Il dessert per il pranzo di Pasqua

Mi metto nei vostri panni, perché un po’ sono anche i miei.
Chi si occuperà personalmente dell’antipasto, del primo, del secondo e dei contorni del pranzo di Pasqua, arrivato al momento di riflettere sul dessert magari ripiegherà sulla classica, tradizionale colomba.
Perché no? Certo che si può fare!
Vi do solo una piccola idea per presentarla nel solito modo un po’ chic che ci piace tanto. Senza stress, senza troppo lavoro, senza fatica.

20140309-230901.jpg
Si taglia la colomba a fette spesse, si spruzzano di rum oppure di Cognac, si spolverizzano di cannella in polvere e si passano due minuti in forno a 200 gradi.
Si accomodano su un bel piatto da portata e si decorano con alcuni rametti di ribes.

Consiglio di portare in tavola il piatto con una certa aria compiaciuta, come se la sua preparazione avesse richiesto chissà che impegno e questo vi rendesse molto orgogliose.
Ci cascano sempre tutti. Fidatevi, ho già fatto le prove generali.
Comunque chi si sentisse in colpa per non aver faticato nella preparazione del dessert e volesse proprio fare un piccolo sforzo, potrebbe preparare uno zabaione e servirlo a parte in salsiera, come suggerisce mio marito.
E i consigli di mio marito in fatto di dolci è meglio seguirli.

Le uova scozzesi (o uova alla scozzese)

L’uovo è il simbolo della Pasqua, il simbolo del rinnovamento, della rinascita… e anche del pic nic di Pasquetta…
Abbiamo già discusso e stabilito che non tutti fanno la “gita fuori porta” il Lunedì dell’Angelo.
Poco importa. Per me è per esempio più che altro un modo di cucinare e consumare qualcosa che assomiglia più ad un buffet che a un pranzo.
Lo trovo divertente, simpatico, conviviale e nel mio menù non mancano mai le uova, come vuole la tradizione.
Quelle che preparo sempre sono le uova sode ripiene di tonno, che nella mia famiglia si fanno da secoli e non è un modo di dire!
Io aggiungo solo qualche moderno tocco creativo per abbellirle.
Quest’anno magari faccio anche le uova Scozzesi, tanto per cambiare.
Assomigliano un po’ alle “bombe” che faceva la mamma della mia amica Pesarese Rosella, che ricordo anche nel Capitolo Rossetti e Rossini del mio libro.
Si trattava di uova sode avvolte in fettine di vitello sottili come per il carpaccio, nappate con un composto di pangrattato, parmigiano, aglio, prezzemolo e una punta di concentrato di pomodoro, passate nell’uovo e nel pangrattato e poi fritte nello strutto.
Una vera bomba, senza discussioni. Mi sa che saranno almeno trent’anni che non le faccio.
Le uova Scozzesi sono molto più semplici, ma danno almeno altrettanta soddisfazione.

20140417-191744.jpgIo mi regolo così: faccio bollire per 6 minuti le uova, le tuffo in acqua fredda e le sguscio.
Per ogni uovo spello 1 salsiccia (di circa 100 gr), la lavoro tra i palmi delle mani aggiungendo una grattatina di noce moscata e alcune foglioline tritate di maggiorana e timo, ne faccio una palla e la stendo con il mattarello fra due strati di pellicola ottenendo un disco piatto e sottile.
Tolgo lo strato superiore, al centro appoggio l’uovo e aiutandomi con lo strato inferiore avvolgo completamente l’uovo nella carne della salsiccia. Sigillo la pellicola, preparo un altro uovo e avanti così finché non ne ho un numero sufficiente.
Le ripongo in frigorifero per almeno mezz’ora.
Quando è il momento tolgo la pellicola, con la punta delle dita compatto la salsiccia attorno ad ogni uovo, lo passo nella farina, nell’uovo sbattuto, nel pangrattato fine e ne friggo due o tre alla volta in olio di oliva.
Le scolo delicatamente con il ragno e le appoggio sulla carta da cucina.
Per mettersi a posto la coscienza, anziché friggerle, si possono cuocere le uova Scozzesi in forno a 200 gradi per 15-20 minuti, ma si snatura un po’ la ricetta.

Per il Lunedì dell’Angelo va bene così. Il pasto è volutamente rustico e informale.
Se invece si pensasse ad un buffet più ricercato, si potrebbero preparare con lo stesso procedimento le uova di quaglia, utilizzando circa 1/3 di salsiccia per ognuno.
Sarebbero dei perfetti finger food.

Insolito e spettacolare: l’aspic di filetto

Se Pasqua fosse quest’anno all’insegna del tempo bello e delle temperature tiepide che ci aspettiamo (ci auguriamo e ci meritiamo) si potrà servire come secondo un piatto freddo.
E se non si volesse risolvere con il vitello tonnato, per esempio, si potrebbe prendere in considerazione questo Aspic di filetto, la cui preparazione è complessa e abbastanza complicata, ma si può realizzare con un certo anticipo e a fasi successive, senza sfiancarsi quindi in un’unica giornata e con un risultato incredibile.
È un piatto fatto per stupire e per farsi ricordare.

20140307-144814.jpg
Per prima cosa, due giorni prima di quando si intende servire l’aspic, si prepara una versione semplice del paté facendo scottare 200 gr di fegato di maiale a pezzettini con 30 gr di burro e qualche foglia di salvia.
Si aggiusta di sale e si frulla con 100 gr di lardo a cubetti, 200 gr di polpa di maiale macinata, 1 spicchio d’aglio, 1 bicchierino di Recioto Bianco di Soave (o di Sauternes o di Vin Santo), 2 cucchiai di Cognac, 1 tartufo grattugiato (oppure 1 cucchiaino di pasta di tartufo), sale e pepe.
Ottenuto un impasto omogeneo, lo si compatta in una terrina e si inforna a 180 gradi per circa 1 ora e mezza.
Una volta raffreddato si ripone in frigorifero.
Il secondo passaggio è la cottura del filetto.
Si prepara una miscela riducendo a crema uno spicchio d’aglio e aggiungendo 1/2 cucchiaino di zenzero in polvere, sale e una macinata di pepe.
Si unge d’olio tutta la superficie di un filetto intero di vitello (o di maiale) di circa 8-900 gr e si sfrega con la miscela facendola aderire bene.
Si inforna a 200 gradi per circa 40 minuti e una volta cotto si fa raffreddare e si conserva in frigorifero.
Un giorno prima di servirlo, si assembla l’aspic.
Si scaldano 750 ml di brodo leggero e si sciolgono 12 fogli di gelatina ammollati in acqua fredda, si aggiunge 1 altro bicchierino di vino Recioto bianco e si lascia intiepidire appena.
Se ne versa 1 cm sul fondo di uno stampo che possa contenere comodamente il filetto e si mette a rassodare in frigorifero per una mezz’oretta. Sopra si spalma con attenzione circa 1/3 di paté.
Al centro si appoggia il filetto e si riveste con il resto del paté distribuendolo sopra e sui lati.
Occorre lasciare 1-2 cm di spazio dai bordi delle stampo. Questo spazio andrà riempito con il resto della gelatina che coprirà interamente anche tutto il paté.
La preparazione è completata. Basta coprire lo stampo con la pellicola e metterlo in frigorifero fino al giorno successivo.
Al momento di servire, è sufficiente immergere lo stampo per un attimo in acqua calda e poi capovolgerlo sul piatto da portata.

Qualcuno forse potrà farsi intimorire da questo piatto indubbiamente complesso e con molti passaggi, ma ricordate che è un piatto freddo, quindi si può preparare in anticipo e a fasi successive.
Io devo dire invece che questo tipo di preparazioni così articolate mi spingono a provare e costituiscono una grande soddisfazione, ma io ho molto tempo, una grande passione e in fondo anche una certa abilità maturata negli anni.
Ma se questo piatto vi incuriosisce e vi stimola la fantasia, seguite tutti i miei passaggi e i vostri sforzi saranno ripagati da un risultato formidabile.
E volendo c’è tutto il tempo per prepararlo per Pasqua: mancano ancora tre giorni!

Aspettando il pranzo di Pasqua

Un amuse bouche facile e veloce, carino, fresco e appagante per far pazientare gli ospiti in attesa che il pranzo sia in tavola.

20140408-010015.jpgOccorrono solo 6 fette di pancarrè ai 7 cereali, quello scuro e profumato e 6 di pancarrè bianco, 12 pomodorini ciliegino, un rametto di prezzemolo, qualche cucchiaiata di salsa tapenade e della salsa di tonno.

Si privano tutte le fette di pane della crosta e si dà loro una forma quadrata e regolare.
Si spalmano abbondantemente 3 fette di quello bianco con uno strato di salsa di tonno, sopra si appoggiano le 3 fette di pane nero e si distribuisce una cucchiaiata di tapenade, altre 3 fette di pane bianco, un altro strato di salsa di tonno e si copre con le ultime 3 fette di pane ai cereali.
Si tagliano in 4 i tre “sandwich” e si infilza ogni piccola porzione con un pomodorino abbellito da una fogliolina di prezzemolo infilato in uno stecchino.

Naturalmente le dosi dipendono da quanti sono gli ospiti e quelle che ho suggerito vanno eventualmente raddoppiate o triplicate.
Ho trovato comodo spiegare il procedimento con queste proporzioni perché con 3 sandwich si ottengono 12 bocconcini e mi parevano un buon inizio. Eventualmente moltiplicate.
Vi do la ricetta della tapenade. Va bene?
Frullo 100 gr di tonno con 50 gr di filetti di acciughe, 50 gr di olive nere, 1 cucchiaino di capperi sott’aceto strizzati, una puntina di aglio, 1 cucchiaio di succo di limone e 1 di olio.
Tutto qua, ma ha un gusto così Provenzale!
Ah, la salsa di tonno la sapete fare, no?
No?! Allora vi do la versione semplice: si lessano 2 uova, si prelevano i tuorli, si schiacciano con la forchetta, si aggiungono 1 cucchiaio di maionese, 50 gr di tonno, 1/2 cm di pasta d’acciughe e si mescola bene.
Anche questa potrebbe passare per una salsa Provenzale, se solo ci fosse una punta di aglio!

Terrina “fumè”

Questa volta li ho comprati apposta, non come a novembre quando vi raccontavo di un acquisto fatto d’impulso al Supermercato che mi ha obbligata poi ad inventarmi una Carbonara del venerdì, un’Insalata compulsiva e un Antipasto di frutta tropicale per consumare prima della scadenza storione, salmone e pesce spada affumicati comprati avventatamente.
L’altro giorno sono finiti nel carrello del Supermercato invece proprio perché sapevo di volerli utilizzare per una Terrina ghiotta ed elegante che avrei servito durante una cena a cui tenevo particolarmente e che vi propongo come raffinatissimo antipasto, perché no, anche a Pasqua, volendo.

20140330-013218.jpgLa ricetta è molto facile, indolore se non appena un po’ per via dello scontrino, a prova di pigri e inesperti.

Occorre uno stampo da plumcake cha si ricopre completamente di pellicola e poi si fodera di fettine di storione affumicato che si lascia anche un po’ debordare, diciamo che ne occorreranno circa 200 gr (2 confezioni).
All’interno si fa un primo strato di salmone affumicato, si spargono qua e là alcune olive nere denocciolate e qualche cucchiaiata di maionese a cui si sono aggiunti ciuffetti di aneto e bacche di ginepro.
Si fa ora uno strato di pesce spada un po’ più consistente e si spruzza di citronette.
Si va avanti così fino a riempire completamente lo stampo.
Alla fine si copre con le fette di storione che debordano dallo stampo, si compatta schiacciando delicatamente con il palmo della mano, si batte leggermente sul piano del tavolo e si mette in frigorifero per almeno 6 ore. Di più è anche meglio.
Quando si serve, si capovolge sul piatto da portata, si toglie con delicatezza la pellicola e si affetta con un coltello molto affilato dalla lama lunga e sottile.

L’ho detto che era veloce e facile, no?! E in più si fa ancora in tempo a prepararlo per Pasqua!
Serviranno in tutto circa 2-300 gr per tipo di ognuno dei pesci affumicati (ma dovrete regolarvi in corso d’opera), una decina di grosse olive, 1 ciuffetto di aneto e 1 cucchiaino di bacche di ginepro.
Con la citronette e la maionese dovrete andare un po’ a occhio, senza esagerare per non coprire il sapore del pesce.
Questo delizioso antipasto è simpatico offrirlo accompagnato da un bicchierino di Vodka gelata.
Tanto per stupire… ma è solo un suggerimento: io sono quella che mette al centro del tagliere di legno con salumi e formaggi di zona un bicchierino di grappa!
Mi piace l’originalità.

Una crostata “invernale” da gustare anche in primavera

20140321-091147.jpgLa stagione che ci siamo appena lasciati alle spalle, è stata più simile ad un fastidioso autunno piovoso che ad un freddo inverno nevoso o nebbioso.
Queste prerogative, chissà come mai, mi hanno ispirata a cucinare molte più torte, e soprattutto crostate, di quanto in genere abbia mai fatto. È mia figlia quella brava coi dolci. Io mi limito a preparare i dessert per i miei inviti a cena, ma difficilmente mi viene in mente di mettermi ad impastare una torta.
Sarà l’influenza della blogosfera, dove ho scoperto l’abilità di molti di voi nell’arte della Pasticceria, sarà che come diceva mia nonna: “Ogni lustro, si cambia gusto”, fatto sta che anche qualche giorno fa ho preparato una crostata.
Nel titolo l’ho definita invernale per via della presenza delle arance, ma si può tranquillamente gustarla anche adesso che è primavera.
Ho iniziato il post con la fotografia prima di infornarla perché si possa notare l’intreccio, che è venuto proprio carino.
Questa invece è la fotografia… già assaggiata.

20140324-014935.jpgSi parte dalla pasta frolla, come sempre. Secondo me la potete fare tranquillamente così come la fate di solito, con le dosi a cui siete abituati, se vi pare che vi venga bene.
Però, se vi piace un po’ morbida come a me, in questa ricetta in particolare, vi dico come la faccio io.
Occorre amalgamare con una spatola 150 gr di burro a temperatura ambiente con 125 gr di zucchero e la buccia grattugiata di 1 arancia. Quando si è ottenuta una crema, si aggiungono 1 uovo intero e 1 tuorlo e si incorporano con cura.
Si dispongono 300 gr di farina a fontana, si aggiungono 1/2 cucchiaino di bicarbonato e 1 pizzico di sale e al centro si versa il composto di uova, zucchero e burro.
Si lavora con le mani fino a ottenere un impasto morbido ed elastico che si farà riposare in frigorifero almeno mezz’ora.
Quando si riprende la pasta, si divide in due. Con metà si fodera come al solito una tortiera adatta, anche senza imburrarla perché la frolla è così ricca di burro che difficilmente si attaccherà, ma vedete voi.
Si bucherella il fondo con i rebbi di una forchetta e si versano 250 gr di marmellata di arance amare, si spalma e sopra si distribuiscono 80 gr di gocce di cioccolato fondente e si copre con il resto della pasta, formando una griglia.
Si inforna come sempre a 180 gradi per circa 40 minuti, ma regolatevi secondo l’esperienza fatta con il vostro forno.

Ecco, è solo una crostata, ma l’abbinamento arance e cioccolato è proprio collaudato e vincente. Servitela durante un tè o una merenda e quella che resta allieterà la colazione del goloso di casa la mattina successiva.

Petto di pollo… in sàor

Lo so che mi farò odiare dai puristi, ma amando poco maneggiare il pesce azzurro (per usare un eufemismo), ho trovato un escamotage per non rinunciare ad una di quelle preparazioni che hanno fatto la storia della cucina Veneziana: il Sàor.
Il sàor (o savor) originariamente era il metodo con cui si poteva conservare a lungo il cibo a bordo dei pescherecci veneziani che prendevano il mare, grazie alla presenza dell’aceto.
Questa preparazione inoltre, contenendo molta cipolla, preservava anche dal rischio di contrarre lo scorbuto.
La ricetta originaria prevedeva l’impiego unicamente di sarde, cipolle e aceto, ma quando anche di questo cibo tradizionalmente povero, si appropriò la ricca borghesia, vennero aggiunti uva sultanina e pinoli.
Ed ecco che arrivo io e tolgo le sarde!
La mia versione di Petto di pollo in sàor è insolita ma non fa rimpiangere la ricca, saporita e gustosa ricetta originale. E poi avevo promesso a Marina di Le ricette di Baccos che l’avrei postata, nonostante il rischio di attirare le ire dei veri intenditori del sàor.
Naturalmente per apprezzarlo dovete amare l’agrodolce, il pollo e le stravaganze culinarie.
Ricordiamoci che, avendo il petto di pollo un sapore decisamente più delicato rispetto al pesce, per prima cosa non si rispetta affatto la proporzione indicata per la ricetta originale (che prevede 2 parti di cipolla per 1 parte di sarde) o il gusto dell’ortaggio finirà col prevalere in maniera fastidiosa su quello della carne.

20140323-151147.jpgDunque, occorrerà un petto di pollo intero, diciamo di circa 450 gr, che si taglia a striscioline delle dimensioni di un dito.
Si affettano non troppo sottili 450 gr di cipolle bianche (stesso peso del pollo dunque) e si fanno rosolare con 1 cucchiaio di olio, si salano appena e poi si sfumano con una generosa spruzzata di ottimo aceto bianco (quello color paglierino, non quello incolore).
Si aggiunge 1 cucchiaino di zucchero, che serve a caramellarle, e si continua la cottura a fuoco dolcissimo finché non risultano appassite e leggermente dorate.
Mentre le cipolle cuociono, si infarinano le striscioline di petto di pollo e si friggono in abbondante olio di arachidi (se preferite, usate l’olio extravergine d’oliva). Si scolano su carta assorbente e si salano appena.
Si può quindi passare ad assemblare gli ingredienti in un contenitore di vetro, così almeno in questo rispettiamo la tradizione.
Si fa uno strato di pollo, si copre con alcune cucchiate di salsa di cipolle alla quale sono stati uniti 40 gr di uva sultanina e 30 gr di pinoli e si prosegue così, a strati, fino ad esaurire tutti gli ingredienti.
Si copre e si conserva in frigorifero per almeno 12 ore perché come nella ricetta originale, anche nella mia versione, la marinatura rende il piatto più saporito e gustoso.

Questo piatto può essere un antipasto o un secondo: tutto dipende dalla generosità delle porzioni che si servono.
Ecco, se qualcuno ha voglia di un piatto insolitamente classico, o tradizionalmente creativo, insomma gastronomicamente scandaloso… l’ho appena descritto!

La favolosa torta di Rachele

Se oggi vi va di leggere un’altra fiaba e scoprire un’altra ricetta… eccole.

Rachele la era la figlia maggiore di un modesto mugnaio.
Viveva con i genitori e i nove fratelli in un angolino delle terre di proprietà dei facoltosi Signori del luogo, che a suo padre avevano concesso l’uso della casetta adiacente al mulino, la possibilità di raccogliere le olive e la frutta dagli alberi che la circondavano, il permesso di allevare conigli e galline e di coltivare un piccolo orto che produceva quanto bastava alla famiglia per campare senza soffrire la fame.
In cambio della loro generosità però, quegli altolocati proprietari terrieri pretesero che al compimento del quattordicesimo anno di età, uno alla volta i figli del mugnaio si trasferissero nella loro grande dimora per aiutare la servitù ad espletare le mansioni più umili.
Quando venne per Rachele il momento di abbandonare la famiglia per compiere il suo dovere, tutti se ne rattristarono molto.
La giovinetta arrivò a palazzo dopo un viaggio di tutta una giornata sul carro del padre. La governante, che la vide così graziosa e delicata, anziché assegnarla alla mungitura delle vacche nella limitrofa fattoria dei padroni, decise di tenerla a servizio all’interno della casa grande, affidandole il compito di cogliere i fiori e sistemarli nei vasi che ornavano tutte le stanze, come piaceva alla padrona.

20140321-212351.jpgIl lavoro non era certo pesante, ma la piccola sentiva moltissimo la mancanza della famiglia e della cucina della mamma, soprattutto a causa dei poco saporiti pasti riservati alla servitù.
Quello che le mancava di più era la torta di frutta che la mamma preparava la domenica mattina e sistemava in una teglia col coperchio sotto la cenere del camino, prima di recarsi in chiesa.
Se solo avesse avuto a disposizione della frutta e la possibilità di impastare una piccola sfoglia, Rachele avrebbe potuto ricreare il caro sapore di casa e per un momento sentire meno forte la nostalgia.
Ebbe un’idea. Per preparare le composizioni floreali le era stato assegnato un angolo del tavolo su cui la cuoca appoggiava la frutta da servire ai padroni.

20140322-214759.jpgGiorno dopo giorno quindi, senza farsi scoprire, Rachele si impadroniva del frutto che si trovava più vicino ai fiori celandolo tra le foglie e i gambi che aveva reciso e lo nascondeva in un vaso vuoto che riponeva nell’armadio delle suppellettili in dispensa.
Alla fine della settimana ne aveva a sufficienza per preparare una torta come quella della mamma.
Aspettò che tutti fossero andati a letto e scese in cucina reggendo una candela. Recuperò la frutta e si accorse che si trattava di una mela, una pera, due susine, due albicocche e una pesca.
La sbucciò tutta, la tagliò a pezzetti, aggiunse 2 cucchiai di miele, il succo di 1/2 arancia e mescolò tutto con garbo.
Finché la frutta restava a macerare, prelevò dalla madia 2 tazze di farina (i nostri attuali 300 grammi) e le mise sulla spianatoia, aggiunse 1 uovo intero, 1 bel pezzetto di burro (oggi sarebbero 150 gr), 4 cucchiai di zucchero, 1 pizzico di sale e 1 generoso sorso di Porto.
Mescolò tutti gli ingredienti, tirò la pasta sottile con il mattarello e foderò un piatto di terracotta lasciandola abbondantemente debordare.
Bucherellò il fondo con i rebbi di un forchettone, lo coprì con 2-3 cucchiaiate di pangrattato secco e al suo interno versò tutta la frutta sgocciolata.
Ripiegò la parte eccedente della pasta verso l’interno e la coprì quasi completamente, lasciando solo un foro al centro attraverso il quale si poteva vedere bene il ripieno.
La spennellò con il latte e mise sul piatto un coperchio, l’appoggiò sul focolare, la coprì di cenere, sotto cui covava ancora la brace, riordinò la cucina e andò a dormire.
La mattina successiva quando scese per fare colazione, si accorse dell’agitazione della cuoca, che quasi si era sentita male dall’emozione nel trovare una teglia contenente un dolce perfettamente cotto sotto la cenere del suo focolare. Insisteva nel dire che era opera del diavolo, mentre la governante che ne aveva assaggiato una grossa fetta affermava che invece doveva averla preparata un angelo.

20140321-220032.jpgRachele confessò di essere l’artefice della torta fonte di discussione e si scusò per aver sottratto un frutto al giorno per tutta la settimana e utilizzato quanto le serviva prelevandolo dalla dispensa.
Ma anziché rimproverarla, la cuoca, a cui mancava il tocco di una vera pasticciera, l’abbracciò e la lodò per la torta che aveva così magistralmente preparato.
Non solo, le chiese di prepararne un’altra, stavolta senza sotterfugi e la servì come dessert ai padroni, che ne furono entusiasti.
Da quel giorno Rachele fu promossa pasticciera e in breve la sua torta di frutta mista conquistò i palati di tutti i fortunati che, invitati a cena dai padroni, l’avevamo assaggiata.
Divenne così famosa che quando questi nobili davano a loro volta un ricevimento, la chiedevano in prestito perché la preparasse anche per loro. Rachele continuò a non apportare nessuna modifica al dolce, se non la sostituzione del pangrattato con dei biscotti secchi che preparava appositamente e poi frantumava nel mortaio, rendendo il dolce ancora più goloso.

Come tutte le fiabe, anche questa dovrebbe avere una morale… magari potrebbe essere che per fare carriera (oltre a un dolce squisito), basta avere a disposizione della frutta e mostrare un po’ di iniziativa!

Che fare col risotto alla Milanese avanzato?

Di recente ho fatto il risotto alla Milanese: normale, solito, buonissimo. Però ne ho cucinato troppo, quindi avrei potuto farlo “al salto” il giorno dopo, come fanno i Milanesi appunto, ma non è che sia la mia passione.
Dunque: variante! E di qui secondo me è uscito un piatto interessante.
Il risotto alla Milanese, quello allo zafferano insomma, non dovrebbe avere segreti per nessuno. Si fa con 400 gr di riso, 1/2 cipolla, 1/2 bicchiere di vino bianco, 1 bustina di zafferano, 60 gr di burro, il brodo necessario, 80 gr di parmigiano e volendo 30-40 gr di midollo di bue.
Io appartengo alla scuola di pensiero che non mescola in continuazione il riso aggiungendo il brodo a mano a mano che si consuma, al contrario, una volta che ho tostato il riso e l’ho sfumato col vino, lo copro con una quantità di brodo pari al doppio del suo volume (1 bicchiere di riso / 2 bicchieri di liquido) e lo mescolo solo per mantecarlo con burro e parmigiano a fine cottura.
Comunque ognuno si regoli come è abituato, l’importante è che alla fine ci si trovi con una certa quantità di risotto allo zafferano, perché siamo sul punto di trasformarlo in qualcosa si insolito, elegante, squisito, da ripassare in forno. Da tener presente quindi anche quando si hanno ospiti.
In questo caso, ovviamente, sarà opportuno avere a disposizione tutti i 400 gr iniziali di riso.

20140329-233315.jpgSi tritano 1 spicchio d’aglio e un ciuffetto di prezzemolo e si fanno rosolare in poco olio e burro, si aggiungono 40 gr di porcini secchi fatti rinvenire nell’acqua calda e si cuociono aggiungendo qualche cucchiaiata di brodo.
Verso la fine si unisce un battuto grossolano di prosciutto San Daniele, circa 150 gr, e si fa insaporire.
Si versa il risotto leggermente intiepidito in un rettangolo spesso circa 1 cm sulla carta forno, al centro si fa una striscia di sugo di funghi e prosciutto e aiutandosi con la carta lo si richiude a cilindro.
Si mette in frigorifero e si fa raffreddare completamente.
Si imburrano e si spolverizzano con cura di pangrattato le formine da crème caramel o i coppapasta, si accende il forno, si taglia il cilindro di riso a tronchetti che vanno inseriti negli stampi scelti, schiacciandoli leggermente per farli aderire bene alle pareti.
Si infornano a 180 gradi per 15 minuti e si sformano sul piatto da portata dopo averli fatti intiepidire qualche minuto, servendo a parte una salsina di pomodoro.

Sulla bontà di questo piatto credo non ci sia proprio niente da dire. A me piace molto anche il modo insolito in cui si presenta, che lascia sempre piacevolmente stupiti gli ospiti… e pensare che è nato per caso, solo per consumare del risotto alla Milanese avanzato!

Scaloppine al cartoccio

Credo che le scaloppine siano quanto di più banale e gradito si possa cucinare in tempi brevi: si possono utilizzare fettine di vitello, di petto di pollo, di filetto di tacchino, di lonza di maiale.
Si insaporiscono tradizionalmente con limone, vino bianco, Marsala, panna, funghi o formaggio.
Sono insomma un secondo versatile, che fa sempre bella figura e non tradisce mai, ma…
Ma se ci fosse una volta in cui vi andasse di stupire e non banalizzare le scaloppine, ecco, le potreste fare al cartoccio.

20140403-003417.jpgPer prima cosa bisogna poter disporre di 300 gr di funghi champignon che vanno trifolati con olio, burro, aglio e prezzemolo e insaporiti con sale e pepe, preparati anche il giorno precedente.
Poi si infarinano leggermente 8 fettine sottili di vitello e si lasciano dorare con olio e burro da entrambi i lati.
Si sfumano con 1/2 bicchiere di Vermut e a fine cottura si versano nel tegame circa 50 ml di panna da cucina. Si fa restringere la salsa e si aggiusta di sale e pepe.
Si preparano sul tavolo 4 fogli di carta forno su cui si suddividono le scaloppine, si coprono con i funghetti, si completano con 1 rametto di prezzemolo e si sigillano i cartocci.
Si infornano a 200 gradi per 10/12 minuti e si servono caldissimi con un taglio a croce su ciascun cartoccio.

Naturalmente si possono preparare queste scaloppine e servirle semplicemente con i funghetti a lato, ma così fanno molta più scena.
Si possono anche sostituire le fettine di vitello con bocconcini di tacchino e i funghi trifolati con pisellini al prosciutto… ma allora diventa tutta un’altra ricetta!