Arrosto in verde

Spero che aver scelto come prima ricetta del 2015 un ennesimo arrosto farcito sia di buon auspicio!
Per il pranzo di ieri ho preparato un arrosto davvero speciale, con una piacevole farcia verde: verde speranza, la speranza che questo nuovo anno appena cominciato ci porti tutto quello che di buono ci aspettiamo e ci meritiamo.

20141208-011307.jpgCi vogliono 8-900 gr di fesa di vitello (più saporita del petto di tacchino e più delicata della polpa di maiale) tagliata in modo da farla diventare la solita grossa bistecca che si appoggia sul piano di lavoro.
Per la farcia verde si cuociono in tegame coperto 300 gr di spinaci senza aggiungere acqua. Sarà sufficiente a mantenerli morbidi il liquido che emettono in cottura.
Si scolano, si strizzano, si tagliuzzano e si passano in padella con 30 gr di burro, sale, pepe e noce moscata per insaporirli e asciugarli perfettamente.
Si fanno raffreddare e si inseriscono nel vaso del food processor con 50 gr di pangrattato, 50 gr di pistacchi sgusciati e spezzettati, 1/2 spicchio d’aglio e 80 gr di parmigiano grattugiato.
Si frulla e si spalma su tutta la superficie della carne.
Si arrotola su sé stessa, si avvolge in 150 gr di pancetta piacentina e si lega con cura con lo spago da cucina.
In un tegame piuttosto profondo si fanno imbiondire con olio e burro 2 scalogni affettati sottili, si salano appena e si aggiunge la carne.
Si rosola con aglio, alloro, salvia e rosmarino, si sfuma con 1/2 bicchiere di vino bianco, si aggiunge qualche mestolino di brodo e si porta a cottura rigirandolo 3-4 volte perché prenda colore da tutti i lati.
Dopo circa un’ora si toglie dal tegame e si libera dallo spago. Si fa leggermente intiepidire, poi si affetta.
Intanto si filtra il sugo e si cosparge la carne.

In questo arrosto non ho aggiunto sale perché tutti gli ingredienti sono particolarmente sapidi.
Ho già detto che preferisco preparare gli arrosti in anticipo e affettarli quando sono perfettamente freddi per scaldarli al momento di servirli. Se il sugo non vi sembra sufficiente a mantenere morbido l’arrosto, potete aggiungere una tazzina di latte.

L’arrosto di tacchino di Natale 2014

20141229-013625.jpgQueste sono due fette dell’arrosto di petto di tacchino che ho cucinato per il pranzo di Natale e gli ingredienti principali della sua farcia di riconoscono con facilità.
Come faccio i miei arrosti farciti ormai l’ho raccontato un sacco di volte. La preparazione e gli ingredienti dei ripieni cambiano un pochino ma le caratteristiche sono più o meno sempre le stesse.
Questa volta ho preparato una farcia speziata, morbida e saporita e il risultato è stato un arrosto succulento e molto appetitoso, che tutti hanno gradito moltissimo.

Ho frullato insieme 1 petto di pollo cotto allo spiedo, 3 salsicce spellate, 100 gr di prosciutto cotto tritato grossolanamente, la mollica di 1 panino raffermo affettata e prima ammollata in 1 bicchiere di latte tiepido e poi strizzata, 2 cucchiai di parmigiano grattugiato e 1 scalogno fatto appassire con una noce di burro e 2 foglie di salvia a fuoco dolce.
Ho versato il composto in una ciotola, ho aggiunto 1 uovo intero, 1 cucchiaiata di prezzemolo tritato, 1 grattata di noce mostrata, 1 pizzico di cannella, pepe bianco e poco sale.
Ho amalgamato tutto e ho incorporato con delicatezza 80 gr di pistacchi sgusciati e 300 gr di castagne lessate e pelate, lasciandole il più possibile intere.
Ho farcito con il mio composto 1 kg e 600 gr di petto di tacchino in una sola fetta ben battuta e assottigliata. L’ho avvolta su sé stessa come al solito, legata con qualche giro di spago da cucina e fatta rosolare in casseruola con olio, burro, 2 spicchi d’aglio, 1 rametto di rosmarino, 1 foglia di alloro e 2 foglie di salvia.
Ho sfumato con 1/2 bicchiere di Marsala, ho aggiunto 2 mestoli di brodo e ho portato a cottura coperto per la prima ora e poi a tegame scoperto finché l’arrosto non è risultato dorato uniformemente e la cucina non si è riempita dell’inconfondibile aroma degli arrosti invernali.
Ho filtrato il sugo, fatto raffreddare la carne e affettata dopo un giorno di frigorifero così il ripieno non si è spostato al momento del taglio.
L’ho poi scaldata nel suo sugo aggiungendo un’altra spruzzata di Marsala.

Questo arrosto, insieme all’arista con il cotechino (ricetta pubblicata il 29 dicembre 2013) sono stati serviti con patate al forno e cavolfiore gratinato.

Il cappone ripieno della moglie del macellaio

Quando il 13 ottobre ho postato la ricetta dei casoncelli bresciani, ho accennato al fatto che la moglie del macellaio del mio paese al Lago utilizza lo stesso ripieno per farcire un cappone disossato.
E dunque perché non accogliere questo suggerimento e cucinare un arrosto di cappone con gli ingredienti della tradizione contadina e povera di molte parti dell’Italia del Nord?
Il risultato è molto interessante e un po’ insolito e secondo me può anche avere un senso di appartenenza e di semplicità che tendiamo a dimenticare un po’ tutti scegliendo, io per prima, ricette ricche e sontuose che si allontanano dall’essenziale sobrietà dei tempi andati.
Sono sicura che questa ricetta sarebbe piaciuta molto a mia nonna, che farciva la gallina con cui faceva il brodo per le tagliatelle di Natale con pochi saporiti ingredienti, ma soprattutto col pane raffermo e la pancetta.
So che molti di voi possiedono abilità che io non ho, come per esempio la capacità di disossare personalmente un volatile, ma io preferisco affidarmi al macellaio e ordinare per tempo un cappone sui 2 kg già disossato.

20141202-105141.jpgPreparo per primo il ripieno per il nostro cappone, che è lo stesso dei casoncelli, come dicevo, ed è molto semplice.
Si fanno rosolare col burro in padella 150 gr di pancetta e 100 gr di prosciutto cotto tagliati a dadini con 1 spicchio d’aglio e 1 ciuffo di salvia tagliuzzato, poi si frullano con 250 gr di pane raffermo, 100 gr di grana grattugiati e 200 gr di bietole già lessate e tritate.
Si versa il composto in una ciotola, si insaporisce con sale, pepe, noce moscata e si aggiunge un pochettino di brodo.
La consistenza di questo ripieno deve essere come quella delle polpette.
Lo tengo da parte e intanto preparo il cappone.
Passo la pelle con il cannello per caramellare così da eliminare eventuali residui di penne sulla superficie.
Lo sciacquo, lo asciugo, lo stendo sul piano di lavoro e posiziono il ripieno al suo interno.
Riavvicino le due parti e riunisco il taglio praticato dal macellaio prima aiutandomi con gli stuzzicadenti e poi cucendolo con cura con un grosso ago da lana e lo spago da cucina.
Finita questa delicata e antipatica operazione, rosolo il cappone in una teglia che possa poi andare in forno, con olio e burro, rosmarino, salvia, aglio e alloro.
Lo salo, lo insaporisco con pepe e noce moscata, lo sfumo con 1 bicchiere di vino e quando è evaporato aggiungo il solito mestolino di brodo di quasi tutti i miei arrosti, che li mantiene umidi e succulenti durante la cottura.
Inforno a 200 gradi per circa 1 ora e 20, rigirandolo almeno un paio di volte e ricoprendolo col suo liquido di cottura. Se dovesse asciugarsi troppo, aggiungo altro brodo.
Una volta sfornato, deglasso il fondo di cottura con 1 bicchiere di vino bianco staccando bene tutte le incrostazioni caramellate dal fondo della teglia. Faccio addensare la salsa aggiungendo una punta di maizena, la filtro e la servo con il cappone affettato.

I funghi champignon trifolati, le bietole ripassate in padella e le patate al forno sono l’ideale per accompagnare questo cappone gustoso e ricco di sapori d’antan, che raccomando di non sottovalutare.

Sformatini di zucca

A Natale ho sempre fatto tre arrosti distinti, perfino differenti ogni anno.
Tutti e tre sono diversamente farciti a seconda del tipo di carne. Utilizzo infatti fesa di tacchino, spinacino oppure noce di vitello e arista di maiale.
La mia mamma voleva sempre sapere in anticipo che farce avrei scelto perché le sue amiche morivano di curiosità e a lei piaceva molto anticipare qualcosa del mio menù per poi completare la descrizione il giorno di Santo Stefano, quando si riunivano per giocare a carte come avevano sempre fatto fin da quando c’erano ancora i mariti.
Ormai erano tutte e sei vedove ma hanno continuato a ritrovarsi la domenica per le loro partite anche quando il gruppo si è a mano a mano assottigliato.
Adesso sono rimaste in due e non so come si regolino. Comunque ne ho incontrata una l’anno scorso a dicembre e dopo due parole di rammarico per aver perso tante amiche mi ha chiesto: “E quest’anno cosa fa per Natale?” Mi sono inventata qualcosa lì per lì, non potevo mica deluderla, no?!
Se la rivedo anche quest’anno le dico di questi sformatini di zucca, che entreranno di diritto fra i contorni degli arrosti, coi popover alle mele e i funghetti gratinati.

20141121-011527.jpgSbuccio 1,500 kg di zucca, la libero dei semi e dei filamenti, la taglio a fette e la inforno per 40 – 50 minuti a 180°: deve risultare tenera e asciutta. Poi la frullo nel mixer con 50 gr di amaretti, 150 gr di grana padano grattugiato, 150 gr di mostarda Mantovana, la scorza grattugiata di mezzo limone, 1 uovo, sale, pepe e noce moscata.
Ungo con il burro degli stampini di plexiglass o di ceramica, ma vanno benissimo anche quelli usa e getta di alluminio, li riempio fino a 3/4 con il mio composto e inforno per 15 minuti a 160°.
Li lascio leggermente intiepidire e li sformo aiutandomi con la lama di un coltello.
Come dicevo, li servo con gli arrosti, ma probabilmente a voi verranno in mente anche altre golose soluzioni.

L’avete riconosciuto? Si tratta in pratica del ripieno dei Tortelli alla Mantovana trasformato in un insolito contorno.
Vedrete, i vostri ospiti ne andranno pazzi e anche una delle due uniche amiche superstiti della compagnia della mia mamma, se le faccio una telefonata…

Sono arrivate le renne: allora è quasi Natale

Nel periodo Natalizio è consuetudine preparare dolcetti e biscotti che possono essere mangiati a colazione, offerti con il tè, oppure appesi all’albero con un nastrino rosso.
Dato che sono una collezionista di larghissime vedute, ho un’infinità di stampini taglia-biscotti che nel corso degli anni ho comprato un po’ dappertutto e li ho utilizzati in mille modi.
I più belli credo siano quelli che abbiamo acquistato a Monaco di Baviera: degli animaletti molto accurati, mentre da un antiquario di Saint Moritz ho trovato una scatola di latta che ne contiene una dozzina di misure diverse, tutti tondi coi bordi sagomati, che non ho mai avuto il coraggio di usare.
Un Natale ho fatto i segnaposto di pasta brisè a motivi Natalizi, uno diverso dall’altro e un Calendario dell’Avvento con 25 formine differenti.
Quest’anno invece è toccato a una mandria di renne (che forse però sono alci) allietare la “pausa caffè” di chi prepara l’albero e gli addobbi, decora le porte, appende i biglietti d’auguri degli anni scorsi e fa tutte quelle cose insomma che a Natale sono irrinunciabili e liete.

20141203-000255.jpgIn una ciotola si versano 400 gr di farina 00 setacciata, si aggiungono 125 gr di zucchero semolato, 1/2 cucchiaino di lievito in polvere e 1 pizzico di sale.
Si miscela, si fa la fontana e al centro si sgusciano 2 uova intere e si tagliuzzano 150 gr di burro molto freddo.
Si impasta velocemente prima con una forchetta e poi con le mani e si divide il composto in due metà.
Con una si fa una palla e si mette a riposare in frigorifero avvolta nella pellicola.
All’altra metà si amalgamano 1 cucchiaino di cannella, 1/2 cucchiaino di zenzero in polvere e una grattata di noce moscata.
Si ripone anche questo impasto in frigorifero per una mezz’ora, trascorsa la quale si stendono separatamente i due composto con il mattarello e si ritagliano con lo stampino a forma di renna due serie di biscotti.
Si infornano a 180 gradi per 10-12 minuti controllando che non scuriscano.
A cottura ultimata si sfornano e si fanno raffreddare su una griglia. Si spolverizzano di zucchero e di zucchero misto a cannella.

Se non vi piacciono le renne, naturalmente potete utilizzare qualsiasi altra forma di taglia-biscotti abbiate in casa.
L’impasto non è proprio quello del ginger bread, ma i biscotti sono aromatici e molto festosi e chi non ama le spezie, si può servire di quelli di semplice pastafrolla.

Eleganti mini flan

Qualche giorno fa stavo pensando che forse dovrei contrassegnare quelle ricette che reputo adatte ad essere servite durante uno dei pranzi o delle cene inevitabili del periodo delle Feste con un piccolo simbolo Natalizio o finirò col non trovarle più…
Mi riferisco soprattutto agli antipasti, che sono i più numerosi soprattutto in questo periodo.
Facendo le consuete “prove generali”, per esempio, ho pensato ad un antipastino tiepido a cui farne seguire uno freddo, quale, vi saprò dire e ho preparato questi piccoli flan piuttosto golosi di cui adesso vi racconto.

20141107-012459.jpgFriggo nell’olio 200 gr di cipolle affettate sottili, le scolo e le salo.
A 1/2 litro di besciamella incorporo 3 uova, una alla volta, poi 100 gr di fontina a cubetti, 100 gr di parmigiano grattugiato, 100 gr di prosciutto cotto e 50 gr di speck tritati grossolanamente.
Aggiungo le cipolle e mescolo con cura.
Regolo di sale e pepe e aggiungo una grattata di noce moscata e verso il composto in alcuni stampini da forno imburrati e infarinati riempiendoli fino a 2/3.
Li inforno a bagnomaria a 200° per 25 minuti circa. Li sforno, li lascio intiepidire appena e li sformo direttamente sui piattini dell’antipasto decorandoli con un rametto di prezzemolo.

Volendo dare una connotazione classica a questi piccoli flan, si può dire che assomigliano alle quiche, ma senza la pasta intorno.
Secondo me “nudi” sono più adatti ad essere impiattati, mentre vedo le quiche più indicate con gli aperitivi, prima di sedersi a tavola, insieme ai vol-au-vent e alle tartine, dei classici finger food insomma. Sbaglio?

Riso e fegatini di pollo

In ambito culinario Verona alterna i piatti semplici della tradizione contadina e le saporite preparazioni a base di pesce di lago, ad alcune ricette sontuose ed elaborate che risalgono al periodo in cui Verona ha subito il dominio prima Veneziano ed in seguito Austro-Ungarico.
Il tradizionale e delicato sugo a base di fegatini di pollo è sempre stato considerato un piatto di recupero in quanto utilizzava quello che del pollo veniva scartato nella preparazione di umidi e arrosti.
Le tagliatelle in brodo coi fegatini oggi sono invece una prelibatezza da gustare nei più rinomati ristoranti tipici della nostra città, quelli che servono anche bolliti con la pearà, risi e bisi, luccio in salsa, bigoli con le sarde e gnocchi di patate conditi con la “pastissada de caval”, tutti piatti tradizionali che in casa non si cucinano più.
Nella famiglia del mio papà, con i fegatini di pollo si condiva il riso e il risultato era una preparazione cremosa e sofisticata dal sapore intenso e molto particolare.

20141111-114127.jpgSi affetta finemente 1/2 cipolla bianca e si fa rosolare in olio e burro con 1 rametto di salvia e 2 foglie di alloro.
Si uniscono 300 gr di fegatini di pollo mondati perfettamente, privati del grasso e del sacchetto del fiele, lavati e tagliati a pezzetti e si lasciano insaporire.
Si regolano di sale, si aggiunge 1 pizzico di pepe bianco e si spruzzano con 1 bicchierino di grappa. Quando è evaporata si aggiunge un mestolino di brodo e si continua la cottura a tegame coperto per una ventina di minuti, badando che restino morbidi.
Nel frattempo si lessano nel brodo 350 gr di riso Vialone Nano, eccellenza della Bassa Veronese, con il sistema del doppio di liquido rispetto al volume del riso, quello che utilizzo sempre anch’io.
Quando il riso ha raggiunto la giusta densità leggermente all’onda ed è cotto al dente, si condisce con una grossa noce di burro, si eliminano le foglie di salvia e di alloro dai fegatini e si aggiungono l’intingolo, abbondante formaggio grana grattugiato e una grattata di noce moscata.

Anziché con la grappa io spruzzo i fegatini con il Cognac, ma ho voluto darvi la ricetta originale di mia nonna Emma, adesso regolatevi voi.

Gli gnocchetti verdi di Francesco

20141123-225723.jpgTra le molte ghiotte ricette che l’altra nonna di mio nipote Francesco prepara per lui, ci sono anche degli squisiti gnocchetti verdi che il piccoletto gradisce moltissimo.
Le ricette della nonna Giulietta sono sempre sostanziose e tradizionali, richiedono una certa abilità e molta pazienza, nonostante lei minimizzi con modestia sulla sua bravura.
L’esecuzione di questa ricetta è piuttosto semplice e il risultato grandioso.

Si lessano 300 gr di spinaci e una volta cotti si strizzano per eliminare tutta l’acqua.
Si lessano anche, separatamente, 1 kg di patate, si pelano e finché sono ancora calde si passano allo schiacciapatate.
Si aggiungono circa 200 gr di farina, ma potrebbe volercene si più, dipende dall’umidità del composto, 1 uovo, 100 gr di Parmigiano grattugiato, 1 pizzico di sale e una grattata di noce moscata.
Si tritano finemente gli spinaci e si aggiungono all’impasto.
Si amalgama bene il composto. Si formano i classici filoncini e si tagliano a pezzetti di circa 1 cm.
Si tuffano in acqua bollente salata e quando vengono a galla sono pronti.
Si raccolgono con la schiumarola, si distribuiscono nei piatti e si condiscono generosamente con burro fuso, meglio se di malga, salvia e Parmigiano.

Francesco li adora, ma è un piatto che anche il resto della famiglia gradisce moltissimo!

Le Fettuccine Alfredo

Conoscete le Fettuccine Alfredo?
La prima volte le ho assaggiate a Miami Beach, all’ultimo piano del Doral Hotel (ora Miami Beach Resort & Spa, al n.4833 di Collins Avenue) nel Ristorante L’Originale Alfredo of Rome.
Cercate di capirmi: francamente dopo più di una settimana di cucina Statunitense, la nostalgia di casa ha avuto la meglio!
In America, come esempio di cibo Italiano, le fettuccine Alfredo vanno alla grande.
Questa pasta fresca all’uovo, condita con burro, panna e parmigiano deve il suo nome allo chef e proprietario del Ristorante di Roma dove sono state create: Alfredo Di Lelio.
Nel 1920 Douglas Fairbanks e Mary Pickford, famosissimi attori del Cinema muto, durante la loro Luna di Miele in Italia le apprezzarono talmente da definire Alfredo Di Lelio “The King of Noodles” e tornati a Hollywood evidentemente ne parlarono così bene che ancora oggi se vuoi mangiare falso cibo italiano in America puoi gustarle in alcuni ristoranti piuttosto importanti: di sicuro a L’Originale Alfredo of Rome del Rockefeller Center di Manhattan, nel World Showcase di Epcot e al Planet Hollywood di Las Vegas. Lo dico per esperienza…
Oggi a Roma ci sono due Ristoranti “Alfredo” che dichiarano la paternità di queste leggendarie fettuccine che, come dicevo, negli Stati Uniti sono convinti essere una pietra miliare della cucina Italiana.
La storia del perché esistano a Roma due ristoranti omonimi è presto detta.
Nel 1914 Di Lelio aprì “Alfredo” in via della Scrofa e divenne famoso prima a Roma e poi, come si diceva, in America, per le sue “maestosissime fettuccine”.
Nel 1943, in piena Seconda Guerra Mondiale cedette il ristorante a due dei suoi camerieri e solo nel 1950 riaprì in Piazza Augusto Imperatore “L’Originale Alfredo” (ora “Il Vero Alfredo”) che, gestito dal nipote, prosegue la tradizione familiare di Alfredo Di Lelio e delle sue fettuccine.

20141030-005735.jpgChi avesse intenzione di provarle, dovrà cuocere al dente in abbondante acqua salata 200 gr di fettuccine all’uovo secche e prima di scolarle prelevare un paio di mestoli d’acqua di cottura che andrà tenuta da parte.
Nel frattempo in una capiente ciotola riscaldata avrà messo la bellezza di 75 gr di burro a pomata e 50 ml di panna densa da cucina, 150 gr di parmigiano grattugiato e avrà aggiunto a filo, sempre mescolando, tanta acqua di cottura quanta ne servirà per creare una salsa cremosa ed omogenea nella quale andranno versate le fettuccine scolate.
L’importante è continuare a tramenare la pasta perché raccolga tutta la salsa e se ne imbeva.
Se occorre aggiusterà di sale, spolverizzerà con un pizzico si pepe bianco e se gli piace potrà aggiungere una grattatina di noce moscata.

Chiunque sia la persona intenzionata ad assaggiare le “maestosissime fettuccine Alfredo” non potrà che leccarsi i baffi ma chiedersi comunque come una semplice pasta in bianco possa aver ottenuto un tale successo internazionale…

La Brandade

Come Veneta DOC per me il baccalà non ha segreti.
Il più tradizionale è quello nella versione che ho postato il 21 gennaio, alla Veneta appunto, ma a me piace molto di più quello mantecato.
È un antipastino tradizionale e saporito, che si serve freddo, peccato che sia poco conosciuto al di fuori del suo territorio, vero?
Dovremmo fare come i Francesi, che hanno un’abilità particolare nello sponsorizzare e divulgare le loro specialità gastronomiche, perché, diciamocelo, hanno una cucina veramente superba, come dicono loro, ma soprattutto riescono a promuoverla in modo molto efficace.
Facciamo l’esempio della Brandade, che ricorda moltissimo il nostro modesto baccalà mantecato, ma all’estero è più conosciuta.
L’ho assaggiata la prima volta in Camargue, dove la servono come antipasto caldo, accompagnato da crostini sfregati con l’aglio, mentre stavamo andando in vacanza in Costa Brava.
Questo piatto squisito e molto conosciuto anche fuori della Regione, risveglia atmosfere ricche di tradizioni, suggestioni, profumi e sapori forti tipici di questo piccolo lembo di terra ai confini del mare, complementare alla Provenza.
Ecco, questo è il modo in cui i Francesi presenterebbero questo piatto, che comunque è davvero squisito.

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Se vi va di provarlo, vi dico come lo faccio io, quando cucino alla Francese per divertirmi e divertire.
Accomodo circa 1 kg di filetti di baccalà perfettamente ammollati e dissalati in una pentola e li copro d’acqua fredda. Porto a ebollizione, faccio cuocere una ventina di minuti, lascio intiepidire lontano dal fuoco, li tolgo dalla pentola, li spezzetto con una forchetta e li frullo con 2 spicchi d’aglio.
Sistemo il composto in un tegame aggiungendo 1 bicchiere d’olio, 2 patate bollite ancora calde schiacciate col cucchiaio di legno, 1 bicchiere di latte tiepido e cuocio per un’altra oretta mescolando di tanto in tanto, senza mai farlo bollire.
Ottenuta la consistenza di un purè, insaporisco con pepe e noce moscata e come tocco finale assolutamente raffinato, incorporo 1 tartufo nero tritato.
Servo la brandade spalmata sulle fettine di baguette sfregate con l’aglio e passate in forno.

Ve l’ho detto: i Francesi ci sanno proprio fare. E non solo a parole.
In sostituzione del tartufo si possono utilizzare delle acciughe, che vanno messe nel tegame per prime, sciolte in poco olio e cotte con il baccalà. Dipende dai gusti.
Certo però che l’aggiunta del tartufo conferisce alla preparazione un sapore inaspettato e un profumo molto invitante e chic. Très chic.