Pere al vino con gelato alla vaniglia

In genere utilizzo il microonde quasi esclusivamente per scongelare o per riscaldare i cibi già cucinati.
Una delle pochissime ricette a microonde che faccio spesso sono le pere al vino: un dessert semplicissimo e molto ghiotto che, accompagnato da qualche cucchiaiata di gelato alla vaniglia, diventa anche raffinato.

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La realizzazione di questa ricetta consiste nel preparare in pratica un vin brûlée con una bottiglia di ottimo vino rosso, 100 gr di zucchero, 2 chiodi di garofano, 1 pezzetto di buccia di limone, 2 bacche di ginepro e 1/2 stecca di cannella che si fa sobbollire piano fino a ridurlo di 1/3.
Si sbucciano 6 pere kaiser e si accomodano ben vicine in una ciotola di porcellana o in una pirofila che le contenga di misura.
Si coprono completamente con la riduzione di vin brûlé e si fanno cuocere nel microonde alla massima temperatura per 10 minuti, si girano tutte aiutandosi con due cucchiai e si prosegue la cottura per altri 10.
A questo punto le pere dovrebbero risultare tutte uniformemente colorate di rosso, abbastanza morbide da poterci infilare uno stuzzicadenti, ma ancora piuttosto sode.
Si lasciano intiepidire, si accomodano sui piatti individuali, si tagliano a ventaglio, si aggiunge una cucchiaiata di gelato alla vaniglia, si spolverizza di cannella in polvere e si completa col sugo dolce e aromatico raccolto dal fondo della ciotola in cui sono state cotte le pere.

Vi dirò di più: oltre che gustose e piuttosto belle, sono anche un eccellente digestivo grazie alle spezie che aromatizzano il sugo.

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La Carbonada di filetto

Quando avevo il negozio, cioè fino al 2000, ero concessionaria anche di alcuni prestigiosi marchi di orologi, quindi una volta l’anno andavamo all’esposizione delle eccellenze Svizzere in fatto di orologeria che si tiene in aprile a Ginevra, per visionare le novità e fare un programma di acquisti.
Per raggiungere Ginevra si attraversa la Valle d’Aosta, si imbocca il Traforo del monte Bianco e dopo un breve tratto in territorio Francese si entra in Svizzera.
Mi pare fino al 1994 non era ancora stato completato il raccordo autostradale e si doveva quindi necessariamente attraversare la città di “Augusta Pretoria”.
Quindi ci fermavamo a pranzo nel centro storico di questa colonia militare fondata dai Romani nel 25 a.C. e ancora oggi considerata la “Roma delle Alpi”, per i numerosi monumenti augustei tuttora presenti.
Per qualche anno dunque per raggiungere il prestigioso Salon International de la Haute Horlogerie ci siamo fermati ad assaggiare le specialità di una eccellente cucina semplice e rustica, spesso a base di polenta, tipica della Valle d’Aosta.
Uno dei miei piatti preferiti era la Carbonada di filetto.

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Non è difficile replicare la ricetta e il risultato è eccellente, il sapore robusto, il profumo stuzzicante.
Ogni tanto la preparo, in ricordo dei vecchi tempi!

Trito 1 carota e 1 gambo di sedano, taglio a grossi pezzi 2 scalogni e li faccio bollire piano con qualche grano di pepe, 1 pizzico di sale, 2 bacche di ginepro e 2 chiodi di garofano in 1/2 litro di vino rosso fino ad ottenere una salsa piuttosto densa e profumata.
Trito grossolanamente anche 1 cipolla e la faccio stufare a fuoco molto dolce con due cucchiai di olio e un pizzico di sale. La aggiungo alla salsa al vino.
Faccio saltare in padella 4 filetti di manzo con circa 30 gr di burro insieme a 1 rametto di rosmarino e 1 spicchio d’aglio, li salo e li pepo abbondantemente. Raggiunto il grado di cottura preferito, elimino gli odori e verso nella padella la salsa al vino.
Scaldo tutto rapidamente e appoggio ciascun filetto su un piatto, coprendolo con la salsa.

Ad Aosta questo piatto l’ho mangiato servito su un disco di polenta abbrustolita: una presentazione molto elegante e un sapore molto intenso.

Il mio pollo alla Marengo

Nella storia della mia famiglia ad un certo punto è entrato in qualche modo Napoleone Bonaparte.
Magari un giorno o l’altro vi racconto la storia della prozia Nina, andata in sposa al proprietario della tenuta divenuta Quartier Generale di Napoleone all’epoca della vittoriosa Battaglia di Rivoli Veronese, ma per oggi mi limito a parlarvi di una ricetta storica che ho rivisitato e leggermente modernizzato.
Del Pollo alla Marengo tradizionale si narra che la sua ricetta risalga a questo periodo e più precisamente alla vittoria delle truppe Napoleoniche sugli Austriaci nella battaglia combattuta il 14 giugno 1800 a Marengo, in provincia di Alessandria.
Napoleone non mangiava mai prima delle battaglie, ma dopo una vittoria pretendeva un pasto abbondante e gustoso.
Dunan, il suo chef personale, in questa circostanza a corto di provviste in quanto i carri che trasportavano le vettovaglie erano andati perduti, dovette improvvisare un piatto assai stravagante con gli ingredienti che era riuscito a procurarsi nelle fattorie e nei corsi d’acqua dei dintorni.
Pare che, nonostante le premesse, a Napoleone piacesse moltissimo.
Vediamo se la mia versione semplificata piace anche a voi.

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Si fa dorare in un tegame con poco olio un bel pollo tagliato in 8 pezzi leggermente infarinati.
Si insaporisce con sale e pepe, si sfuma con 1/2 bicchiere di vino rosso e si uniscono 2 spicchi d’aglio schiacciati e 1 scatola di pelati sgocciolati e tagliati a piccoli pezzi.
Si copre il tegame e si lascia sobbollire a fuoco dolce per una quarantina di minuti.
Intanto si liberano dalla terra i gambi di 4 funghi porcini, si affettano e si fanno saltare in padella con olio, sale, pepe e le foglie di 2 rametti di timo, poi si aggiungono nel tegame del pollo.
Si fanno rosolare 300 gr di gamberi (l’ideale sarebbero quelli di fiume) con 1 cucchiaio d’olio, si salano, si pepano, si sgocciolano e si uniscono anche questi al pollo.
Si spruzza con il succo di 1/2 limone e si serve dopo averlo fatto riposare qualche minuto.
Il vero pollo alla Marengo di Napoleoniche tradizioni prevede anche l’aggiunta di un uovo all’occhio di bue a testa appoggiato su un crostone fritto nel burro e questo è molto francese, n’est pas?
Volendo, si può evitare perché il piatto è già sufficientemente ricco così, anche se in questo modo non si rispetta in pieno la ricetta originale.

Ricordo di avervi già proposto l’anno scorso, di ritorno dalla Sardegna, l’abbinamento pollo e gamberi, ma quella era tutta un’altra storia e tutta un’altra ricetta.

Coq au vin

Appena tornati dal viaggio di nozze a Parigi, la prima volta che abbiamo invitato a pranzo i miei genitori, per fare sfoggio delle recenti esperienze gastronomiche, ho preparato il pollo al vino: molto francese, molto complicato per la poca dimestichezza che fino a quel momento avevo maturato in ambito culinario e… molto cotto, visto che l’avevo cucinato in pentola a pressione.
Fortunatamente da allora la loro unica, eclettica figlia di strada ne ha fatta un bel po’ e adesso sono in grado di portare in tavola un Coq au vin impeccabile, merito forse anche delle successive ripetute sortite in terra di Francia, dove abbiamo affinato i nostri gusti, e dell’aver nel frattempo appreso molto di tecnica e arte culinaria.
Le volute di vapore che salgono dai miei tegami e dalle casseruole forse sono le immagini sfocate di Francois Vatel, Brillat-Savarin, Paul Bocuse e Auguste Escoffier, che hanno smesso di guardarmi in cagnesco, ma mi sorridono ormai benevoli.

20140508-014338.jpgSi fanno rosolare in una casseruola 150 gr di pancetta a dadini con 20 gr di burro, si aggiungono 200 gr di cipolline sbucciate e 200 gr di funghetti coltivati affettati.
Con 2 cucchiai di olio si fa dorare in tegame 1 pollo bello grosso tagliato in 8 pezzi.
Si sfuma con 1 bicchierino di Cognac e poi si uniscono le cipolline e i funghi col loro sugo.
Si versa 1/2 litro di vino rosso corposo (scegliete pure quello della vostra zona) e si aggiungono 1 foglia di alloro e un trito di salvia, aglio, timo e rosmarino.
Si aggiusta di sale e di pepe e a tegame coperto si lascia cuocere circa 3/4 d’ora.
Nel frattempo si amalgamano 30 gr di burro con 1 cucchiaio di maizena (o di fecola) e si aggiungono mescolando al fondo di cottura lasciando sobbollire piano per altri 10-15 minuti.
Normalmente si serve in pirofila perché può essere preparato in anticipo e riscaldato in forno.

Questa è la versione moderna e velocizzata di un classico della Cucina d’Oltralpe che pare fosse stato servito anche a Giulio Cesare durante la sua conquista della Gallia.
Naturalmente sono in grado di preparare anche la versione più tradizionale, previa marinatura del pollo, ma questo è un metodo più contemporaneo, che sono certa apprezzerete maggiormente.

Il mio gulasch

Prima che questo strano inverno finisca, mi sono detta, bisogna fare almeno una volta il Gulasch.
E ho rispolverato la ricetta di questo spezzatino di manzo, profumato e speziato che ha una storia antica alle spalle.
Il gulasch è un piatto d’origine magiara che nasce come zuppa: il pasto nomade dei mandriani Ungheresi che in epoca Medievale spostavano il bestiame dalla Puzta ai ricchi mercati Europei.
L’attuale gulasch dunque trae le sue origini dalla carne essiccata cotta con le cipolle che una volta in viaggio i mandriani facevano rinvenire in un brodo di verdure.
Nel tempo la borghesia ha fatto proprio questo piatto povero che durante la dominazione Austriaca si è poi diffuso in tutto l’Impero Austro-Ungarico divenendo una specialità anche nell’Arco Alpino Orientale.
A Verona è poco conosciuto e ancor meno apprezzato, ma secondo me è un piatto eccellente, che ricorda il sapore intenso dei grandi brasati mentre si presenta come uno spezzatino.

20140309-010743.jpgSi fanno appassire in 4 cucchiai di olio 1/2 chilo di cipolle bianche affettate non troppo sottili.
Si aggiungono 800 g di muscolo di manzo tagliato a cubi di circa 3 cm di lato, infarinati e leggermente salati.
Quando la carne è rosolata, si sfuma con un bicchiere abbondante di vino rosso.
Si unisce 1 mestolo di brodo in cui si è fatto sciogliere 1 cucchiaio di paprika dolce e 1 cucchiaino di paprika piccante.
Si rigira la carne e si aggiungono 1 rametto di maggiorana e 1 di rosmarino, 1 cucchiaino di semi di cumino, 1 foglia di alloro e 1 cucchiaio di concentrato di pomodoro.
Si versano ancora circa 250 ml di brodo e si cuoce a tegame coperto per circa due ore.
Si aggiusta di sale e di pepe e si fa addensare il sugo.
Il gulasch si serve con una polenta morbida, con i canederli o con le patate bollite.

Il gulasch più buono l’ho mangiato a Praga, con gli gnocchi di pane, ma lo conoscevo già per averlo ordinato sulle Dolomiti durante le molte settimane bianche di tanti anni fa.
Alla fine ho imparato a cucinarlo riunendo un po’ le caratteristiche lievemente differenti delle due preparazioni.
Il sapore è intenso ma non troppo piccante e il piatto è senz’altro saporito e profumato, ancora adatto, secondo me, a quello che è rimasto dell’inverno.

Pollo in umido (Polastro in tecia)

Se non è questa la stagione degli umidi!
Caldi e corposi piatti ricchi di sapori complessi e aromi fusi in un’unica armonia.
Sì, adoro il cibo e mi piace cucinarlo pretendendo il massimo dagli ingredienti e dalla stagione.
Infatti associo sempre all’inverno le carni in umido, come lo spezzatino di vitello, il gulasch di manzo, i sontuosi brasati profumati di vino e spezie e anche il semplice, casalingo e squisito pollo in tegame, che nella tradizione Veneta altro non è che il “Polastro in tecia”.
Nelle nostre campagne il pollo, l’anatra, il coniglio, dalla notte dei tempi l’hanno sempre fatta da padroni sulle tavole della famiglie nelle zone rurali, molto più del manzo o del vitello.
Il pollo ha continuato il suo cammino verso la gloria culinaria anche in un’epoca più vicina a noi, interprete principale di molte ricette innovative e gustose.
Questo semplice spezzatino di pollo è sempre lo stesso, invece, che viene dal ricettario (orale) di casa di mia nonna e non delude mai.

20140128-002604.jpgSi mettono in una casseruola 2 carote, 1 cipolla e 2 coste di sedano tritati non troppo fini e si fanno soffriggere a fuoco basso con 2-3 cucchiai di olio.
Si aggiunge 1 pollo tagliato a pezzi e si fa rosolare a fuoco vivace, si sala, si insaporisce con una macinata di pepe, si spruzza con 1/2 bicchiere di vino rosso e si fa sfumare.
Si uniscono 1 foglia di alloro, 1 di salvia e 1 rametto di rosmarino avvolti insieme e legati per facilitare alla fine la loro eliminazione e 1 spicchio d’aglio schiacciato.
Si bagna con 1 mestolino di brodo, si copre e si cuoce per circa 20 minuti rigirando i pezzi di pollo un paio di volte.
Quando sono cotti e i grassi sono diventati trasparenti, si estraggono dal tegame, si liberano della pelle, si disossano, si “sfilacciano” con i rebbi di una forchetta e si rimettono a scaldare per qualche minuto.
Si eliminano gli odori e si versa a cucchiaiate questo pollo squisito su una bella polenta morbida.

Una ricetta semplice, molto gustosa, un po’ antiquata d’accordo, ma con il vantaggio di poter essere preparata in tempi relativamente brevi pur avendo il sapore e la consistenza dei grandi piatti in umido dalle lunghe cotture.
Se non lo sfilacciate e aggiungete della polpa di pomodoro… ecco il pollo alla cacciatora!
E ci potete aggiungere anche dei funghi.
Oggi praticamente due ricette al prezzo di una!

Le promesse vanno mantenute

Avevo promesso che mi sarei fatta perdonare l’insalata di frutta e pesce spada che avevo preparato ieri a pranzo, quindi oggi: pasta col ragù.
Non le penne, come avevo anticipato, ma i vermicelli.
Fa lo stesso però, perché indipendentemente dalla pasta scelta, il ragù di carne, quello tradizionale, profumato e fragrante, il ragù della nonna insomma, schietto e familiare è squisito… e la nonna adesso sono io!

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A casa nostra (fin dai tempi non di mia nonna, ma addirittura della bisnonna Libera*) il ragù di carne si fa rigorosamente in un solo modo, il seguente.

In una capace casseruola dal fondo pesante si mettono a freddo 1 chilo di carni miste (manzo, vitello, maiale) macinate, 1 scatola di pelati tagliati a pezzi, 1 carota, 1 cipolla e 1 gambo di sedano tritati, gli aghi di 1 rametto di rosmarino tagliati sottili con la forbice, 1 foglia di alloro, 1 chiodo di garofano, 100 gr di burro, 1 cucchiaino di sale grosso.
Si porta a bollore, si abbassa la fiamma e si copre a metà con il coperchio, rimestando di tanto in tanto.
Dopo la prima ora si aggiunge 1/2 bicchiere di buon vino rosso e si riprende la cottura, cottura che dura circa 3 ore, a fuoco basso, facendo sobbollire il ragù piano piano, ma regolarmente.

Come diceva mia nonna (ve l’ho già svelato in un’altra occasione) il ragù è pronto quando rimestandolo lo si sente sfrigolare dolcemente attorno alle pareti della casseruola e i grassi sono diventati trasparenti.

*La mia bisnonna materna si chiamava Libera, perché era nata nel 1861, anno in cui fu eletto il Primo Re d’Italia e il nostro Paese fu liberato dal giogo Austriaco.
Era lei la moglie del mugnaio. Ma anche questa è un’altra storia…