Riso e code di astice

Uno dei piatti più semplici e prelibati che io abbia mai assaggiato, e naturalmente poi riproposto a casa, è un semplice risotto bianco.
Naturalmente c’è un inghippo: in realtà era “avvolto” da due code di aragosta bollite ed era stato cotto con il loro “brodo”, un court bouillon aromatico, profumato e molto raffinato.
Se avete in programma un piccolo festeggiamento per una ricorrenza o un evento a due che richieda una certa classe, prendetelo in considerazione, perché è di una semplicità assurda e se l’occasione consente un budget adeguato, be’ non esitate!
Io ho utilizzato due piccole code di astice surgelate anziché l’aragosta: la misura è perfetta, non c’è scarto, non sono difficili da reperire.

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Un court bouillon perfetto per questo piatto si ottiene portando a ebollizione 2 litri d’acqua insaporita con 1 carota a rondelle, 1 gambo di sedano affettato, 1 cipolla tagliata in quattro, 1 foglia di alloro, i gambi di qualche rametto di prezzemolo, 1 foglia esterna di un finocchio, 1/2 cucchiaino di pepe nero in grani, 1 cucchiaino raso di sale marino grosso e 1/2 bicchiere di vino bianco.
Si lascia sobbollire delicatamente, col coperchio, per circa un’ora, poi si filtra eliminando gli odori, si riporta a bollore e si immergono 2 code di astice surgelate decongelate e sciacquate, di circa 400 gr l’una.
Si fanno bollire per una decina di minuti, poi si lasciano intiepidire nel brodo. Si scolano e si rimuove il carapace tagliando dorso e lato inferiore con il trinciapollo, facendo attenzione a lasciare intera la polpa. Si tengono al caldo.
Si prepara il risotto portando a ebollizione 2 tazze di court bouillon (meglio assaggiare per controllare se c’è bisogno di regolare di sale).
Si versa a pioggia 1 tazza di riso, si scuote leggermente il tegame, si cuoce a fuoco medio per circa 15 minuti, cioè fino a che non avrà assorbito il brodo. Si manteca con 40 gr di burro e 2 cucchiai di succo di limone.
Si accomoda sul piatto da portata esattamente al centro, accanto si sistemano le due code di astice che lo devono “abbracciare”.
Si decora con qualche stelo di erba cipollina tagliata con l’apposita forbicina e si porta in tavola, dove si divide equamente in due piatti.

Facile come dicevo, vero? Ma che risultato!
Il risotto è fatto nel solito modo di cui parlo sempre: senza mescolare e il suo volume deve essere la metà del liquido in cui cuocerà.
Il vino che utilizzo per questo court bouillon profumato di finocchio è il Gewurztraminer, aromatico e signorile. Poi lo servo anche con questo piatto, naturalmente.

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Linguine tartufo e salsiccia

In questi fine settimana in molti paesi delle nostre Prealpi ci sono una quantità di Feste del tartufo, con interessanti degustazioni e la possibilità di acquistare qualche bel tartufo nero delle nostre parti a prezzi ragionevoli.
I tartufi del Veronese non sono particolarmente pregiati, ma hanno una loro storia e delle tradizioni antiche.
Infatti importanti riferimenti storici sono riconducibili al Marchese Agostino Pignolati, membro della Pubblica Accademia di Agricoltura istituita dalla Repubblica Veneta nel 1768, il quale, soprattutto per quanto riguarda l’area del Monte Baldo, scriveva: “Li tartuffi di Caprino sono li più odorosi e saporiti del territorio”.
Ma la conoscenza e la degustazione dei tartufi hanno origini ben più lontane.
L’erudito latino Plinio il Vecchio (circa 79 d.C.) riporta nella sua Naturalis Historia degli aneddoti che dimostrano che quello che veniva chiamato semplicemente tuber era molto apprezzato sulla tavola dei Romani.
Ne tratta anche il filosofo greco Plutarco di Cheronea nel primo secolo d.C. attribuendo la natura dei tartufi all’azione combinata di acqua, calore e fulmini.
Giovenale ne spiegò l’origine come conseguenza di un fulmine scagliato da Giove, famoso per la sua esuberanza sessuale, per cui al tartufo vengono attribuite anche qualità afrodisiache.
Data la vicinanza alla Lessinia e al Monte Baldo dunque, a casa nostra si sono sempre mangiati: freschi nella stagione della raccolta e tutto il resto dell’anno conservati nel riso come faceva la mia bisnonna o congelati come è più pratico fare adesso.

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Si fa imbiondire una piccola cipolla bianca con una noce di burro e due foglie di salvia.
Si spellano e si sgranano con la forchetta 300 gr di salsicce, quelle che da noi si chiamano luganeghe, si fanno rosolare, si spruzzano di vino bianco e si portano a cottura,
Si lessano 320 gr di linguine, si scolano e si condiscono con il sugo di salsiccia.
Si impiattano e si completano con un bel tartufo nero della Lessinia o del Monte Baldo affettato generosamente al momento.

Sconsiglio di utilizzare il parmigiano grattugiato in questo piatto, perché toglierebbe in parte l’aroma inconfondibile e prezioso del tartufo.

Il Roast beef all’Inglese

Una delle preparazioni più semplici per mettere in evidenza la bontà della carne di manzo è senza dubbio il Roast Beef all’Inglese.
Ho sentito parlare di decine di ricette, ne ho provate alcune, ma resto fedele alla mia: collaudatissima e deliziosa.
Naturalmente perché piaccia anche a voi dovere avere lo spirito di veri Beef Eater e apprezzare la cottura media della carne, quella che i Francesi definiscono “à point” e gli Anglosassoni “medium”. Ignoro la definizione in Tedesco, ma mi posso documentare. In Spagnolo potrebbe essere “poco cocido”, ma sto improvvisando.
Ci sono poche regole da seguire per ottenere fette di controfiletto di manzo tenere e succulente come quelle della fotografia, ma vanno rispettate senza modifica alcuna.

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Prima di tutto: io il roast beef lo faccio in tegame e non al forno. Acquisto circa 800 gr di controfiletto, che è la quantità che garantisce di ottenere un roast beef perfetto. Si può legare con refe da cucina per mantenere la forma, ma io non lo faccio.
Per ogni 100 gr di carne occorrono 3 minuti di cottura distribuiti su ogni lato del taglio di carne, che va spalmato con 1 cucchiaino di salsa alla senape e messo in un tegame che lo contenga di misura.
Si insaporisce con 1/2 cucchiaino di sale grosso, una generosa macinata di pepe nero, una spruzzata di salsa Worcestershire e si rosola a fuoco vivace.
Poniamo dunque che il nostro roast beef pesi, come abbiamo detto, 800 gr e abbia la forma di un parallelepipedo: andrà cotto quindi 6 minuti per lato, rigirandolo solo una volta, come si fa con la carne alla griglia.
Quando è cotto, si toglie dal tegame, si avvolge in un foglio doppio di stagnola e si lascia riposare almeno 15 minuti prima di affettarlo.
Si filtra il sugo, si versa in una salsiera e si porta in tavola con la carne.

L’operazione di affettare il roast beef è molto scenografica, quindi consiglio di farlo davanti ai commensali.

Spaghettoni integrali col tonno

Da un po’ stiamo mangiando spesso la pasta integrale, nel tentativo di trarre vantaggio dai benefici che pare questo alimento garantisca: dona un senso di sazietà maggiore, rallenta l’assimilazione dei grassi e degli zuccheri ed è quindi indicata per il controllo del peso. Inoltre contiene vitamina E, antiossidante e anti-age e vitamine del gruppo B.
E non è neanche cattiva come ci si aspetterebbe da qualcosa che fa così bene…
Inoltre ha talmente tante proprietà e contiene una tale infinità di garanzie per una vita sana ed equilibrata, che pare impossibile che un pacco da mezzo chilo non pesi più di quelli di pasta normale.
Quindi per cercare di non vanificare i vantaggi che derivano dal consumo delle fibre e di tutto il resto contenuto nella pasta integrale, cerco di condirla con sughi che rispettino le sue caratteristiche.
A volte il risultato visivo non è granché soddisfacente. Per esempio questo sugo di tonno ha finito con l’avere la stessa sfumatura di beige della pasta, ma era comunque molto profumato e molto saporito e magari soddisfa anche i patiti del “tono su tono”.

20150226-005951.jpgFaccio imbiondire in poco olio 2 spicchi d’aglio schiacciati e 1 cipolla bianca tritata. Unisco 4 alici sott’olio spezzettate e le faccio sciogliere a fuoco basso.
Aggiungo 1 foglia di alloro e il contenuto sgocciolato di 2 scatolette medie di tonno al naturale.
Insaporisco con una macinata di pepe, il succo di 1/2 limone e qualche pezzetto di scorza.
Cuocio per una decina di minuti mantenendo il fuoco piuttosto allegro e mescolando spesso.
Elimino l’aglio, l’alloro, le scorzette e aggiusto eventualmente di sale.
Condisco 150 gr di spaghettoni integrali aggiungendo un filo d’olio crudo e spolverizzando di pepe appena macinato.

Se si passa sopra alla monocromaticità del piatto, il piatto stesso garantisce un sapore intenso e gradevolissimo che soddisferà anche i palati più scettici… come il mio.

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Riso, Taleggio e pere

Ci sono abbinamenti che sembrano nati per rallegrare i sensi e gratificare il palato, eppure spesso si tratta di preparazioni semplici e senza pretese.
Per esempio questo riso pescato, condito con una leggera fonduta di Taleggio e una purea di pere Kaiser. Niente di che quindi, ma è delizioso.

20150215-182711.jpgNon occorre fare il risotto, basta lessare il riso in abbondante acqua salata e mentre cuoce sciogliere a fuoco dolce 200 gr di formaggio Taleggio con qualche cucchiaiata di latte e una grattugiatina di noce moscata.
Si sbuccia, si affetta e si frulla 1 pera, preferibilmente della varietà Kaiser, morbida e matura. Si unisce la polpa al Taleggio, si aggiunge 1 cucchiaiata di parmigiano grattugiato, si mescola e si condisce il riso scolato al momento.
Si serve subito decorando i piatti con qualche fettina sottile di pera per ricordare che è uno degli ingredienti della salsa.

Come dicevo è una ricetta semplice e l’abbinamento pere e formaggio non è certo nuovo, però vorrei che lo assaggiaste perché questo piatto è delicato, fresco, insolito e saporito. Insomma da provare prima o poi.

Carciofi romaneschi ripieni

Il carciofo è un ortaggio prelibato che si presta a molte preparazioni, tutte squisite.
A me piace utilizzarlo anche come ingrediente per i sughi con cui condire riso e pasta, mi piace impanarlo e friggerlo a spicchi per esempio, metterlo nelle frittate, mangiarlo crudo in pinzimonio o cucinarlo alla giudia, ma mi piace soprattutto ripieno.
I carciofi che trovo con più facilità al mercato o dal fruttivendolo Pakistano sono i violetti, gli spinosi, le “castraure” e i romaneschi, quelli che chiamano mammole o anche mamme romane, che sono i più adatti ad essere cucinati come si è sempre fatto a casa mia, perché non hanno il fieno al loro interno e le foglie sono particolarmente carnose.

20150212-002748.jpgLa mia mamma eliminava solo le foglie più esterne, tagliava i gambi e li pelava perché quando diventano morbidi dopo la cottura sono deliziosi.
Grattugiava il pane raffermo sopra un sacchetto di carta aperto e poi lo versava in una piccola terrina bianca, di quelle costolute di terracotta che col tempo assumevano un aspetto craquelè per via delle crepe sottili con cui gli anni e l’uso le segnavano.
Aggiungeva 1/2 spicchio d’aglio ridotto a crema, abbondante grana padano grattugiato, 1 dado per brodo sbriciolato, 1 ciuffo di prezzemolo tritato, 1 grossa fetta di lardo pestato, una macinata di pepe fresco, un pizzico di sale e tanto olio quanto era necessario per compattare tutti gli ingredienti.
Apriva delicatamente le foglie fino al cuore dei carciofi, che diventavano grandi come piattini da tè e li riempiva pazientemente con questo semplice ripieno.
Li accomodava in un tegame alto che li conteneva di misura, aggiungeva i gambi tagliati a pezzi e 2 spicchi d’aglio interi.
Li irrorava d’olio, aggiungeva sul fondo 2 bicchieri d’acqua e portava a bollore. Abbassava quindi la fiamma, copriva il tegame e portava a cottura a fuoco dolce aggiungendo altra acqua se necessario.
Il risultato erano questi irresistibili carciofi ripieni, che io cucino tali e quali.
Le foglie più esterne, che non si possono mangiare perché restano dure anche dopo la cottura, vanno grattate una ad una con la lama del coltello e la sostanza cremosa e saporita che se ne ricava si spalma sui bocconcini di pane per assaporare proprio tutto.

Quando ero piccola il mio papà mi cedeva sempre un pezzo in più del suo gambo, perché ne andavo matta.

Piccole cheesecake come antipasto

Come accennavo ieri, un goloso antipasto che ho preparato nel periodo Natalizio prevedeva l’utilizzo della mia composta di cipolle rosse di Tropea: ecco il risultato finale.

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Si frullano 200 gr di cracker Ritz, oppure Tuc Saiwa, con 100 gr di burro a temperatura ambiente. Si compattano sul fondo di 12 coppapasta e si mettono in frigorifero per un’oretta.
Intanto si lavorano con una spatola 250 gr di formaggio Philadelphia al salmone con 200 gr di robiola al tartufo e 50 gr di parmigiano grattugiato.
Si mettono ad ammollare in acqua fresca 10 gr di gelatina in fogli, si strizzano, si sciolgono in una tazzina con 2 cucchiaiate di Gin caldo e poi si aggiungono ai formaggi.
Si insaporisce con un pizzico di pepe, si mescola con cura e si suddivide questo composto sopra le basi di cracker ben fredde e compatte.
Si fa aderire bene e si rimette in frigorifero.
Al momento di portarli in tavola, si impiattano facendoli uscire dai coppapasta e decorandone le sommità con un cucchiaino di quella composta di cipolle rosse di Tropea di cui vi ho dato la ricetta ieri e qualche germoglio.

Se non si avessero a disposizione dei coppapasta alti e stretti, si potranno preparare le singole cheesecake nei bicchierini con un risultato altrettanto esteticamente accattivante, mentre il gusto non cambia. Ovviamente.

Composta di cipolle rosse di Tropea

Per una delle cene degli auguri che hanno preceduto il Natale ho fatto anche la Composta di cipolle rosse di Tropea, quella varietà dalla forma allungata che si trova in genere in reste molto decorative ed è decisamente più dolce di qualunque altra cipolla, anche se rossa.
È stata Marina (lericettedibaccos.wordpress.com) che con un suo post di qualche settimana prima mi ha ricordato che avrei dovuto prepararla già da un po’. Comunque ho rimediato proprio per inserirla fra gli ingredienti di un semplice, ma coreografico antipasto di cui parleremo magari domani.
L’importante prima di tutto è avere a disposizione la composta.
Il procedimento è semplice e non si piange nemmeno… a meno che non si abbiano motivi personali per farlo.

20141216-142321.jpgSi sbuccia 1 kg di cipolle, come si diceva, quelle rosse di Tropea e si affettano.
Si trasferiscono in una casseruola con le fettine di un’arancia pelata a vivo e il succo sgocciolato durante l’operazione di taglio, 2 cucchiai di aceto balsamico, 150 gr di zucchero di canna, 1/2 cucchiaino di sale e abbondante pepe.
Si aggiunge una tazzina di acqua e si cuoce a fiamma bassa per circa un’ora, rimestando spesso con un cucchiaio di legno.
Quando la composta risulta lucida e asciutta, si versa nei vasetti, si chiudono ermeticamente col loro coperchio, si ripongono capovolti e si conservano al fresco. Per sicurezza si possono comunque sterilizzare.

Naturalmente questa composta è l’ideale per accompagnare i formaggi ed è eccellente servita con le altre classiche salse da bollito.

Taglierini, mazzancolle e arance

Ad un certo punto della nostra vita, abbiamo lasciato l’appartamento con gli affreschi di Piazza delle Erbe per trasferirci dove abitiamo adesso, mentre la mia mamma è rimasta nel palazzo storico che chiude una delle Piazze più antiche e famose di Verona.
Non era più come vivere sullo stesso pianerottolo, ma ci vedevamo comunque molto spesso, più volte a settimana.
Uno dei nostri appuntamenti fissi era quello del mercoledì, quando veniva da me con l’autobus, facevamo acquisti insieme al mercato rionale e dopo pranzo tornava a casa in auto con mio marito, che allora ancora dirigeva una banca in centro.
Compravamo sempre pesce e crostacei, verdura, taralli, formaggi e frutta secca e una volta a casa cucinavo uno di quei piatti di cui andava matta.
Ormai a casa era abituata a cibi più semplici e preparazioni più tradizionali, quindi adorava i miei fantasiosi menù.
Ho rifatto l’altro giorno questi taglierini davvero speciali, profumati di pepe, di arancia e di un po’ di malinconia.

20141214-230251.jpgSi sgusciano 400 gr di mazzancolle, lasciando le codine perché sono decorative. Si tagliano sul dorso per eliminare il filo intestinale e si sciacquano.
Si fanno saltare due minuti in una padella calda con 30 gr burro finché non cambiano colore e da grigie diventano color corallo, si scolano e si tengono da parte.
Nella stessa padella di aggiungono il succo di un’arancia, la sua buccia grattugiata, 1 cucchiaio di olio, 1 tazzina di panna da cucina, 1/2 cucchiaino di zafferano sciolto in poco vino bianco, prezzemolo tritato, sale e pepe bianco macinato al momento.
Si fa restringere questo sugo a fuoco medio, si lessano i taglierini all’uovo, si scolano e si versano nel tegame, si aggiungono le mazzancolle, si spadella velocemente e si serve subito.

È un piatto delicato e saporito che va mangiato caldo e con gioia perché è delizioso, indipendentemente dai ricordi che non suscita in tutti.

Riso al nero di seppia

Per quanto mi piace il riso, in una vita precedente potrei essere stata un’asiatica.
Ora, individuare proprio esattamente il Paese in cui sarei potuta nascere mi risulta un po’ difficile, ma sicuramente l’Oriente deve essere la mia culla ancestrale.
Il primo “manicaretto” che ho preparato a mio marito appena tornati dalla Luna di miele è stato un risotto copiato dal numero di Aprile 1969 de La Cucina Italiana, ma mi sa che non è stato un gran successo. Dopo però sono migliorata.
Giusto per restare in tema Anni Settanta, ve lo ricordate che se si faceva una pasta alla buona con gli amici andavano alla grande i Maccheroncini alla Cubana, mentre se si voleva fare i fighi, si cucinava il risotto allo Champagne?
Ricette vintage, quelle della mia giovinezza!
Un riso invece che non si dovrebbe mai preparare quando si hanno ospiti, per oggettivi motivi estetici, è quello al nero di seppia.
Sapete cosa vi dico? È talmente buono che vi suggerisco di farlo solo per gli intimi, così come faccio io, e godervelo nonostante l’inevitabile bizzarra colorazione che assumeranno temporaneamente i vostri denti, come quella di certe donne di etnia Nord Vietnamita che nel loro Paese sono considerate molto belle.

20141022-141237.jpgSi puliscono, si liberano degli occhi, il becco e le interiora, si privano dei sacchetti dell’inchiostro, che si mettono da parte senza romperli, si toglie la pelle e si sciacquano bene sotto l’acqua corrente 1 kg di seppie.
Si fa un soffritto con 1 bella cipolla tritata, 1 spicchio d’aglio che andrà tolto quando sarà dorato e qualche cucchiaiata d’olio.
Si uniscono le seppie tagliate a listarelle e i tentacoli a pezzetti, si fanno soffriggere con un trito di prezzemolo e dopo qualche minuto, quando saranno rosolate, si spruzzano con 1/2 bicchiere di vino bianco.
Una volta evaporato si incorpora l’inchiostro tenuto da parte, si incoperchia e si cuoce a fuoco dolce per almeno una ventina di minuti: le seppie devono risultare morbide.
Si versano adesso a pioggia 300 gr di riso, si amalgamano alle seppie e si aggiungono un paio di mestoli di brodo.
Si incorpora una tazzina di passata di pomodoro e poco alla volta circa 1/2 litro di brodo aggiungendone a mano a mano che il riso si asciuga.
A cottura ultimata, fuori dal fuoco si aggiungono una noce di burro e abbondante pepe nero appena macinato, mantecando bene.

A chi non l’ha mai assaggiato, questo insolito risotto nero, che non è a base di riso Venere, può suscitare una certa diffidenza.
Dopo il primo assaggio, però, ogni perplessità scompare perché ha un gusto eccellente.
E poi non lo trovare anche voi abbastanza “mostruoso” da essere adatto a questa vigilia di Halloween?!