La favolosa torta di Rachele

Se oggi vi va di leggere un’altra fiaba e scoprire un’altra ricetta… eccole.

Rachele la era la figlia maggiore di un modesto mugnaio.
Viveva con i genitori e i nove fratelli in un angolino delle terre di proprietà dei facoltosi Signori del luogo, che a suo padre avevano concesso l’uso della casetta adiacente al mulino, la possibilità di raccogliere le olive e la frutta dagli alberi che la circondavano, il permesso di allevare conigli e galline e di coltivare un piccolo orto che produceva quanto bastava alla famiglia per campare senza soffrire la fame.
In cambio della loro generosità però, quegli altolocati proprietari terrieri pretesero che al compimento del quattordicesimo anno di età, uno alla volta i figli del mugnaio si trasferissero nella loro grande dimora per aiutare la servitù ad espletare le mansioni più umili.
Quando venne per Rachele il momento di abbandonare la famiglia per compiere il suo dovere, tutti se ne rattristarono molto.
La giovinetta arrivò a palazzo dopo un viaggio di tutta una giornata sul carro del padre. La governante, che la vide così graziosa e delicata, anziché assegnarla alla mungitura delle vacche nella limitrofa fattoria dei padroni, decise di tenerla a servizio all’interno della casa grande, affidandole il compito di cogliere i fiori e sistemarli nei vasi che ornavano tutte le stanze, come piaceva alla padrona.

20140321-212351.jpgIl lavoro non era certo pesante, ma la piccola sentiva moltissimo la mancanza della famiglia e della cucina della mamma, soprattutto a causa dei poco saporiti pasti riservati alla servitù.
Quello che le mancava di più era la torta di frutta che la mamma preparava la domenica mattina e sistemava in una teglia col coperchio sotto la cenere del camino, prima di recarsi in chiesa.
Se solo avesse avuto a disposizione della frutta e la possibilità di impastare una piccola sfoglia, Rachele avrebbe potuto ricreare il caro sapore di casa e per un momento sentire meno forte la nostalgia.
Ebbe un’idea. Per preparare le composizioni floreali le era stato assegnato un angolo del tavolo su cui la cuoca appoggiava la frutta da servire ai padroni.

20140322-214759.jpgGiorno dopo giorno quindi, senza farsi scoprire, Rachele si impadroniva del frutto che si trovava più vicino ai fiori celandolo tra le foglie e i gambi che aveva reciso e lo nascondeva in un vaso vuoto che riponeva nell’armadio delle suppellettili in dispensa.
Alla fine della settimana ne aveva a sufficienza per preparare una torta come quella della mamma.
Aspettò che tutti fossero andati a letto e scese in cucina reggendo una candela. Recuperò la frutta e si accorse che si trattava di una mela, una pera, due susine, due albicocche e una pesca.
La sbucciò tutta, la tagliò a pezzetti, aggiunse 2 cucchiai di miele, il succo di 1/2 arancia e mescolò tutto con garbo.
Finché la frutta restava a macerare, prelevò dalla madia 2 tazze di farina (i nostri attuali 300 grammi) e le mise sulla spianatoia, aggiunse 1 uovo intero, 1 bel pezzetto di burro (oggi sarebbero 150 gr), 4 cucchiai di zucchero, 1 pizzico di sale e 1 generoso sorso di Porto.
Mescolò tutti gli ingredienti, tirò la pasta sottile con il mattarello e foderò un piatto di terracotta lasciandola abbondantemente debordare.
Bucherellò il fondo con i rebbi di un forchettone, lo coprì con 2-3 cucchiaiate di pangrattato secco e al suo interno versò tutta la frutta sgocciolata.
Ripiegò la parte eccedente della pasta verso l’interno e la coprì quasi completamente, lasciando solo un foro al centro attraverso il quale si poteva vedere bene il ripieno.
La spennellò con il latte e mise sul piatto un coperchio, l’appoggiò sul focolare, la coprì di cenere, sotto cui covava ancora la brace, riordinò la cucina e andò a dormire.
La mattina successiva quando scese per fare colazione, si accorse dell’agitazione della cuoca, che quasi si era sentita male dall’emozione nel trovare una teglia contenente un dolce perfettamente cotto sotto la cenere del suo focolare. Insisteva nel dire che era opera del diavolo, mentre la governante che ne aveva assaggiato una grossa fetta affermava che invece doveva averla preparata un angelo.

20140321-220032.jpgRachele confessò di essere l’artefice della torta fonte di discussione e si scusò per aver sottratto un frutto al giorno per tutta la settimana e utilizzato quanto le serviva prelevandolo dalla dispensa.
Ma anziché rimproverarla, la cuoca, a cui mancava il tocco di una vera pasticciera, l’abbracciò e la lodò per la torta che aveva così magistralmente preparato.
Non solo, le chiese di prepararne un’altra, stavolta senza sotterfugi e la servì come dessert ai padroni, che ne furono entusiasti.
Da quel giorno Rachele fu promossa pasticciera e in breve la sua torta di frutta mista conquistò i palati di tutti i fortunati che, invitati a cena dai padroni, l’avevamo assaggiata.
Divenne così famosa che quando questi nobili davano a loro volta un ricevimento, la chiedevano in prestito perché la preparasse anche per loro. Rachele continuò a non apportare nessuna modifica al dolce, se non la sostituzione del pangrattato con dei biscotti secchi che preparava appositamente e poi frantumava nel mortaio, rendendo il dolce ancora più goloso.

Come tutte le fiabe, anche questa dovrebbe avere una morale… magari potrebbe essere che per fare carriera (oltre a un dolce squisito), basta avere a disposizione della frutta e mostrare un po’ di iniziativa!

Ombretta e la sua torta di pomodori verdi

Sapete? Mi sono talmente divertita ad inventare delle favole per un contest qualche settimana fa, che ne ho scritta un’altra, accompagnata da un’interessante ricetta.
Adesso ve la racconto…

Tanto tempo fa, in un Regno molto lontano, una mattina di buonora il giovane Principe Riccardo era uscito per una battuta di caccia a cavallo del suo fedele destriero.
Attraversata la brughiera punteggiata di erica all’inseguimento di un cervo, entrò in un fitto bosco di castagni e nella foga della caccia non si avvide che gli alberi erano molto fitti, con i rami sporgenti protesi in tutte le direzioni.
In breve una fronda lo colpì in fronte e lo disarcionò facendogli battere violentemente il capo.
Rimase a terra privo di sensi finché Ombretta, una graziosa villanella, non lo trovò riverso a terra e un po’ trascinandolo e un po’ sorreggendolo fra le braccia delicate lo portò nella sua modesta casetta.
Lì lo curò per giorni e quando il principe si riprese, restò folgorato dalla visione della deliziosa fanciulla che lo aveva accudito.
La sua bellezza, la grazia, la generosità nel prodigarsi per farlo guarire, i modi garbati, la voce soave quando cantava, l’avevano incantato, ma soprattutto era stata la sua abilità in cucina a conquistarlo.

20140324-151809.jpgAbituato com’era ai piatti sopraffini adatti ai palati raffinati dei nobili di sangue reale, restò estasiato di fronte ai sapori insoliti e genuini della cucina di Ombretta e anche questo contribuì a rapirgli il cuore.
Il suo piatto preferito era una squisita torta, semplice e rustica, che la giovane preparava coi pomodori verdi del suo piccolo orto, le pere di un vecchio albero e l’uva passa, che conservava appesa nella dispensa.
Per cucinare la torta che Riccardo tanto apprezzava, Ombretta tagliava a fette 3 grossi pomodori verdi e 2 pere, li sistemava su un piatto e li irrorava con il succo di un limone.
Con 1 tazza di zucchero, 1/2 cucchiaino di cannella in polvere, 1/2 cucchiaino di noce moscata grattugiata, 3 cucchiai di farina e 3 cucchiai di fecola di patate (o di maizena) preparava una miscela alla quale aggiungeva 1 tazza di uva passa ammollata nell’acqua calda.
Preparava una sfoglia con farina (250 gr), burro (120 gr), 1 pizzico di sale e qualche cucchiaiata d’acqua. La tirava col mattarello piuttosto sottile e foderava una teglia facendola abbondantemente debordare.
Sistemava al suo interno uno strato di pomodori, qualche cucchiaiata di composto, uno strato di pere, ancora miscela, pomodori e avanti così.
Alla fine ricopriva tutto quasi completamente con la sfoglia, lasciando solo un ampio camino centrale. Poi metteva la torta nel forno a legna di mattoni nel quale cuoceva anche il pane e se avesse avuto un moderno forno elettrico l’avrebbe regolato sui 170 gradi e lasciata cuocere per 50-60 minuti.

20140324-152615.jpgUna mattina arrivò al galoppo un manipolo di dignitari di corte che avendo visto tornare a palazzo il cavallo senza cavaliere, allarmati, lo stavano cercando da giorni, per riportarlo a corte dove il Re suo padre, lo attendeva con ansia.
Lo circondarono, lo coprirono con un sontuoso mantello, lo fecero montare d’urgenza a cavallo e ripartirono di gran carriera.
Il Principe confuso, non ebbe nemmeno il tempo di salutare la sua innamorata.
Tornato alla sfarzosa vita di sempre, il Principe però non riusciva a togliersi dalla mente la bella Ombretta.
Nemmeno i giochi amorosi di corte lo interessavano più.

20140324-153322.jpgManifestò dunque al padre il desiderio di prendere in moglie una fanciulla che non aveva nobili origini ma che lo aveva fin dal primo momento curato e amato teneramente.
Il Re acconsentì e da quel momento decretò che a ogni umile fanciulla, suddita del suo Reame, fosse data la possibilità di sposare un cavaliere, non solo a quelle di nobili origini, come prevedevano il rigido protocollo e le consuetudini dell’epoca.
Furono mandati paggi e servi alla modesta casa della fanciulla che la resero degna di ricevere il Principe.
Quando arrivò, trovandola finalmente vestita e agghindata come la sua bellezza meritava, Riccardo le dichiarò il suo amore e la chiese in sposa.

20140402-231143.jpgFurono annunciate dunque le nozze, i giovani si sposarono e oltre a vivere per sempre felici e contenti, in buona salute e allietati da molti figli, ad ogni anniversario pretesero che il pasticciere di Corte, debitamente istruito, preparasse per loro la Torta di pomodori verdi che li aveva fatti innamorare, di cui Ombretta aveva portato in dote alcune piantine.
E qui ci vuole una morale, vero?!
Potrebbe dunque essere: Perfino un pomodoro acerbo può diventare la chiave per superare le barriere sociali, se è accompagnato dall’amore. Se no è buono solo in insalata.

Bicchieri al cioccolato

Mi sono divertita qualche sera fa ad offrire ai miei ospiti un dessert tromp l’oeil.
Oggi servire alcuni cibi nei bicchieri è considerato molto moderno. In alcuni casi piace anche a me e quindi ho una serie di bicchieri e bicchierini proprio per questo scopo.
Quelli che ho utilizzato in questa occasione sono i tumbler Old Fashioned, quelli bassi.
Dunque l’altra sera a fine cena sono tornata dalla cucina con questo vassoio dicendo ai miei ospiti che per scusarmi di non aver fatto in tempo a preparare il dolce, offrivo loro una piantina che si sarebbero potuti portare a casa.
Si trattava invece di un delizioso dessert al cioccolato da gustare in verticale perché a strati. Il rametto di menta centrale rendeva ancora più credibile la storiella dei vasetti con terriccio e piantina.
Ehi, potrebbe perfino essere un dolce adatto a oggi che è il Primo di Aprile, se siete in vena di scherzi!

20140327-234356.jpgHo preparato nel solito modo una crema pasticcera con 4 tuorli, 50 gr di fecola di patate, 100 gr di zucchero e 1/2 litro di latte.
Una volta cotta ho unito 80 gr di cioccolato fondente a scaglie e ho mescolato per farlo sciogliere completamente. Appena si è un po’ intiepidita ho versato la mia crema al cioccolato sul fondo di 6 bicchieri e li ho messi in frigorifero, coperti di pellicola trasparente a contatto per farli raffreddare senza che si formasse quell’antipatica pellicina sulla superficie.
Ho preparato una torta al cioccolato lavorando con una spatola 150 gr di burro e 100 gr di zucchero.
Ottenuto un composto spumoso, ho aggiunto uno alla volta 3 tuorli, poi sempre mescolando 30 gr di cacao in polvere, 100 gr di cioccolato fondente fuso (si può fare a microonde o a bagnomaria) e poco alla volta 200 gr di farina setacciata con 1 bustina di lievito per dolci. Per ultimi ho unito i 3 albumi montati a neve con un pizzico di sale e ho miscelato tutto con delicatezza.
Ho versato il composto in uno stampo imburrato e infarinato e ho infornato la torta a 160 gradi per 35 minuti.
L’ho sfornata e fatta raffreddare. Ne ho tagliato tre fette (circa) e le ho sbriciolate con la forchetta ottenendo quello che avrebbe rappresentato il terriccio nei “vasetti”. L’ho messo da parte.
Al momento di servire il dessert ho versato in una ciotola mezzo vasetto di marmellata di arance e ho unito un paio di bicchierini di Grand Marnier. Ho mescolato e distribuito questa salsa nei bicchieri sopra la crema al cioccolato, ho completato con qualche cucchiaiata di briciole di torta al cioccolato.
Ho tagliato dalle vaschette sul terrazzino della cucina 6 rametti di menta, ho sciacquato i gambi, li ho infilati al centro dei bicchieri e l’illusione è stata completa.

La ricetta della torta al cioccolato è la stessa che ho utilizzato per il dolce a quadrotti che a Natale reggevano Babbo Natale e le renne e che avevo postato per la prima volta il 13 giugno con il titolo “Cioccolato mon Amour”.
In questo caso si potrebbero dimezzare le dosi perché non si utilizza tutta la torta per i nostri bicchieri al cioccolato, ma consiglio di non modificarle perché non andrà sprecata: quella che avanza è squisita anche a colazione.

I french toast

Sarà che è lunedì mattina, sarà che ieri sera ho parlato fino a tardi di cibo Americano con Giusy di Sweet Sweet Home, sarà colpa dell’ora legale, fatto sta che stamattina solo i pan cake avrebbero potuto placare la mia voglia di fare colazione con un french toast.

20140330-034847.jpgNel film Kramer contro Kramer Dustin Hoffman incontra non poche difficoltà nel preparare i French toast a suo figlio.
In realtà sono molto semplici. Ipercalorici. Squisiti.

Si miscelano 100 ml di latte, 50 ml di panna, 1 uovo, 30 gr di zucchero, 1/2 cucchiaino di cannella in polvere, 1 pizzico di noce moscata.
Si immergono in questo composto 2 fette di ciabatta croccante leggermente rafferma, ma ancora relativamente morbida e si lascia che si impregnino senza che si ammorbidiscano troppo.
Si fanno spumeggiare 40 gr di burro in una padella e si fanno imbiondire i French toast da entrambi i lati.
Si servono irrorati di sciroppo d’acero. Oppure spolverizzati di zucchero a velo.

A me piacciono molto con accanto un paio di cucchiaiate di confettura di frutta o qualche fragola e una grossa tazza di caffè Americano, ma vi concedo anche un tè, se lo preferite. L’importante è che nel piatto abbiate uno o due French toast belli caldi!
La prima volta li ho mangiati a Miami, giurerei, ma poteva essere anche Key West. O era Orlando?
Eravamo comunque in Florida, di questo sono proprio sicura, ma poco importa: conta solo che ho imparato a farli!

Polpettine (con la scorciatoia)

So già che fra poco comincerò a mettervi ansia ricordandovi quanto poco manca al 20 aprile…
L’ho fatto anche a Natale! Anzi allora mi pare di aver cominciato a gridare metaforicamente “Al lupo! Al lupo!” fin da ottobre. Ve lo ricordate?
Oggi dunque vi metto a parte di un segreto: sto riordinando le idee per il menù di Pasqua…
Quasi sicuramente il primo piatto sarà una pasta al forno, per i consueti motivi di praticità di cui abbiamo più volte parlato.
Mi piacerebbe preparare qualcosa di particolare, oltre che buono, diverso dal solito insomma.
Sto occhieggiando gli ziti, una pasta per me piuttosto inconsueta, con cui foderare uno stampo da charlotte, ma sto pensando anche ad un timballo di pasta fresca o di riso. Ancora non so dove cadrà la scelta.
Quello che so comunque è che con tutta probabilità il ripieno sarà in parte costituito, oltre che da chissà quali altri ingredienti, dalle polpettine di carne.
Ora, confezionare e friggere un sacco di piccole polpette per poi ripassarle nel sugo è un lavoraccio, diciamocelo.
Quindi vi offro un’alternativa, che essendo come sempre uno dei segreti dello chef, vi prego di tenere per voi, senza divulgarlo…

20140324-194237.jpgCapito? Le polpetttine vanno cotte al forno negli stampi da muffin, quelli piccoli.

Si prepara un impasto con 400 gr di macinato misto di manzo e suino, 100 gr di grana grattugiato, 50 gr di pane raffermo grattugiato, 1 uovo, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato, sale, pepe, 1 pizzico di noce moscata.
Si impasta tutto insieme e con le mani inumidite si formano delle palline che vanno inserite negli spazi di uno stampo multiplo per piccoli muffin o in uno di quelli di silicone per i cioccolatini. Con queste dosi ne verranno almeno una trentina.
Si infornano a 180 gradi per circa 20 minuti.
In questo modo ci si risparmia lo stress da frittura e si ottengono comunque delle polpettine eccezionali.
A questo punto si possono ripassare, una volta raffreddate e quindi belle compatte, in una salsa di pomodoro preparata con 500 ml di passata di pomodoro, 1/2 cipolla tritata, alcune foglie di basilico, una presa di sale e una puntina di zucchero, fatta restringere per una ventina di minuti, mescolando di tanto in tanto con un cucchiaio di legno, senza alcun condimento.

Ci siamo: una parte del ripieno del timballo pasquale è bella e pronta, non importa se verrà utilizzata con la pasta o col riso. Sapere che è stato comunque fatto un primo passo verso la realizzazione del primo piatto è già una bella consolazione, no?
Se al pranzo di Pasqua invece proprio non ci pensate, con la preparazione che vi ho suggerito conditeci due spaghetti, come farebbe Joe Bastianich o servite le polpettine al pomodoro come secondo piatto insieme alle patate lesse ripassate in padella, come queste qua.

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Le crostate di frutta di Evelina e Guendalina

20140322-222517.jpgDall’appassionata storia d’amore nata tra la bellissima Angelica e il romantico Rodolfo, sfociata in un matrimonio da favola di cui tutti ancora parlavano, erano nate due splendide bambine: Evelina e Guendalina.

20140322-222642.jpgLe piccole crescevano felici, in perfetta armonia con i genitori che ad ogni compleanno le festeggiavano facendo preparare lo stesso dolce che era stato servito durante il loro ricevimento di nozze.
Si trattava di una crostata alle fragole, che da quando erano nate le gemelle veniva preparata in due piccole teglie a forma di cuore, ognuna per una delle bimbe.
Si trattava di due gusci di pasta sfoglia coperti di crema pasticcera e poi riempiti di fragole fresche affettate e spennellate di gelatina al limone.

20140322-223223.jpgGli anni passarono, le bimbe divennero deliziose adolescenti e poi giovani donne che fecero battere il cuore a molti giovanotti.
Evelina accettò la corte del Conte Andrey, che viveva a San Pietroburgo, lo sposò e si trasferì con lui in Russia dove visse felice in una grande dimora, teneramente amata dal giovane Conte, che la accompagnava spesso a fare lunghe, divertenti escursioni in slitta nei dintorni del palazzo.

20140322-224101.jpgQuasi nello stesso periodo Guendalina si fidanzò invece con il giovane Marchese Jean Baptiste e dopo uno sfarzoso matrimonio si trasferì nel suo castello di famiglia alle porte di Parigi.
Con lui, che galantemente la riempiva di attenzioni e le regalava spesso dei fiori, faceva lunghe passeggiate al Bois de Boulogne, dove arrivavano in carrozza.

20140322-225321.jpgEntrambe le giovani avevano mantenuto l’abitudine di festeggiare il loro compleanno con una crostata alla frutta, anche se non erano più i dolci con le fragole di quando, bambine, vivevano con i genitori.
Andrey faceva infatti preparare per Evelina una crostata con le more.
Lo chef Igor impastava una pastafrolla con 200 gr di farina, 100 gr di zucchero, 100 di burro, 3 tuorli d’uovo e un pizzico di sale, la infornava dopo aver bucherellato il fondo e una volta cotta, la lasciava raffreddare.
Copriva tutta la superficie con della confettura di amarene e sopra accomodava uno strato di more freschissime nate nella serra del Conte e le spennellava di gelatina alla Crème de Cassis che la Contessina Evelina riceveva dalla sorella direttamente da Parigi.

20140322-233444.jpgPer Guendalina invece Jean Baptiste ordinava al suo pasticciere una crostata guarnita di delizioso ribes.
Lo chef Antoine preparava una base di pastafrolla casualmente con le stesse dosi e modalità del collega Russo e, una volta cotta, la spalmava di mascarpone montato con zucchero e Cognac, poi pazientemente la copriva di chicchi di ribes rosso ben accostati e spennellati di gelatina al miele.

20140322-235227.jpgCome a suo tempo gli adorati genitori, gli adoranti consorti avevano entrambi disposto che il dolce per il compleanno delle loro deliziose metà avesse la forma di un cuore, come segno del loro affetto infinito.

L’insalata di patate

Come affermava la signora Petrella durante quel lungo volo verso Miami, con il pollo fritto si mangia l’insalata di patate, non ci sono ma che tengano.
Quindi come anticipato e promesso ieri, vi dico come faccio un’ottima insalata di patate.
Anche se gli Americani se ne sono appropriati, l’origine dell’insalata di patate è teutonica o asburgica ed è secondo me uno dei più squisiti contorni che possano accompagnare le cotolette, i würstel o, appunto, il pollo fritto.

20140315-012051.jpgL’insalata di patate è deliziosa, cremosa, sfiziosa e sostanziosa e avendo esaurito gli aggettivi in “osa” concludo con: facile.
Come sempre ci saranno decine di modi per prepararla, quindi non farò altro che proporvi la mia versione.
Perfino la mia mamma la faceva un po’ differente dalla mia, quindi non preoccupatevi se non corrisponde alla vostra, anzi sono graditi i suggerimenti e le varianti perché di imparare non si finisce mai.

Faccio lessare 800 gr di patate con la buccia. Le pelo e le metto in una ciotola tagliate a pezzetti.
Lesso 2 uova e prelevo i tuorli.
Preparo una salsa con 80 gr di maionese, 1 cucchiaino di senape, 2-3 cucchiai di yogurt bianco intero, 1-2 cucchiai di aceto di mele, 1 bella presa di sale, pepe bianco e 1 cucchiaino di zucchero.
Dopo aver amalgamato bene questi ingredienti aggiungo 1-2 cipollotti freschi affettati sottili, i tuorli sodi sbriciolati, le patate e poco olio.
Mescolo tutto e la mia insalata di patate è pronta.
Se avete pronto anche il pollo fritto siete a posto!

La torta a sorpresa di Odette

Oggi sto per raccontarvi una fiaba e vi darò anche una ricetta che con la fiaba ha molto a che vedere.

La bella e capricciosa contessina Odette era da tempo assiduamente corteggiata da tre nobiluomini ricchi e attraenti e tutti e tre, follemente invaghiti di lei, l’avevano chiesta in sposa.
Ognuno aveva almeno una dote che li rendeva affascinanti agli occhi della giovane Odette, che non era in grado quindi di operare una scelta definitiva e concedere la sua mano ad uno solo dei tre.

20140317-205151.jpgIl premuroso Visconte Ludovico l’ascoltava con dedizione infinita quando lei lo intratteneva suonando il liuto e le suggeriva con amore le strofe delle più dolci ballate romantiche.

20140317-205618.jpgL’appassionato Barone Manfredi, agile ballerino, le insegnava pazientemente a danzare il Rigodon perché durante le feste che si tenevano nei Palazzi signorili fosse la più brava e la più ammirata.

20140317-210449.jpgIl sofisticato Marchese Nicodemo la educava a riconoscere i vini più pregiati e le parlava di poesia durante i pomeriggi in cui non era impegnata con la danza e la musica e le offriva tazze di cioccolata calda, vero status Symbol dell’epoca.
Le attenzioni dei tre uomini erano così assidue e gradite a Odette che la giovane non riusciva a sciogliere gli indugi. Decise quindi di lasciar fare al caso e fece preparare un dolce all’interno del quale ordinò di introdurre un suo anello.
Il nobiluomo che l’avesse trovato nella fetta a lui destinata, sarebbe stato il prescelto.
La torta che il Mastro Pasticcere scelse per questo scopo era costituita da un morbido ripieno trattenuto da 2 dischi di pasta sfoglia.
Fece quindi montare al suo primo aiutante 100 gr di burro con 150 gr di zucchero, poi personalmente aggiunse 2 tuorli, uno alla volta, i semi di 1 baccello di vaniglia, 1 bicchierino di Cognac, 1 pizzico di sale, la buccia grattugiata di 1 limone e 150 gr di mandorle pelate, tritate così finemente nel mortaio dal secondo aiutante da sembrare farina.
Ordinò che venissero montati a neve fermissima i 2 albumi e li incorporò con attenzione dal basso verso l’alto.
Foderò con 1 disco di pasta sfoglia, che aveva già pronto, una teglia tonda, versò il composto preparato e lasciò cadere al suo interno l’anello che gli aveva consegnato la Contessina.
Coprì con un secondo disco di sfoglia che rigò con un coltello a striscioline perché uscisse il vapore, sigillò accuratamente i bordi e spennellò tutta la superficie con una tazzina di latte.
Fece infornare il dolce con una lunga pala ad una temperatura che ai nostri giorni si aggirerebbe sui 200 gradi per 30 minuti.
Trascorso questo tempo, quando la torta ebbe preso un bel colore dorato, la fece togliere dal forno e appena si fu intiepidita la sformò e la fece portare nel salotto dove Odette attendeva intrattenendo i suoi tre spasimanti, tra i quali divise la torta.
La storia non narra chi fu a trovare l’anello, ma colui che assolutamente all’oscuro del piano della sua amata, addentò il boccone contenente il gioiello, si scheggiò irreparabilmente due denti e non volle più saperne di lei.
Offesi da questo sotterfugio anche gli altri due innamorati l’abbandonarono.
Non ci è dato di sapere cosa ne fu di lei.
Se la torta di Odette fosse fatta ai giorni nostri, avrebbe più o meno questo aspetto:

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Un dolce aspettando la Pasqua

Noi facciamo sempre le prove generali, quindi mio marito ha già comprato una colomba.
Dato che la mangia solo lui però, come succede d’inverno con pandori e panettoni, ne avanza sempre un sacco.
Quindi prima che diventi stantia, la utilizzo per un dolce che nasce sì per necessità ma pare creato apposta per qualche occasione speciale.

20140309-220504.jpgAssomiglia forse un po’ ad un dolce diplomatico, è morbido e cremoso, fa venire subito voglia di un’altra fetta e si può naturalmente prevedere di servirlo come dessert a conclusione del pranzo di Pasqua, che quest’anno cade il 20 aprile, quindi sarà bene cominciare a pensarci un po’ su, almeno di tanto in tanto.

Si prepara una crema frullando insieme 3 uova intere, 100 gr di zucchero, 300 ml di latte, 200 ml di panna e 2 bicchierini di liquore all’Amaretto.
Si tagliano a fette non troppo sottili 500 gr di colomba classica e si fa un primo strato sul fondo di uno stampo da plumcake foderato di carta forno.
Si copre con 1/3 della crema, si accomodano sopra altre fette di colomba, si versa altra crema e di ripete l’operazione un’ultima volta terminando con lo strato di crema.
Si inforna a bagnomaria a 180 gradi per 35-40 minuti.
Si sforna e si fa raffreddare.
Si passa in frigorifero e quando è completamente freddo si sforma e si affetta.

Insomma, avrete capito che è così buono che conviene acquistare una colomba in più per poterlo fare!
Si può sostituire il liquore all’Amaretto con uno all’arancia ( Cointreau o Grand Marnier) che ci sta bene uguale. Infatti se ci pensate la colomba è farcita di canditi all’arancia e miste alla granella di zucchero della copertura ci sono le mandorle, quindi scegliete secondo il vostro gusto.

Spezzatino di vitello in umido con i piselli

Come ho già detto in un’altra occasione, amo molto gli umidi, gli stufati, i brasati, quei piatti insomma che si possono mangiare con la polenta per esempio, che richiedono cotture lente e sughi profumati, che riempiono la cucina, se non tutta la casa, di aromi speziati e intensi.
Sono piatti tipicamente invernali e nonostante quest’anno non ci siano state molte giornate di freddo pungente, ma piuttosto di pioggia fastidiosissima, ho fatto finta di niente e ho cucinato sia l’ossobuco che lo spezzatino, lo stracotto e anche una fricassea di vitello.
A mio marito piace molto il tradizionale spezzatino di vitello coi piselli. E a voi?

20140130-173804.jpgCi vogliono 800 gr di polpa di vitello tagliata a cubetti di circa 3 cm di lato. A me piace la punta di petto perché resta molto morbida in cottura, ma si può optare anche per tagli più magri.
Si infarinano i pezzetti di carne e si scuote via la farina in eccesso, poi si rosolano in una casseruola con olio e burro.
Si aggiunge un trito composto da 2-3 scalogni e 2 costole di sedano, gli aghi di 1 rametto di rosmarino tritati e anche 1 foglia di alloro, 2 chiodi di garofano, 2 bacche di ginepro, 1 spicchio d’aglio intero e 1 pezzetto di buccia di limone.
Si aspetta che la carne si insaporisca, poi si sfuma con 1/2 bicchiere di vino bianco.
Quando è evaporato si aggiungono 2 mestoli di brodo e 1 tazza di salsa di pomodoro, si aggiusta di sale e pepe, si unisce 1/2 cucchiaino di zucchero e si prosegue la cottura per un’ora e mezza circa.
Si recuperano lo spicchio d’aglio, la buccia di limone e la foglia di alloro, magari anche i chiodi di garofano e le bacche di ginepro se ce la fate e si uniscono 400 gr di piselli sgranati.
Si sala appena e si mescola di tanto in tanto delicatamente. Si cuoce per altri 20-25 minuti circa, finché i piselli diventano teneri.
Si cosparge di prezzemolo tritato e si serve caldissimo.

Lo spezzatino di vitello coi piselli, nonostante la premessa, noi in genere non lo mangiamo con la polenta, ma con fette di ciabatta croccante.
Ci piacciono queste consistenze diverse che creano una sensazione gradevole e gradita al palato.
E poi la scarpetta viene da sogno!