con 1/2 bicchiere di Marsala e quando è evaporato si versa 1 litro di latte caldo, che deve coprire completamente la carne,
Si porta a bollore, si abbassa la fiamma e si fa sobbollire piano a tegame coperto.
Si sbucciano alcune patate meglio se a pasta gialla, che in cottura restano compatte ma morbide e dopo un quarto d’ora si sistemano intorno alla carne.
Si salano appena in superficie e mentre l’arrosto si gira un paio di volte, le patate non si toccano più.
Dopo circa 1 ora si tolgono delicatamente e si tengono al caldo. Si verifica la cottura della carne introducendo uno stecco, che deve entrare senza incontrare alcuna resistenza, ma vale sempre la regola che la carne è cotta quando i grassi sono diventati trasparenti.
Vi accorgerete infatti che il latte si è completamente disunito lasciando in superficie la parte liquida dei grassi mentre sul fondo del tegame è visibile una salsa cremosa ma non compatta.
Si toglie la carne e si lascia intiepidire. Si passa al setaccio il sugo premendo bene con il cucchiaio di legno per recuperare tutta la salsa che ha formato il latte e per eliminare gli odori utilizzati in cottura.
Si affetta l’arista, si accomoda di nuovo nel tegame con tutta la salsa e le patate, si spruzza con 1/2 bicchiere di vino bianco, si scuote perché non attacchi, si lascia evaporare e si serve.

La spruzzata di vino quando si riscalda la carne è utile con qualsiasi tipo di arrosto abbiate scelto di cucinare perché lucida e caramellizza leggermente la carne dandole un sapore molto aromatico.
Oggi naturalmente si può semplicemente eliminare gli odori e le spezie e frullare il sugo ottenendo lo stesso una salsa densa e profumata, ma a me piace continuare ad usare un passino e un mestolo di legno.
Sono fatta così.

L’arista con il cotechino

C’è un arrosto che a casa nostra non manca mai a Natale: l’arista con il cotechino.
La faccio da minimo quarant’anni e nonostante proponga ogni anno anche un secondo e a volte un terzo arrosto sempre differenti, in tavola lei è sempre presente.
È una tradizione e un caro ricordo di molti felici Natali passati con tutta la famiglia in case più piccole, in case di campagna, in palazzi del centro storico e anche qui dove abitiamo adesso.
L’esecuzione è semplicissima, il risultato più che apprezzabile e a parte la storia di famiglia che si porta dietro, è davvero un piatto molto buono.

20131229-100940.jpgServe un eccellente cotechino, che si cuoce nel solito modo. Gli si toglie la pelle finché è ancora caldo, altrimenti l’operazione diventa piuttosto complicata e poi si fa raffreddare
Si acquista un pezzo di carré disossato di maiale (lonza) che pesi il doppio del cotechino e la si fa aprire a libro dal solito cortese macellaio. Si ottiene così una di quelle bisteccone alle quali vi state abituando da quando mi sentite parlare tanto spesso di arrosti farciti!
La si apre sul piano di lavoro, al centro si posiziona il cotechino, freddo e spellato, e gli si arrotola attorno la carne racchiudendolo al suo interno.
Si lega con alcuni giri di spago da cucina e si fa rosolare da tutti i lati in olio e burro con 2 spicchi d’aglio, 1 rametto di rosmarino, 2-3 foglie di salvia e 1 di alloro, 2 chiodi di garofano e 3-4 bacche di ginepro.
Si sfuma con 1 bicchiere di vino bianco, si aggiunge 1 mestolo di brodo, si sala appena, si pepa a proprio gusto e si cuoce a fuoco basso per un’oretta e mezza, rigirandolo un paio di volte.
Per controllare la cottura bisogna fare la prova stuzzicadenti, che deve penetrare con facilità nella carne, oltre ovviamente tener presente la regola di mia nonna che dice che il cibo è cotto alla perfezione quando i grassi diventano trasparenti.
A cottura ultimata dunque, si toglie l’arrosto dal tegame, lo si libera dallo spago e si fa raffreddare completamente.
Si filtra il sugo di cottura, si affetta l’arrosto, si rimette nel tegame con le fette leggermente sovrapposte e si scalda, coperto, per qualche minuto, spruzzandolo eventualmente con altro vino.
Raccomando la massima attenzione nel trasferire le fette dal tegame al piatto di portata perché il cotechino non fuoriesca dal suo involucro di carne rovinando la presentazione.

In pratica può ricordare il “cotechino in gabbia” Emiliano, ma se non sbaglio questa versione prevede anche uno strato di sottili crêpes e uno di spinaci ripassati al burro all’interno della fetta di lonza, prima di inserire il cotechino.
Il mio è molto più semplice. E stavolta è anche veramente l’ultimo arrosto farcito del 2013!