Una tarte tatin di albicocche

Quelle che si trovano adesso in commercio sono proprio le ultime albicocche, infatti non sono più granché… ma se te ne accorgi quando ormai in casa ne hai già un cestino, cosa fai?!
Esatto! Fai una torta.
E stavolta sarà una deliziosa, raffinata e burrosa tarte tatin, classico dolce d’Oltralpe che le signore francesi preparano davvero in “catrecattrot”.
Io a Parigi l’ho casualmente assaggiato a colazione farcito con le susine Mirabelle, le Gocce d’oro insomma, mentre ero ospite della cognata di quell’amica francese di cui vi ho già parlato.
Questa elegante e ospitale signora che viveva letteralmente all’ombra della Tour Eiffel, mi aveva assicurato che la tatin viene bene anche con le albicocche, le pesche o i fichi.
Oltre naturalmente che con le classiche mele o pere. Ca va sans dire.
Per concludere, ieri avevo questo chiletto di albicocche così così e per cambiare ho cercato la mia ricetta francese scritta su un foglietto a quadretti con la pubblicità del Pernod in alto, un po’ stropicciato, ma per fortuna leggibile e traducibile abbastanza agevolmente, una ricetta che avevo provato solo una volta, con le susine, quando? Trent’anni fa, ma le buone ricette non hanno scadenza per fortuna.

20140817-004448.jpgPer fare proprio una cosa da fighi, come direbbe Cracco, si tuffano nell’acqua in ebollizione circa 1 kg di albicocche già lavate.
Si scolano, si spellano, si tagliano a metà e si eliminano i noccioli. Se no basta tagliarle a metà e togliere i noccioli: vedete voi.
In una tortiera di acciaio inossidabile dal fondo spesso o in una antiaderente già collaudata sulla fiamma, si fanno caramellare dolcemente 4 cucchiai di zucchero con 50 gr di burro.
Si aggiungono le albicocche in un solo strato con la parte tagliata verso l’alto.
A fuoco dolcissimo, magari con uno spargi fiamma sotto, si fanno cuocere per una decina si minuti: basta che appassiscano un po’. Poi si fanno leggermente intiepidire e si accomodano meglio che si può.
Si stende un abbondante disco di pasta sfoglia pronta sulle albicocche, si “rimbocca” con cura inserendo il contorno tra la frutta e la tortiera e si inforna a 180 gradi per circa 15-20 minuti, finché la pasta non è dorata.
Quando si sforna conviene aspettare qualche minuto o col caramello si rischia di scottarsi, quindi si capovolge con decisione su un piatto rotondo da portata, si ripuliscono leggermente i bordi e si offre.

Al burro e allo zucchero per caramellare le albicocche, io aggiungo anche un bicchierino di Cognac, ma in casa nostra non ci sono bambini…

Pollo, panna e funghi

Dato che ieri ho trovato dei bellissimi porcini (i primi, freschissimi, che mi si dice arrivino dalla vicina Croazia), oggi vi racconto come ho fatto il petto di pollo con la panna e i funghi, che è stata una delle prime ricette della mia “carriera”.
Probabilmente quella originale l’avrò trovata in uno dei numeri de La Cucina Italiana, che è stata la base della mia educazione gastronomica alla fine degli anni Sessanta.
Questo, non so perché, è diventato quasi esclusivamente un piatto che servo al Lago quando ho ospiti a pranzo.
Non è troppo elaborato, ma è elegante e completo, lascia il tempo per stare in piscina o di fare una passeggiata sul Lungolago ed è adatto ad un pranzo informale ma che richieda una certa attenzione.
Se prevedo di pranzare sul terrazzo, in genere penso al riso freddo, al vitello tonnato e a un gran piatto di formaggi con le mostarde, i mieli e le confetture.
Se apparecchio all’interno invece (dipende dal tempo) prevedo di offrire un pranzo più formale e servo di norma un antipasto e poi un secondo piatto di carne o di pesce che sia già completo di verdure di accompagnamento, come lo spezzatino con i piselli, la cernia coi pomodorini oppure appunto il pollo alla panna con i porcini.

20140629-004810.jpgIn un largo tegame faccio rosolare 400 gr di petto di pollo a fettine con 30 gr di burro e 3-4 foglie di salvia.
Salo e pepo con moderazione, sfumo con 1 bicchierino di Cognac e continuo la cottura a tegame coperto aggiungendo 200 ml di panna da cucina.
Nel frattempo elimino la terra dai gambi e passo velocemente sotto l’acqua 250 gr di porcini.
Li affetto e li rosolo con altri 30 gr di burro, 1/2 spicchio d’aglio tritato, sale e pepe e poi li cuocio mantenendoli però piuttosto morbidi.
Li trasferisco nel tegame del pollo e faccio insaporire tutto insieme.
Pronto. Servo il mio Pollo, panna e funghi con una spolveratina di prezzemolo tritato.

Ovviamente questo piatto è squisito anche se non lo si mangia al lago…
È che le abitudini sono dure a morire!

Frutta tropicale e poco altro

Tornati dalla nostra vacanza in Sardegna, abbiamo provveduto a rifornire frigorifero e dispensa andando oltre che all’EsseLunga e al mercato (per i gamberi!), anche a fare la spesa dal mitico fruttivendolo Pakistano che a mio avviso ha la frutta e gli ortaggi migliori di tutta Verona.
In più, per certe occasioni, ha sempre qualche primizia interessante e molti prodotti insoliti, quelli che non si trovano con facilità per esempio nei negozi di quartiere.
A mio avviso è superiore anche a quello del centro che chiamano “Bulgari”, tanto per darvi un’idea dei suoi prezzi!
Per farla breve, oltre a scegliere la classica base di frutta e verdura per tutti i giorni, mi sono lasciata conquistare dalla varietà e dai colori dei frutti tropicali che mi facevano l’occhiolino dallo scaffale su cui erano esposti e ne ho messi alcuni nel cestino.
Avevo già in mente di fare per pranzo questa straordinaria insalata tropicale, profumatissima e colorata che ci ha fatto sentire ancora felicemente in vacanza.
L’esecuzione, non occorre neanche dirlo, è come sempre semplicissima e piuttosto veloce, ma il risultato è uno di quelli di cui essere orgogliosi.
Giudicate voi.

20140802-193425.jpgHo sciacquato e scolato alcune foglie di lattuga e ho foderato i nostri due piatti.
Ho sgusciato e privato del filo intestinale alcune code di gambero (la quantità è a discrezione) e le ho fatte saltare in una padella appena unta d’olio. Le ho sfumate con 1 bicchierino di Cognac, salate, pepate e tenute da parte.
Ho sbucciato e tagliato più o meno a dadi 1 mango, 1 papaya e 1 avocado. Ho tagliato a pezzetti anche 2 fette di ananas.
Ho riunito tutto in una ciotola e ho condito con 1 cucchiaio di olio, il succo di 1/2 arancia, sale, pepe, 1 cucchiaio di salsa Worcester e qualche goccia di Tabasco.
Ho mescolato la mia insalata di frutta tropicale e l’ho divisa sopra le foglie di lattuga nei due piatti.
Ho aggiunto le code di gambero, versato il loro sughetto al Cognac e completato con qualche stelo di erba cipollina tagliuzzata con la forbicina.

Lo sapete, io vado pazza per questi piatti. Avevo già l’acquolina in bocca dentro il negozio immaginando come avrei utilizzato questi frutti!
Pregustavo infatti sia un dolce che un’insalata, dove ci sarebbero stati bene anche degli anelli di cipolla rossa di Tropea, ma qui a qualcuno non piace la cipolla cruda, quindi…
Con il frutto della passione, la banana e il mango che non ho utilizzato per questo piatto unico ho decorato la Pavlova di cui abbiamo parlato ieri.
Ah, se qualcuno se lo sta chiedendo, sì, siamo stati in Sardegna due settimane, ma grazie all’iPad, al mio fornitissimo archivio e al lavoro delle settimane precedenti, sono riuscita a non lasciare nessuno a bocca asciutta… se mai a bocca aperta! Vero?!

Un antipasto tropicale

Adoro i Paesi tropicali.
Mi piacciono l’atmosfera, il ritmo lento della gente, il colore del cielo, gli odori nell’aria, il profumo dei fiori e del cibo. Il cibo ai Tropici ha un gusto dolce, forte e speziato che gioca sui contrasti.
In Polinesia, alle Hawaii, sul Mar dei Caraibi, sul Golfo del Messico ho assaggiato piatti esotici straordinari.
Ogni cucina ha le sue caratteristiche e gli ingredienti spesso variano molto, ma quello che hanno in comune è che ti rapiscono!
Una volta a casa, a volte basta veramente un’idea appena un po’ originale unita al ricordo di un piatto gustato in uno di quei luoghi per creare un antipasto esotico e goloso, che non si dimentica con facilità.
Per la ricetta di oggi c’è bisogno di pochissimi ingredienti e di un pizzico di audacia.

20140419-011359.jpgPer ogni commensale bastano 4 grosse code di gambero sgusciate che si fanno brevemente saltare in padella con una lacrima di olio e una spruzzata di succo di lime, si sfumano con un sorso di Cognac e si insaporiscono con pochissimo sale, una macinata di pepe e un pizzico di paprica affumicata.
Serve anche una fetta di ananas fresco privata del torsolo arrostita sulla piastra e condita con una leggera grattugiata di zenzero, qualche goccia di aceto balsamico, un pizzico di sale e uno di zucchero grezzo di canna.
Ora basta assemblare i piatti appoggiando su ognuno la fetta di ananas tagliata in quattro e sistemare sopra con garbo i quattro gamberi irrorati col loro sugo di cottura.

Anziché lo zenzero, si può grattugiare sull’ananas la buccia di un lime.
Mi pare che su un piatto così non ci sia proprio altro da aggiungere.

Coq au vin

Appena tornati dal viaggio di nozze a Parigi, la prima volta che abbiamo invitato a pranzo i miei genitori, per fare sfoggio delle recenti esperienze gastronomiche, ho preparato il pollo al vino: molto francese, molto complicato per la poca dimestichezza che fino a quel momento avevo maturato in ambito culinario e… molto cotto, visto che l’avevo cucinato in pentola a pressione.
Fortunatamente da allora la loro unica, eclettica figlia di strada ne ha fatta un bel po’ e adesso sono in grado di portare in tavola un Coq au vin impeccabile, merito forse anche delle successive ripetute sortite in terra di Francia, dove abbiamo affinato i nostri gusti, e dell’aver nel frattempo appreso molto di tecnica e arte culinaria.
Le volute di vapore che salgono dai miei tegami e dalle casseruole forse sono le immagini sfocate di Francois Vatel, Brillat-Savarin, Paul Bocuse e Auguste Escoffier, che hanno smesso di guardarmi in cagnesco, ma mi sorridono ormai benevoli.

20140508-014338.jpgSi fanno rosolare in una casseruola 150 gr di pancetta a dadini con 20 gr di burro, si aggiungono 200 gr di cipolline sbucciate e 200 gr di funghetti coltivati affettati.
Con 2 cucchiai di olio si fa dorare in tegame 1 pollo bello grosso tagliato in 8 pezzi.
Si sfuma con 1 bicchierino di Cognac e poi si uniscono le cipolline e i funghi col loro sugo.
Si versa 1/2 litro di vino rosso corposo (scegliete pure quello della vostra zona) e si aggiungono 1 foglia di alloro e un trito di salvia, aglio, timo e rosmarino.
Si aggiusta di sale e di pepe e a tegame coperto si lascia cuocere circa 3/4 d’ora.
Nel frattempo si amalgamano 30 gr di burro con 1 cucchiaio di maizena (o di fecola) e si aggiungono mescolando al fondo di cottura lasciando sobbollire piano per altri 10-15 minuti.
Normalmente si serve in pirofila perché può essere preparato in anticipo e riscaldato in forno.

Questa è la versione moderna e velocizzata di un classico della Cucina d’Oltralpe che pare fosse stato servito anche a Giulio Cesare durante la sua conquista della Gallia.
Naturalmente sono in grado di preparare anche la versione più tradizionale, previa marinatura del pollo, ma questo è un metodo più contemporaneo, che sono certa apprezzerete maggiormente.

Insolito e spettacolare: l’aspic di filetto

Se Pasqua fosse quest’anno all’insegna del tempo bello e delle temperature tiepide che ci aspettiamo (ci auguriamo e ci meritiamo) si potrà servire come secondo un piatto freddo.
E se non si volesse risolvere con il vitello tonnato, per esempio, si potrebbe prendere in considerazione questo Aspic di filetto, la cui preparazione è complessa e abbastanza complicata, ma si può realizzare con un certo anticipo e a fasi successive, senza sfiancarsi quindi in un’unica giornata e con un risultato incredibile.
È un piatto fatto per stupire e per farsi ricordare.

20140307-144814.jpg
Per prima cosa, due giorni prima di quando si intende servire l’aspic, si prepara una versione semplice del paté facendo scottare 200 gr di fegato di maiale a pezzettini con 30 gr di burro e qualche foglia di salvia.
Si aggiusta di sale e si frulla con 100 gr di lardo a cubetti, 200 gr di polpa di maiale macinata, 1 spicchio d’aglio, 1 bicchierino di Recioto Bianco di Soave (o di Sauternes o di Vin Santo), 2 cucchiai di Cognac, 1 tartufo grattugiato (oppure 1 cucchiaino di pasta di tartufo), sale e pepe.
Ottenuto un impasto omogeneo, lo si compatta in una terrina e si inforna a 180 gradi per circa 1 ora e mezza.
Una volta raffreddato si ripone in frigorifero.
Il secondo passaggio è la cottura del filetto.
Si prepara una miscela riducendo a crema uno spicchio d’aglio e aggiungendo 1/2 cucchiaino di zenzero in polvere, sale e una macinata di pepe.
Si unge d’olio tutta la superficie di un filetto intero di vitello (o di maiale) di circa 8-900 gr e si sfrega con la miscela facendola aderire bene.
Si inforna a 200 gradi per circa 40 minuti e una volta cotto si fa raffreddare e si conserva in frigorifero.
Un giorno prima di servirlo, si assembla l’aspic.
Si scaldano 750 ml di brodo leggero e si sciolgono 12 fogli di gelatina ammollati in acqua fredda, si aggiunge 1 altro bicchierino di vino Recioto bianco e si lascia intiepidire appena.
Se ne versa 1 cm sul fondo di uno stampo che possa contenere comodamente il filetto e si mette a rassodare in frigorifero per una mezz’oretta. Sopra si spalma con attenzione circa 1/3 di paté.
Al centro si appoggia il filetto e si riveste con il resto del paté distribuendolo sopra e sui lati.
Occorre lasciare 1-2 cm di spazio dai bordi delle stampo. Questo spazio andrà riempito con il resto della gelatina che coprirà interamente anche tutto il paté.
La preparazione è completata. Basta coprire lo stampo con la pellicola e metterlo in frigorifero fino al giorno successivo.
Al momento di servire, è sufficiente immergere lo stampo per un attimo in acqua calda e poi capovolgerlo sul piatto da portata.

Qualcuno forse potrà farsi intimorire da questo piatto indubbiamente complesso e con molti passaggi, ma ricordate che è un piatto freddo, quindi si può preparare in anticipo e a fasi successive.
Io devo dire invece che questo tipo di preparazioni così articolate mi spingono a provare e costituiscono una grande soddisfazione, ma io ho molto tempo, una grande passione e in fondo anche una certa abilità maturata negli anni.
Ma se questo piatto vi incuriosisce e vi stimola la fantasia, seguite tutti i miei passaggi e i vostri sforzi saranno ripagati da un risultato formidabile.
E volendo c’è tutto il tempo per prepararlo per Pasqua: mancano ancora tre giorni!

Le crostate di frutta di Evelina e Guendalina

20140322-222517.jpgDall’appassionata storia d’amore nata tra la bellissima Angelica e il romantico Rodolfo, sfociata in un matrimonio da favola di cui tutti ancora parlavano, erano nate due splendide bambine: Evelina e Guendalina.

20140322-222642.jpgLe piccole crescevano felici, in perfetta armonia con i genitori che ad ogni compleanno le festeggiavano facendo preparare lo stesso dolce che era stato servito durante il loro ricevimento di nozze.
Si trattava di una crostata alle fragole, che da quando erano nate le gemelle veniva preparata in due piccole teglie a forma di cuore, ognuna per una delle bimbe.
Si trattava di due gusci di pasta sfoglia coperti di crema pasticcera e poi riempiti di fragole fresche affettate e spennellate di gelatina al limone.

20140322-223223.jpgGli anni passarono, le bimbe divennero deliziose adolescenti e poi giovani donne che fecero battere il cuore a molti giovanotti.
Evelina accettò la corte del Conte Andrey, che viveva a San Pietroburgo, lo sposò e si trasferì con lui in Russia dove visse felice in una grande dimora, teneramente amata dal giovane Conte, che la accompagnava spesso a fare lunghe, divertenti escursioni in slitta nei dintorni del palazzo.

20140322-224101.jpgQuasi nello stesso periodo Guendalina si fidanzò invece con il giovane Marchese Jean Baptiste e dopo uno sfarzoso matrimonio si trasferì nel suo castello di famiglia alle porte di Parigi.
Con lui, che galantemente la riempiva di attenzioni e le regalava spesso dei fiori, faceva lunghe passeggiate al Bois de Boulogne, dove arrivavano in carrozza.

20140322-225321.jpgEntrambe le giovani avevano mantenuto l’abitudine di festeggiare il loro compleanno con una crostata alla frutta, anche se non erano più i dolci con le fragole di quando, bambine, vivevano con i genitori.
Andrey faceva infatti preparare per Evelina una crostata con le more.
Lo chef Igor impastava una pastafrolla con 200 gr di farina, 100 gr di zucchero, 100 di burro, 3 tuorli d’uovo e un pizzico di sale, la infornava dopo aver bucherellato il fondo e una volta cotta, la lasciava raffreddare.
Copriva tutta la superficie con della confettura di amarene e sopra accomodava uno strato di more freschissime nate nella serra del Conte e le spennellava di gelatina alla Crème de Cassis che la Contessina Evelina riceveva dalla sorella direttamente da Parigi.

20140322-233444.jpgPer Guendalina invece Jean Baptiste ordinava al suo pasticciere una crostata guarnita di delizioso ribes.
Lo chef Antoine preparava una base di pastafrolla casualmente con le stesse dosi e modalità del collega Russo e, una volta cotta, la spalmava di mascarpone montato con zucchero e Cognac, poi pazientemente la copriva di chicchi di ribes rosso ben accostati e spennellati di gelatina al miele.

20140322-235227.jpgCome a suo tempo gli adorati genitori, gli adoranti consorti avevano entrambi disposto che il dolce per il compleanno delle loro deliziose metà avesse la forma di un cuore, come segno del loro affetto infinito.

La torta a sorpresa di Odette

Oggi sto per raccontarvi una fiaba e vi darò anche una ricetta che con la fiaba ha molto a che vedere.

La bella e capricciosa contessina Odette era da tempo assiduamente corteggiata da tre nobiluomini ricchi e attraenti e tutti e tre, follemente invaghiti di lei, l’avevano chiesta in sposa.
Ognuno aveva almeno una dote che li rendeva affascinanti agli occhi della giovane Odette, che non era in grado quindi di operare una scelta definitiva e concedere la sua mano ad uno solo dei tre.

20140317-205151.jpgIl premuroso Visconte Ludovico l’ascoltava con dedizione infinita quando lei lo intratteneva suonando il liuto e le suggeriva con amore le strofe delle più dolci ballate romantiche.

20140317-205618.jpgL’appassionato Barone Manfredi, agile ballerino, le insegnava pazientemente a danzare il Rigodon perché durante le feste che si tenevano nei Palazzi signorili fosse la più brava e la più ammirata.

20140317-210449.jpgIl sofisticato Marchese Nicodemo la educava a riconoscere i vini più pregiati e le parlava di poesia durante i pomeriggi in cui non era impegnata con la danza e la musica e le offriva tazze di cioccolata calda, vero status Symbol dell’epoca.
Le attenzioni dei tre uomini erano così assidue e gradite a Odette che la giovane non riusciva a sciogliere gli indugi. Decise quindi di lasciar fare al caso e fece preparare un dolce all’interno del quale ordinò di introdurre un suo anello.
Il nobiluomo che l’avesse trovato nella fetta a lui destinata, sarebbe stato il prescelto.
La torta che il Mastro Pasticcere scelse per questo scopo era costituita da un morbido ripieno trattenuto da 2 dischi di pasta sfoglia.
Fece quindi montare al suo primo aiutante 100 gr di burro con 150 gr di zucchero, poi personalmente aggiunse 2 tuorli, uno alla volta, i semi di 1 baccello di vaniglia, 1 bicchierino di Cognac, 1 pizzico di sale, la buccia grattugiata di 1 limone e 150 gr di mandorle pelate, tritate così finemente nel mortaio dal secondo aiutante da sembrare farina.
Ordinò che venissero montati a neve fermissima i 2 albumi e li incorporò con attenzione dal basso verso l’alto.
Foderò con 1 disco di pasta sfoglia, che aveva già pronto, una teglia tonda, versò il composto preparato e lasciò cadere al suo interno l’anello che gli aveva consegnato la Contessina.
Coprì con un secondo disco di sfoglia che rigò con un coltello a striscioline perché uscisse il vapore, sigillò accuratamente i bordi e spennellò tutta la superficie con una tazzina di latte.
Fece infornare il dolce con una lunga pala ad una temperatura che ai nostri giorni si aggirerebbe sui 200 gradi per 30 minuti.
Trascorso questo tempo, quando la torta ebbe preso un bel colore dorato, la fece togliere dal forno e appena si fu intiepidita la sformò e la fece portare nel salotto dove Odette attendeva intrattenendo i suoi tre spasimanti, tra i quali divise la torta.
La storia non narra chi fu a trovare l’anello, ma colui che assolutamente all’oscuro del piano della sua amata, addentò il boccone contenente il gioiello, si scheggiò irreparabilmente due denti e non volle più saperne di lei.
Offesi da questo sotterfugio anche gli altri due innamorati l’abbandonarono.
Non ci è dato di sapere cosa ne fu di lei.
Se la torta di Odette fosse fatta ai giorni nostri, avrebbe più o meno questo aspetto:

20140318-102713.jpg

Un irresistibile panino con l’aragosta: il Lobster roll

Perfino all’estero ci sono alcuni ristoranti che consideriamo i nostri preferiti, locali che non frequentiamo assiduamente come altri, per motivi facilmente intuibili, ma che meritatamente resistono da anni nel nostro carnet di viaggiatori gourmand.
Mi riferisco per esempio a Le Bofinger di Parigi, zona Bastiglia, di gran lunga la nostra brasserie prediletta. Ci andiamo sempre almeno una volta durante i nostri soggiorni a Parigi, prenotando il tavolo al piano terra dove si respira maggiormente l’atmosfera Belle Époque del locale.
A Santa Monica, in California, invece il nostro punto di riferimento gastronomico è sempre stato The Lobster, che si trova proprio dove termina la leggendaria Route 66 e ha una vetrata panoramica che domina il Pier, la spiaggia e il Pacifico.
Sono due realtà diametralmente opposte sia dal punto di vista storico che culinario, ma offrono entrambe soddisfazioni inenarrabili!
Oggi vi parlo di uno dei piatti vanto del ristorante Californiano, che si può ordinare solo a pranzo e non appare nel menù della cena.
Si tratta di un “semplice” panino all’aragosta, il Lobster Roll, che vale la pena di assaggiare perché è veramente incredibile e imparare a farlo perché non se ne potrà più fare a meno.
Da ricordare che in generale quelli che gli Americani chiamano aragoste sono in realtà astici.

20140305-013908.jpgSi fanno bollire per circa 20 minuti 2 astici surgelati di circa 500 gr l’uno (o 2 astici vivi, se ne avete il coraggio) in un court bouillon classico fatto di acqua, cipolla, carota, alloro, 1 bicchiere di vino bianco e qualche grano di pepe nero.
Nel frattempo si prepara una salsa con 200 gr di maionese, 2 cucchiai di panna fresca, il succo di 1/2 limone, 1 spruzzo di salsa Worcester, qualche goccia di Tabasco, 1 cucchiaio di Cognac, 1 pizzico di sale e di pepe.
Quando gli astici sono cotti si scolano, si lasciano intiepidire, poi si tagliano a metà nel senso della lunghezza e si rompono le chele. Si estrae la polpa e si taglia a pezzetti.
Si miscela con la salsa e si fa riposare in frigorifero perché i sapori si amalgamino.
Si farciscono dei panini al latte spalmati di burro salato e si aggiunge qualche stelo di erba cipollina tagliuzzato.

Io adoro questi panini, è inutile dirlo.
Il condimento è cremoso e molto ghiotto, la polpa dell’astice tenera e profumata, il pane morbido e adatto ad essere insaporito con il burro salato, l’insieme insomma è squisito e irresistibile, come si può dedurre anche solo leggendo la preparazione.
Secondo me è un piatto terribilmente sofisticato e talmente imprevedibile da poter essere servito, magari preceduto da un’insalata Caesar, come piatto unico anche per un pranzo non solo di famiglia. Ma io sono a volte poco convenzionale.
È un panino da mangiare con coltello e forchetta. Oppure si può offrire il composto in una bowl da cui servirsi a cucchiaiate e passare a parte il pane, ma così si snatura un po’.
Come dicevo, per questa ricetta preferisco utilizzare gli astici surgelati, che oltre tutto sono anche decisamente più economici e la loro preparazione è… assolutamente incruenta.

Al lardo! Al lardo!

Al lardo, al lardo?!
No, in effetti sarebbe: “Al ladro, al ladro!” ma dato che oggi voglio parlare di un controfiletto insaporito dallo squisito lardo d’Arnad e non temendo nessun furto, mi sono voluta divertire con un piccolo gioco di parole!
Al contrario sarò molto felice se anche questa ricetta verrà stampata, trascritta, salvata, “rubata” e riutilizzata!
Il controfiletto al lardo è un piatto succulento e saporito che ho mangiato in Valle d’Aosta, come la carbonada di filetto e l’arrosto di girello, robusti piatti montanari pieni di personalità e molto ghiotti.
Piatti adatti alla stagione, che in genere vengono accompagnati da una bella polenta morbida arricchita spesso di formaggio fontina a cubetti, una vera goduria.

20140205-120458.jpg
Si stecca un pezzo intero di controfiletto di manzo del peso di 8-900 gr con 2 spicchi d’aglio a filetti e 150 gr di lardo d’Arnad tagliato a bastoncini, praticando dei fori nella carne con un coltello dalla lama sottile.
Si dà qualche giro di spago da cucina perché resti in forma e si fa insaporire in tegame con 3 scalogni affettati sottili e 2 rametti di rosmarino.
Si sala appena, si aggiusta di pepe, si sfuma con 1 bicchiere di vino bianco, si aggiunge 1 mestolo di brodo e si procede nella cottura a fuoco dolce, con il coperchio, per una mezz’ora circa, rigirando la carne un paio di volte e irrorandola di tanto in tanto col suo sugo.
Una volta cotta, si toglie dal tegame e si tiene in caldo. Nel frattempo si filtra il sugo, si deglassa aggiungendo un bicchierino di Cognac, si fa evaporare e si cuoce ancora per qualche minuto a fuoco vivace.
Si affetta la carne e si serve coperta di sugo ben ristretto.

Con o senza polenta, varrebbe proprio la pena di farlo per gustare un piatto ghiotto e succulento che ci rallegri un po’ in questi giorni di tedioso febbraio umido e ventoso.