Florida

Dico spesso che per me l’America è la California, dove siamo stati un numero maggiore di volte rispetto agli altri Stati che abbiamo visitato.
È in realtà un luogo nel quale mi piacerebbe vivere, dove ho più volte abitato in piccoli appartamenti e ho potuto cucinare, fare la spesa, frequentare i locali nei dintorni, fare shopping e perfino andare dal parrucchiere.
Anche l’accento e l’intonazione dell’American-English californiano mi sono più familiari rispetto a quelli di altre zone, come il Nord-Est per esempio, il perché è spiegato nel primo capitolo del mio libro U.S.A. e Jet ed è realistico e divertente.
Ma anche la Florida può dare grandi emozioni con i suoi tramonti e i suoi cieli tormentati, le spiagge, la suggestione caraibica, il clima vacanziero e rilassato che attira sia le persone della terza età che i giovani, le occasioni di divertimento varie e differenziate, adatte a tutti i gusti e alle caratteristiche personali. Perché la Florida non è solo Miami, ma per fortuna è anche Miami.

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È anche Key West, il punto più meridionale degli Stati Uniti.
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È Daytona Beach, dove percorri la spiaggia in auto

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KEY LIME PIE

Specialità di Key West

Per la crosta. 150 gr. di biscotti tipo Digestive frullati
70 gr. di burro fuso
1. cucchiaino di zucchero

Per il ripieno 4 tuorli
I scatola di latte condensato zuccherato
125 ml di succo di lime
buccia di lime grattugiata finemente

Si mescolano con cura biscotti, burro e zucchero e si comprime il composto sul fondo e le pareti di una tortiera a cerniera imburrata.
Si inforna a 180 gradi per 10 minuti.
Intanto si incorporano i tuorli al latte condensato e si diluisce con il succo di lime, si unisce la buccia grattugiata, si mescola con cura e si versa nella tortiera sul guscio di biscotti.
Si inforna ancora per 15 minuti, poi si lascia raffreddare e si mette in frigo fino al momento di servire.

La mia ricetta è differente: utilizza gli albumi anziché i tuorli,non passa in forno e si mette in freezer e non in frigo, ma questa viene
dal ristorante Nine One Five di Key West e magari li ne sanno più di me.
Entrambe comunque si servono con ciuffi di panna montata leggermente zuccherata.

Questa ricetta è tratta dal libro “U.S.A e JET. ovvero come sopravvivere ai viaggi fai da te in America ” scritto da Silva Avanzi
Rigobello
È stata da me trascritta a corredo dell’articolo non potuto completare dalla mia adorata moglie
Lino Avanzi

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Continuate pure a chiamarli bignè di sardine…

Quando il 16 marzo ho postato le verdure ripiene al forno tipiche di Nizza, avevo quasi promesso a Crendina e a The Master of Cook, che avrei fatto anche i “bignè di sardine” alla Provenzale appena si fossero potute tenere le finestre aperte per arieggiare la cucina, perché queste sardine fritte in pastella puzzano un bel po’.
Il risultato sarebbe dovuto essere come quello della foto: delle vere frittelle gonfie e croccanti di sardine diliscate e private della testa, avvolte nella pastella che mi ha suggerito lo chef.

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In realtà nonostante avessi preparato la pastella secondo le sue indicazioni, a me sono venute così diverse che sono stata in forse per giorni prima di decidere se mostrare il mio risultato, poi ho deciso di prendermi le mie responsabilità…

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Eppure mi pareva di aver seguito tutti i passaggi per bene.
Ho mescolato in una ciotola 100 gr di farina 00, 50 gr di maizena e 1 pizzico di sale.
Ho aggiunto 1 bicchiere di birra e 2 albumi montati a neve. Li ho incorporati con delicatezza e ho fatto riposare la pastella per mezz’ora al fresco.
Ho sciacquato le sardine che il pescivendolo aveva già eviscerato e privato della lisca centrale e della testa, le ho asciugate e le ho immerse nella pastella una per volta (erano circa 400 gr all’acquisto) per poi tuffarle nell’olio di arachidi e toglierle col ragno non appena erano dorate.
L’errore in parte è stato mio che non ho richiuso le sardine prima di passarle nella pastella ma le ho fritte aperte, d’accordo, ma la pastella come mi è stata suggerita non è la stessa di quelle nizzarde.

Buonissime comunque anche la mie se le mangiate calde, bisogna infatti tenerle nel forno tiepido a mano a mano che sono fritte, e una volta tanto perfino spruzzarle di limone, però… ho comunque un’altra ricetta per una pastella favolosa con cui preparare i bignè di gamberi.
Vedrete che mi farò perdonare!

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Sformato di pesce bicolore

20141019-192059.jpgQuando si fa questo piatto, che può essere considerato un rustico polpettone di pesce oppure un elegante sformato a seconda vi sentiate semplici o sofisticati, conviene prepararne una certa quantità perché si può anche congelarne una parte e averlo pronto quando serve, magari utilizzandolo una volta tiepido e la successiva anche freddo, in gelatina.
Eventualmente, per una preparazione più contenuta, basta dimezzare le dosi… ma alla fine non vorrei che ve ne pentiste.
A me piace usare due tipi di pesce, di cui uno è immancabilmente il salmone per una questione cromatica. L’altro può essere merluzzo, sogliola, branzino. Quello che preferite. Potete anche decidere di usare una sola qualità di pesce, è una scelta personale.
Mettiamo che lo facciate bicolore, come me: si procede così.

Si frullano 7-800 gr di filetti di pesce bianco privati della pelle e di eventuali lische con 4 cucchiai di panna da cucina, 2 albumi leggermente montati, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato, 1 pizzico di sale, il succo di 1/2 limone e 1 piccolo cipollotto fresco tritato.
Si frullano ora 5-600 gr di tranci di salmone spellati e accuratamente privati delle lische con il succo di 1/2 arancia, la sua buccia grattugiata, 2 tuorli, 4 cucchiai di panna da cucina, una spruzzata di vermut, sale e pepe.
Si fodera di carta forno uno stampo da plumcake, si versa al suo interno metà del composto di merluzzo, o comunque di pesce bianco, si livella, si copre con tutto il composto al salmone e si compatta bene perché non restino spazi.
Si completa con l’ultima metà di composto bianco.
Si batte con delicatezza più volte sul tavolo coperto con un canovaccio ripiegato e si inforna a 180 gradi per 45-50 minuti a bagnomaria.
Prima di sformarlo è necessario assicurarsi che sia cotto perfettamente inserendo uno stecco di legno al centro, che dovrà uscire asciutto.
Si lascia intiepidire all’interno del forno spento e poi si sforma.
Si serve a fette, accompagnato da una salsina all’arancia che si addice al sapore di questo piatto e che ho descritto nel post “Le sarde sarde” dell’8 agosto 2013.

Dolce alle mandorle con sciroppo di orzata

Anche l’orzata è per me un ricordo d’infanzia. Come il tamarindo e l’acqua di Vichy fatta con le bustine.
In casa d’estate c’è n’era sempre una bottiglia con cui la mia mamma faceva la granita.
Avvolgeva I cubetti di ghiaccio in un asciugapiatti fresco di bucato e li frantumava con il martello.
L’orzata era davvero un must e me la ricordavo squisita, così ne ho comprato una confezione all’EsseLunga, ma non sono riuscita a ricreare la magia della mia lontanissima fanciullezza, perché l’ho trovata insopportabilmente dolce e stucchevole.
Se non avessi rispolverato questa ricetta, sarebbe finita nella dispensa degli “acquisti eccentrici” come il sale blu di Persia, i petali di rosa canditi, il tè per la notte di Natale… fino alla data di scadenza e poi buttata.

20140906-225812.jpgSi montano a neve ferma con le fruste elettriche 4 albumi con il succo di 1/2 limone e poco per volta si aggiungono 200 gr di zucchero a velo continuando a frullare finché hanno assunto la consistenza del preparato per la meringa.
In un’altra ciotola, sempre utilizzando le fruste, si montano i 4 tuorli con 250 gr di mascarpone, 100 gr di maizena, 1 bustina di lievito per dolci, 200 ml di sciroppo di orzata e 200 gr di farina di mandorle.
Si frulla fino ad ottenere una massa liscia ed omogenea alla quale si incorporano delicatamente gli albumi montati a neve.
Si versa il composto in uno stampo a cerniera ben imburrato e si inforna a 180 gradi per circa 40 minuti.
Quando si sforna, meglio attendere che il dolce si sia intiepidito prima di sformarlo.
Si prepara intanto una ghiaccia reale con 200 gr di zucchero a velo, 1 cucchiaio di sciroppo di orzata e tanto succo di limone quanto eventualmente ne occorre per ottenere una glassa della consistenza del dentifricio che va spalmata sulla sommità della torta una volta che si è completamente raffreddata e lasciata colare liberamente anche sui lati.

Sì, è un dolce… dolce, ma stuzzicante, dal sapore pieno e la consistenza cremosa, che andrebbe accompagnato da un bicchierino di Porto o di Marsala.
Prima di averlo assaggiato non esprimete pareri, perché secondo me è un’esperienza che va fatta.

Ancora una Pavlova, ma coi frutti tropicali

Con i due albumi avanzati dalle uova Benedict di venerdì, ieri ho preparato una Pavlova con la frutta tropicale, tanto per cambiare.
Delle mie Pavlove abbiamo già parlato il 30 maggio e il 12 giugno dell’anno passato e anche il 7 aprile scorso, ma per chi era distratto riassumerò brevemente il procedimento.
Ve lo ricordate che bisogna pesare tutto, vero?
Ho preparato la meringa con i miei 2 albumi, che pesavano 80 gr, ai quali ho aggiunto 80 gr di zucchero a velo e 80 gr di zucchero semolato e li ho montati a neve fermissima con le fruste elettriche. Finito.

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Per fare la Pavlova coi frutti tropicali ho disegnato un cerchio delle dimensioni di un piatto sulla carta forno, l’ho rivoltata e appoggiata sulla placca del forno.
Ho versato al centro la meringa e con la spatola ho formato una “torta” alta 4-5 cm con una leggera cavità al centro.
Ho infornato a 110 gradi per circa 3 ore con lo sportello socchiuso (nel frattempo ho fatto la spesa alla EsseLunga, ma si riesce ad andare anche dal parrucchiere e perfino al cinema).
L’ho fatta raffreddare, ho montato 250 ml di panna con 1 cucchiaio di zucchero a velo e l’ho versata nell’incavo della meringa.
Ho affettato 1 banana e 1 mango maturo, li ho bagnati con il succo di 1/2 lime e disposti sulla panna.
Su tutto ho versato, estraendoli con un cucchiaino, i semini di 1 profumatissimo frutto della passione.

È semplicissima ed è squisita. Di solito la completo con le fragole, ma avevo questi frutti tropicali, comprati dal fruttivendolo Pakistano, che non ho utilizzato per l’insalata…
Quale insalata? Ve lo dico domani!

Sformato di filetti di merluzzo allo zenzero

Quando ho in mente una cena formale, una di quelle non solo da “servizio buono”, ma da sottopiatti d’argento e tovaglia di pizzo, come per festeggiare un compleanno per intenderci, scelgo con molta cura il menù. In realtà lo faccio sempre, ma in certe occasioni, mi impegno maggiormente.
Dal mio punto di vista una cena particolarmente raffinata prevede almeno uno o due piatti a base di crostacei e il menù deve essere programmato in modo che la cuoca non si sfianchi o, peggio, venga presa da un’ingiustificata ansia da prestazione.
Si possono quindi stupire gli ospiti iniziando con un antipasto di quelli che si preparano in anticipo e possono poi pazientare un giorno in frigorifero, come i paté o le terrine in gelatina, per esempio, o un classico cocktail di crostacei.
Si fa seguire una crema di scampi, gamberi, aragosta o astice, a scelta e poi si sorprendono con un secondo piatto che dia l’impressione di un grande impegno culinario e una non comune abilità gastronomica, come i turbanti di sogliole o gli sformati.
E quando alla fine si porta in tavola la “coperchiona”, dalla loro reazione si può essere sicuri di averli conquistati!
E dopo tutte queste chiacchiere, non sarebbe una cattiva idea se cominciassimo a darci da fare per preparare uno sformato di filetti di merluzzo e mazzancolle allo zenzero da servire a scelta come antipasto o come secondo.
Ho utilizzato il modesto merluzzo per questa ricetta perché ha un sapore neutro e le carni sode e compatte adatte ad essere frullate mantenendo una certa consistenza. Si possono usare comunque anche sogliole, orate o branzini, ma io preferisco il merluzzo.
Come tutte le preparazioni “in forma” anche questa è molto elegante e scenografica, ma non è complicata come sembra.

20140616-100250.jpgCuocio per non più di 5-6 minuti in un court-bouillon classico 600 gr di filetti di merluzzo (anche surgelati e decongelati). Li raccolgo col ragno e lesso nello stesso brodo per 2 minuti anche 300 gr di mazzancolle col guscio, che ho sciacquato e privato del filo intestinale.
Le scolo, le sguscio e le condisco con olio, succo di limone e Tabasco (o peperoncino in polvere). Le lascio in infusione almeno una ventina di minuti.
Nel frattempo mondo 2 scalogni, li affetto sottili e li faccio stufare con burro, sale e pepe.
Quando sono ridotti a crema, li lascio intiepidire, li verso nel vaso del frullatore, aggiungo il merluzzo spezzettato, 1 confezione di panna da cucina, 2 albumi, un pezzetto di zenzero grattugiato, qualche bacca di pepe rosa e 1 bicchierino di Vermut. Eventualmente aggiusto di sale.
Rivesto di carta forno un semplice stampo da plumcake imburrato, affetto a velo una zucchina e dispongo le fettine sovrapposte sul fondo delle stampo e sopra faccio uno strato ben livellato col composto di merluzzo, utilizzandone circa 2/3.
Sgocciolo le mazzancolle dalla marinata e le inserisco una in fila all’altra facendole leggermente affondare nel composto, copro con il resto e lo livello.
Inforno lo stampo, coperto con un foglio doppio di alluminio, a 180° per circa mezz’ora.
Lo sforno. Lo lascio raffreddare e poi lo metto in frigorifero anche fino al giorno successivo.
Al momento opportuno lo capovolgo su un piatto da portata adatto, aiutandomi con la carta forno e risistemo le fettine di zucchina che, state sicuri, si sono senz’altro mosse!
Lo taglio in tavola… e mi aspetto un oooooh!

Servo questo piatto con una cucchiaiata di maionese verde allo zenzero e una julienne di zucchine, piccole e freschissime: ecco il perché del richiamo delle rondelline di zucchina sulla terrina…
Volendo, si può in alternativa decorare la superficie, dopo la cottura, con fettine sottilissime di lime oppure con dei ravanelli affettati con la mandolina.

Le Pavlove: dolci gusci di puro piacere

Delle Pavlove ho parlato il 30 maggio scorso in uno dei miei primi post.
Il mio blog aveva ricevuto il battesimo ufficiale il 17 ed ero quindi ancora leggermente in ansia nel momento in cui dovevo proporre una delle mie ricette. Da subito però avevo deciso che mi sarei sempre presentata così come sono, col mio modo diretto e personale di descrivere le ricette, con sense of humour e sì, una certa eleganza.
In quel post, delle Pavlove dicevo:
“Chiamatele spumiglie o meringhe, si tratta dello stesso stucchevole dolcetto che o si ama o si odia, ma che non lascia indifferenti. Sono circondate da un alone di misteriosa difficoltà circa la loro preparazione, una leggenda metropolitana che le vuole di problematica realizzazione. Non è vero: richiedono solo una certa attenzione e molta pazienza, perché si rischia di invecchiare aspettando di ottenere la cottura ottimale!
Una variante elegante e golosa sono le pavlove, dal nome della ballerina russa a cui un pasticcere australiano dedicò questo dolce di sua invenzione, infatti dovrebbero assomigliare a un tutù.
Le mie a volte assomigliano a dei nidi, altre alla cresta di un’onda anomala e solo raramente a un tutù. Dipende se uso il sac-à-poche o semplicemente un cucchiaio per creare dei gusci che possano essere poi completati a piacere.
La Pavlova è un dolce che si presta a infinite varianti: d’estate può essere riempito persino di gelato, oltre che di frutta fresca, ma la versione più classica e senza stagione prevede l’utilizzo della panna montata.”
Questo è quanto raccontavo allora. Ad oggi le cose non son cambiate.
Per preparare la meringa, destinata a diventare pavlova o meno, procedo sempre così: ad ogni 100 grammi di albume freschissimo unisco 100 grammi di zucchero a velo e 100 grammi di zucchero semolato e li monto a neve fermissima con le fruste elettriche.
Se vedo che sono in difficoltà, aggiungo un pizzico di sale e un cucchiaino di succo di limone, ma in genere non occorre.
Formo 6 oppure 8 “turbanti” sulla carta forno e cuocio a 110 gradi per almeno 3 ore con lo sportello del forno socchiuso.
I gusci non devono prendere colore.
Li lascio raffreddare completamente all’interno del forno e se non li utilizzo subito li ripongo nelle scatole di latta.

20140407-001533.jpgQuando è il momento di servirle, appoggio le pavlove delicatamente sui piatti e le riempio con quello che la stagione, l’estro e l’occasione mi suggeriscono.

L’inverno scorso per esempio, ho utilizzato una salsa formata da mascarpone, Marronata (la dolce marmellata di marroni che ha origini veronesi), Cognac e cioccolato fuso e ho guarnito con panna montata, marron glacé e violette candite.
Adesso che è primavera punterei sul classico: panna montata e fragoline di bosco. Magari sul fondo metterei un mezzo savoiardo imbevuto di Alchermes, giusto per sorprendere proprio alle ultime cucchiaiate.

La torta a sorpresa di Odette

Oggi sto per raccontarvi una fiaba e vi darò anche una ricetta che con la fiaba ha molto a che vedere.

La bella e capricciosa contessina Odette era da tempo assiduamente corteggiata da tre nobiluomini ricchi e attraenti e tutti e tre, follemente invaghiti di lei, l’avevano chiesta in sposa.
Ognuno aveva almeno una dote che li rendeva affascinanti agli occhi della giovane Odette, che non era in grado quindi di operare una scelta definitiva e concedere la sua mano ad uno solo dei tre.

20140317-205151.jpgIl premuroso Visconte Ludovico l’ascoltava con dedizione infinita quando lei lo intratteneva suonando il liuto e le suggeriva con amore le strofe delle più dolci ballate romantiche.

20140317-205618.jpgL’appassionato Barone Manfredi, agile ballerino, le insegnava pazientemente a danzare il Rigodon perché durante le feste che si tenevano nei Palazzi signorili fosse la più brava e la più ammirata.

20140317-210449.jpgIl sofisticato Marchese Nicodemo la educava a riconoscere i vini più pregiati e le parlava di poesia durante i pomeriggi in cui non era impegnata con la danza e la musica e le offriva tazze di cioccolata calda, vero status Symbol dell’epoca.
Le attenzioni dei tre uomini erano così assidue e gradite a Odette che la giovane non riusciva a sciogliere gli indugi. Decise quindi di lasciar fare al caso e fece preparare un dolce all’interno del quale ordinò di introdurre un suo anello.
Il nobiluomo che l’avesse trovato nella fetta a lui destinata, sarebbe stato il prescelto.
La torta che il Mastro Pasticcere scelse per questo scopo era costituita da un morbido ripieno trattenuto da 2 dischi di pasta sfoglia.
Fece quindi montare al suo primo aiutante 100 gr di burro con 150 gr di zucchero, poi personalmente aggiunse 2 tuorli, uno alla volta, i semi di 1 baccello di vaniglia, 1 bicchierino di Cognac, 1 pizzico di sale, la buccia grattugiata di 1 limone e 150 gr di mandorle pelate, tritate così finemente nel mortaio dal secondo aiutante da sembrare farina.
Ordinò che venissero montati a neve fermissima i 2 albumi e li incorporò con attenzione dal basso verso l’alto.
Foderò con 1 disco di pasta sfoglia, che aveva già pronto, una teglia tonda, versò il composto preparato e lasciò cadere al suo interno l’anello che gli aveva consegnato la Contessina.
Coprì con un secondo disco di sfoglia che rigò con un coltello a striscioline perché uscisse il vapore, sigillò accuratamente i bordi e spennellò tutta la superficie con una tazzina di latte.
Fece infornare il dolce con una lunga pala ad una temperatura che ai nostri giorni si aggirerebbe sui 200 gradi per 30 minuti.
Trascorso questo tempo, quando la torta ebbe preso un bel colore dorato, la fece togliere dal forno e appena si fu intiepidita la sformò e la fece portare nel salotto dove Odette attendeva intrattenendo i suoi tre spasimanti, tra i quali divise la torta.
La storia non narra chi fu a trovare l’anello, ma colui che assolutamente all’oscuro del piano della sua amata, addentò il boccone contenente il gioiello, si scheggiò irreparabilmente due denti e non volle più saperne di lei.
Offesi da questo sotterfugio anche gli altri due innamorati l’abbandonarono.
Non ci è dato di sapere cosa ne fu di lei.
Se la torta di Odette fosse fatta ai giorni nostri, avrebbe più o meno questo aspetto:

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Macedonia nelle coppette

Come già ho avuto modo di dire, non mi piace poi molto la macedonia a fine pasto, non nella forma tradizionale insomma.
Ma un modo simpatico per offrirla è per esempio quello di posizionarla all’interno di scodelline di pasta secca, dolce e friabile, la stessa che si utilizza per fare le lingue di gatto.

20140314-012941.jpgÈ senz’altro una presentazione che appare più complessa di quanto non sia in realtà.
La preparazione della pasta è facilissima e a prova di errore. L’unica avvertenza è prestare molta attenzione in fase di cottura per non lasciarla bruciare.

Si mettono nel robot da cucina munito di lame 80 gr di albume (che corrisponde circa a quello di 2 uova), 80 gr di farina, 80 gr di zucchero a velo e 80 gr di burro e si frulla fino ad ottenere un composto bello liscio, che si lascia riposare in frigorifero anche un’ora.
Si fodera di carta forno una teglia, ci si appoggia sopra il composto a mucchietti e con l’aiuto del dorso di un cucchiaio si appiattiscono e si formano dei dischi spessi 2 mm.
Si infornano a 180 gradi per 5-6 minuti e si sfornano prima che si colorino troppo.
Si sollevano dalla carta forno e finché sono ancora caldi si appoggiano su delle coppette rovesciate e gli si da la forma di scodelline.
Si fanno raffreddare completamente, si staccano con delicatezza e possono essere conservate in una scatola di latta fino al momento di utilizzarle.

Al momento di portare in tavola le vostre coppette, potrete appoggiare sul fondo una cucchiaiata di gelato, di sorbetto, di zabaione o di composta di fichi aromatizzata con il vostro liquore preferito, per esempio, e poi riempirle di frutta di stagione.

Aspettando Babbo Natale

Ci sono tante di quelle cose da fare aspettando Babbo Natale!
Bisogna decidere il menù per il pranzo, fare la lista dei regali ancora da acquistare o cominciare a impacchettare quelli già comprati per esempio alle Fiere o ai Mercatini dell’Antiquariato, scrivere la letterina coi propri desideri, scegliere la tovaglia e le candele, pensare al centro tavola, preparare i segnaposti personalizzati…
Confrontate con altre attività tipiche del periodo (come portare giù dalla soffitta i decori per l’albero, i festoni, gli addobbi e le statuine del Presepe), sembrerebbe che queste non richiedano un grande dispendio di energie, ma secondo me conviene comunque, a metà mattina o a metà pomeriggio, fermarsi un attimo sia per aprire il cassettino giusto del Calendario dell’Avvento, che per sgranocchiare due “Brutti ma buoni” con una tisana, una tazza di tè o un caffettino.

20131207-134702.jpgI Brutti ma buoni sono irresistibili biscottini friabili, leggeri e squisiti che si preparano facilmente e non durano mai a lungo…
Sono anche l’idea giusta per quei famosi doni fai da te che stiamo cercando in molte. Sistemati in una bella scatola di latta, come già suggerito da qualche amica blogger, o in una piccola biscottiera di vetro oppure accompagnati da una di quelle belle tazze da tè Inglesi da collezione, diventano un regalo affettuoso e personalizzato.
Vi dico subito come li faccio io così se vi va avete il tempo di testarli prima di Natale.

Faccio leggermente tostare in forno 250 gr di nocciole spellate e poi le frullo irregolarmente in modo che solo una parte si polverizzi e il resto risulti tritato grossolanamente.
Monto a neve fermissima 5 albumi con 1 pizzico di sale. Un po’ alla volta aggiungo 250 gr di zucchero vanigliato e infine incorporo alla meringa il trito di nocciole.
Mescolo senza che il composto si smonti e servendomi di un cucchiaino ne deposito dei mucchietti sulla placca del forno foderata di carta forno leggermente imburrata, distanziandoli un pochino. Con queste dosi dovrebbero venirvi circa 40 biscottini.
Inforno a 140 gradi per 20-25 minuti finché la superficie risulta appena dorata.

Staccateli solo quando si saranno raffreddati e (se ce la fate) conservateli in un contenitore ermetico o fatene dei graziosi sacchettini con il cellophane e pensate a chi regalarli.