Caesar Salad con gamberetti

Faccio spessissimo la Caesar Salad e come succede di tanto in tanto a casa nostra, essendo un piatto unico, diventa il nostro pranzo.
Ci sono due modi tradizionali per arricchirne la base: aggiungere un petto di pollo alla griglia tagliato a listarelle o una tazza di gamberetti cotti al vapore.
Qualunque versione scegliate, andrete sul sicuro perché la Caesar è un’insalata eccellente e invito chi non l’ha ancora provata a farci su un pensierino.
Quella originale, che può essere considerata un contorno, l’ho postata il 27 marzo, ma se vi fa piacere possiamo darle una ripassatina, così siamo tutti tranquilli.

20141017-013525.jpgRiduco a crema 1 spicchio d’aglio e lo lavoro con 1 cucchiaio di senape, 2 cucchiai di succo di limone e 1 cucchiaio di salsa Worcester. Un po’ alla volta, mescolando con una piccola frusta, unisco 3-4 cucchiai di panna da cucina e 1 tazzina d’olio.
Aggiungo 1 pizzico di sale e ottengo un’emulsione ben montata con la quale condisco 1 piccolo cespo di lattuga romana spezzettata con le mani.
Mescolo delicatamente e poi cospargo di pepe nero appena grattugiato e di scaglie di parmigiano.
Sguscio e privo del filo intestinale 300 gr di gamberetti e li lascio nel cestino della vaporiera solo finché non cambiano colore e diventano rosa intenso.
Li verso ancora tiepidi sull’insalata, mescolo delicatamente e aggiungo una manciata di cubetti di pancarrè fritti in padella con un filo d’olio.

Mentre a Las Vegas, per esempio, l’hotel Caesars Palace (che non è più così strabiliante come anni fa, ma è stato surclassato da hotel-casinò più recenti e spettacolari) si ispira all’antica Roma, “l’insalata di Cesare”, non c’entra per niente con Giulio Cesare.
Il nome lo si deve invece al suo creatore, lo chef italiano Cesare Cardini che creò questa ricetta nel 1924 per la Festa del 4 Luglio.

Il polpettone di Woodstock

Se dico che una volta sono stata a Woodstock, viene subito in mente la Woodstock dello Stato di New York, hippy, libera e scatenata, che ha ospitato il primo memorabile concerto Rock per un pubblico di disinibiti figli dei fiori, vero?
Invece è la Woodstock del Vermont, storica, sofisticata e tradizionalista, quella coi boschi dorati nelle vicinanze, le locande di mattoni e lo sciroppo d’acero: la città dove nel corso del nostro “loop” del New England ho mangiato il polpettone più buono della mia vita!
Il viaggio in New England andrebbe fatto in pieno autunno, quando le dolci colline dell’interno assumono quelle tonalità di rosso, arancio e oro che sembrano pennellate di un pittore impressionista. Noi ci siamo arrivati appena un po’ troppo in anticipo e solo qualche albero qua e là sembrava in fiamme sullo sfondo verde intenso delle foreste.
Siamo sbarcati a Boston e dopo qualche giorno di immersione nella culla dell’Indipendenza Americana, abbiamo proseguito per il Maine e le sue coste selvagge, abbiamo attraversato il New Hampshire, malinconico e montuoso e prima di tornare sulla Costa per fermarci a Cape Cod a respirare l’aria dell’Oceano, abbiamo percorso un tratto del romantico Vermont coi suoi pascoli, i fienili dipinti di rosso, i ponti coperti e una cucina eccellente.
Una delle specialità del Vermont è il prosciutto affumicato alla maniera antica.
La ricetta tradizionale prevede che venga arrostito in forno ricoperto di sciroppo d’acero miscelato con bourbon e senape.
Dopo averne consumato la maggior parte, quello che avanza viene utilizzato per fare questo fantastico polpettone.

20140810-003030.jpgIn una terrina si mescolano con una forchetta 1 tazza di pancarrè appena tritato, 2 cucchiai di zucchero di canna e 2 cucchiaini di senape e si ottengono delle briciole.
Si uniscono circa 500 gr di prosciutto affumicato (noi dovremo accontentarci di quello “di Praga”) tritato, 500 gr di polpa di maiale macinata, 1/4 di litro di latte, 50 gr di pistacchi tritati, 8 albicocche secche tagliuzzate grossolanamente, 1 bicchierino di bourbon e 2 uova.
Si insaporisce con sale e pepe e si miscela bene.
Si dà all’impasto la forma di una pagnotta e la si avvolge in 200 gr di bacon affettato sottile.
Si appoggia in una pirofila foderata di carta forno leggermente unta e si inforna a 180° per 1 ora e 1/2 circa.

Questa dunque è considerata una ricetta di recupero, un riciclo… basta aver avanzato circa mezzo chilo di prosciutto!
Una piccola nota: le albicocche possono essere sostituite dalle prugne secche e i pistacchi dalle noci, ma non vedo perché.
Ah, si serve col purè.

Insalata di spinaci e chevre: una vera ricetta New Age Angelena

La California è senza dubbio la mia meta preferita negli Stati Uniti.
È lo Stato che ho visitato più volte e in modo più approfondito, soprattutto lungo la Costa, da quella deliziosa zona a Nord di San Francisco oltre il Golden Gate, dove c’è un bel parco di sequoia giganti e cominciano i vigneti, giù a Sud fino San Diego, quasi al confine con il Messico, dove si sente già profumo di chili e tortillas.
La città della California che preferisco è forse Los Angeles. Lo dico sempre: è una città che mi toglie il fiato.
Non mi importa se dipende dall’emozione o dalla concentrazione di monossido di carbonio che si respira, la adoro. E la conosco ormai piuttosto bene. Ogni area mi offre qualcosa di divertente e diverso.
A Beverly Hills per esempio non faccio davvero shopping ma ci vado per comprare i profumi più esclusivi, come Bijan di Bijan nella boutique di Rodeo Drive, ma mi limito a questo!
Se in questa magica atmosfera, circondati da abbronzature permanenti, limousine e denti incapsulati, sotto un cielo che ricorda il color turchese delle imposte di Santorini, vi venisse fame, potreste scegliere di mangiare un’insalata a prezzi ragionevoli, servita il più delle volte da avvenenti e impeccabili aspiranti attori in uno dei tanti locali, magari al ristorante di un grande albergo.
Al Beverly Wilshire per esempio ci si può sfamare con questa elegante insalata, che non costa di più del calice di Chablis o Chardonnay che non avrete resistito alla tentazione di ordinare, da veri VIP…

Per rifarla a casa e continuare a sentirsi come Pretty Woman si procede in questo modo.
Si fanno marinare in frigorifero per qualche ora 250 gr di formaggio di capra (chevre) tagliato in quattro dischi con 50 ml di olio e le foglioline di 1 rametto di timo.
Si lavano e si asciugano 500 gr di foglie di spinaci piccole e freschissime.
Si prepara una salsa morbida, tipo maionese, sbattendo con la frusta 1 tuorlo, 1 cucchiaino di prezzemolo, 1 cucchiaio di aceto di vino rosso, 1 cucchiaino di senape e 100 ml di olio, si sala e si pepa abbondantemente. Si versa sugli spinaci e si mescola con delicatezza.
Si fanno scaldare sulla piastra i dischi di chevre sgocciolati dalla marinata giusto 30 secondi per parte e si dispongono sull’insalata di spinaci, che si cosparge con 50 gr di gherigli di noce.
Io aggiungo anche qualche pomodorino che nella versione originale non c’era.
Si fanno infine diventare croccanti 3-4 fette di bacon e se lo si desidera, si sbriciolano su questa insalata assolutamente chic.
Io lo faccio.

La Caesar salad

Questo articolo è tratto dal capitolo La scoperta dell’America, del mio libro “I tempi andati e i tempi di cottura (con qualche divagazione)” e parla della Caesar Salad a cui ho accennato in relazione al post Un irresistibile panino con l’aragosta.

“Ogni volta che sbarco a Los Angeles mi manca il fiato.
Lo so, probabilmente non dipende dall’emozione ma piuttosto dall’altissima concentrazione di monossido di carbonio presente nell’aria, ma che vi devo dire, comunque per me è sempre una sensazione fantastica.
Negli Stati Uniti ci sono andata per la prima volta nel 1985, ci sono tornata altre dodici volte e restano sempre una delle mie mete preferite.
Contrariamente alla maggioranza dei miei coetanei o quasi, non ho mai associato l’idea di America a New York.
Per me l’America è la California. Lo è sempre stata. In fondo sono venuta su a pane è Hollywood quindi identifico il sogno Americano con la West Coast, senza ripensamenti.
Sono affetta da una memoria di ferro, che a volte è proprio una maledizione perché non dimentico proprio niente e non riuscendo ad essere selettiva, purtroppo spesso vengo assalita da reminiscenze anche sgradevoli, ma nel complesso riesco a ripescare e rivivere momenti che vale proprio la pena di ricordare.
Di quel primo viaggio in America, il più classico dei cosiddetti Coast to Coast (Los Angeles – San Diego – Las Vegas – Monterey – San Francisco – New York) non ho buttato via niente, nemmeno fisicamente, anche se ho dovuto ridurre la quantità di ricordi cartacei perché entrassero nell’album delle memorabilia.
È un album con poche foto, ma contiene tutte le matrici degli ingressi ai Parchi, le ricevute degli alberghi, gli scontrini degli acquisti fatti da Macy’s e da Saks Fifth Avenue, i tovagliolini di carta col logo dei Fast Food – che non erano ancora arrivati in Italia – e perfino le Guide TV. E sono solo degli esempi.
Ne compongo uno ad ogni viaggio. Ancora adesso.
Ciò che quella prima volta non sono riuscita a mettere nell’album me lo ricordo comunque: per esempio la mia prima Caesar Salad al Blue Bayou di Disneyland.

20140306-012812.jpgSi riduce a crema 1 spicchio d’aglio e lo si lavora in una tazza con 1 cucchiaio di senape, 2 cucchiai di succo di limone e 1 cucchiaio di salsa Worcester.
Un po’ alla volta si uniscono 3 cucchiai di panna da cucina, 1 pizzico di sale e 1 tazzina di olio d’oliva.
Si ottiene così un’emulsione montata e ben amalgamata con la quale si condisce un cespo di lattuga romana lavata e spezzettata con le mani.
Si mescola delicatamente, si cosparge di pepe nero appena macinato e di scaglie di parmigiano.
Si completa con alcuni filetti di alici, una cucchiaiata di crostini fritti e l’insalata è pronta.
Negli Stati Uniti la propongono come entrée, prima del main course, ma diventa un piatto unico a pranzo se si arricchisce con un petto di pollo alla griglia tagliato a listarelle, oppure con una tazza di gamberetti al vapore.
La panna è una variante che preferisco all’uovo crudo, o in camicia, che spesso si trova nelle ricette originali e che crea una specie di maionese: se volete provate anche questa versione, ma direi che come la faccio io è proprio buona.”

Personalmente adoro questo condimento. Certo se cominciamo a pensare all’imminente prova costume… dimentichiamocelo!

L’insalata di patate

Come affermava la signora Petrella durante quel lungo volo verso Miami, con il pollo fritto si mangia l’insalata di patate, non ci sono ma che tengano.
Quindi come anticipato e promesso ieri, vi dico come faccio un’ottima insalata di patate.
Anche se gli Americani se ne sono appropriati, l’origine dell’insalata di patate è teutonica o asburgica ed è secondo me uno dei più squisiti contorni che possano accompagnare le cotolette, i würstel o, appunto, il pollo fritto.

20140315-012051.jpgL’insalata di patate è deliziosa, cremosa, sfiziosa e sostanziosa e avendo esaurito gli aggettivi in “osa” concludo con: facile.
Come sempre ci saranno decine di modi per prepararla, quindi non farò altro che proporvi la mia versione.
Perfino la mia mamma la faceva un po’ differente dalla mia, quindi non preoccupatevi se non corrisponde alla vostra, anzi sono graditi i suggerimenti e le varianti perché di imparare non si finisce mai.

Faccio lessare 800 gr di patate con la buccia. Le pelo e le metto in una ciotola tagliate a pezzetti.
Lesso 2 uova e prelevo i tuorli.
Preparo una salsa con 80 gr di maionese, 1 cucchiaino di senape, 2-3 cucchiai di yogurt bianco intero, 1-2 cucchiai di aceto di mele, 1 bella presa di sale, pepe bianco e 1 cucchiaino di zucchero.
Dopo aver amalgamato bene questi ingredienti aggiungo 1-2 cipollotti freschi affettati sottili, i tuorli sodi sbriciolati, le patate e poco olio.
Mescolo tutto e la mia insalata di patate è pronta.
Se avete pronto anche il pollo fritto siete a posto!

Filetto di maiale

Il filetto di maiale è un altro di quegli ingredienti che coniugano felicemente sapore ed eleganza.
Presenta inoltre a mio avviso anche alcuni vantaggi rispetto al più blasonato filetto di manzo, oltre al prezzo decisamente inferiore.
Non crea infatti ansia da prestazione in quanto non ha bisogno di restare, come minimo, rosa al centro, ma può essere tranquillamente cotto come i normali arrosti.
Ha inoltre un peso e una dimensione che consente di ottenere belle fette di misura contenuta, facili da tagliare in eleganti medaglioni e da ultimo è molto gustoso e nonostante sia un taglio decisamente magro, resta sempre morbido.
Detto questo, passerei alla ricetta di oggi, che mi pare appetitosa e di facile esecuzione.

20140222-111447.jpgSi pestano nel mortaio 1 cucchiaino di bacche di ginepro e si uniscono a 1 cucchiaino di cannella in polvere e a 1 abbondante macinata di pepe nero.
Si spalma di senape un filetto intero di maiale del peso di circa 800 gr e si fa rotolare nel composto aromatico facendolo aderire bene alla carne.
Si avvolge in circa 150 gr di fettine sottili di speck leggermente sovrapposte e si lega con qualche giro di spago da cucina.
Si fanno imbiondire in olio e burro 3-4 spicchi d’aglio schiacciati, si eliminano e si fa rosolare la carne a fuoco vivo.
Si sfuma con 1/2 bicchiere di Vermut Bianco, si lascia evaporare e si prosegue la cottura a fuoco dolce per una mezz’oretta.
Si sala appena, si elimina lo spago, si lascia riposare qualche minuto, si affetta e si serve coperto con il suo sugo, meglio se insieme ad un purè di patate e a una salsa di mele.

Perché la scelta del Vermut? Perché è meno deciso del Marsala e conferisce alla carne di maiale un sapore leggermente più aromatico e meno dolce.
Se non vi piace l’aroma affumicato dello speck potete usare il prosciutto crudo o la pancetta Piacentina, ma secondo me ci sta bene perché un po’ tutta la ricetta ricorda i piatti Trentini o Altoatesini.
La salsa di mele è un classico per accompagnare gli arrosti di maiale ed è anche semplice.
Io la faccio così: sbuccio e taglio a spicchi sottili 2-3 mele renette. Le faccio rosolare in 40 gr di burro a fuoco alto perché si dorino bene. Le sfumo con 1 bicchierino di grappa, lascio evaporare, aggiungo 1 cucchiaino di zucchero di canna, 1 pizzico di sale, 1/2 cucchiaino di senape in polvere e termino la cottura.
Servo questa salsa a parte, bella calda, insieme al filetto di maiale.

Un nuovo arrosto farcito

Avevo promesso (o minacciato) che prima di Natale avrei proposto altri arrosti conciati per le Feste…!
Eccone dunque uno nuovo, creativo e squisito. Dovete amare però i contrasti di sapore.
Quello di oggi è un classico della cucina del Nord: un filetto di maiale farcito di prugne, un taglio di carne saporito e relativamente economico, che preparato secondo la mia ricetta non ha niente da invidiare alla più pregiata fesa di vitello o al filetto di manzo.

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Per prima cosa, già la sera precedente si lasciano in infusione con 1 bicchierino di Cognac e 1 di Marsala 10-12 prugne secche denocciolate.
La mattina successiva avranno assorbito tutto il liquido alcolico e saranno belle gonfie.
Una per una andranno avvolte in una fogliolina di salvia fresca e poi in 1/2 fettina di pancetta affumicata e tenute al fresco fino al momento di utilizzarle.
Si mettono sul piano di lavoro, sopra un foglio di carta forno, circa altri 200 gr di pancetta affumicata, a fettine sottili, ben accostate fra loro.
Si pratica un taglio profondo nel senso della lunghezza in un filetto di maiale intero di circa 1 chilo.
Si appoggia la carne sulla pancetta, si spalma l’interno del taglio con 1 cucchiaino di senape miscelato con 1 cucchiaino di miele e si riempie con le prugne.
Si accostano i due lembi del taglio e si avvolge il carré nella pancetta aiutandosi con la carta forno.
Si lega con diversi giri di spago da cucina e si fa dorare con olio e burro in una teglia da forno non troppo grande, nella quale l’arrosto ci stia di misura.
Si sfuma con 1/2 bicchiere di vino bianco, si aggiungono 1 grossa cipolla affettata, 2 mele private del torsolo, tagliate in quarti ma non sbucciate, 2 rametti di rosmarino e 2 spicchi d’aglio.
Si bagna con 1 mestolo di brodo e si inforna a 180 gradi per circa 1 ora.
Si gira un paio di volte durante la cottura ed eventualmente si copre con l’alluminio perché la pancetta non si abbrustolisca troppo. Se occorre si aggiunge ancora un po’ di brodo.
A cottura ultimata si toglie l’arrosto, lo si libera dello spago e si lascia leggermente intiepidire prima di affettarlo e disporlo sul piatto da portata.
Nel frattempo si frulla il fondo di cottura e si passa al setaccio per versarlo in salsiera e servirlo a parte.

Provate a completarlo con un’insalata di spinacini, cipollotti freschi, sedano e mele condita semplicemente con aceto balsamico, olio, pepe e sale: gli darà un fresco contrasto croccante molto gradevole.

La cotoletta

Banale? A Verona c’è un ristorante (che ha di recente anche aperto una filiale) dove la cotoletta è il piatto più importante del menù!
Io la cotoletta me la faccio in casa, ovviamente, certo non l’orecchio di elefante per cui il suddetto ristorante è famoso, ma una croccante costoletta di maiale, tenera all’interno, con una panatura bella saporita. E in famiglia non si è mai lamentato nessuno.

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Mi faccio battere bene per assottigliarle al massimo delle costolette (o braciole: ogni regione ha un modo tutto suo di chiamare i tagli della carne) di maiale.
Le spalmo con un velo di senape di Digione, le passo nella farina, nell’uovo sbattuto a cui ho mescolato della buccia grattugiata di limone e poi nel pangrattato miscelato con una o più cucchiaiate di grana, parmigiano o anche pecorino (anche in questo caso dipende dalla vostra regione di origine).
Le friggo in burro spumeggiante o, per ottenere il massimo, in burro chiarificato, che non brucia e soprattutto non bruciacchia la panatura. Le salo dopo la solita sosta sulla carta da cucina.
Le dosi di uova, buccia di limone e formaggio grattugiato naturalmente dipendono da quante cotolette avete in programma di fare.