Spezzatino di pollo ai funghi

Un altro piatto dell’infanzia di mio marito è un pollo in umido con i funghi che nonostante tutte le ricette che ho tentato, manca sempre di qualcosa per essere esattamente come quello che ricorda.
A questo punto dunque, vi parlerei della versione di questa specie di pollo alla cacciatora che pare avvicinarsi più delle altre alla ricetta originale di mia suocera Dina.
Anche chi non ha un ricordo particolare da inseguire, secondo me la troverà squisita.

20140608-002425.jpgIn questa ricetta preferisco utilizzare solo il petto, ma si può cucinare anche tutto il pollo tagliandolo in 8 pezzi.
Metto subito a bagno in acqua tiepida 40 gr di porcini secchi, così si ammorbidiscono.
Faccio appassire a fuoco molto dolce con olio e burro: 1 cipolla affettata sottile, 1 carota e 1 gambo di sedano tritati.
Taglio in 6 porzioni della stessa dimensione un bel petto di pollo intero di circa 8-900 gr, le infarino leggermente e le accomodo nel tegame del soffritto. Alzo la fiamma, le rigiro, le spruzzo di vino bianco, insaporisco con sale e pepe e lascio sfumare.
Quindi aggiungo 1 foglia di alloro, 2 chiodi di garofano, 1 rametto di rosmarino tritato molto fine, 1 pezzetto di buccia di limone, 1 spicchio d’aglio schiacciato e privato del germoglio, 1 cucchiaiata di prezzemolo tritato, 6-7 foglie di basilico spezzettato con le mani, i funghi strizzati e tritati grossolanamente, 400 gr di pomodori pelati tagliati a tocchetti e 4 patate sbucciate e tagliate in grossi pezzi.
Copro e lascio sobbollire piano per 30-35 minuti, fino a cottura ultimata.

Se non lo servite con la polenta ma con delle belle fette di ciabatta croccante e anziché i pelati usate i pomodori freschi, lo potete fare anche adesso perché ha uno di quei sapori senza stagione che piacciono sempre.
A questa ricetta facevo cenno anche quando il 24 gennaio ho pubblicato il “Polastro in tecia”, un’altra versione di pollo in umido davvero squisita.
Se amate il pollo, non avete che l’imbarazzo della scelta!

Il paté di Saint Tropez

Vi ho già raccontato di quando per diversi anni la nostra meta del viaggetto di settembre, prima dell’arrivo dell’autunno, era la Costa Azzurra, del nostro “Shopping a Saint Tropez” e del bottino di terrine di porcellana che ne ho ricavato.
Oggi vi parlo della ricetta di un paté che abbiamo assaggiato proprio lì a Saint Tropez, mentre cenavamo coi sacchetti de “La porcelaine blanche” ai piedi…
L’ingrediente principale era ovviamente il fegato d’anatra, ma data la difficoltà di reperirlo qui da noi, quando ho provato la ricetta a casa, ho optato per l’utilizzo di una combinazione che è risultata proprio perfetta, perché i sapori dei due fegati scelti si completano e si equilibrano.
L’insolita aggiunta dei funghi ha dato all’insieme un gusto complesso e deciso che ci è piaciuto molto.
Ma adesso bando alle ciance e rimbocchiamoci le maniche!

20140527-095031.jpgPer questo paté dunque occorrono:
200 gr di fegatini di pollo
200 gr di fegato di vitello
200 gr di cipolle bianche
30 gr di funghi porcini secchi
200 gr di burro
1 bicchiere di sidro
2 pezzetti di buccia di limone
2 foglie di salvia
1 foglia di alloro
sale e pepe
Trito le cipolle e la faccio appassire con 100 gr di burro a fuoco dolcissimo, con la salvia e l’alloro, senza farle colorire, aggiungendo eventualmente, come al solito, qualche cucchiaiata d’acqua.
Taglio a pezzetti sia il fegato di vitello che i fegatini, privati del grasso e del fiele e sciacquati. Li aggiungo alle cipolle, unisco i funghi ammollati in acqua tiepida tagliuzzati e la buccia di limone, sfumo con il sidro e porto a cottura a fuoco vivace mescolando spesso.
Lascio intiepidire e regolo di pepe (meglio se bianco) e sale. Elimino le foglie aromatiche, la buccia di limone e frullo unendo il resto del burro fuso.
Sistemo il composto in uno stampo e lo conservo il frigo.

Ogni tanto torno a parlare di paté perché, oltre a piacermi molto, trovo sia una preparazione elegante e sofisticata, adatta come antipasto in una cena in cui si voglia stupire.
È molto chic anche su un tavolo da buffet con i crostini accanto, perfetta per una cena in terrazza o in giardino, per esempio.

Torta con l’erba madre

La torta con l’erba madre (maresina, erba amara, daniel, o artemisia) è un dolce tipico della gastronomia Veronese antico quanto il Nadalin, modesto ed economico in quanto le uova, lo zucchero e la farina che tutti hanno in casa si arricchiscono di questa erba dal sapore molto particolare che cresce spontanea sulle nostre colline.
La mia stupefacente consuocera Luisanna, appassionata come me di cucina, coltiva in vaso sul balcone questa erba amarognola quasi obsoleta e di recente se ne è servita per preparare una fantastica torta “amarcord”.

20140523-010723.jpgIn una ciotola si montano a crema 3 tuorli con 200 gr di zucchero fino ad ottenere un composto bianco e spumoso.
Si unisce, sempre mescolando con la frusta, 1 tazza di olio di semi e poi 150 gr di farina 00 e 50 gr di frumina (oppure di fecola), la buccia grattugiata di 1 limone, 1 bustina scarsa di lievito per dolci, 1 pizzico di sale, 3 manciate di erba madre tritata e tanto latte quanto ne occorre per ottenere un impasto fluido ma consistente.
Infine si aggiungono i 3 albumi montati a neve mescolando delicatamente.
Si versa il composto in uno stampo rettangolare da plum cake imburrato e infarinato e si inforna a 180 gradi per circa 40 minuti (è sempre meglio fare la validissima prova stecchino).
Si sforna, si fa raffreddare e si serve a fette cosparsa di zucchero a velo.

La denominazione “erba madre” deriva dall’abitudine antica di introdurre l’artemisia nella dieta delle puerpere. Pare favorisca la micro circolazione sanguigna.
Oltre alla torta, nel Veneto si fa anche il “tortel”, a metà tra una frittella e un’omelette, sia dolce che salato e in genere si serve a merenda.

La mia crema Catalana con doppia sorpresa

Adoro la Crema Catalana.
Trovo che il fatto di avere come ingrediente la maizena anziché la farina, la renda più delicata della nostra crema pasticciera, che comunque mi piace molto ed è la base di molti dei miei dolci.
Mi piace altrettanto anche la crème brûlée e mediamente la crème caramel.
Ma di recente ho provato una curiosa variante della crema Catalana che adesso vi racconto.
La prima parte non presenta nessuna modifica rispetto alla preparazione classica.

Si porta a ebollizione 1/2 litro di latte con la buccia di 1/2 limone e una stecca di cannella.
Nel frattempo si montano 4 tuorli con 100 gr di zucchero, si aggiungono 1 pizzico di sale e 2 cucchiai di maizena. Si amalgama alla perfezione e si unisce, sempre mescolando, il latte filtrato.
Si rimette il composto sul fuoco nella stessa casseruola del latte, si porta nuovamente a bollore e si fa cuocere, senza smettere mai di mescolare, per circa 5 minuti finché la crema non acquista una certa consistenza.
A questo punto normalmente si suddivide la crema nelle ciotoline, si fa raffreddare in frigorifero, si cosparge di zucchero di canna e si caramella col l’apposito cannello.

Io invece, prima di versare la crema nelle coppette, spargo sul fondo una cucchiaiata di frutti di bosco e anziché coprire la superficie con lo zucchero di canna, ci verso sopra 1 bicchierino di rum caldo e gli do fuoco in tavola.
Oooooooh!
Ecco la prima sorpresa.

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Ed ecco la seconda.

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Una crostata “invernale” da gustare anche in primavera

20140321-091147.jpgLa stagione che ci siamo appena lasciati alle spalle, è stata più simile ad un fastidioso autunno piovoso che ad un freddo inverno nevoso o nebbioso.
Queste prerogative, chissà come mai, mi hanno ispirata a cucinare molte più torte, e soprattutto crostate, di quanto in genere abbia mai fatto. È mia figlia quella brava coi dolci. Io mi limito a preparare i dessert per i miei inviti a cena, ma difficilmente mi viene in mente di mettermi ad impastare una torta.
Sarà l’influenza della blogosfera, dove ho scoperto l’abilità di molti di voi nell’arte della Pasticceria, sarà che come diceva mia nonna: “Ogni lustro, si cambia gusto”, fatto sta che anche qualche giorno fa ho preparato una crostata.
Nel titolo l’ho definita invernale per via della presenza delle arance, ma si può tranquillamente gustarla anche adesso che è primavera.
Ho iniziato il post con la fotografia prima di infornarla perché si possa notare l’intreccio, che è venuto proprio carino.
Questa invece è la fotografia… già assaggiata.

20140324-014935.jpgSi parte dalla pasta frolla, come sempre. Secondo me la potete fare tranquillamente così come la fate di solito, con le dosi a cui siete abituati, se vi pare che vi venga bene.
Però, se vi piace un po’ morbida come a me, in questa ricetta in particolare, vi dico come la faccio io.
Occorre amalgamare con una spatola 150 gr di burro a temperatura ambiente con 125 gr di zucchero e la buccia grattugiata di 1 arancia. Quando si è ottenuta una crema, si aggiungono 1 uovo intero e 1 tuorlo e si incorporano con cura.
Si dispongono 300 gr di farina a fontana, si aggiungono 1/2 cucchiaino di bicarbonato e 1 pizzico di sale e al centro si versa il composto di uova, zucchero e burro.
Si lavora con le mani fino a ottenere un impasto morbido ed elastico che si farà riposare in frigorifero almeno mezz’ora.
Quando si riprende la pasta, si divide in due. Con metà si fodera come al solito una tortiera adatta, anche senza imburrarla perché la frolla è così ricca di burro che difficilmente si attaccherà, ma vedete voi.
Si bucherella il fondo con i rebbi di una forchetta e si versano 250 gr di marmellata di arance amare, si spalma e sopra si distribuiscono 80 gr di gocce di cioccolato fondente e si copre con il resto della pasta, formando una griglia.
Si inforna come sempre a 180 gradi per circa 40 minuti, ma regolatevi secondo l’esperienza fatta con il vostro forno.

Ecco, è solo una crostata, ma l’abbinamento arance e cioccolato è proprio collaudato e vincente. Servitela durante un tè o una merenda e quella che resta allieterà la colazione del goloso di casa la mattina successiva.

Risotto zucca e amaretti

Questa sarà una delle mie ultime ricette con la zucca, ormai relegata fra gli ortaggi invernali adesso che la primavera ci suggerisce piuttosto ricette con asparagi, piselli, carciofi.

20140328-022339.jpgQuando trovo una zucca bella come questa però, per non lasciarmi sfuggire una delle ultime opportunità, l’acquisto subito e poi faccio sì un risotto, ma con un sugo un po’ particolare.

Libero dai semi e dai filamenti 1 kg di zucca, la taglio a fette e la inforno per 40-45 minuti a 180 gradi.
Trito 2 scalogni e li faccio rosolare con olio e burro.
Verso 350 gr di riso, lo faccio tostare, sfumo con 1/2 bicchiere di vino bianco, faccio evaporare e verso 750 ml di brodo leggero (vegetale, di pollo o anche di dado).
Proseguo la cottura a fuoco medio, senza più mescolare, solo scuotendo il tegame di tanto in tanto per non far attaccare il riso.
Quando la zucca nel forno risulta tenera e asciutta, recupero tutta la polpa, la taglio a pezzetti, la frullo nel vaso del mixer con la scorza grattugiata di 1/2 limone, sale, pepe, 1 pizzico di noce moscata e (solo se vi piace) 100 gr di mostarda Vicentina, Mantovana, di Cremona o la vostra, artigianale, se l’avete fatta nei mesi scorsi e ormai è pronta.
Cinque minuti prima che la cottura del riso sia completata, aggiungo questo composto nel tegame e adesso sì, mescolo e lascio terminare la cottura tramenando di tanto in tanto.
Fuori dal fuoco manteco il risotto con 30 gr di burro e 50 gr di grana grattugiato e lo distribuisco, bello all’onda, nei piatti.

20140328-235239.jpgIl tocco finale è costituito da un’ulteriore abbondante spolverata di grana grattugiato miscelato con 3-4 amaretti pestati nel mortaio che completano in modo molto raffinato questo piatto dorato e goloso.
Se oltre alla mostarda, non gradite nemmeno gli amaretti, evitate pure anche questi, ma allora anche la scorza di limone e la noce moscata, che in un semplice riso e zucca sarebbe superflui.
Limitatevi pure ad una preparazione semplice e lineare, quindi, ma non sapete quello che vi perdete…

La torta a sorpresa di Odette

Oggi sto per raccontarvi una fiaba e vi darò anche una ricetta che con la fiaba ha molto a che vedere.

La bella e capricciosa contessina Odette era da tempo assiduamente corteggiata da tre nobiluomini ricchi e attraenti e tutti e tre, follemente invaghiti di lei, l’avevano chiesta in sposa.
Ognuno aveva almeno una dote che li rendeva affascinanti agli occhi della giovane Odette, che non era in grado quindi di operare una scelta definitiva e concedere la sua mano ad uno solo dei tre.

20140317-205151.jpgIl premuroso Visconte Ludovico l’ascoltava con dedizione infinita quando lei lo intratteneva suonando il liuto e le suggeriva con amore le strofe delle più dolci ballate romantiche.

20140317-205618.jpgL’appassionato Barone Manfredi, agile ballerino, le insegnava pazientemente a danzare il Rigodon perché durante le feste che si tenevano nei Palazzi signorili fosse la più brava e la più ammirata.

20140317-210449.jpgIl sofisticato Marchese Nicodemo la educava a riconoscere i vini più pregiati e le parlava di poesia durante i pomeriggi in cui non era impegnata con la danza e la musica e le offriva tazze di cioccolata calda, vero status Symbol dell’epoca.
Le attenzioni dei tre uomini erano così assidue e gradite a Odette che la giovane non riusciva a sciogliere gli indugi. Decise quindi di lasciar fare al caso e fece preparare un dolce all’interno del quale ordinò di introdurre un suo anello.
Il nobiluomo che l’avesse trovato nella fetta a lui destinata, sarebbe stato il prescelto.
La torta che il Mastro Pasticcere scelse per questo scopo era costituita da un morbido ripieno trattenuto da 2 dischi di pasta sfoglia.
Fece quindi montare al suo primo aiutante 100 gr di burro con 150 gr di zucchero, poi personalmente aggiunse 2 tuorli, uno alla volta, i semi di 1 baccello di vaniglia, 1 bicchierino di Cognac, 1 pizzico di sale, la buccia grattugiata di 1 limone e 150 gr di mandorle pelate, tritate così finemente nel mortaio dal secondo aiutante da sembrare farina.
Ordinò che venissero montati a neve fermissima i 2 albumi e li incorporò con attenzione dal basso verso l’alto.
Foderò con 1 disco di pasta sfoglia, che aveva già pronto, una teglia tonda, versò il composto preparato e lasciò cadere al suo interno l’anello che gli aveva consegnato la Contessina.
Coprì con un secondo disco di sfoglia che rigò con un coltello a striscioline perché uscisse il vapore, sigillò accuratamente i bordi e spennellò tutta la superficie con una tazzina di latte.
Fece infornare il dolce con una lunga pala ad una temperatura che ai nostri giorni si aggirerebbe sui 200 gradi per 30 minuti.
Trascorso questo tempo, quando la torta ebbe preso un bel colore dorato, la fece togliere dal forno e appena si fu intiepidita la sformò e la fece portare nel salotto dove Odette attendeva intrattenendo i suoi tre spasimanti, tra i quali divise la torta.
La storia non narra chi fu a trovare l’anello, ma colui che assolutamente all’oscuro del piano della sua amata, addentò il boccone contenente il gioiello, si scheggiò irreparabilmente due denti e non volle più saperne di lei.
Offesi da questo sotterfugio anche gli altri due innamorati l’abbandonarono.
Non ci è dato di sapere cosa ne fu di lei.
Se la torta di Odette fosse fatta ai giorni nostri, avrebbe più o meno questo aspetto:

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Spezzatino di vitello in umido con i piselli

Come ho già detto in un’altra occasione, amo molto gli umidi, gli stufati, i brasati, quei piatti insomma che si possono mangiare con la polenta per esempio, che richiedono cotture lente e sughi profumati, che riempiono la cucina, se non tutta la casa, di aromi speziati e intensi.
Sono piatti tipicamente invernali e nonostante quest’anno non ci siano state molte giornate di freddo pungente, ma piuttosto di pioggia fastidiosissima, ho fatto finta di niente e ho cucinato sia l’ossobuco che lo spezzatino, lo stracotto e anche una fricassea di vitello.
A mio marito piace molto il tradizionale spezzatino di vitello coi piselli. E a voi?

20140130-173804.jpgCi vogliono 800 gr di polpa di vitello tagliata a cubetti di circa 3 cm di lato. A me piace la punta di petto perché resta molto morbida in cottura, ma si può optare anche per tagli più magri.
Si infarinano i pezzetti di carne e si scuote via la farina in eccesso, poi si rosolano in una casseruola con olio e burro.
Si aggiunge un trito composto da 2-3 scalogni e 2 costole di sedano, gli aghi di 1 rametto di rosmarino tritati e anche 1 foglia di alloro, 2 chiodi di garofano, 2 bacche di ginepro, 1 spicchio d’aglio intero e 1 pezzetto di buccia di limone.
Si aspetta che la carne si insaporisca, poi si sfuma con 1/2 bicchiere di vino bianco.
Quando è evaporato si aggiungono 2 mestoli di brodo e 1 tazza di salsa di pomodoro, si aggiusta di sale e pepe, si unisce 1/2 cucchiaino di zucchero e si prosegue la cottura per un’ora e mezza circa.
Si recuperano lo spicchio d’aglio, la buccia di limone e la foglia di alloro, magari anche i chiodi di garofano e le bacche di ginepro se ce la fate e si uniscono 400 gr di piselli sgranati.
Si sala appena e si mescola di tanto in tanto delicatamente. Si cuoce per altri 20-25 minuti circa, finché i piselli diventano teneri.
Si cosparge di prezzemolo tritato e si serve caldissimo.

Lo spezzatino di vitello coi piselli, nonostante la premessa, noi in genere non lo mangiamo con la polenta, ma con fette di ciabatta croccante.
Ci piacciono queste consistenze diverse che creano una sensazione gradevole e gradita al palato.
E poi la scarpetta viene da sogno!

Ravioli di branzino

I ravioli con il pesce sono senza dubbio un primo piatto raffinato, per un’occasione importante diciamo, perché presentano alcune piccole difficoltà di esecuzione, che richiedono cura e pazienza.
Quindi bisogna essere motivati per affrontare questa prova… e San Valentino non è poi così lontano.
Io vi do la ricetta, poi pensateci voi.

20140130-170045.jpgImpasto 300 gr di farina con 3 uova e 1 pizzico di sale. Lavoro la pasta a lungo, la avvolgo nella pellicola, la faccio riposare per mezz’ora circa e mentre riposa preparo il ripieno.
I tempi coincidono perfettamente.
Faccio imbiondire 1 scalogno con 1 cucchiaio di olio, poi nel tegame aggiungo 200 gr di filetti di branzino (oppure di sogliola o di orata) privati della pelle e tagliati a pezzetti, li sfumo di vino bianco, salo, pepo e porto a cottura.
Li lascio raffreddare, poi li frullo con 100 gr di patate bollite, 100 gr di gamberetti sgusciati cotti al vapore, la buccia grattugiata di 1/2 limone e 1 cucchiaino di prezzemolo tritato.
Mescolo con cura, tiro la pasta molto sottile con la macchinetta (ma potete anche usare il mattarello se preferite) e col coppapasta ricavo dei dischi di 10 cm di diametro.
Al centro di ognuno metto un cucchiaino di ripieno, bagno il bordo, ripiego il disco su se stesso e presso i contorni con le dita. Per sicurezza li ripasso anche coi rebbi di una forchetta, così in cottura non si apriranno di sicuro.
Per la salsa, faccio aprire a fuoco vivace in un tegame (con 2 cucchiai di olio, 2 spicchi d’aglio e qualche gambo di prezzemolo) 1/2 kg di vongole prima lavate e fatte spurgare per qualche ora in acqua salata.
Quando sono tutte aperte le sguscio e le tengo da parte. Naturalmente scarto quelle ancora chiuse.
Filtro il liquido e lo lascio restringere.
In un tegame faccio imbiondire 2 spicchi d’aglio con 2 cucchiai di olio, aggiungo 1/2 tazzina di liquido delle vongole, elimino l’aglio e unisco le vongole e una dadolata di pomodori. Faccio scaldare il sugo, lo completo con pepe appena macinato e prezzemolo tritato. Non occorre salare.
Cuocio i ravioli. Quando vengono a galla li raccolgo col mestolo bucato, li impiatto e li condisco con il sugo di vongole.

Dato che si diceva che questo è un piatto per le occasioni “importanti”, vale la pena di completarlo con qualche goccia di olio al basilico, che lo rende perfetto e fa molta scena!

Saltimbocca di sardine

Strana cosa i ricordi…
Questo piatto viene da molto lontano, più nel tempo che nello spazio per la verità: era il cavallo di battaglia della signora Filomena, anzi uno dei tanti cavalli del suo branco infinito di prelibatezze.
Della signora Filomena e delle vacanze al mare con i miei genitori in provincia di Venezia, agli inizi degli anni Cinquanta, magari vi parlo un’altra volta, quando mi verranno in mente anche altre delle sue fantasiose ricette.
Oggi vi racconto di un piatto da lei reinventato, o forse casualmente inventato di sana pianta, che cucinava utilizzando quello che il pescato del giorno e la dispensa offrivano in quel momento.
Si tratta di sardine preparate come i saltimbocca alla Romana, con prosciutto e salvia, dal gusto forte e rassicurante di certi piatti di casa.
Se questi sono sapori che vi incuriosiscono o che conoscete e amate già, vi raccomando vivamente l’assaggio.

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Vi occorreranno 600 gr di sardine che se glielo chiedete gentilmente e in pescheria non c’è troppa gente, il vostro pescivendolo vi preparerà eliminando le teste e le interiora e una volta aperte a libro, anche la lisca centrale.
Se non è disposto a usarvi questa cortesia, ahimè è un’operazione che dovrete farvi da soli una volta a casa… e questo è uno dei casi in cui finisco col comprare la coda di rospo!
Comunque, diamo per scontato che siate nella vostra cucina con quelle che sono diventate dopo la decapitazione e l’eviscerazione circa 450-500 gr di sardine.
Le dovrete sciacquare e poi tamponare, aperte, con la carta da cucina.
Si salano appena e si pepano, si cospargono di buccia di limone grattugiata, prezzemolo e origano, si richiudono e si avvolgono ognuna in 1/2 fettina di prosciutto crudo fermata da uno stecchino che trattiene 1 fogliolina di salvia fresca.
Una volta completata questa operazione si cuociono brevemente in una padella appena unta d’olio, oppure sulla griglia se preferite, rigirandole una sola volta con l’aiuto di una paletta.

I miei ricordi mi suggeriscono che questi saltimbocca di sardine appena pescate e profumate di mare, insaporite da un intrigante prosciutto appena un po’ salato, venissero accompagnati da grandi insalate di cetrioli, pomodori, lattuga, rucola e cipolla, in grosse terrine di terracotta smaltata.
Chissà se era proprio così. Questa è comunque l’insalata che servo con questo piatto e anche se i miei ricordi mi ingannanassero, purtroppo non c’è più nessuno a smentirmi.