LA CUCINA FRANCESE  – Scalopes a la créme, coq au vin, soupe aux champignons,tarte tatin

Tratto da “La Cucina Francese e la Cugina Francese ” di Silva Avanzi Rigobello

Capitolo 3-  Viva il vino spumeggiante. ( Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni )

Lasciata Parigi, prima di proseguire verso la Valle della Loira, seconda importante meta della nostra Luna di miele, verdissima e incantata Regione di castelli , stagni e foreste, ci siamo fermati a visitare Versailles.

La visita della reggia di Versailles deve averci in qualche modo impressionato a livello subliminale, perché a distanza di una trentina d’anni abbiamo cominciato ad apprezzare  i mobili e gli arredi un po’ frou-frou cari a due o tre Luigi e a prenderli inpunemente ad esempio nel decorare casa nostra.Dopo essere partiti dai mobili lucidi bianchi e laccati, passando attraverso acciaio e vetro fume’ , seguiti dal rigore dei mobili svedesi in betulla , fino al classico Ottocento incupito da qualche importante pezzo del Seicento, siamo infine approdati al lezioso Settecento, con le sue dorature, i riccioli e le volute e all’eclettico e sfarzoso Napoleone III.

Comunque, sarà che l’esperienza parigina ci aveva fortificati, sarà che l’aver assistito agli spettacoli del Moulin Rouge e del Crazy Horse bevendo ogni volte mezze bottiglie di Champagne ci aveva resi audaci, o più semplicemente sarà che avevamo finito con l’assorbire incoscientemente odori ed aromi delle specialità francesi , fatto sta che in un ristorante del piazzale antistante i cancelli dorati di Versailles, che poteva essere la Locanda del Buon Mugnaio descritta da Alexandre Dumas  (Padre) , abbiamo osato ordinare ” Scalopes à la créme”.

E perfino  due calici di Bordeaux.

É stata un’esperienza che ci ha sdoganato dal timore di nutrirci  con qualcosa che oltre a non essere in grado di pronunciare , non sapevamo nemmeno riconoscere .

É successo tutto d’un botto, come quando da piccolo non sai  leggere l’ora sul quadrante dell’orologio che ti hanno regalato per la Prima Comunione e poi improvvisamente il significato della posizione delle lancette non é più un mistero.

Il mio francese era all’inizio timido e arrugginito, ma le lingue straniere sono come le biciclette: più fai esercizio, più corri veloce. La citazione non deve essere proprio esatta, ma credo che il concetto che ho espresso  non si presti ad interpretazioni  distorte.

A mano a mano che la permanenza sul suolo gallico si protraeva, riuscivo a capire quasi tutto e ad elaborare ed esternare concetti sostanzialmente ricchi di significato.

Insomma, oltre a chiedere correttamente indicazioni per andare alla toilette , a Parigi avevo un dialogo non impegnativo con il giornalaio, con l’addetto alla lavanderia all’angolo (di certo anche lui imparentato con i titolari del nostro albergo di Neuilly ) e con camerieri ai quali avevo avuto il coraggio di chiedere cosa diavolo fossero un “filet Richelieu o il Coq au vin” , capendo le risposte.

Alla fine abbiamo raggiunto  Blois , una deliziosa cittadina feudale che fu la culla della dinastia Capetingia (punto di partenza per visitare Tours e Orléans e soprattutto i castelli della Valle della Loira),  dove ci saremmo fermati mi pare quattro notti in un pittoresco alberghetto  , una costruzione del ‘500 , col tetto di ardesia blu e vista sulla Cattedrale di Saint Louis e sul primo ponte edificato sulla Loira intorno all’anno 1000, devastato dai bombardamenti del 1940 e poi ricostruito.

Non é che li volevo vedere proprio tutti  e 300 i castelli della zona , ma quello che mi ero immaginata  di queste storiche e imponenti magioni, era che si trovassero sulla riva del fiume.

Mi aspettavo insomma che fossero facilmente raggiungibili e che il tour dei Castelli della Loira fosse una specie di escursione come la mini crociera che avevo fatto l’anno precedente per ammirare le Ville Venete della Riviera del Brenta, a bordo del Burchiello. Invece i 300 suddetti castelli , costruiti tra il Medioevo e il XVII secolo, sono in parte situati nella Valle della Loira vera e propria e in parte lungo valli trasversali, spesso sulle rive di altri fiumi.

Comunque, ne abbiamo visitato sei, più quello di Blois. Vi do un’idea veloce delle loro caratteristiche , perché vale proprio la pena di andarci , anche se c’è da spostarsi un pochettino in auto per vederli.

Chambord é un indiscusso capolavoro di raffinato equilibrio tra l’austerità di una fortezza medievale e l’eleganza dell’architettura italiana del Rinascimento;

Azay-le-Rideau, costruito su un’isola al centro del fiume Indre, è a mio avviso il più romantico di tutti, tanto che potrebbe essere servito da modello ai vecchi cartoni animati di certe favole Disney;

Chenonceau, il più visitato dopo la Reggia di Versailles, noto come il Castello delle Dame, sorge direttamente sul suggestivo fiume Cher, che corre per un tratto sotto il salone da ballo ;

Amboise, dalle linee severe , in origine era una fortezza e fu la dimora di Luigi XI, Carlo III, Francesco I e Caterina de’ Medici. A suo interno, nella cappella Saint Hubert è sepolto Leonardo da Vinci;

Chaumont-aur-Loire, che sorge in posizione dominante su una collinetta  e richiede una passeggiata di almeno 15 minuti per essere raggiunto dal parcheggio, ospitò fra le sue mura anche Nostradamus, Benjamin Franklin e di nuovo Caterina de’ Medici , che essendo la regina poteva fare un po’ quello che le pareva , perfino sovvertire , come in realtà ha fatto, le regole francesi dello stare a tavola  e introdurre alcune ricette toscane di cui ora i francesi rivendicano la paternità;

Cheverny è il più spettacolare  e merita senz’altro una visita per l’eccezionale eleganza degli arredi, la ricchezza di dipinti alle pareti e la raffinatezza delle decorazioni.

Infine, il Castello Reale di Blois, che ospitò ben 7 Re e 10 Regine, è un fantastico esempio di architettura eclettica : medievale, gotica e rinascimentale, con alcuni accenni di stile classico . Quello che ricordo ancora è  la magnifica eleganza del maestoso scalone a spirale che domina il cortile e gli stupendi arredi e corredi delle cucine.

Magari per uno dei prossimi anniversari ci torniamo sulla Loira . Si potrebbe inserirla nell’itinerario di rientro dalla Bretagna. La trovo una buona idea , voi che cosa ne pensate? 

Non so però se avrò il coraggio di farmi fotografare di nuovo seduta sulla spalletta del ponte, per non essere costretta a fare brutali confronti con quelle foto in cui sono ritratta col vestitino azzurro sopra il ginocchio e quel l’aria di trepida aspettativa, di fiduciosa curiosità per tutte le cose che di lì in avanti mi avrebbe riservato la vita .

Sapete cosa adorerei? Riuscire a prenotare , come allora, la mezza pensione in quella locanda sulla Loira, se c’è ancora. Era senza grandi pretese, ma accogliente e suggestiva , con in più un ristorante è una cantina veramente notevoli.
Parlo liberamente della cantina perché finalmente i vini francesi ci avevano conquistato. Abbandonata la birra che in pratica ci aveva dissetato durante tutto il soggiorno a Parigi, accompagnavamo ormai con un vino d’eccellenza come il Sancerre bianco, i pasti veloci del mezzogiorno a base di andouillette , terrine maison ed eccezionali formaggi di capra, gli stessi che facevano dire a Rabelais che questa Regione era ” il luogo del ben vivere e del buon mangiare”.

La sera cenavamo in albergo con soupe aux champignons o à l’ognon , hachis parmentier , blancs de volaille Mireille , confit d’oie farci accompagnati da qualche bicchiere di Chinon e finivamo con generose porzioni di tarte Tatin servite con panna fresca e vino Muscadet. 
Probabilmente ci coricavamo un po’ brilli, ma credo che nessuno si aspetti che la caratteristica peculiare della luna di miele sia la sobrietà.

SCALOPES  À LA CRÉME

300 gr di fettine di vitello, 150 gr di spugnole, 30 gr di burro , 4 cucchiai di olio , 1 spicchio d’aglio, 125 ml di panna da cucina fresca, 1 bicchierino di Sherry , 1 spruzzo di Brandy ,sale e pepe bianco.
Faccio imbiondire l’aglio nell’olio, lo elimino, butto nella padella i funghi mondati e li faccio saltare . Regolo di sale e li tengo da parte.

Cuocio nel burro spumeggiante le fettine di vitello, le spruzzo con il brandy , sale e pepe.

Le tolgo dal tegame e le tengo al caldo , aggiungo al fondo di cottura lo Sherry e la panna e faccio restringere a fuoco vivace.

Rimetto i funghi nel tegame, li amalgamo alla panna , impiatto le Scalopes e le copro col sugo.

Queste scaloppine si chiamano anche  Escalopes Savoyarde e vengono bene perfino coi petti di pollo. Se non trovate le spugnole, come richiesto dalla ricetta originale , potete usare  gli champignon , ma sconsiglio i  porcini che tolgono importanza alla salsa. Lo Sherry , naturalmente, si può sostituire con un ottimo Marsala. Insomma potete rimescolare la ricetta a vostro piacimento e avrete comunque un piatto eccellente.

COQ AU VIN

1 pollo tagliato in 8 pezzi, 1 bottiglia di Borgogna, 50 gr di porcini secchi , 200 gr di cipolline, 1 cipolla, 2 spicchi d’aglio, 2 carote, 50 ml di brandy, 50 ml di brodo , 200 gr di lardo, 15 gr di farina, 200 gr di burro , 3 foglie di alloro , chiodi di garofano e pepe nero in grani, 2 cucchiaini di zucchero, olio, pepe e sale, timo e alloro
La sera precedente preparo la marinata. Metto in una grossa ciotola le carote a fette, la cipolla tagliata in quattro, l’aglio, l’alloro, i chiodi di garofano, i grani di pepe, il vino e anche i pezzi di pollo. Copro con la pellicola è conservo in frigo per almeno 12 ore.

Il giorno successivo metto a bagno in acqua tiepida i porcini secchi . Filtro il liquido della marinata , lo metto a bollire in un pentolino e lo riduco della metà. Trito la cipolla e il lardo e li faccio soffriggere con circa 40 gr di burro , strizzo i funghi , li tagliuzzo grossolanamente e li unisco al soffritto , aggiungo i pezzi di pollo sgocciolati , salo ,pepo e li lascio rosolare.

Sfumo con il brandy ,aggiungo la riduzione di vino e lascio cuocere a fuoco medio, coperto, per circa 1 ora.

Intanto verso in un piccolo tegame due cucchiai di olio, le cipolline, lo zucchero, il mestolino di brodo , sale e pepe e lascio cuocere fino a farle glassare .

Tolgo i pezzi di pollo dal tegame e li tengo al caldo, intanto frullo il fondo di cottura , rimestando incorporo a piccoli pezzi il restante burro , che ho miscelato alla farina e rimetto la salsa sul fuoco.

Quando si è addensata, aggiungo i pezzi di pollo e le cipolline , che ormai sono pronte e lascio il tegame sul fuoco ancora 5 minuti, mescolando una o due volte.

Questa versione del Coq ai vin é stata resa più semplice e quindi più moderna. L’originale prevede per prima cosa l’utilizzo di un gallo ruspante dalle carni sode e tenaci , inoltre come in molte altre preparazioni francesi, suggerisce una prima rosolatura del volatile , che poi va tolto dal tegame, nel quale si fanno successivamente cuocere gli altri ingredienti comprese le verdure della marinata, quindi un passaggio in forno, oltre a due cotture separate delle  cipolline e dei funghi champignon freschi. Scegliete voi: sono entrambe ottime.

Fate conto che una potrebbe essere la ricetta di Julia Child  e l’altra quella di Auguste Escoffier. Dovrebbe esisterne anche una terza, molto più antica , risalente ai tempi di Giulio Cesare ( forse durante la conquista della Gallia) che ne era un grande estimatore, ma ne ignoro le fasi di preparazione.

SOUPE AUX CHAMPIGNONS

1/2 chilo di funghi coltivati, 30gr di  funghi secchi , 1 litro di brodo di pollo, 60 gr di farina, 80 gr di burro, 2 scalogni,  2 pomodori pelati, prezzemolo tritato, sale e pepe.
Faccio ammollare i funghi secchi in acqua calda, quando si sono ammorbiditi li trito.

In una casseruola faccio soffriggere  gli scalogni affettati molto sottili in circa 25 gr di burro, aggiungo i funghi secchi e gli champignon a fettine, salo e pepo e li faccio cuocere a fuoco moderato per una mezz’oretta: l’acqua di vegetazione emessa deve evaporare completamente .

Nel frattempo faccio sciogliere il rimanente burro , aggiungo la farina e giro con un mestolo di legno per non fare grumi. Un po’ alla volta unisco il brodo e faccio cuocere per una decina di minuti.

Verso questo composto nel tegame dei funghi, aggiungo i pelati  sgocciolati e tagliati a filetti e proseguo la cottura a fuoco basso per altri  10 minuti .

Insaporisco con sale  e pepe e spolverizzo col prezzemolo tritato .

La porto in tavola caldissima in una zuppiera..

TARTE TATIN

200 gr farina, 100  più 80 gr di burro , circa 75 ml d’acqua gelata , 1 pizzico di sale , 1 chilo di mele golden,  200 gr di zucchero .
Preparo la pasta brisè tagliuzzando nella farina , col sale, 100 gr di burro molto freddo , impasto velocemente con la punta delle dita unendo l’acqua gelata poca per volta. Faccio  un panetto e lo metto in frigo.

Intanto preparo un caramello biondo con 150 gr di zucchero e 2 cucchiai d’acqua , lo verso in una tortiera ben imburrata e sistemo sopra le mele , sbucciate e tagliate a quarti, ben accostate.

Spolverizzo con i restanti 50 gr di zucchero e distribuisco il burro rimasto a fiocchetti . Stendo la pasta con il matterello, l’appoggio sulle mele e la rimbocco tutto intorno.

Inforno a 180 gradi per 30-35 minuti. Quando la pasta è bella dorata la sforno e la capovolgo su un piatto da portata.

In Francia non lo farebbero mai, però io ho provato ad unire allo zucchero che ho sparso sulle mele, un cucchiaino di cannella .

Ho poi servito la torta ancora calda con qualche cucchiaiata di panna montata con lo zucchero a velo. È questo invece in Francia lo fanno : la chiamano crema Chantilly, che da noi invece  è più complessa.

Pubblicità

A PRANZO IN AMERICA

Oggi vi voglio proporre una divertente guida scritta da Silva per ordinare nel migliore dei modi un pranzo in America. Chi affronta  per la prima volta l’esperienza la tenga ben presente , contiene pillole di saggezza.!!!

Tratto da

  

“In America abbiamo mangiato un po’ di tutto e un po’ dappertutto: sandwich Reuben a Central Park , uova alla Benedict al Rockefeller center, polpettone al Grand Canyon, tortellini al Fisherman Wharf, “All you can eat” a Las Vegas, insalata di granchio a Key West, pasticcio di aragosta a Cape Cod, costine di maiale a Orlando, filetto di Angus a Palm Springs , insalata di astice a Santa Monica e miliardi di altri piatti, ma non senza difficoltà.

Non ho mai assaggiato invece il pollo fritto che si mangia nei fast food KFC, di cui i discendenti del Colonnello Sanders tengono segreta la ricetta, però dalla signora Pina Petrella di Fort Lauderdale, americana di seconda generazione, con cui ho volato casualmente affiancata durante un viaggio in Florida, ho ereditato la ricetta del Pan Fried Chicken come lo cucina lei. Diverso dal pollo fritto di mio nonno Vittorio che pure era buonissimo.

Tornando a noi , avete mai provato ad ordinare un pasto negli Stati Uniti?

Gli Americani sono come i computer: seguono precisi schemi fissi e non sono in grado di uscire da nessuno standard prestabilito.

Lasciamo perdere i Fast Food , dove nutrirsi è una faccenda relativamente semplice. Infatti mentre sei in coda, studi i cartelloni e quando arriva il tuo turno sei pronta ad indicare le foto o a fare a voce la tua ordinazione, ma devi essere veloce e non avere ripensamenti altrimenti il personale comincerà a pressarti e chi ti segue nella fila a manifestare irritazione.

Gli Americani non sono un popolo paziente.

Il problema grosso é nei Family Restaurant con il servizio al tavolo ( che sono l’equivalente delle nostre trattorie ) più che nei Ristoranti eleganti, con le tovaglie sui tavoli insomma ( da cui stare alla larga se si ha un budget limitato, ma dove i camerieri sono più indulgenti).

Mangiare in America è come fare un ballo di gruppo: tutti i passi sono obbligati e la coreografia rigorosa.

Dunque funziona così. Entri nel Ristorante e aspetti, qualcuno ti viene a prendere sorridendo e fino a qualche anno fa ti chiedeva: “Fumatori o non Fumatori?” Mentre adesso ti chiede solo in quanti siete. Forse le famiglie Americane hanno l’abitudine di entrare scaglionate o non è richiesto che il personale sappia contare. Ottenuta la risposta, chi ti ha accolto raccoglie tanti menù quanti sono esattamente i membri del tuo gruppo e ti accompagna a un tavolo chiedendoti se ti va bene. Io rispondo sempre di sì, tanto poi lo cambiamo lo stesso.

Quando ti sei accomodato ti viene consegnato e appare la tua cameriera, quella che si occuperà del vostro tavolo per tutta la durata del pasto, presentandosi per nome ( ma non occorre fare altrettanto; se proprio volete mostrarvi cordiali basta un semplice “Hi” ) e riempiendoti per prima cosa un enorme bicchiere di acqua e ghiaccio.

Ora, sia in Florida, che in California o in Nevada le temperature esterne potrebbero far pensare che hai bisogno di rinfrescarti appena entri in un locale , ma se hai viaggiato in un’auto climatizzata fino al parcheggio, e nel locale ci vuole la felpa perché ci saranno 14 gradi, preferiresti magari una bevanda a temperatura ambiente, ma non c’è verso.

I pasti degli Americani sono quasi sempre accompagnati da una bibita gassata ( e il peggio è che quasi dappertutto c’è il free refill).

Qualunque scegliate, sia Coke, Pepsi, Hawaiian Punch, Dottor Pepper, 7Up, Mountain Dew, Sprite è così via, la vostra cameriera, quella che vi ha invitato a chiamarla per nome, ve la servirà gelata. Quindi, per evitare una congestione, il consiglio é di imparare subito a dire “NOAISPLIS” (no ice please ) e di farlo senza risparmiarvi.

Meno male che in alternativa ai pop drink a pranzo si può bere il caffè.

Può sembrare una scelta disgustosa, lo so, ma a me piace. In fondo, lo sapete, dai, che sono il tipo “Why not?” . E poi il caffè Americano non è cattivo come si potrebbe pensare ed é comunque senz’altro meglio dell’espresso con buccia di limone che ti propongono in alternativa. È lungo, leggero e ustionante d’accordo, ma non è niente male ( soprattutto sugar and cream), anzi finisce col diventare proprio un gusto acquisito.

In ogni caso potrete bere anche del té  freddo, ma difficilmente birra o vino, a meno che il Ristorante che avete scelto non sia licensed. 

Praticamente tutti i menù dei Family Restaurant sono ricchi di foto a colori dei piatti che vengono proposti, quindi potrebbe sembrare relativamente semplice scegliere e poi ordinare. Pia illusione! Adesso vi spiego invece cosa succede.

Ogni portata principale, costituita da pollo, manzo, tacchino o pesce (quasi mai vitello, che viene in pratica proposto unicamente nei ristoranti con la  tovaglia) generalmente prevede anche, compresa nel prezzo, una zuppa o un’insalata, che vi  verrà servita come antipasto , oltre a due contorni. Categorico.

È questo é il momento della verità: in America non si può fare semplicemente un’ordinazione, bisogna sottoporsi ad un estenuante interrogatorio, essere veloci nelle scelte e pronti con le risposte.

Quindi se alla domanda “Soup or salad?” rispondete  mettiamo soup, dovrete poi specificare se volete la Zuppa del giorno, la Zuppa di vongole, la Minestra di verdura o i Tagliolini in brodo. In Inglese.

Se vi era sembrato  più semplice cominciare con salad, sarete obbligati a rispondere correttamente alla domanda “Which dressing?”  in quanto non è previsto l’uso in tavola dell’oliera, ma vi verrà servita un’insalata mista “vestita”, con uno dei seguenti condimenti: Italian,Blue cheese, Caesar, French o Thousand Islands, a seconda della preferenza che avete espresso.

E abbiamo sistemato solo l’antipasto.

Anche scegliere una semplice bistecca può diventare una nervosa performance di abilità linguistica, perché mentre sarete già stressati dalla scelta di prima, inesorabilmente l’interrogatorio si andrà facendo sempre più serrato. Bisogna decidere il tipo di cottura preferito: al sangue (rear), media (medium) o ben cotta (well done). Senza riprendere fiato dovrete poi subito scegliere fra riso o patate. Rice sarà semplicemente del riso pilaf scondito, che ha la funzione del pane ( che quando c’è, in genere si paga a parte in quanto è considerato un contorno) mentre la scelta potato dà luogo ad un altro ventaglio di alternative : patatine fritte, purè o patata intera al forno condita con un’ulteriore opzione fra burro e panna acida (French Fries,mashed oppure baked potato con butter  o sour cream).

A questo punto avete diritto ad un altro contorno, ve lo ricordate? Non crollate proprio adesso e scegliete con sicurezza e rapidità una delle seguenti verdure cotte: cavolfiori, cipolle fritte, funghi,piselli o spinaci (cauliflower,  onion rings, mushrooms, pees o spinach).

Non opponete resistenza: sarebbe inutile.

Sapeste quante volte abbiamo provato ad arginare o modificare questa sequenza di imposizioni! Per esempio a volte avrei preferito, che so, i funghi anziché le patate con gli spinaci, ma non c’è stato verso.

Oppure se i bambini non volevano ne’ la minestra, ne’ l’insalata, dovevano scegliere lo stesso un’opzione ,perché è inutile opporsi: la bistecca, il pollo o la cotoletta “comes with ” . Senza discussioni.

Ad un certo punto, pur di farla finita, conviene davvero rinunciare a cercare un accomodamento con la cameriera e scegliere a caso il secondo contorno, quello che non avete intenzione di mangiare. Magari finirà invece col piacervi. Who knows?

Comunque, ci si abitua anche a questo terzo grado e alla fine si diventa abilissimi e ci si diverte pure, ma tenete  sempre a mente questo suggerimento: imparate a memoria i fondamentali o sarete sopraffatti e vi toccherà decidere di nutrirvi solo di panini , proprio come Poldo.
  

Ah, bisogna inoltre ricordare che se pensate di mangiare anche un dolce, dovrete ordinarlo subito, senza aspettare di verificare se a fine pasto ne avrete ancora voglia, perché con l’ordinazione arrivera’ anche il conto: time out, quindi, senza possibili ripensamenti. La vostra cameriera vi avrà infatti raccomandato, mentre stavate ancora ordinando la portata  principale, “Leave room for the dessert!”

Nei Ristoranti Americani non ci attarda a tavola come qui da noi per sorseggiare un caffè,un canarino, un amaro o fare il “resentin” chiacchierando tranquillamente. Lì, finito di mangiare, si controlla il conto, si lascia sul tavolo circa il 15  per cento come gratuity  ( o tip) per la cameriera e si va a pagare alla Cassa con la Carta di Credito ( chi paga in contanti in America viene guardato con sospetto ) l’importo del check ( o bill) maggiorato delle tasse, che in America sono scorporate da qualsiasi prezzo e la cui percentuale varia da Stato a Stato, anche se lo scarto  é minimo.Le tax, alla fine spuntano sempre e tutti i prezzi sono in realtà più alti di quanto scritto sul cartellino.

La prima volta, volendo liberarci al ritorno dei cent accumulati, prima di imbarcarci abbiamo scelto al Duty Free dell’Aereoporto Life Savers, Jelly Beans e Juicy Fruit facendo i conti con molto cura, ma alla Cassa hanno aggiunto le tasse e dunque il prezzo é diventato più alto di quello conteggiato da noi, quindi abbiamo dovuto pagare con una banconota e ci siamo ritrovati con più monetine in tasca di quanto ne avevamo prima dell’acquisto.

Solita figura da provinciali .

POLLO FRITTO DI MRS. PETRELLA

1 pollo tagliato in otto pezzi, 1/2 litro di latticello,1 cucchiaino di sale , 2 spicchi d’aglio tritati,1 cucchiaino di peperoncino in polvere, farina,olio per friggere.
Si tengono in infusione i pezzi di pollo nel latticello per 24 ore, poi si scolano e si condiscono generosamente con sale , aglio e peperoncino.

Si passano quindi nella farina e si scuotono per eliminare l’eccesso .

Si scalda l’olio in una padella che contenga il pollo di misura e si dispongono i pezzi ben ravvicinati.

Dopo una decina di minuti dovrebbero essere dorati dalla parte a contatto con il fondo della padella e allora si girano proseguendo la cottura dall’altro lato per altri dieci minuti.

Si tolgono dalla padella e si fanno sgocciolare su una griglia ( non sulla carta assorbente).

Lo so, ne abbiamo forse già parlato, il latticello non si riesce a trovarlo in commercio. Comunque in questa ricetta può essere sostituito da 150 ml di latte miscelati con 150 ml di yogurt bianco intero, un  pizzico di sale e un cucchiaio o due di succo di limone. Non solo è la cosa più semplice , ma non mi viene in mente nient’altro da proporvi come surrogato del latticello. Le proporzioni a volte cambiano, a seconda della ricetta, ma gli ingredienti sono sostanzialmente questi.

La signora Petrella mi manda ancora gli auguri  a Natale.

IL POLLO FRITTO DEL NONNO VITTORIO

1 pollo,  1 uovo, 1 bicchiere di latte, pangrattato, farina, sale e pepe, olio per friggere.
Il nonno tagliava con precisione il pollo in 8 pezzi a cui toglieva la pelle, li infarinava, li passava nel l’uovo battuto con il latte e un bel po’ di pepe e poi nel pangrattato.

Ne scuoteva via l’eccesso con delicatezza e li tuffava nell’olio profondo .

Li rigirava bene da tutte le parti con il forchettone , senza pungerli e quando erano belli croccanti li scolava  e li appoggiava sulla carta da pane messa doppia.

E li salava solo allora , perché in cottura la carne non cedesse troppo liquido inumidendo la panatura.
Questo é il pollo fritto della mia infanzia, uno dei ricordi di quel nonno testardo, tenerissimo e sfortunato che se n’è  andato troppo presto, dopo anni di malattia.  “

Tradizione e fantasia

da “I tempi andati e i tempi di cottura ( con qualche divagazione)

20151119-202231.jpg

Mi piace pensare di essere figlia d’arte e un po’ anche nipote.
Più per le caratteristiche culinarie del ramo materno ,che per quelle legate allo spettacolo del ramo paterno. Anche se in fondo, sotto certi aspetti, non mi manca una piccola dose di teatralità.
La mia nonna materna, l’indimenticabile nonnina Virginia, entusiasta esempio di come si possa trarre gioia anche dalle cose più semplici, era una persona straordinaria, piena di calore umano e quando era felice manifestava la sua gioia battendo le mani come una bambina.
È vissuta con noi per lunghi periodi,prima a Cisano e poi a Cavaion,aiutandomi a tirare su i bambini con amore infinito e a tenere in ordine il giardino con indomabile entusiasmo, in cambio di una ospitalità affettuosa e di una grande considerazione per la sua esperienza, la sua saggezza, il suo calore e la sua umiltà.
Cucinava benissimo,come del resto la mia mamma, che però non ci metteva la stessa dose di allegria, ma piuttosto considerava la fantasia in cucina un po’ una perdita di tempo,uno sforzo inutile e non amava sperimentare di persona nuove ricette.
Era una persona pragmatica e volitiva, di grande rigore, poco incline ad accettare la ” diversità” in qualunque campo, quindi anche in cucina.
In questo non le somiglio affatto: io mi butto nelle novità come Tania Cagnotto si tuffa dal trampolino e m’ingarello come Valentino Rossi se si tratta di provare un piatto nuovo. E mi ci diverto.So di essere una persona complessa, non complicata,ma con qualche contraddizione.
Esempio: una volta l’anno-più spesso non si potrebbe- faccio i sugoli seguendo esattamente la ricetta di mia suocera Dina,che faccio di tutto per non dimenticare nonostante non ci sia più da così tanti anni, e anche la bole,ossia il castagnaccio,proprio come lo facevano la mia mamma, mia nonna e prima ancora probabilmente la mia bisnonna Libera,che ho conosciuto prima che morisse,alla fine degli anni ‘ 40. Faccio inoltre la crema fritta a rombi,impanati nel semolino come mi ha insegnato la zia Celina.
Insomma ,nel mio piccolo, salvo le ricette tradizionali,quelle di famiglia, perché non vadano perdute e perché la vita non è tutta nouvelle cuisine in fondo.
Ecco volevo dire questo accennando alla mia indole complessa: faccio il ragù che resta sul fornello almeno tre ore,proprio come lo faceva la mia mamma, ma anche degli amuse bouche di granchio, che le sarebbero piaciuti per raccontarlo alle amiche e degli antipasti insoliti e diversi ogni Natale, che la stupivano sempre.Ma del Natale parliamo un’altra volta perché questa si che è una faccenda complessa e complicata!
Quando ancora lavoravo e avevo veramente poco tempo da dedicare alla cucina, oltre che dei sughi per la pasta assolutamente squisiti (di funghi, di tonno e di piselli), la mia mamma ci faceva un pollo al limone che era una delizia, quello che mio figlio,verso i tre,quattro anni chiamava il “pollo zoppo” .E con ragione.
Si trattava di cucinare per noi mezzo pollo, a quarti, con l’aggiunta di un petto per il bambino e tre patate sbucciate ma intere:una a testa perché in quel tegame pesante, basso e un po’ ammaccato che usava per il pollo e che ho sempre visto per casa, di più non ce ne stavano.
Un bambino intelligente e precoce come il mio Simone,guardando nel tegame,non poteva non chiedersi perchè ci fosse un’unica coscia,giungendo quindi alla conclusione che il pollo della nonna, prima di finire in pentola, doveva aver avuto grossi problemi di deambulazione.
Abbiamo continuato a chiamare questo particolare pollo arrosto “pollo zoppo” anche dopoché la famiglia è cresciuta e il pollo veniva cucinato intero e non piu “mutilato” e questa definizione è nostalgicamente diventata parte del nostro lessico familiare.
È una ricetta che non ho mai replicato da quando la mia mamma non c’è più. La sua voce, il suo sguardo, i suoi gesti, i profumi e i sapori che continuo a considerare ” di casa” nonostante abbia una mia famiglia da più di quarant’anni , mi mancano ancora dolorosamente.
L’elaborazione di un lutto è un processo lungo e penoso, me ne sono accorta, ma sto cercando di metabolizzare immagini e ricordi per arrivare ad una serena accettazione di quello che considero ancora un abbandono. E quando ci sarò riuscita ,allora forse potrò cucinare anche il pollo al limone in modo che le lacrime dipendano solo dalla cipolla.

CREMA FRITTA

1 litro di latte intero,4 uova,4cucchiai di zucchero, 4 cucchiai di farina,buccia grattuggiata di 1 limone, 1 pizzico di sale,semolino per impanare,burro per friggere ,zucchero a velo per completare.

In una casseruola mescolo insieme farina,zucchero,buccia di limone e sale.Poi poco alla volta diluisco col latte,attenta a non fare grumi. Aggiungo le uova una alla volta,incorporandole bene al composto e lo metto sul fuoco.
Aspetto che si alzi il bollore e lascio cuocere per una decina di minuti a fuoco dolcissimo,mescolando continuamente.
Quando la crema è cotta ,la verso in una pirofila larga in uno strato alto circa 2 cm. e la lascio raffreddare completamente, poi la passo in frigorifero per almeno 3-4 ore.
La taglio quindi a rombi regolari non troppo grandi,li impano con il semolino e li friggo nel burro spumeggiante pochi alla volta, rigirandoli una sola volta.
A mano a mano che sono pronti li tolgo dal tegame e li cospargo con zucchero a velo setacciato col colino fine.

Giuro che non ricorda per niente quella che si mangiava in Piazza Erbe al banchetto dei bomboloni. Quella di “casa Martini” è buonissima.

AMUSE BOUCHE DI GRANCHIO

200 gr di polpa di granchio in scatola, 1 cipollotto fresco, 2 cucchiaiate di mascarpone,il succo di 1/2 lime,qualche goccia di Tabasco,1 cucchiaiata di prezzemolo tritato, 2 cucchiaiate d’olio,sale e pepe.

Tolgo la polpa di granchio dalla scatoletta,la sgocciolo bene e la metto in una ciotola.
Con la punta delle dita spezzetto ed elimino le eventuali cartilagini (che ci sono sempre).
Affetto molto sottilmente la parte bianca del cipollotto e lo unisco alla polpa di granchio,aggiungo anche il mascarpone e l’olio,il succo di lime, il Tabasco (qui regolatevi voi: la quantità dipende da quanto vi piace il piccante) e il prezzemolo.Salo appena e pepo abbondantemente.
Mescolo con delicatezza per amalgamare perfettamente tutti gli ingredienti e suddivido questo composto sui cucchiaini da tè che poi posiziono a raggiera su un bel piatto.

Servo i cucchiaini di granchio in salotto,prima di andare a tavola: sono uno sfiziosissimo accompagnamento all’aperitivo che precede,per esempio, una cena a base di pesce.

POLLO ZOPPO

1 pollo tagliato in quattro,1 piccola cipolla,1 foglia di alloro,2-3 foglie di salvia,1 spicchio di aglio, 1 limone non trattato, 1/2 bicchiere di vino bianco, 4 patate non troppo grosse,olio e burro,sale e pepe.

La mia mamma tritava la cipolla e la faceva imbiondire appena in olio e abbondante burro,poi accomodava nel tegame i pezzi di pollo,li irrorava col succo di limone,salava, pepava pochissimo e aggiungeva salvia,aglio e alloro.
Rigirava la carne un paio di volte per farla leggermente rosolare , metteva il coperchio e proseguiva la cottura.
Trascorsa la prima mezz’oretta spruzzava col vino e aggiungeva le patate lavate e sbucciate ,accomodandole tra i pezzi di pollo.
Ogni tanto controllava che il sugo restasse abbondante e la carne morbida. Se occorreva aggiungeva un mestolino d’acqua calda in cui scioglieva una punta di Legorn.
Quando il pollo e le patate erano pronti li toglieva dal tegame e filtrava il sugo con un colino eliminando gli odori.Poi rimetteva tutto nella pentola e ce lo faceva avere.
A me non restava che spruzzarlo con dell’altro vino bianco e dare una scaldatina prima di servirlo.

È un piatto semplice e gustoso,un sapore perduto di famiglia che mette sempre un po’ di malinconia.

Pennino

Copyright by Pennino

Follie al barbecue

Scommetto che in molti ieri avete fatto la classica grigliata di Ferragosto, tempo permettendo.
Si dice che la carne cotta appunto alla griglia, alla piastra, ai ferri o al barbecue possa rientrare anche nelle diete più severe.
Probabilmente il dietologo o il nutrizionista che in buona fede ha fatto questa generica affermazione contando sul ritegno e il senso della misura di chi lo ascoltava, non ha tenuto conto dell’insaziabile ghiottoneria di alcuni di noi.
Ma chi, invitato a un barbecue, saprebbe rinunciare a questi formidabili spiedini di pancetta e pollo spennellati durante la cottura con una salsa al bourbon e miele? Giusto un vegano o qualcuno con una coscienza eccezionalmente diligente e ligia, direi.
Chi avrà il coraggio di copiare la ricetta e mangiarsi queste delizie, potrà concorrere con noi alla gara nazionale di colesterolo, rischiando il primo posto sul podio!

20150718-020533.jpg
Finché chi si occupa della griglia si sta organizzando per ottenere le braci calde al punto giusto, si può cominciare preparando una ciotola di salsa che possiamo chiamare barbecue, che andrà spennellata sulla carne, con l’aiuto di alcuni rametti di rosmarino, timo e possibilmente mirto, legati insieme.
Si incorporano a 1/2 bicchiere di bourbon, o di whiskey, 1 cucchiaio di senape di Digione, 2 cucchiai di miele, 2 cucchiai di olio all’aglio, 1 spruzzo di Tabasco, 1 pizzico di sale, il succo di 1/2 arancia e la sua buccia grattugiata
Si miscelano bene tutti gli ingredienti con una piccola frusta e si lascia riposare la salsa.
Nel frattempo si preparano i famigerati spiedini con la stessa tecnica illustrata nel vecchio post https://silvarigobello.com/2013/07/16/spiedini-alla-moda-del-maine/
Si parte infilzando l’inizio di una fetta di bacon fatta tagliare piuttosto spessa, poi un bocconcino di pollo, che può essere petto o sovracoscia disossata, si ripiega il bacon, si infilza un altro bocconcino di pollo, di nuovo il bacon e avanti così fino ad aver completato lo spiedino.
Se ne preparano tanti quanti ne suggerisce la coscienza. Si dà una rimestata alla salsa, si immerge il “pennello” di erbe aromatiche, si spennellano gli spiedini su tutti i lati e si collocano sulla griglia.
L’addetto alla cottura si dovrà preoccupare di spennellarli di salsa ogni volta che li girerà per farli cuocere da tutti i lati.

Naturalmente questa salsa barbecue può essere spennellata su qualsiasi tipo di carne si intenda cuocere, ma non su tutti insieme: a me piace che ogni porzione abbia una sua precisa identità e un aroma personale.

Pollo al miele

Il pollo è l’ingrediente che più di molti altri si presta ad essere il protagonista di tantissime ricette.
Intero non lo cucino quasi mai, però se il pollivendolo me lo taglia in 8 pezzi e me lo pulisce bene, riesco a cucinare con molta semplicità delle teglie saporite e succulente.
Come questa.

20150427-192636.jpg
Il segreto perché la carne di pollo resti morbida e succosa è immergerla a lungo in una marinata aromatizzata con ingredienti diversi.
Se si prende l’abitudine di far riposare la carne in frigorifero, anche per tutta la notte, immersa in una marinata, la successiva cottura non l’asciugherà troppo.
Questa abitudine mi viene dalla curiosità con cui cerco sempre di farmi raccontare, spesso dagli stessi chef, se non dai proprietari dei ristoranti che frequento, alcuni dei loro segreti. In verità a volte se li sono lasciati rubare a denti stretti, ma l’essenziale è che ho imparato, tra le altre cose, il trucco della marinata.

Per questa ricetta ho messo in un grosso sacchetto gelo a chiusura ermetica (si comprano anche all’Ikea e sono ottimi): 4 cucchiai di olio, 1 cucchiaio di miele di acacia, 1 bicchierino di Marsala, 2 foglie di alloro, 1 rametto di rosmarino, 2 spicchi d’aglio, il succo di 1 limone e la parte gialla di metà della buccia.
Ho mescolato tutto, ho inserito i pezzi di pollo, li ho “massaggiati” per bene con la marinata, ho messo il sacchetto ben chiuso in una ciotola e riposto in frigo fino all’indomani.
Ho scaldato il forno a 200 gradi. Ho versato tutto il contenuto del sacchetto gelo in una teglia, ho salato, pepato e infornato per una quarantina di minuti.
Ho rigirato i pezzi un paio di volte perché la pelle diventasse dorata e croccante dappertutto.

Insieme al pollo si possono infornare anche delle patate tagliate a metà e si risolve così il problema del contorno.

Insalata di pollo, patate e uova come a Los Angeles

Nel periodo tra dicembre e gennaio, a distanza di due anni, siamo andati due volte in California, che non rappresenta certo il massimo come esempio di clima Natalizio, dato che in genere si viaggia minimo sui 22 gradi e durante il giorno si indossano incredibilmente polo e bermuda.
Un’esperienza Californiana durante le vacanze di Natale infatti è un po’ stravagante, non si può negarlo, ma è straordinaria.
Dopo il calare del sole si resta senza fiato di fronte allo spettacolo delle lucine che drappeggiano i rami degli alberi, decorano i tronchi delle palme, i cornicioni, le finestre, qualunque oggetto inamovibile presente nei cortili e nei giardini delle case, o creano figure tipiche di questo periodo sui tetti e sui vialetti: Babbi Natale sorridenti, renne che trainano slitte, pupazzi di neve, angeli in volo che suonano il flauto.
Di giorno invece lo spettacolo è senz’altro meno grandioso, anzi mette un po’ di tristezza, perché nel Sud della California la siccità è un problema reale.
Piove pochissimo e non nevica mai, quindi con la luce del giorno, nei giardini si notano soltanto le sagome spoglie dei personaggi natalizi, sistemate su prati bruciacchiati dal sole e imbiancati da neve sintetica, che solo con il buio acquisteranno vita e dignità.
Ma nonostante questo neo, le vacanze di Natale a Los Angeles sono indimenticabili.
Entrambe le volte abbiamo ovviamente passato Capodanno a Disneyland, Anaheim, e ovviamente non c’è stato nessun tipo di Cenone, ma un sandwich e una zuppa o un’insalata, come questa di pollo, patate e uova che abbiamo ordinato al Crystal Palace, proprio alla fine della Main Street.

20141207-021105.jpgSi lessano separatamente 1 petto di pollo (con sedano, carota, sale e alloro), 2 patate (intere e con la buccia) e 2 uova (per 9-10 minuti).
Si scola e si sgocciola il pollo. Lo si lascia intiepidire e si taglia a striscioline.
Si pelano le patate e si fanno a cubetti.
Si sgusciano le uova e si tagliano a metà.
Si monda e si sciacqua un gambo di sedano e si affetta sottile.
Si tagliuzzano alcuni steli di erba cipollina.
Si trita 1 ciuffo di prezzemolo.
Si fanno abbrustolire sulla piastra 4 fette di bacon e si sminuzzano.
Si riuniscono in una ciotola tutti gli ingredienti e si condiscono con una salsa che si prepara mescolando insieme 1/2 tazza di maionese, 1 cucchiaino di senape, il succo di 1/2 limone, 1 pizzico di sale, la parte bianca tritata di 1 cipollotto, 1/2 cucchiaino di paprika affumicata e una grattugiata di pepe nero.
Si mescola e si serve preferibilmente a temperatura ambiente e possibilmente con il sottofondo di qualche carola Natalizia cantata da Topolino… A volte mi faccio prendere la mano dai ricordi.

Il sale da usare in questa insalata è quello al sedano oppure quello all’aglio, ma se non li avete a portata di mano va bene anche il sale comune.

Il mio pollo alla Marengo

Nella storia della mia famiglia ad un certo punto è entrato in qualche modo Napoleone Bonaparte.
Magari un giorno o l’altro vi racconto la storia della prozia Nina, andata in sposa al proprietario della tenuta divenuta Quartier Generale di Napoleone all’epoca della vittoriosa Battaglia di Rivoli Veronese, ma per oggi mi limito a parlarvi di una ricetta storica che ho rivisitato e leggermente modernizzato.
Del Pollo alla Marengo tradizionale si narra che la sua ricetta risalga a questo periodo e più precisamente alla vittoria delle truppe Napoleoniche sugli Austriaci nella battaglia combattuta il 14 giugno 1800 a Marengo, in provincia di Alessandria.
Napoleone non mangiava mai prima delle battaglie, ma dopo una vittoria pretendeva un pasto abbondante e gustoso.
Dunan, il suo chef personale, in questa circostanza a corto di provviste in quanto i carri che trasportavano le vettovaglie erano andati perduti, dovette improvvisare un piatto assai stravagante con gli ingredienti che era riuscito a procurarsi nelle fattorie e nei corsi d’acqua dei dintorni.
Pare che, nonostante le premesse, a Napoleone piacesse moltissimo.
Vediamo se la mia versione semplificata piace anche a voi.

20141001-002924.jpg
Si fa dorare in un tegame con poco olio un bel pollo tagliato in 8 pezzi leggermente infarinati.
Si insaporisce con sale e pepe, si sfuma con 1/2 bicchiere di vino rosso e si uniscono 2 spicchi d’aglio schiacciati e 1 scatola di pelati sgocciolati e tagliati a piccoli pezzi.
Si copre il tegame e si lascia sobbollire a fuoco dolce per una quarantina di minuti.
Intanto si liberano dalla terra i gambi di 4 funghi porcini, si affettano e si fanno saltare in padella con olio, sale, pepe e le foglie di 2 rametti di timo, poi si aggiungono nel tegame del pollo.
Si fanno rosolare 300 gr di gamberi (l’ideale sarebbero quelli di fiume) con 1 cucchiaio d’olio, si salano, si pepano, si sgocciolano e si uniscono anche questi al pollo.
Si spruzza con il succo di 1/2 limone e si serve dopo averlo fatto riposare qualche minuto.
Il vero pollo alla Marengo di Napoleoniche tradizioni prevede anche l’aggiunta di un uovo all’occhio di bue a testa appoggiato su un crostone fritto nel burro e questo è molto francese, n’est pas?
Volendo, si può evitare perché il piatto è già sufficientemente ricco così, anche se in questo modo non si rispetta in pieno la ricetta originale.

Ricordo di avervi già proposto l’anno scorso, di ritorno dalla Sardegna, l’abbinamento pollo e gamberi, ma quella era tutta un’altra storia e tutta un’altra ricetta.

Pollo alla creola (si fa per dire)

Ogni tanto faccio un pollo al forno che chiamo “alla Creola”, ma che in realtà è solo un pollo a pezzi, molto saporito, con qualche ingrediente esotico miscelato ai più rassicuranti e familiari sedano e basilico per esempio, che un po’ alla volta si è arricchito di nuove spezie o fragranze ed è diventato questo piatto straordinario.

20140704-013335.jpgNell’insieme il sapore risulta un po’ orientale e un po’ dei mari del Sud: un connubio irresistibile che fa pensare alla cucina delle Colonie, agli abiti bianchi, a una musica lenta e ritmata, ai ventilatori a pale a soffitto, alle cucine vaste e piene di aromi, ai mari caldi e tranquilli dei Tropici.
E vi pare poco?! Pensate che tutte queste sensazioni si possono ottenere con un pollo e una salsa piuttosto complessa, sì, ma facile, come sempre.
Se poi avete la fortuna di poterlo mangiare in giardino… è fatta: il mio pollo vi conquisterà.

Si comincia dalla salsa: si tritano finemente 2 peperoncini rossi freschi piccanti, 1 falda di peperone giallo, 2 spicchi d’aglio, 1 pezzetto di zenzero, 1 costa di sedano e 1 cipollotto.
Si aggiungono 2 cucchiai di olio, 1 cucchiaino di zucchero di canna, 1 cucchiaio di basilico e 1 di coriandolo tritati insieme e 1 macinata molto generosa di pepe alla Creola.
Si mescola, si diluisce con il succo di 1 arancia e la sua scorsa grattugiata, 2 cucchiaiate di salsa di soia e 1 cucchiaio di miele.
Si accomodano in una pirofila 2 polli tagliati ciascuno in 8 pezzi, si coprono di salsa e si lasciano marinare in frigorifero un’oretta.
Si rigirano per bene nella salsa e si infornano a 220 gradi per circa 25 minuti, ma tutto dipende dal vostro forno. Comunque devono risultare dorati, morbidi e succulenti, eventualmente si possono coprire con la stagnola se si rosolano troppo o aggiungere altro succo di arancia.

Se vi state chiedendo con quale contorno accompagnare il Pollo alla Creola, direi che ci stanno bene il riso pilaf con zenzero e buccia d’arancia, le carote glassate, le patate novelle al vapore… e se viene in mente a voi qualcos’altro, per favore ditelo!

Pollo “in catrecatrott”

Quando abitavo in campagna avevo un’amica francese che faceva un eccellente pollo al forno in “catrecatrott” come diceva lei quando parlava in italiese.
È un pollo a pezzi molto ghiotto che si infila in forno con ingredienti dal sapore robusto e non richiede alcuno sforzo, ma il risultato è davvero sorprendente.
Quando con altri amici e vicini di casa, alternativamente facevamo dei pranzi all’aperto nei nostri giardini, era il suo contributo al menù. L’ha sempre portato, in un’elegante pirofila avvolta in un asciugapiatti annodato con le cocche, esibendolo con un grazioso “voilà” e noi tutti non vedevamo l’ora di avere la nostra porzione.
La ricetta è semplice, da fare anche in estate proprio per quel suo gusto particolare, asprigno, forte e grato al palato nonostante l’afa.

20140708-005444.jpg
In una grossa ciotola, tipo insalatiera, si spremono 2 limoni, si aggiungono 50 gr di burro fuso, 1 cucchiaio di curry, 1 pezzetto di zenzero grattugiato, 1 bicchiere di Champagne (o Prosecco oppure spumante), sale e pepe.
Si immergono in questa marinata 2 bei polli tagliati in 8 pezzi ciascuno in modo da avere piccole porzioni e potersi servire più volte.
Si fa riposare in frigorifero per un paio d’ore, poi si versa tutto il contenuto della ciotola in una teglia da forno unta con 2 cucchiai di olio.
Si aggiungono 2 limoni non trattati tagliati a fette rotonde, 200 gr di olive verdi snocciolate e una decina di scalogni tagliati in 4 per il lungo.
Si mescola tutto e si inforna a 180 gradi per 45-50 minuti. Il pollo si deve presentare bello dorato, mentre gli scalogni e le fette di limone devono avere un aspetta appassito.
Si completa con un trito di basilico fresco e menta, si controlla di sale e… c’est tout!

Si travasa tutto su un piatto da portata e si serve con le patate al prezzemolo.
Consiglio di ostentare uno charme e un accento che facciano venire in mente la douce France.

Coq au vin

Appena tornati dal viaggio di nozze a Parigi, la prima volta che abbiamo invitato a pranzo i miei genitori, per fare sfoggio delle recenti esperienze gastronomiche, ho preparato il pollo al vino: molto francese, molto complicato per la poca dimestichezza che fino a quel momento avevo maturato in ambito culinario e… molto cotto, visto che l’avevo cucinato in pentola a pressione.
Fortunatamente da allora la loro unica, eclettica figlia di strada ne ha fatta un bel po’ e adesso sono in grado di portare in tavola un Coq au vin impeccabile, merito forse anche delle successive ripetute sortite in terra di Francia, dove abbiamo affinato i nostri gusti, e dell’aver nel frattempo appreso molto di tecnica e arte culinaria.
Le volute di vapore che salgono dai miei tegami e dalle casseruole forse sono le immagini sfocate di Francois Vatel, Brillat-Savarin, Paul Bocuse e Auguste Escoffier, che hanno smesso di guardarmi in cagnesco, ma mi sorridono ormai benevoli.

20140508-014338.jpgSi fanno rosolare in una casseruola 150 gr di pancetta a dadini con 20 gr di burro, si aggiungono 200 gr di cipolline sbucciate e 200 gr di funghetti coltivati affettati.
Con 2 cucchiai di olio si fa dorare in tegame 1 pollo bello grosso tagliato in 8 pezzi.
Si sfuma con 1 bicchierino di Cognac e poi si uniscono le cipolline e i funghi col loro sugo.
Si versa 1/2 litro di vino rosso corposo (scegliete pure quello della vostra zona) e si aggiungono 1 foglia di alloro e un trito di salvia, aglio, timo e rosmarino.
Si aggiusta di sale e di pepe e a tegame coperto si lascia cuocere circa 3/4 d’ora.
Nel frattempo si amalgamano 30 gr di burro con 1 cucchiaio di maizena (o di fecola) e si aggiungono mescolando al fondo di cottura lasciando sobbollire piano per altri 10-15 minuti.
Normalmente si serve in pirofila perché può essere preparato in anticipo e riscaldato in forno.

Questa è la versione moderna e velocizzata di un classico della Cucina d’Oltralpe che pare fosse stato servito anche a Giulio Cesare durante la sua conquista della Gallia.
Naturalmente sono in grado di preparare anche la versione più tradizionale, previa marinatura del pollo, ma questo è un metodo più contemporaneo, che sono certa apprezzerete maggiormente.