Taglierini, mazzancolle e arance

Ad un certo punto della nostra vita, abbiamo lasciato l’appartamento con gli affreschi di Piazza delle Erbe per trasferirci dove abitiamo adesso, mentre la mia mamma è rimasta nel palazzo storico che chiude una delle Piazze più antiche e famose di Verona.
Non era più come vivere sullo stesso pianerottolo, ma ci vedevamo comunque molto spesso, più volte a settimana.
Uno dei nostri appuntamenti fissi era quello del mercoledì, quando veniva da me con l’autobus, facevamo acquisti insieme al mercato rionale e dopo pranzo tornava a casa in auto con mio marito, che allora ancora dirigeva una banca in centro.
Compravamo sempre pesce e crostacei, verdura, taralli, formaggi e frutta secca e una volta a casa cucinavo uno di quei piatti di cui andava matta.
Ormai a casa era abituata a cibi più semplici e preparazioni più tradizionali, quindi adorava i miei fantasiosi menù.
Ho rifatto l’altro giorno questi taglierini davvero speciali, profumati di pepe, di arancia e di un po’ di malinconia.

20141214-230251.jpgSi sgusciano 400 gr di mazzancolle, lasciando le codine perché sono decorative. Si tagliano sul dorso per eliminare il filo intestinale e si sciacquano.
Si fanno saltare due minuti in una padella calda con 30 gr burro finché non cambiano colore e da grigie diventano color corallo, si scolano e si tengono da parte.
Nella stessa padella di aggiungono il succo di un’arancia, la sua buccia grattugiata, 1 cucchiaio di olio, 1 tazzina di panna da cucina, 1/2 cucchiaino di zafferano sciolto in poco vino bianco, prezzemolo tritato, sale e pepe bianco macinato al momento.
Si fa restringere questo sugo a fuoco medio, si lessano i taglierini all’uovo, si scolano e si versano nel tegame, si aggiungono le mazzancolle, si spadella velocemente e si serve subito.

È un piatto delicato e saporito che va mangiato caldo e con gioia perché è delizioso, indipendentemente dai ricordi che non suscita in tutti.

Arrosto in verde

Spero che aver scelto come prima ricetta del 2015 un ennesimo arrosto farcito sia di buon auspicio!
Per il pranzo di ieri ho preparato un arrosto davvero speciale, con una piacevole farcia verde: verde speranza, la speranza che questo nuovo anno appena cominciato ci porti tutto quello che di buono ci aspettiamo e ci meritiamo.

20141208-011307.jpgCi vogliono 8-900 gr di fesa di vitello (più saporita del petto di tacchino e più delicata della polpa di maiale) tagliata in modo da farla diventare la solita grossa bistecca che si appoggia sul piano di lavoro.
Per la farcia verde si cuociono in tegame coperto 300 gr di spinaci senza aggiungere acqua. Sarà sufficiente a mantenerli morbidi il liquido che emettono in cottura.
Si scolano, si strizzano, si tagliuzzano e si passano in padella con 30 gr di burro, sale, pepe e noce moscata per insaporirli e asciugarli perfettamente.
Si fanno raffreddare e si inseriscono nel vaso del food processor con 50 gr di pangrattato, 50 gr di pistacchi sgusciati e spezzettati, 1/2 spicchio d’aglio e 80 gr di parmigiano grattugiato.
Si frulla e si spalma su tutta la superficie della carne.
Si arrotola su sé stessa, si avvolge in 150 gr di pancetta piacentina e si lega con cura con lo spago da cucina.
In un tegame piuttosto profondo si fanno imbiondire con olio e burro 2 scalogni affettati sottili, si salano appena e si aggiunge la carne.
Si rosola con aglio, alloro, salvia e rosmarino, si sfuma con 1/2 bicchiere di vino bianco, si aggiunge qualche mestolino di brodo e si porta a cottura rigirandolo 3-4 volte perché prenda colore da tutti i lati.
Dopo circa un’ora si toglie dal tegame e si libera dallo spago. Si fa leggermente intiepidire, poi si affetta.
Intanto si filtra il sugo e si cosparge la carne.

In questo arrosto non ho aggiunto sale perché tutti gli ingredienti sono particolarmente sapidi.
Ho già detto che preferisco preparare gli arrosti in anticipo e affettarli quando sono perfettamente freddi per scaldarli al momento di servirli. Se il sugo non vi sembra sufficiente a mantenere morbido l’arrosto, potete aggiungere una tazzina di latte.

Il cappone ripieno della moglie del macellaio

Quando il 13 ottobre ho postato la ricetta dei casoncelli bresciani, ho accennato al fatto che la moglie del macellaio del mio paese al Lago utilizza lo stesso ripieno per farcire un cappone disossato.
E dunque perché non accogliere questo suggerimento e cucinare un arrosto di cappone con gli ingredienti della tradizione contadina e povera di molte parti dell’Italia del Nord?
Il risultato è molto interessante e un po’ insolito e secondo me può anche avere un senso di appartenenza e di semplicità che tendiamo a dimenticare un po’ tutti scegliendo, io per prima, ricette ricche e sontuose che si allontanano dall’essenziale sobrietà dei tempi andati.
Sono sicura che questa ricetta sarebbe piaciuta molto a mia nonna, che farciva la gallina con cui faceva il brodo per le tagliatelle di Natale con pochi saporiti ingredienti, ma soprattutto col pane raffermo e la pancetta.
So che molti di voi possiedono abilità che io non ho, come per esempio la capacità di disossare personalmente un volatile, ma io preferisco affidarmi al macellaio e ordinare per tempo un cappone sui 2 kg già disossato.

20141202-105141.jpgPreparo per primo il ripieno per il nostro cappone, che è lo stesso dei casoncelli, come dicevo, ed è molto semplice.
Si fanno rosolare col burro in padella 150 gr di pancetta e 100 gr di prosciutto cotto tagliati a dadini con 1 spicchio d’aglio e 1 ciuffo di salvia tagliuzzato, poi si frullano con 250 gr di pane raffermo, 100 gr di grana grattugiati e 200 gr di bietole già lessate e tritate.
Si versa il composto in una ciotola, si insaporisce con sale, pepe, noce moscata e si aggiunge un pochettino di brodo.
La consistenza di questo ripieno deve essere come quella delle polpette.
Lo tengo da parte e intanto preparo il cappone.
Passo la pelle con il cannello per caramellare così da eliminare eventuali residui di penne sulla superficie.
Lo sciacquo, lo asciugo, lo stendo sul piano di lavoro e posiziono il ripieno al suo interno.
Riavvicino le due parti e riunisco il taglio praticato dal macellaio prima aiutandomi con gli stuzzicadenti e poi cucendolo con cura con un grosso ago da lana e lo spago da cucina.
Finita questa delicata e antipatica operazione, rosolo il cappone in una teglia che possa poi andare in forno, con olio e burro, rosmarino, salvia, aglio e alloro.
Lo salo, lo insaporisco con pepe e noce moscata, lo sfumo con 1 bicchiere di vino e quando è evaporato aggiungo il solito mestolino di brodo di quasi tutti i miei arrosti, che li mantiene umidi e succulenti durante la cottura.
Inforno a 200 gradi per circa 1 ora e 20, rigirandolo almeno un paio di volte e ricoprendolo col suo liquido di cottura. Se dovesse asciugarsi troppo, aggiungo altro brodo.
Una volta sfornato, deglasso il fondo di cottura con 1 bicchiere di vino bianco staccando bene tutte le incrostazioni caramellate dal fondo della teglia. Faccio addensare la salsa aggiungendo una punta di maizena, la filtro e la servo con il cappone affettato.

I funghi champignon trifolati, le bietole ripassate in padella e le patate al forno sono l’ideale per accompagnare questo cappone gustoso e ricco di sapori d’antan, che raccomando di non sottovalutare.

Piccoli arrosti monoporzione

Se anche voi in questi giorni cominciate il “mumble mumble” relativo al menù di Natale e magari anche a quello di Capodanno, vi do un suggerimento che pur non essendo uno dei segreti dello chef, agevola i preparativi, o quanto meno non li ingolfa
Un petto di pollo può essere la soluzione che risolve il problema di provare per tempo la ricetta di un arrosto farcito da portare in tavola durante una di queste Feste, quando invece si userà almeno 1,5 kg di petto di tacchino e ingredienti per la farcia più o meno quadruplicati.
Se ho ospiti non mi pongo il problema e preparo un arrosto intero e abbondante, ma dato che normalmente siamo ormai solo in due e i figli ci danno man forte solo occasionalmente, questo escamotage è perfetto.
Suggerisco di provare questa ricetta indipendentemente dall’intenzione di utilizzarla poi a Natale, è un arrostino veramente buono anche senza secondi fini!

20141202-012454.jpgIl solito macellaio, col quale ormai avrete instaurato un rapporto di fiducia e di reciproca stima dovrà tagliare i due mezzi petti di un pollo in modo da ottenere due belle fette basse e larghe di carne.
Meglio chiedere anche che le appiattisca perché chissà come mai i batticarne professionali non hanno niente a che vedere con l’attrezzino che ognuno di noi ha a casa e che non garantisce lo stesso risultato.
È come per i coltelli del salumiere: quando compro un salame intero o mezza soppressa, le fette non mi riescono mai, nonostante la mia piuttosto ampia scelta di coltelli, come quelle che taglia il bottegaio. Anche questo di fiducia, mi raccomando, se no chissà che insaccati vi rifila.
Dunque, si appoggiano sul piano di lavoro coperto di carta forno 80 gr + 80 gr di fettine di bacon accostate fra loro ma divise in due porzioni.
Su ognuna si posizionano le due grosse fette di petto di pollo, si pareggiano il più possibile tappando eventuali fori con fettine sottili ricavate dalla parte più spessa della carne.
Si prepara un composto con 150 gr di prosciutto cotto battuto a coltello, un trito di timo, maggiorana e rosmarino, 1/2 cucchiaino di origano secco, 80 gr di parmigiano grattugiato, una decina di pomodorini secchi sott’olio tritati, una cucchiaiata di pane raffermo grattugiato e poco olio, giusto per legare il composto.
Si suddivide sui due petti, si spalma, con l’aiuto della carta forno si arrotolano entrambi nel bacon, si legano con lo spago da cucina, si fanno rosolare in olio e burro, aglio, salvia, alloro e rosmarino.
Si sfumano con 1/2 bicchiere di vino bianco e quando è evaporato di aggiunge un mestolino di brodo e si porta a cottura rigirandoli con delicatezza, perché il bacon resti al suo posto, due o tre volte.
In genere non occorre salare, ma assaggiate.

Si liberano dallo spago, si filtra il sugo, si affettano e si servono. Io ci ho messo vicino le false patate al forno, quelle invece saltate in padella.

Petto di tacchino in crisi d’identità

Vorrei inaugurare dicembre con una ricetta adattissima alla stagione.
Ho da molti anni quella del ripieno con cui negli Stati Uniti si farcisce l’oca arrosto, che con il prosciutto glassato cotto al forno è in molte famiglie la portata principale del pranzo di Natale.
Mentre da noi il tacchino compare spesso sulla tavola delle Feste, in America si consuma di preferenza il Giorno del Ringraziamento.
Mi sono sempre chiesta, dato che in America i tacchini, più che i fratelli maggiori dei polli, sembrano i fratelli minori degli struzzi, che dimensioni potranno avere le loro oche…
Comunque, per conciliare il desiderio di provare questa farcia con le mie esigenze personali e i gusti della famiglia, sono ricorsa al collaudato espediente di utilizzare per questo arrosto il solito petto di tacchino fatto tagliare a libro e leggermente battuto.

20141201-011306.jpgSi fanno rinvenire 5-6 prugne secche in acqua calda, si tagliano a metà e si snocciolano, si cuociono con 1/2 bicchiere di vino bianco per una decina di minuti, poi si scolano, si tagliano a pezzetti e si versano in una ciotola. Si mette da parte il vino.
Si fanno sobbollire 5-6 albicocche secche in una tazza di succo d’arancia per 5 minuti, poi si sgocciolano, si tritano grossolanamente e si uniscono alle prugne. Si conserva il liquido di cottura insieme al vino in cui sono state cotte le prugne.
Si aggiungono una mela Granny Smith e una pera abate tagliate a cubetti, 80 gr di noci pestate nel mortaio, il succo di mezzo limone e la sua buccia grattugiata, 1 gambo di sedano affettato sottile, 30 gr di burro fuso, 4 foglie di salvia tritate, 3 fette di pancarrè fresco frullato, 1 pizzico di peperoncino piccante, una grattata di noce moscata, 1/2 cucchiaino di cannella, sale e pepe.
Si mescola tutto insieme e il ripieno è pronto.
Si apre la maxi fetta di petto di tacchino, del peso di circa 1,400-1,600 kg e al centro si posiziona la farcia, si richiude, si lega con cura con lo spago da cucina e si fa rosolare in olio e burro con 2 foglie di alloro e 2 rametti di timo.
Si sala, si pepa, si sfuma con 1 bicchierino di cognac, si aggiunge il sugo di cottura di prugne e albicocche e si lascia cuocere col coperchio per almeno 50 minuti.
Si rigira un paio di volte perché si rosoli perfettamente da tutti i lati, si spruzza con 1/2 bicchiere di Porto e si porta a cottura senza il coperchio.

Il sapore di questa insolita farcia è molto gradevole: dolciastro, asprigno, lievemente piccante, aromatico, insomma piuttosto complesso.
La farcia è senz’altro più adatta alle carni grasse dell’oca, ma dato che il petto di tacchino tende ad essere asciutto, al fondo di cottura, filtrato, di questo arrosto insolito e squisito, si può aggiungere una confezione di panna da cucina e un altro bicchierino di Porto.
Una volta che il sugo si è leggermente addensato si serve a parte in salsiera.
Con questa aggiunta il nostro tacchino si crederà una vera oca!

Sformato di pesce effetto “WOW!”

Ecco un altro esempio di un piatto che può rendere particolarmente goloso un buffet o costituire un secondo o un antipasto squisiti, col solito vantaggio di poter essere preparato in anticipo.
Sono certa concordiate infatti sull’effetto “Wow!” di questo sformato di coda di rospo (oppure di nasello o di merluzzo), perfetto per un buffet.
E di buffet mi sentirete parlare spesso perché sto (da un po’) pensando già alle Feste imminenti, che non ci devono trovare a corto di idee.

20141021-190531.jpgSi portano a ebollizione circa 2 litri di acqua con 1 bicchiere di vino bianco e 1 carota, 1 costa di sedano, 1 foglia di alloro, qualche gambo di prezzemolo, 5-6 grani di pepe e 1/2 cucchiaino di sale grosso.
Si immergono in questo brodo circa 8-900 gr di coda di rospo e si fanno cuocere per circa 15 minuti.
Quando è cotta si estrae e si scola e al suo posto si mettono a lessare 400 gr di code di gambero.
Dopo 5 minuti da quando cambiano colore, si scolano e si sgusciano.
Si condiscono col succo di 1/2 limone, la buccia grattugiata, 1 filo d’olio, sale e pepe.
Si affetta sottile 1 porro e si fa stufare con 40 gr di burro aggiungendo qualche cucchiaiata d’acqua finché non diventa una crema.
Si priva la coda di rospo della lisca centrale e delle eventuali spine, si passa al mixer con i porri, 1/2 confezione di panna da cucina, 2 albumi montati a neve soda, 1 pizzico di sale e una grattata di pepe.
Si imburra uno stampo rotondo, si dispongono sul fondo alcune fette sottili di limone formando un disegno concentrico e si fa uno strato con metà del composto premendo bene per non lasciare vuoti.
Si adagiano sopra tutti i gamberi scolati e si coprono con l’altra metà del composto.
Si copre lo stampo con un foglio doppio di alluminio e si inforna a 180 gradi per circa un’ora.
Quando è trascorso questo tempo, si sforna e si lascia intiepidire. Si capovolge sul piatto da portata e si serve a temperatura ambiente con la maionese passata a parte.

La maionese è proprio indispensabile perché questo sformato è piuttosto asciutto: bellissimo, buonissimo, ma decisamente asciutto. Appunto.

Un altro antipasto sfizioso nei bicchieri

Oltre alle terrine, di cui stiamo parlando abbondantemente, e i paté, ci sono piatti nati apposta per essere il punto focale di un buffet.
Sono quelli che hanno un impatto maggiore per la loro eleganza, che invogliano più di altri ad essere assaggiati, che creano una certa curiosità.
È il caso di questi stuzzicanti bicchieri di bisque di crostacei decorati con qualche coda di gambero fatta saltare in padella con burro e Cognac. Sono l’ideale per una piccola cena di quelle cosiddette “in piedi” dove gli ospiti comunque si siedono ovunque ma non a tavola!
Il vantaggio di questa formula è che si prepara il cibo una volta per tutte, si appoggia su un bel tavolo e poi non c’è più bisogno di curarsene. Sabato scorso è andata proprio così.
Questo sistema torna utile anche quando, per svariati motivi, non si ha la possibilità di servire la sequenza delle portate classiche, quindi gli ospiti, in questo caso seduti tranquillamente, si servono da soli dal centro della tavola le diverse portate preparate in precedenza. Sto pensando a quando l’anno scorso ho organizzato questa specie di elegante pic nic in sala da pranzo per il primo compleanno del mio nipotino. Ne ho accennato nel post del 3 dicembre scorso, se vi va tornate a dargli un’occhiata perché le buone idee vanno sempre tenute in considerazione.

20140917-094106.jpgRicordate? A settembre vi avevo raccomandato di congelare l’eventuale surplus di bisque di gamberi se mai l’aveste fatta, proprio per poterne avere a disposizione una certa quantità che facesse da base a questo antipasto.
Una volta decongelata la bisque ho aggiunto qualche cucchiaiata di yogurt greco, quello bello sodo e non troppo acido, ma va bene anche la panna se preferite e l’ho frullata col mini-pimer a immersione per ottenere una vellutata.
L’ho distribuita nei bicchieri, e su ognuno ho appoggiato 2 code di gambero (sgusciate, mondate, fatte saltare in padella con burro e cognac e insaporite con sale, pepe, e peperoncino) infilzate in uno stecchino. Ho poi scaldato brevemente i bicchieri a microonde prima di appoggiarli sul tavolo da buffet.

Se non ne avete a disposizione e volete fare la bisque di cui parliamo, leggete la ricetta cliccando su: https://silvarigobello.com/2014/09/19/bisque-di-gamberi/

Gnocchi di patate allo zafferano con sugo di finferli

Sapete? Ce l’ho ancora il cestino con cui il mio papà e la mia mamma andavano a funghi.
È uno dei tanti oggetti che ho conservato perché mi ricordano l’infanzia e l’adolescenza, le gite in montagna con i miei, i sabati mattina quando si partiva presto per raggiungere ogni volta uno dei posti segreti scoperti nel corso delle escursioni precedenti.
Io non ho mai imparato a riconoscere i funghi mangerecci, anzi raccoglierli mi ha sempre un po’ intimorita, ma mi divertiva molto accomodarli con cura sul fondo del cestino ricoperto di foglie.
E adoravo il modo in cui la mia mamma li preparava, leggermente diverso a seconda della varietà.
Cose successe tanti e tanti anni fa.
Anche oggi i funghi mi piacciono molto, i porcini soprattutto, ma anche i finferli. E i chiodini.
I finferli sono quei funghi che come dicevo nel post di venerdì, a seconda della regione di provenienza assumono nomi diversi non sempre facilmente decifrabili, ma che si riconoscono subito senza problemi perché sono delle trombette gialle con sotto un sacco di lamelle che si riempiono di terriccio e frammenti di foglie.
Sono infatti gli unici funghi che anche i grandi chef consigliano di lavare velocemente sotto l’acqua corrente e non solo di passare con un panno umido, strofinando delicatamente.
Io trovo i finferli eccellenti soprattutto utilizzati in modo non troppo convenzionale, a metà tra la tradizione e la creatività, impiegati per esempio nel ripieno degli arrosti, come venerdì, o nei sughi per condire la pasta, o come oggi, questi gnocchi di patate un po’ speciali.

20141003-010742.jpgGli gnocchi di patate li sapete fare tutti, no?
Questi, che potrebbero essere una specialità della Signora in giallo Jessica Fletcher, non perché siano una ricetta del Maine, ma per il colore di tutti gli ingredienti, si preparano con 1 kg di patate lessate e schiacciate, 300 gr di farina, 1 uovo, 1/2 cucchiaino di zafferano in polvere, noce moscata e 1 pizzico di sale.
Poi, ottenuto un impasto liscio e morbido ma non appiccicoso, si formano i cordoni come al solito, si tagliano a tronchetti di circa 3 cm di lunghezza, si passano sul retro della grattugia e si allineano su un canovaccio.
Il sugo con cui ho condito questi bellissimi gnocchi giallo intenso è un ragù di finferli, profumati e saporiti, facile perché bastano pochi ingredienti e una cottura semplice.
Si fanno imbiondire 1/2 cipolla tritata e 1 spicchio d’aglio grattugiato con 1 cucchiaio d’olio e 1 noce di burro.
Si aggiungono 500 gr di finferli ben nettati e tagliati a pezzetti, si salano, si pepano e si spruzzano di vino bianco. Quando è evaporato si prosegue la cottura aggiungendo 1 mestolino di brodo perché i finferli hanno bisogno di una cottura più lunga per esempio dei porcini, che è sufficiente far saltare pochi minuti.
Si lessano gli gnocchi, si scolano nella padella dei funghi e si fanno insaporire.
Si aggiunge un trito di prezzemolo e si servono passando a parte il parmigiano grattugiato.

Sì, è proprio come pensate: ho comprato un sacco di funghi.
Li ho cucinati tutti e quelli che non ho utilizzato per l’arrosto e gli gnocchi, sono finiti nel freezer.

Arrosto con i finferli

I Cantharellus cibarius sono ottimi funghi conosciuti con molti nomi diversi, spesso dialettali, a seconda del luogo in cui vengono colti: finferli, galletti, gallinacci, giallini o gialletti, garitule, cantarelli, creste di gallo, addenazzi e via discorrendo.
I miei genitori, che come ho già detto erano appassionati e abili cercatori di funghi, erano particolarmente soddisfatti quando trovavano i finferli, che consideravano più prelibati anche dei porcini.
La mia mamma faceva delle “tasche” di maiale ripiene di finferli che erano una vera delizia. Con la stessa ricetta io faccio invece un arrosto intero, che è più rapido nella preparazione e più facilmente porzionabile, ma non perde nulla di quel caro sapore antico.

20140929-140339.jpgI finferli hanno un’inconfondibile forma a “trombetta” e molte lamelle nella parte inferiore, che rendono necessario lavarli sotto l’acqua corrente per poter eliminare tutti i residui di foglie e di terriccio.
Per questa ricetta, una volta accuratamente mondati, se ne cuociono 300 gr in padella per 15-20 minuti con aglio e scalogno tritati, spruzzati di vino bianco e aggiustati di sale e pepe solo a fine cottura.
Mentre si intiepidiscono, si stendono sul piano di lavoro 8-900 gr di arista di maiale che il solito macellaio compiacente vi avrà aperto, tagliato e battuto in modo da ottenere una grossa bistecca (lo stesso procedimento di cui l’anno scorso abbiamo parlato più volte insomma, qui cambia solo la farcia).
Si copre la carne con 150 gr di speck affettato sottile.
Si incorporano ai funghi ormai freddi 4 cucchiaiate di parmigiano grattugiato e si distribuiscono sullo speck, lasciando libero un bordo di un paio di centimetri.
Si arrotola con cura l’arrosto facendo attenzione a non far uscire il ripieno, si lega col solito spago da cucina e si fa rosolare in tegame con olio, burro, 2 rametti di timo, 1 di rosmarino, 2 foglie di salvia e 2 spicchi d’aglio schiacciati.
Quando ha preso colore da tutti i lati si spruzza di vino, si lascia evaporare, si aggiungono 750 ml di latte caldo e si fa sobbollire dolcemente col coperchio rigirandolo di tanto in tanto.
Ci vorrà circa un’oretta. Se dovesse asciugarsi troppo di può aggiungere altro latte oppure un mestolo di brodo.
Come ho detto in altre occasioni, carni magre come la lonza di maiale o la fesa di tacchino, per restare morbide e sugose, una volta rosolate, necessitano di cotture lunghe e abbondante liquido.
Il sughetto che si forma, filtrato, è il completamento ideale di questi arrosti e invita inevitabilmente alla scarpetta.

Come dicevo, la mia mamma creava una “tasca” tagliando a metà senza arrivare fino in fondo, delle fette spesse di lonza e le farciva con finferli cotti, cubetti di pancetta e parmigiano grattugiato. Cuciva l’apertura col filo incolore e le cuoceva in padella, spruzzate di vino, con il latte, il brodo e tutti gli odori.
Il procedimento è un po’ più lungo, ma il risultato è il medesimo. Spesso accompagnava le tasche con la polenta e questo si può fare anche con l’arrosto.

Filetto di maiale alle erbe provenzali

20140903-001427.jpgA momenti è di nuovo tempo di arrosti, eh, tenetevi pronti!
Intanto ho già cominciato ad “allenarmi” con uno squisito filetto di maiale al forno. Per insaporirlo ho utilizzato un mélange di timo, lavanda, semi di finocchio, origano, rosmarino, aneto, artemisia: le tradizionali Herbs de Provence insomma, le ultime che mi erano rimaste.
Queste le avevo acquistate al Marchè Forville, che si trova alla base di Le Suquet, la zona più autentica e popolare di Cannes, la parte alta della città, dove l’atmosfera è ancora quella di un piccolo, antico borgo intorno al vecchio castello da cui si gode una romantica vista sui tetti e sulla baia.
Durante le nostre brevi ma ripetute vacanze in Costa Azzurra, abbiamo avuto occasione di visitare molti altri variopinti mercati di specialità gastronomiche regionali, compreso quello coperto di Cours Massèna ad Antibes, che occupa la piazza di un’antica borgata medievale dove gli edifici che la circondano ospitano antiquate e spesso antiche rivendite di prodotti artigianali e alimentari.
Sotto i portici c’è perfino un “bar dell’assenzio” dall’atmosfera fanè Primi Novecento.
Adoro la Costa Azzurra!
Per tornare al nostro arrosto dal sapore Provenzale, ecco la ricetta.

Si spalma con 1 cucchiaio di moutarde de Dijion (senape) un intero filetto di maiale del peso di circa 600 gr e si avvolge in fettine sottili di lardo o pancetta tesa.
Si sparge qualche cucchiaiata di erbe miste di Provenza, sale e pepe su un foglio di carta forno e ci si rotola sopra il filetto facendole aderire bene.
Si inforna a 180 gradi appoggiato in una pirofila unta e si irrora con qualche cucchiaiata di olio.
Si cuoce per i primi 20 minuti coperto con la stagnola, che poi si toglie, si rigira la carne, si spruzza di vino bianco, si aggiunge una manciata di olive nere e si completa la cottura.
Per verificare quando è pronto si infila al centro un lungo stecchino, che deve entrare con facilità.
Si sforna, si lascia intiepidire qualche minuto e poi si affetta.

A me piace servirlo con la ratatouille, le patate, i funghi trifolati, piuttosto che con le insalate di verdure crude.
Chi non ama la senape (e so che qualcuno c’è perché me l’avete fatto notare commentando altre ricette) può tranquillamente saltare questo passaggio.