Risotto ai funghi porcini con tartufo su cialde di parmigiano

Dell’autunno, una delle tante cose che amo oltre ai suoi colori, sono i doni che la terra ci offre con generosità.
Questa è la stagione dei funghi più pregiati, dei tartufi più prelibati, delle zucche più polpose.
Con queste meraviglie cucino piatti classici e saporiti, come i risotti, che le esaltano e fanno felici chi li assaggia.
Arricchisco per esempio il tradizionale “riso co’ la suca” delle nostre parti con le capesante, ma questa ricetta la posterò uno dei prossimi giorni.
Oggi parliamo del risotto con i porcini, che è quanto di più semplice si possa cucinare, ma l’aggiunta di qualche preziosa lamella di tartufo lo rende sofisticato e il contenitore da appoggiare sul piatto, a base di parmigiano grattugiato ne fa un piatto di grande eleganza.

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Si parte mondando e affettando circa 200 gr di porcini piccoli e profumati.
Si fa rosolare con olio e burro uno scalogno tritato con 1 spicchio d’aglio grattugiato e 1 cucchiaio di prezzemolo tritato.
Si aggiungono i funghi a fettine e si fanno saltare a fuoco vivace senza farli cuocere troppo a lungo. Si insaporiscono con sale e pepe e si tengono da parte.
Si portano a bollore 2 tazze di brodo leggero (di pollo o vegetale), si versa una tazza di riso, si scuote il tegame, si copre con il coperchio lasciando una piccola apertura, che mia nonna chiamava “sbacèto” cioè spiraglio e si porta a cottura senza mai mescolare.
Nel frattempo si preparano le cialde di parmigiano facendo fondere in una padella antiaderente, più o meno della stessa misura del piatto fondo, 3-4 cucchiaiate di formaggio parmigiano distribuito su tutta la superficie in maniera omogenea.
Quando è completamente fuso si trasferisce con una spatola (e molto garbo) su un piatto fondo capovolto facendogli prendere la forma di una conca.
Si ripete l’operazione per altre tre volte.
Questa è una preparazione che ho visto anche in molti altri blog e che personalmente non avevo mai sperimentato con un elemento caldo, come il risotto o una vellutata al suo interno. Temevo che il calore del contenuto la fondesse in fretta, invece regge.
Nel frattempo il riso è pronto. Si spegne il fuoco, si manteca con burro e parmigiano e si condisce con i porcini.
Si spolverizza di prezzemolo tritato, si suddivide nei contenitori di parmigiano sistemati sui piatti (raddrizzati!) e si completa con il tartufo affettato con l’apposito attrezzo.
Si serve immediatamente perché, anche se non velocemente come temevo io, il calore del risotto tende a fondere la cialda di parmigiano.

Il titolo è lungo e pomposo, lo so, ma volevo che si capisse a prima vista di cosa tratta la ricetta, anche se fa pensare a un piatto servito a casa della Contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare… con buona pace di Fantozzi.

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Arista al latte con salsa di mele e di cipolle

Da un po’ sto seguendo in TV un Talent Show culinario che si svolge in Australia. Mi piace molto, anche se non riesco a trarre grandi ispirazioni dalle ricette che le coppie in gara presentano.
Comunque ho notato che quello a cui tengono particolarmente i due giudici Manu Feildel, chef di origine francese già giudice di Masterchef Australia e Pete Evans, chef autore di molti best sellers di cucina, è la salsa che accompagna, o dovrebbe accompagnare le ricette dei concorrenti: per entrambi non ce n’è mai a sufficienza e quindi giudicano spesso le preparazioni troppo asciutte.
Io sono una grande sostenitrice di questa necessità: anche la carne più tenera e saporita ha bisogno di una salsa per essere perfetta.
L’arista, per esempio, è una preparazione molto gustosa ma ha purtroppo il limite di non essere morbida e succulenta come ci si aspetta da un arrosto.
Un modo per renderla meno asciutta è cuocerla con il latte e servirla con qualche salsa ricca e morbida in aggiunta al suo sugo.

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Si fanno rosolare in olio e burro circa 8-900 grammi di lombata di maiale disossata, o lonza, che una volta cotta prenderà il nome di arista.
Si aggiungono 2 spicchi d’aglio schiacciati, 1 rametto di rosmarino, 1 foglia di alloro, 3-4 foglie di salvia, un paio di rametti di timo e se è possibile anche 1 di mirto.
Si rigira ripetutamente e quando la carne è ben rosolata dappertutto, si sfuma con 1/2 bicchiere di Marsala, si sala e si pepa, si insaporisce con 2 chiodi di garofano e qualche bacca di ginepro e si copre con 1 litro di latte caldo.
Si mette il coperchio e si fa cuocere almeno per un’ora facendo attenzione che a mano a mano che il latte si consuma la carne non si attacchi al fondo del tegame.
Se il liquido dovesse asciugarsi troppo, si può aggiungere 1 mestolo di brodo oppure altro latte.
A fine cottura, dopo circa un’ora e mezza, la carne deve risultare morbida e il sugo trasparente in superficie. Sul fondo invece si sarà formato un “sedimento”, lasciato dal latte, che darà ancora più gusto alla carne.
Fintanto che l’arista cuoce si prepara una salsa di accompagnamento a base di mele, che col maiale stanno benissimo, e una di cipolle per bilanciare la loro dolcezza.
Si tagliano a metà e si affettano non troppo sottili 600 gr di cipolle dorate, quelle dolci, o in alternativa quelle bianche.
Si fanno stufare dolcemente in olio e burro, si salano e si lasciano ammorbidire aggiungendo qualche cucchiaiata d’acqua.
Quando diventano trasparenti e quindi sono appassite ma non rosolate, si tolgono dal tegame con l’aiuto di una forchetta e si tengono da parte.
Si versano nello stesso tegame 1/2 kg di mele renette sbucciate e tagliate a pezzi.
Si fanno saltare a fuoco vivo, si aggiunge 1 cucchiaio di miele e si completa con una manciata di noci tritate molto grossolanamente.
Si serve l’arista a fette accompagnata dalle due salse, di mele e di cipolle, e si passa a parte in salsiera il sugo della carne filtrato.

Secondo me questo si può considerare uno dei grandi arrosti da prendere in considerazione anche a dicembre. Tenetelo a mente perché quando saremo sotto le Feste tornerà utile avere qualche idea nuova da portare in tavola.
L’arista si può cuocere anche al forno e la salsa si può fare anche cuocendo insieme mele e cipolle, ma questa volta mi piaceva di più offrire due salse anziché una, per dare più importanza alla ricetta…

Pasticcio di pollo

Quello che i Francesi chiamano Hachis Parmentier, in Gran Bretagna è la Shepherd’s Pie e in America la Chicken (oppure Beef) Pot Pie, preparazioni tutte leggermente differenti, ma sempre squisite.

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In Italia noi non le facciamo in pratica mai, vero? Non rientra nelle nostre abitudini.
Eppure siamo dei grandi cultori di ogni tipo di torte salate, che offriamo indifferentemente come antipasto, piatto unico a pranzo, merenda o nei pic nic, ma di questo pasticcio di pollo non siamo dei veri estimatori.
Peccato, perché si tratta di un piatto molto sostanzioso, decorativo, semplice, goloso e saporito, che si prepara in anticipo e si inforna circa un’oretta prima di metterlo in tavola.
Il ripieno può essere di carne di maiale, di manzo o di pollo, macinata o a tocchetti. Si possono aggiungere piselli, funghi, fagiolini oltre a carote, sedano e cipolle. La copertura può essere di purè di patate oppure di pasta.
Insomma ci sono molti modi diversi per cucinare questa pie. Si può usare la fantasia, tenere conto delle proprie abitudini, rifarsi ad un ricordo particolare, perfino utilizzare quello che si ha nel frigorifero.
Il modo più classico comunque è questo.

Si soffriggono nell’olio cipolla, sedano e carota tritati, si aggiunge 1 barattolo di piselli medi sgocciolati, si fanno cuocere per cinque minuti, si salano e poi si versano in una ciotola eliminando il grasso.
Si uniscono 400 gr di petto pollo cotto allo spiedo o lessato, tagliato a cubetti.
Si fa una besciamella leggera fondendo 50 gr di burro in un pentolino, versando 65 gr di farina e mescolando continuamente per 1 minuto.
Si aggiungono poco per volta prima 250 ml di latte e poi 250 ml di brodo e si continua la cottura senza smettere di mescolare per altri 5 minuti, finché la salsa si addensa. Fuori dal fuoco si aggiusta di sale e pepe e si versa quindi sul pollo e le verdure.
Si mescola e si trasferisce in una pirofila.
Si prepara una pasta brisé, si stende col mattarello dopo averla fatta riposare in frigorifero e si copre il composto sigillando i bordi inumiditi con un po’ di latte, pizzicandoli. Si praticano alcuni tagli sulla superficie della pasta per consentire al vapore di uscire in cottura e la si spennella con 1 uovo leggermente battuto.
Si inforna a 200° per circa 20 minuti. La superficie deve risultare dorata e croccante mentre l’interno si mantiene morbido e cremoso.

È una preparazione deliziosa. A me è piaciuta dalla prima volta in cui l’ho assaggiata e in America la ordino spesso.
La migliore è per me quella che si mangia nei ristoranti della catena Perkins, che sono anche panetteria e pasticceria: forse è per quello che la crosta delle loro Chicken Pot Pie è così buona.
Sono grandiose anche le loro colazioni, abbastanza semplici per lo standard americano, ma con un’infinità di dolci sfornati al momento ai quali è difficile resistere.

Classico e rassicurante: il risotto con gli asparagi

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Risotti come questo fanno parte della nostra storia familiare, sono un vero comfort food che risveglia ricordi più o meno lontani.
Il mio riprovevole modo di prepararlo mi consente di offrire contemporaneamente più varietà di risotto ai miei adorati commensali.
L’abitudine viene dalla necessità di diversificare i sapori rispettando i gusti o le esigenze di ognuno.
Accade a volte che per accontentare un figlio se ne scontenti un altro. Non sia mai! Si trova un escamotage che consenta di rendere il pasto piacevole per tutti piuttosto.
Che ogni tanto faccio la pasta ai 4-5-6 sughi lo sapete (https://silvarigobello.com/2015/01/27/uno-dei-4-sughi-quello-di-piselli/), con i risotti non arrivo a tanto, ma almeno due diversi costituiscono spesso la norma.
Fortunatamente il risotto con gli asparagi piace a tutti, ma se occorre c’è sempre un altro sugo di riserva.

L’ho già spiegato più volte, ma per chi si fosse messo all’ascolto solo in questo momento, ripeto come si cucinano, salvo alcune eccezioni, i miei risotti.
Si porta a bollore un volume di brodo doppio rispetto al volume di riso necessario: io uso come unità di misura un mug col Will Coyote che è la dose perfetta per due persone. Dunque 2 tazze di brodo per ogni tazza di riso.
Si butta il riso, si incoperchia e senza mai mescolarlo si porta a perfetta cottura.
A questo punto bisogna avere pronto il sugo che si è deciso di servire perché quando il riso è cotto ed ha assorbito tutto il brodo occorre mantecarlo con burro e parmigiano e poi aggiungere il sugo ancora caldo, mescolare e servire subito.
Per preparare il sugo di asparagi per esempio, si fa dolcemente imbiondire in olio e burro una cipollina bianca tritata.
Si pelano (col pelapatate) i gambi di un mazzo di asparagi bianchi*, si affettano sottili e si tengono intatte le punte.
Si versano nella casseruola con la cipolla, si regolano di sale e pepe, si sfumano con 1/2 bicchiere di vino bianco e si cuociono a fuoco medio mescolando di tanto in tanto. Se dovessero asciugarsi troppo, oltre a mettere il coperchio, si può aggiungere 1/2 mestolo di brodo.
Quando sono morbidi e saporiti si spolverizzano con il prezzemolo tritato e sono pronti per essere aggiunti al riso.

* Noi Veronesi usiamo quasi sempre gli asparagi bianchi che fanno parte delle nostre eccellenze in fatto di ortaggi delle nostra zone, ma si possono prevedere anche quelli verdi se li preferite: il metodo di preparazione del sugo non cambia.

Petto di pollo in salsa di Taleggio

In generale, cucinare il petto di pollo è il modo più semplice di portare in tavola un secondo di carne.
Questo taglio si presta ad essere preparato in tantissimi modi: si possono fare cotolette e cordon bleu, scaloppine, involtini, crocchette e piccoli arrosti. Insomma è molto versatile anche se non così interessante come sapore.
Per renderlo più goloso si può provare questa ricetta, nata per un arrosto di vitello, ma perfetta anche per il petto di pollo.

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Si fanno rosolare in tegame 2 petti di pollo interi con olio, burro, 2 spicchi d’aglio, 1 foglia di alloro, 1 rametto di rosmarino e qualche foglia di salvia.
Si sfumano con un bicchierino Cognac e subito dopo con uno di Marsala. Si salano, si pepano e si prosegue la cottura col coperchio, rigirandoli un paio di volte.
Ci vorranno una ventina di minuti perché siano pronti.
Nel frattempo si prepara una salsa di accompagnamento che li renderà speciali.
Si fanno fondere a fuoco dolcissimo con 100 ml di panna da cucina e una cucchiaiata di Cognac, 150 gr Taleggio tagliato a cubetti, mescolando con cura.
Quando è cotta si toglie la carne dal tegame e si tiene in caldo avvolta in un foglio doppio di alluminio. Si filtra il sugo e si aggiunge alla salsa di formaggio.
Si affetta ogni porzione di petto di pollo senza tagliarlo fino in fondo e si cosparge col suo sugo, ricco, profumato e cremoso.

Questa tagliata di pollo va accompagnata sempre da legumi cotti o purè. Sconsiglio le insalate che non renderebbero giustizia al piatto.

Pollo disossato ripieno (versione al prosciutto)

Mertedì ho accennato agli arrosti di pollo disossato e farcito che ho assaggiato qualche giorno fa. La ricetta è della mia consuocera Giulietta.
Invidio molto l’abilità di chi sa disossare un volatile, come Julia Child, Julie Powell e Marina di Le ricette di Baccos per esempio, ma in realtà io non me la sentirei di imparare ad affrontare questo compito.
Quindi quando ne ho bisogno mi rivolgo al compiacente pollivendolo del banco del mercoledì o al solito macellaio di fiducia per procurarmi un bel pollo disossato alla perfezione, cosce comprese, leggermente battuto.
Tenuto conto dei suggerimenti della Giulietta, questo è il risultato: un morbido pollo farcito con prosciutto e formaggio tenero, arrostito alla perfezione.

20150216-210806.jpgSi appoggia il pollo disossato con la pelle a contatto del piano di lavoro, si sala e si stendono sulla superficie circa 200 gr di prosciutto cotto tagliato preferibilmente a fette piuttosto spesse.
Sopra si accomodano 250 gr di formaggio tipo fontina, Asiago, Monte o latteria, che in cottura si fondono senza filare insomma. Credo che ogni regione abbia almeno un tipo di formaggio con queste caratteristiche, dunque suggerirei di utilizzarne uno della propria zona.
Una volta coperto tutto il prosciutto con le fette di formaggio si arrotola con cura la carne e si chiude temporaneamente con gli stuzzicadenti per facilitare la cucitura con lo spago da cucina e un grosso ago. Si può anche legare come gli altri arrosti, ma io voglio andare sul sicuro…
Si fa rosolare bene in olio e burro con l’aggiunta di un mazzetto odoroso composto da salvia, timo e rosmarino legati insieme per poterli eliminare facilmente a fine cottura, si sala appena, si insaporisce con una macinata di pepe, si sfuma con 1 bicchiere di vino e si aggiungendo 1 mestolo di brodo. Si porta a cottura rigirandolo più volte.
Quando la pelle è uniformemente rosolata si toglie dal tegame e si fa intiepidire. Si filtra il sugo, si elimina il mazzetto odoroso, si libera dallo spago, si affetta, si accomoda in una pirofila e gli si da un’ultima ripassata in forno per dorare leggermente le fette.
Si serve passando il sugo a parte in salsiera.

Naturalmente si preparano anche un’insalata mista, delle patate al forno e magari delle zucchine trifolate.
Comunque ai contorni pensateci voi.

Uno dei “4 sughi”: quello di piselli

Quando vengono a pranzo i ragazzi a volte faccio solo l’antipasto e la pasta.
“Solo” la pasta significa che cucino sì un unico tipo di pasta, ma al centro della tavola posiziono un vassoio girevole sul quale trovano posto diversi tipi di sughi per condirla.
È lo stesso sistema che adottano quelle tipiche trattorie Veronesi di vecchia tradizione e di sostanza che ogni tanto cito.
Uno dei primi piatti più tipici della nostra cucina sono infatti le “lasagnette coi quattro sughi” che sono invariabilmente il ragù di carne, quello di fegatini, il sugo di piselli (o di un altro ortaggio si stagione, a volte) e quello di pomodoro.
In famiglia però le combinazioni sono spesso differenti e solitamente la scelta è anche più ampia. L’ultima volta per esempio c’erano in tavola 6 sughi diversi tra cui una variante col pomodoro del sugo di piselli, che invece in genere è bianco.
E le mie lasagnette le ho condite così.

20141210-011818.jpgSi soffrigge dolcemente 1 piccola cipolla tritata in olio e burro.
Si aggiunge un barattolo di passata fine di pomodoro, 1/2 cucchiaino di sale grosso e 1 cucchiaino raso di zucchero.
Si lascia sobbollire piano per una ventina di minuti mescolando con un cucchiaio di legno.
Quando la salsa di pomodoro è bella densa e corposa si aggiungono 400 gr di piselli freschi o surgelati, oppure un barattolo di piselli medi di una buona marca, scolati e sciacquati.
Si mescola, si spolverizza di pepe bianco e si sala appena.
Si procede alla cottura a tegame coperto.
Cito ancora una volta mia nonna Virginia, infallibile nelle cose di cucina, per precisare che il sugo è pronto quando il grasso diventa trasparente e passando il cucchiaio di legno tra il sugo e le pareti del tegame si sente un inconfondibile sfrigolio. Per essere certi che sia cotto a puntino insomma “bisogna sentirlo cantare”.
Grazie nonna, non non ho mai sbagliato una cottura!

Ecco, questo è dunque uno dei sughi che ho portato in tavola l’ultima volta insieme agli altri cinque per una “pasta” davvero varia e golosa.
Credetemi, è un modo divertente e molto conviviale di mangiarla in famiglia, ma anche con gli amici. Si ruota il vassoio oppure ci si passano le ciotole o le salsiere e ci si serve del sugo preferito oppure si azzardano combinazioni di fantasia.
A parte si passa il parmigiano grattugiato.

Nei menù della mia infanzia c’era anche il fegato alla Veneziana

Quando ero piccola io, non era mica come adesso. Allora i pasti consistevano sempre in due portate più la frutta alla fine. Non erano previsti piatti unici, torte salate, pizza fatta in casa, insalatone o sandwich che potevano sostituire primo e secondo insieme.
In più c’era persino una specie di scaletta che prevedeva alcuni cibi in determinati giorni. Per esempio, in genere la domenica si mangiava il brodo e poi il lesso con verdure cotte e salse (immancabile la pearà) e di conseguenza il lunedì si facevano le polpette.
Ricordo che per cena c’erano quasi sempre zuppe o passati di verdura seguiti da prosciutto e formaggio, oppure da una frittata o un uovo all’occhio di bue. In alternativa a volte si faceva una “svizzera” alla griglia con le patatine.
Una volta a settimana si cucinavano lo spezzatino, l’osso buco con la polenta o l’arrosto di vitello, piatti che si finivano in due volte, la seconda per cena il giorno successivo ma accompagnati dall’insalata e non più dalle patate.
La polenta era presente la sera almeno una volta, con il gorgonzola o le salsicce tagliate a rondelle e rosolate con la salvia.
Un paio di volte a settimana, a pranzo in tavola c’erano le cotolette oppure le scaloppine al Marsala, le bistecche alla pizzaiola o gli involtini, dopo un piatto di riso pescato condito con olio o burro e parmigiano.
Quando si mangiavano le lasagne o le tagliatelle con il ragù di carne, di funghi o di piselli per esempio, come secondo c’era sempre l’affettato misto.
Il venerdì per tutto l’anno allora si rispettavano il digiuno e l’astinenza, quindi si spaziava dalle cotolette di asià (spinarolo), alle seppie ripiene, ai gamberetti al limone e al fritto misto con l’insalata mentre il primo piatto si saltava.
Senza un ordine preciso apparivano a rotazione: le trippe, il baccalà, il pasticcio di lasagne, il pollo fritto e il fegato alla veneziana.
Questo è il mio fegato alla veneziana: succulento e gustoso, dalla consistenza cremosa, accompagnato da cipolle fondenti e deliziose.
È lo stesso che si faceva a casa mia quando ero piccola.

20150113-181744.jpgSi affettano non troppo sottilmente 300 gr di cipolle bianche e si fanno appassire a fuoco dolcissimo con 2 cucchiai di olio e qualche foglia di salvia. Si sala appena e, come sempre, si aggiunge se occorre un filino d’acqua.
Quando diventano trasparenti e morbidissime si aggiungono 600 gr di fegato di vitello tagliato prima a fette e poi a pezzetti e circa 30 gr di burro.
Si alza la fiamma e si porta velocemente a cottura mescolando col cucchiaio di legno.
Si sala, si insaporisce con una generosa macinata di pepe nero, si elimina la salvia e si serve subito. Volendo anche con della polenta morbida.

Il fegato alla Veneziana è uno dei piatti tipici più conosciuti della nostra regione, molto appetitoso e stuzzicante. Come per molte altre ricette, ogni famiglia ha una sua versione, questa è quella della mia.

L’arrosto di tacchino di Natale 2014

20141229-013625.jpgQueste sono due fette dell’arrosto di petto di tacchino che ho cucinato per il pranzo di Natale e gli ingredienti principali della sua farcia di riconoscono con facilità.
Come faccio i miei arrosti farciti ormai l’ho raccontato un sacco di volte. La preparazione e gli ingredienti dei ripieni cambiano un pochino ma le caratteristiche sono più o meno sempre le stesse.
Questa volta ho preparato una farcia speziata, morbida e saporita e il risultato è stato un arrosto succulento e molto appetitoso, che tutti hanno gradito moltissimo.

Ho frullato insieme 1 petto di pollo cotto allo spiedo, 3 salsicce spellate, 100 gr di prosciutto cotto tritato grossolanamente, la mollica di 1 panino raffermo affettata e prima ammollata in 1 bicchiere di latte tiepido e poi strizzata, 2 cucchiai di parmigiano grattugiato e 1 scalogno fatto appassire con una noce di burro e 2 foglie di salvia a fuoco dolce.
Ho versato il composto in una ciotola, ho aggiunto 1 uovo intero, 1 cucchiaiata di prezzemolo tritato, 1 grattata di noce mostrata, 1 pizzico di cannella, pepe bianco e poco sale.
Ho amalgamato tutto e ho incorporato con delicatezza 80 gr di pistacchi sgusciati e 300 gr di castagne lessate e pelate, lasciandole il più possibile intere.
Ho farcito con il mio composto 1 kg e 600 gr di petto di tacchino in una sola fetta ben battuta e assottigliata. L’ho avvolta su sé stessa come al solito, legata con qualche giro di spago da cucina e fatta rosolare in casseruola con olio, burro, 2 spicchi d’aglio, 1 rametto di rosmarino, 1 foglia di alloro e 2 foglie di salvia.
Ho sfumato con 1/2 bicchiere di Marsala, ho aggiunto 2 mestoli di brodo e ho portato a cottura coperto per la prima ora e poi a tegame scoperto finché l’arrosto non è risultato dorato uniformemente e la cucina non si è riempita dell’inconfondibile aroma degli arrosti invernali.
Ho filtrato il sugo, fatto raffreddare la carne e affettata dopo un giorno di frigorifero così il ripieno non si è spostato al momento del taglio.
L’ho poi scaldata nel suo sugo aggiungendo un’altra spruzzata di Marsala.

Questo arrosto, insieme all’arista con il cotechino (ricetta pubblicata il 29 dicembre 2013) sono stati serviti con patate al forno e cavolfiore gratinato.

Ragù di petto d’anatra

In queste settimane che precedono il Natale è facile trovare sui banchi delle macellerie carni che normalmente non si vedono e trarre nuovi spunti per preparare piatti molto interessanti e spesso dimenticati.
La prozia Margherita, cognata di mia nonna Emma e le mogli di quei cugini del mio papà di cui racconto nel capitolo “Pelle d’oca e zampe di gallina” del mio libro, cucinavano dei veri piatti rinascimentali pieni di profumi con cotture lente ed elaborate, ingredienti autoctoni e grande tradizione.
Da bambina una volta l’anno andavamo a trovarli in questa massiccia e solida casa padronale al centro di una corte circondata dalle abitazioni dei contadini, le stalle, il fienile e una grande aia dove razzolavano polli, anatre e oche.
A pranzo ci offrivano vassoi di pasta fatta in casa e arrosti dai sughi densi, che profumavano intensamente di erbe aromatiche, vino, passione e saggezza.
Allora non gradivo quei sapori e quegli ingredienti, ma non li ho mai dimenticati. Nel mio libro infatti descrivo con fierezza e nostalgia i metodi di cottura e i segreti della preparazione di questi antichi piatti di famiglia.
Oggi però, per mille motivi, non preparerei più un ragù d’anatra allo stesso modo, ma con due petti che il macellaio mi ha passato al tritacarne una sola volta, ho cucinato un sugo molto invitante.

20141211-192542.jpgSi fa appassire a fuoco dolce in olio e burro il solito abbondante misto da soffritto (carota, sedano e cipolla).
Quando il trito sarà consumato, si uniscono 1 foglia di alloro e gli aghi di un rametto di rosmarino tritato.
Si aggiunge la carne e si fa rosolare alzando la fiamma e mescolando perché non si attacchi.
Si sfuma con 1/2 bicchiere di vino rosso importante, io per esempio uso l’Amarone, ma si può scegliere un qualunque altro importante vino della propria zona.
Quando è completamente evaporato si aggiungono una tazza di passata di pomodoro, 1 cucchiaio di doppio concentrato e un mestolo di brodo, si aggiusta di sale e pepe e si porta a cottura mescolando di tanto in tanto.
Si condisce la pasta e si completa con abbondante grana grattugiato.

Se avessi avuto i bigoli, sarebbero stati la morte sua, ma ho rimediato con dei vermicelli, più grossi e corposi degli spaghetti che hanno fatto la loro ottima figura.