Risotto al gorgonzola e Recioto Bianco di Soave

Mi è capitato a volte di assaggiare insoliti e gradevolissimi abbinamenti, soprattutto in occasione di un banchetto, un simposio o un convivio, intendo un matrimonio, un’inaugurazione, una cena di gala, occasioni di questo tipo insomma.
Spesso prendo da queste situazioni eleganti, sofisticate e in fondo a volte anche snob, l’idea per qualche proposta da fare a casa e stupire un po’ i commensali.
Avevo assaggiato un eccellente risotto al Sauternes che con la sua dolcezza mitigava e rendeva morbido il sapore intenso del gorgonzola usato nella ricetta e l’ho trovato straordinario.
In genere servo un piccolo calice di questo profumatissimo vino muffato di grande pregio a fine pasto con le Pere al Roquefort o con una selezione di formaggi di capra, ma non avevo mai previsto il suo utilizzo in cucina.
Naturalmente ho voluto provare anche il risotto, ma con un’altrettanto profumata variante di provinciale campanilismo e con un risultato che mi sento di consigliare perché è fantastico.

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Si trita una piccola cipolla e si fa imbiondire dolcemente con 1 cucchiaio di olio.
Si aggiunge una tazza di riso e si fa tostare, si sfuma con 1 bicchiere di Recioto Bianco di Soave, si mescola il riso finché non è evaporato, poi si aggiungono 2 tazze di brodo vegetale e senza più mescolare si porta a cottura.
Quando il brodo è completamente assorbito, fuori dal fuoco si aggiungono 120 gr di gorgonzola naturale spezzettato, 1 pezzetto di burro, una macinata di pepe bianco e 2 cucchiai di parmigiano grattugiato.
Si mescola con cura e si serve completandolo con qualche stelo di erba cipollina.

Campanile per campanile, anziché il Recioto bianco di Soave, si può usare anche il Passito di Pantelleria, lo Zibibbo Calabrese, l’Albana di Romagna, il Vin Santo Toscano, l’Aleatico Laziale o perfino un eccellente Moscato d’Asti.
Ah, e naturalmente il Sauternes.

Créme Caramel all’ananas

Quella che chiamiamo abitualmente crème caramel, è una crema compatta e setosa a base di latte e uova di origine non francese ma portoghese, con uno strato di caramello liquido in superficie, a differenza della crème brûlée, che è invece una crema dove il caramello in superficie è uno strato duro ottenuto col cannello caramellizzatore o sotto il grill.
Sono entrambe creme che andavano molto più di moda negli anni Settanta che non ultimamente, ma un po’ che sono una sentimentale, un po’ che continuano a piacermi, non ho mai smesso di farle.
Per variare la solita ricetta della crème caramel, ho aggiunto questa volta l’ananas e dato che il risultato è stato molto apprezzato, desidero condividere la ricetta, semplice ma molto golosa.

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Ho preparato la crema facendo sobbollire dolcemente per qualche minuto 1/2 litro di latte con una bacca di vaniglia intera.
Ho spento il fuoco e lasciato la vaniglia in infusione circa mezz’ora.
Intanto ho sbattuto 4 uova con 100 gr di zucchero, ho eliminato la vaniglia e aggiunto il latte al composto di uova.
Ho mescolato per amalgamare bene gli ingredienti e sono passata alla preparazione del caramello.
Per questa versione della créme caramel all’ananas io ho utilizzato quello sciroppato in scatola e per preparare il caramello ho usato 150 gr di zucchero e 2 cucchiai del suo sciroppo.
Ho fatto fondere lo zucchero a fuoco molto dolce, finché il caramello non ha assunto il suo caratteristico colore ambrato e l’ho distribuito sul fondo di 6 stampini.
Ho rifilato leggermente con un coppapasta tagliente 6 fette di ananas per avere l’esatta dimensione, le ho fatte caramellare in padella con 1 bicchierino di rum e ne ho appoggiata una sul fondo di ogni stampino, sopra il caramello.
Ho distribuito il composto di uova e latte, appoggiato gli stampini in una teglia da forno e ho versato tanta acqua bollente da coprire metà dell’altezza degli stampini.
Ho infornato a 160 gradi per 45-50 minuti. Li ho poi lasciati raffreddare a temperatura ambiente.
Li ho passati infine in frigorifero e ho lasciato rassodare la créme caramel per 4-6 ore.
Ho capovolto gli stampini nelle coppette da macedonia e le ho servite.

Io preferisco non servirmi dei piattini da dessert perché in preparazioni come questa, dalle coppette si può prelevare il caramello col cucchiaino con più facilità.
Ho scelto l’ananas in scatola perché è più morbido e anche più facile da caramellare.

Sandwich a scacchiera

Oggi è domenica: niente ricette ma solo il mini-racconto della nostra cena di ieri.
Ormai sta diventando un po’ un’abitudine in casa nostra quella di chiudere la settimana con un sandwich.
È divertente e poco impegnativo. E si può gustare anche seguendo in TV gli anticipi del campionato di calcio.
Si possono scegliere tutti gli ingredienti che ci piacciono e variare ogni volta.
Volendo stare veramente sul semplice, ieri sera ho imburrato una fetta di pane da toast integrale e una di farina bianca, le ho coperte di emmental tagliato sottile, ho aggiunto del pomodoro e un paio di fette di prosciutto cotto. Ho spalmato della maionese su altre due fette di pane, una bianca e una integrale e chiuso i sandwich.
E siccome, come dicevo, mi volevo divertire, li ho tagliati in 9 cubetti e li ho ricomposti alternando il colore del pane.

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Abbiamo completato la cena con un dessert niente male. Domani vi racconto.

Il mio contributo alla campagna di solidarietà #SaveRummo: un pacco di spaghetti e una ricetta semplice

Ho aderito alla mobilitazione per salvare il pastificio Rummo di Benevento, devastato dall’alluvione nella notte tra il 14 e il 15 ottobre, acquistando qualche pacco di pasta.
Più che una ricetta, questo vuole essere niente più che un gesto di solidarietà nei confronti di un’Azienda che ha sofferto drasticamente per l’alluvione che ha colpito nelle scorse settimane il beneventano e le cui conseguenze ancora impensieriscono, impressionano e coinvolgono.
La solidarietà si esprime in questo caso acquistando uno o più pacchi di pasta Rummo, che a Verona ho trovato da Eat’s, il Food Market che propone solo prodotti d’eccellenza, al n.6 di Via Mazzini, in pieno centro storico.

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Gli Spaghetti Grossi n.5 del Pastificio Rummo sono perfetti per un piatto di semplice pasta aglio, olio e peperoncino perché i prodotti dei maestri pastai di questa azienda ora in ginocchio non hanno bisogno di sughi elaborati per essere apprezzati.

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Si fanno scaldare in olio extravergine, alcuni spicchi d’aglio sbucciati, tagliati a metà e privati del germoglio. Prima che imbiondiscano si aggiunge abbondante peperoncino e un pizzico di sale.
Si versano nella stessa padella gli spaghetti lessati al dente e si fanno saltare brevemente perché si insaporiscano.
Unica variante alla ricetta tradizionale: io aggiungo della rucola, che dona al piatto un aroma fresco e pungente.

Credo che acquistando qualche pacco di pasta Rummo, potremo dare un piccolo aiuto a chi è in gravissima difficoltà, senza porci troppe domande, come a suo tempo abbiamo fatto comprando il Parmigiano delle Aziende colpite dal terremoto dell’Emilia del 2012.

L’eleganza del cotechino

Pare impossibile, ma è già tempo di cotechino. Fino a pochi giorni fa portavo in tavola piatti freddi e insalate e improvvisamente mi sono messa a cucinare zuppe e ricchi piatti caldi che confortano e rallegrano.
In attesa che venga accesa la caldaia condominiale, mentre fa più freddo in casa che fuori e il bucato stenta ad asciugare, penso più spesso di quanto abbia mai fatto ad accendere il forno per qualche dolcetto e soprattutto rispolvero le ricette adatte ai primi freddi.
Avevo comprato un cotechino a Negrar, da Caprini*, e dato che avevo voglia di giocare, l’ho voluto servire a cubi con tre diversi contorni.

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Ho lessato il cotechino, l’ho spellato e fatto raffreddare.
Ho preparato intanto un purè con 1/2 kg di patate farinose lessate, pelate mentre erano ancora calde, passate allo schiacciapatate e messe in una casseruola.
Le ho fatte asciugare per qualche minuto sempre mescolando, poi ho aggiunto 50 gr di burro, 1/2 cucchiaino di sale e, senza smettere di mescolare, 100 ml di latte caldo.
Il purè di patate è pronto quando diventa soffice e spumoso. L’ho tenuto al caldo col coperchio.
Ho ripassato in padella, con 30 gr di burro, una “palla” di spinaci già lessati in precedenza e strizzati, dopo averli tagliati grossolanamente.
Li ho salati, pepati e fatti asciugare del tutto, ho aggiunto 2 cucchiai di panna da cucina, un’abbondante grattugiata di parmigiano, mescolato e incoperchiato.
Ho fatto appassire 1/2 cipolla con 2 foglie di salvia e 2 cucchiai di olio, ho aggiunto l’equivalente di un mestolo di fagioli borlotti tolti dal freezer, coperti a filo di brodo vegetale, salati e pepati e fatti cuocere a lungo, finché non si sono quasi disfatti e tutto il liquido è stato assorbito.
Ho composto i piatti tagliando il cotechino a fette spesse come la sua circonferenza e poi rifilandole per farle diventare, anziché dei cilindri, dei bei cubi il più possibile regolari.
Accanto ho sistemato una cucchiaiata di fagioli, una di purè e una forchettata di spinaci.
Ho scaldato un attimo i piatti a microonde e abbiamo cenato pensando che poteva essere una prova generale per una delle portate di Natale.

*La macelleria/salumeria Caprini si trova da generazioni a Negrar, nel cuore della Valpolicella, patria dell’Amarone. I suoi insaccati non hanno rivali e in particolare la soppressa è da sempre pluripremiata in tutte le manifestazioni e le fiere della zona, come il Palio del Recioto. È da provare anche la porchetta preparata artigianalmente secondo un’antica ricetta di famiglia.
Ho voluto citarlo per amore della precisione… della soppressa e del cotechino.

Lonza arrosto con bacon e mele

Non ditemi che non eravate preparati: sta per cominciare la stagione degli arrosti.
Questo è infatti il periodo perfetto per iniziare a cucinare qualcuna di quelle ricette sontuose e succulente che potranno essere replicate per i pranzi e le cene del periodo in cui si sta volentieri in casa a preparare e a gustare piatti particolarmente ricercati e gustosi.
E questo arrosto sembra davvero piuttosto elaborato, anche se in realtà l’unica difficoltà potrebbe essere preparare la “stuoia” di bacon che avvolge la carne.
Osservare le fotografie comunque, aiuta senz’altro a superare l’ostacolo.

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Si fanno soffriggere in olio e burro un paio di scalogni tritati e uno spicchio d’aglio intero.
Si accomoda nel tegame circa 1 kg di lonza di maiale in un solo pezzo e si fa dorare da tutti i lati.
Si insaporisce con sale, pepe, una grattugiata di noce moscata e si aggiungono 2 chiodi di garofano, 3-4 bacche di ginepro, una stecca di cannella (o 1/2 cucchiaino di cannella in polvere), una foglia di alloro e 1 rametto di salvia.
Si sfuma con 1 bicchiere di vino bianco, si aggiunge 1 mestolino di brodo e si porta a cottura, col coperchio, rigirando la carne e aggiungendo altro brodo se necessario.
Finché l’arista cuoce conviene procedere alla preparazione dell’intreccio di circa 200 gr di fettine di bacon appoggiandole su un foglio di carta forno, che se non si è già abituati a farlo con le strisce di pasta sulle crostate, porta via un po’ di tempo.

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Quando si è ottenuto un rettangolo di misura adeguata a coprire l’arista, si tiene da parte.
Quando l’arista è morbida e quindi cotta (ci vorrà circa 1 ora e 1/2) si toglie dal tegame e si appoggia su una teglia da forno.
Si copre con la “stuoia” di bacon: il calore della carne aiuterà a farla aderire.
Intorno si accomodano alcune mele Golden delicious lavate, tagliate a quarti, private del torsolo ma non sbucciate.
Si spennella tutto con il fondo di cottura filtrato e si inforna a 200 gradi sotto il grill finché il bacon non risulta dorato e le mele morbide ma non sfatte.
Si serve con patate al forno e il sugo dell’arrosto a parte, in salsiera.

È un arrosto davvero di grande effetto anche se, come ho prima anticipato e poi dimostrato, è di facilissima esecuzione.
A me l’abbinamento classico delle mele con il maiale piace molto, ma chi non ama aggiungere la frutta alla carne, può ometterle.

Cosa c’è di nuovo? Le Code di gambero impanate!

Sto soffrendo un po’ di nostalgia per quei viaggi che negli ultimi trent’anni abbiamo fatto così spesso in America.
Dato che al momento non mi è possibile riprendere quella bella abitudine di super-vacanze oltre Oceano, ripesco nella memoria, negli album di fotografie e nelle raccolte di souvenir e memorabilia frammenti di ricordi che mi facciano rivivere situazioni e sapori unici e piacevoli.
Ho già detto spesso che negli Stati Uniti si mangia benissimo, come confermo in ognuno dei 16 capitoli del mio libro U.S.A. e Jet, basta uscire dagli stereotipi.

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Questo è un esempio di “combo”: un piatto unico ricco e composito che si può ordinare in molti ristoranti negli Stati Uniti. Si tratta di un controfiletto accompagnato da verdure miste e code di gambero impanate e fritte, come se fossero mini cotolette, accompagnate da una salsina agrodolce in cui intingerle.
Come ho già avuto occasione di dire, a parte vengono serviti riso o patate oppure una fetta di pane all’aglio.
Sempre nella stessa catena di Ristoranti si può anche ordinare il combo di aragosta e filetto, a prezzi più che ragionevoli considerato che è veramente un grande piatto, preparato con ingredienti pregiati e di qualità.

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Chi pensava di andare in America dovendosi nutrire solo di hamburger e hot dog, si dovrà ricredere.
Di questi piatti eccezionali ci siamo innamorati la prima volta che siamo andati in Florida, durante il nostro terzo viaggio in U.S.A. perché le prime due volte abbiamo sempre mangiato in modo più tranquillo e formale: o carne, o pesce, o insalate.
Una volta scoperto il mondo dei combo però è stato tutto un altro modo di viaggiare!
Il mio ingrediente preferito di questo piatto sono quei gamberi che non sono fritti in pastella o infarinati, ma passati nell’uovo e nel pangrattato dopo essere stati aperti sul dorso. Dopo vi spiego.
Questo è il risultato che ottengo facendoli a casa. Lo so, non sono proprio uguali, ma temo sia il massimo a cui posso aspirare.

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Per fare le “cotolette” di gamberi, occorrono delle belle code di gambero grosse e polpose. Si sgusciano lasciando le codine e, come si fa a volte per devenarle, con un coltellino affilato si incide il dorso tagliandole però quasi del tutto.
Si elimina il filo intestinale e si appiattiscono aperte premendole leggermente in un piatto in cui è stata versata della farina.
Si scuotono delicatamente tenendole per la coda per eliminarne l’eccesso, si passano nell’uovo sbattuto e poi nel pane grattugiato fine o meglio nei grissini frullati.
A questo punto per friggerle l’ideale sarebbe uno di quei tegami col cestello, ma l’importante è comunque l’olio profondo (di arachidi).
Appena sono dorate si recuperano con la schiumarola, si appoggiano sulla carta da cucina, si salano e si servono con una salsa a piacere per intingerli.

Chi fosse scettico su quello che ho affermato circa il costo di un piatto comprendente coda di aragosta e controfiletto ai ferri, controlli pure la locandina pubblicitaria del locale:

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Ah, il prezzo del piatto comprende anche la possibilità di servirsi al ricchissimo buffet caldo e freddo.

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E voi volevate farvi un hot dog?! Leggete il mio libro prima di partire o vi perderete metà del divertimento.

Risotto ai funghi porcini con tartufo su cialde di parmigiano

Dell’autunno, una delle tante cose che amo oltre ai suoi colori, sono i doni che la terra ci offre con generosità.
Questa è la stagione dei funghi più pregiati, dei tartufi più prelibati, delle zucche più polpose.
Con queste meraviglie cucino piatti classici e saporiti, come i risotti, che le esaltano e fanno felici chi li assaggia.
Arricchisco per esempio il tradizionale “riso co’ la suca” delle nostre parti con le capesante, ma questa ricetta la posterò uno dei prossimi giorni.
Oggi parliamo del risotto con i porcini, che è quanto di più semplice si possa cucinare, ma l’aggiunta di qualche preziosa lamella di tartufo lo rende sofisticato e il contenitore da appoggiare sul piatto, a base di parmigiano grattugiato ne fa un piatto di grande eleganza.

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Si parte mondando e affettando circa 200 gr di porcini piccoli e profumati.
Si fa rosolare con olio e burro uno scalogno tritato con 1 spicchio d’aglio grattugiato e 1 cucchiaio di prezzemolo tritato.
Si aggiungono i funghi a fettine e si fanno saltare a fuoco vivace senza farli cuocere troppo a lungo. Si insaporiscono con sale e pepe e si tengono da parte.
Si portano a bollore 2 tazze di brodo leggero (di pollo o vegetale), si versa una tazza di riso, si scuote il tegame, si copre con il coperchio lasciando una piccola apertura, che mia nonna chiamava “sbacèto” cioè spiraglio e si porta a cottura senza mai mescolare.
Nel frattempo si preparano le cialde di parmigiano facendo fondere in una padella antiaderente, più o meno della stessa misura del piatto fondo, 3-4 cucchiaiate di formaggio parmigiano distribuito su tutta la superficie in maniera omogenea.
Quando è completamente fuso si trasferisce con una spatola (e molto garbo) su un piatto fondo capovolto facendogli prendere la forma di una conca.
Si ripete l’operazione per altre tre volte.
Questa è una preparazione che ho visto anche in molti altri blog e che personalmente non avevo mai sperimentato con un elemento caldo, come il risotto o una vellutata al suo interno. Temevo che il calore del contenuto la fondesse in fretta, invece regge.
Nel frattempo il riso è pronto. Si spegne il fuoco, si manteca con burro e parmigiano e si condisce con i porcini.
Si spolverizza di prezzemolo tritato, si suddivide nei contenitori di parmigiano sistemati sui piatti (raddrizzati!) e si completa con il tartufo affettato con l’apposito attrezzo.
Si serve immediatamente perché, anche se non velocemente come temevo io, il calore del risotto tende a fondere la cialda di parmigiano.

Il titolo è lungo e pomposo, lo so, ma volevo che si capisse a prima vista di cosa tratta la ricetta, anche se fa pensare a un piatto servito a casa della Contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare… con buona pace di Fantozzi.

Curry di pollo con anacardi

Di tanto in tanto, ma davvero molto raramente, mi azzardo ad entrare nel mondo della cucina etnica, pratica del tutto disdicevole secondo mio marito, che ha gusti molto filo-europei.
L’occasione è la visita di uno dei figli per esempio, che mi consente di preparare e gustarmi una porzione di profumato, ricco, cremoso e pungente pollo al curry, visto che solo per me non lo faccio di certo.
Nonostante, come dicevo, sia un piatto che cucino raramente, mi piace comunque variarlo sempre un po’, soprattutto per divertirmi.
L’ultima volta, come innovazione, l’ho arricchito con gli anacardi e la consistenza croccante della frutta secca è stata una carta vincente.

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Metto in tegame un po’ d’olio e 1 bella cipolla bianca tritata, la faccio leggermente imbiondire, unisco 1 petto di pollo a cubetti e lo faccio rosolare.
Aggiungo 1 foglia di alloro, 1 manciata di uva sultanina fatta rinvenire in acqua tiepida e poi strizzata, una manciata di anacardi, 1 cucchiaio di curry forte in polvere sciolto in una tazza di brodo vegetale, sale, pepe, 2 chiodi di garofano e del prezzemolo tritato.
Dopo qualche minuto aggiungo 1 confezione di panna da cucina e porto a cottura. Ci vorranno 20 minuti circa, se i bocconcini di petto di pollo sono piuttosto piccoli. Mescolo delicatamente di tanto in tanto.
Se nel frattempo la salsa si è addensata troppo, unisco del latte.
Quando il piatto è pronto lo servo su un letto di rucola.

Questo delizioso piatto vagamente esotico si può servire con un riso pilaf cotto in brodo vegetale arricchito con qualche spezia, come il cardamomo, la cannella, i chiodi di garofano e l’anice stellato, oppure appoggiato su una focaccia di pane azzimo.

San Francisco

Una delle tante celebri frasi di Tom Hanks nei panni di Forrest Gump è: Una promessa è una promessa.
Giusto.
Nel post https://silvarigobello.com/2015/10/09/i-gamberi-di-forrest-gump/ avevo promesso che avrei parlato più approfonditamente delle esperienze maturate visitando per tre volte, nel corso di circa dieci anni, San Francisco.
Ecco un riassunto di quello che ci si può aspettare da questa magica città sulla costa del Pacifico.

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Questa è la più classica delle foto che chiunque sia stato a San Francisco ha sicuramente scattato da Alamo Square.
Ci sono in primo piano le inconfondibili Painted Ladies vittoriane e sullo sfondo lo skyline del Downtown.
San Francisco è una città straordinaria, dove gli uomini sono galanti forse più per necessità che per indole.
In alcune strade della città infatti, una volta parcheggiato, non mancano mai di aprire la portiera alla signora che ha viaggiato con loro sul sedile del passeggero…

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Il perché è intuibile dalla foto: per aprirsi da sola la portiera del passeggero di un’auto parcheggiata a pettine, una signora dovrebbe possedere una forza erculea oppure aiutarsi facendo leva coi piedi, soprattutto in Lombard Street, che è la strada più ripida del mondo.

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Chi parcheggia contro il marciapiede in una delle tante strade in discesa, ha l’obbligo di girare le ruote verso il cordolo o verrà multato. E anche in questo caso è evidente come la pendenza sia un vero rischio per la sicurezza delle auto in sosta.

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San Francisco, come Boston è una delle rare grandi città americane che si potrebbero girare senza aver noleggiato un’auto. Anche Manhattan, in realtà, ma solo perché il traffico cittadino impedisce una circolazione ragionevolmente veloce.

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A San Francisco invece i mezzi di trasporto pubblici sono comodi, pratici e soprattutto nel caso dei Cable Cars, anche divertenti, storici e panoramici.
Viaggiare anche se per brevi tratti all’interno (o perfino all’esterno) di un tram, dona insolite emozioni: la malinconica vista di Alcatraz, l’attraversamento della magnifica Chinatown e l’arrivo al Fisherman’s Wharf, dove la cosa più caratteristica sono le centinaia di leoni marini che stazionano sulle zattere ormeggiate al Pier 39.

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L’auto è comunque indispensabile per attraversare il Golden Gate Bridge e godere della vista di tutta la Baia di San Francisco prima di tornare in città.

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Con tutto questo girare vi sarà venuta sicuramente fame, dunque propongo un pranzo decisamente stile San Francisco, che può essere una porzione di straordinari Dungeness Crab, i granchi autoctoni della Bay Area, da acquistare a una delle bancarelle del Fisherman’s Wharf e gustare su una panchina guardando la baia. Sono bolliti e vengono venduti completi di una ciotolina di burro fuso aromatizzato.

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Io ci aggiungerei anche una Clam Cowder calda magari servita in un panino: è un’esperienza indimenticabile, soprattutto perché a San Francisco fa sempre freddo ad esclusione dei pochi giorni dell’Estate Indiana, che sarebbe un po’ l’equivalente della nostra Estate di San Martino.

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Cosa manca per completare un primo assaggio di San Francisco? Fare shopping a Union Square, da Macy’s e da Saks, che hanno sempre un irresistibile angolo delle occasioni in ogni stagione.
La vista più bella della piazza è quella che si gode dalla terrazza dei ristorante The Cheesecake Factory, che consiglio vivamente.

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Non si può evitare la visita al Golden Gate Park, il parco cittadino più esteso del mondo, ricco di piante, fiori, animali, serre e padiglioni bellissimi, dove ci si può ossigenare e rilassare.

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Un’ultima tappa a Ghirardelli Square, l’antica fabbrica del cioccolato convertita in centro commerciale e si può affermare di aver visto quasi tutto di San Francisco.

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Se volete fare i turisti fino in fondo, che è una cosa estremamente piacevole, a cena andate a rimpinzarvi di gamberi al Bubba Gump Shrimp Co. sul molo, con una splendida vista e un servizio assolutamente informale.

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I richiami a Forrest Gump, anche se ormai datati, sono un po’ in tutto il locale, ma mentre qui li avrei considerati assolutamente kitsch, là mi hanno divertito da morire, tanto da indurmi a rubare la ricetta dei gamberi fritti che vi ho proposto nel post citato prima.

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Mi pare che questo post riesca a dare un’idea di come si presenta San Francisco ai turisti, per saperne qualcosa di più non vi resta che acquistare il mio libro “U.S.A. & Jet Ovvero come sopravvivere ai viaggi fai da te in America” su Amazon o ordinandolo in una Libreria Feltrinelli, come vi è più comodo.