Reginette con pomodori freschi e bottarga

Da quando la mezza età mi ha regalato diciamo questi dieci chili in più rispetto al mio peso di prima (peso-forma sarebbe proprio un’esagerazione, bisogna sapersi accontentare, dai) ho un sogno ricorrente.
Sono al mare ed ho appena fatto una nuotatina. Esco dall’acqua, mi sdraio sulla spiaggia per asciugarmi al sole e subito arrivano quelli di Greenpeace che cercano di ributtarmi in mare perché mi hanno presa per un cetaceo spiaggiato che ha perso l’orientamento.
Questo comunque non mi scoraggia dallo scegliere il mare per le nostre vacanze stanziali, che negli ultimi anni abbiamo sempre passato in Sardegna, dopo aver goduto di moltissime stupende spiagge del nostro fantastico Sud: in Puglia, in Campania, in Calabria e in Sicilia.
Dei tanti piatti mangiati con grande soddisfazione appena a nord di Cagliari c’è una pasta condita con pomodoro fresco e bottarga, semplice e saporitissima, di cui oggi vi do la ricetta.

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In un largo tegame faccio rosolare 2 spicchi d’aglio con qualche cucchiaiata di olio, 1 manciatina di pane grattugiato e 1 peperoncino intero.
Quando l’aglio è dorato, lo elimino e butto nel tegame 400 gr di pomodori tagliati grossolanamente a dadini e li lascio insaporire a fuoco vivace per qualche minuto con 1 pizzico si sale e di pepe.
Fuori dal fuoco, appena la salsa si è un po’ intiepidita, aggiungo 70-80 gr di bottarga di muggine grattugiata.
Verso nel tegame 350 gr di reginette lessate al dente e le faccio saltare con la salsa. Le distribuisco nei piatti e completo con un battuto di prezzemolo e basilico e qualche fettina sottile di bottarga.
Non serve nient’altro se non un giro d’olio a crudo e questo piatto dal sapore deciso e “regionale” si può portare in tavola con orgoglio.

Naturalmente le mie adorate reginette si possono felicemente sostituire con i malloreddus.

Un antipasto fresco e sfizioso

Come abbiamo detto e concordato più volte, già con l’antipasto si da ai commensali una chiara idea di cosa possono aspettarsi dal resto del pranzo o della cena.
Contemporaneamente però, nonostante anch’io abbia la tendenza a farmi prendere la mano, bisogna fare in modo che questo primo assaggio sia leggero e contenuto o si finirà con l’esagerare e non gradire più le portate successive.
Ora, tralasciando di parlare di quei pranzi che sono veri banchetti, in occasione di normali cene con ospiti, l’antipasto dovrebbe essere un semplice modo di mettere in moto i succhi gastrici in attesa delle portate principali.
Secondo me, molto interessante è offrire un’insalata, e naturalmente non intendo lattuga e pomodoro.
Questa per esempio è un’insalatina a base di prodotti proponibili anche oggi. Nonostante un inverno un po’ bizzarro e anticonformista con troppa pioggia e poco freddo e una primavera che si è trasformata in estate nel giro di due giorni, si può ancora contare su qualche arancia succosa, se ci sbrighiamo.
Dicevo di questa insalatina che è semplice, classica, ma anche carina da presentare rigorosamente già impiattata singolarmente.

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Si pelano a vivo con molta cura due grosse arance succose, tipo le Tarocco o le Navel, si mettono da parte gli spicchi e si recupera il succo che esce durante il taglio.
Si affetta ad anelli una cipolla di Tropea bella carnosa e si mette a riposare in frigorifero coperta di latte.
Si eliminano da due finocchi le parti esterne più dure e si tagliano i cuori piuttosto sottili, anche con la mandolina.
Si prepara il condimento emulsionando olio, sale, pepe, il succo recuperato dalle arance e il succo di 1/2 limone come per una normale citronette, ma si aggiungono anche poche gocce di Tabasco oppure un pizzico di peperoncino in polvere e una spruzzata di Vodka, di Gin o di Tequila, quello che avete.
In una ciotola capace si riuniscono i finocchi, la cipolla sgocciolata dal latte e le fettine di arance. Si aggiunge una manciata di olive nere, si sparge un cucchiaino di semi di cumino pestati nel mortaio e si irrora con la citronette piccante.
Consiglio di mescolare delicatamente con le mani, per evitare di strapazzare troppo le fettine di arancia, distribuire nei piatti individuali e lavarsi accuratamente le mani sia prima che dopo questa operazione!

Ecco, questo piccolo antipasto non è niente di che, ma è molto elegante e anche un po’ insolito se vogliamo. A me piace molto e volendo si può anche aggiungere qualche fettina di salmone affumicato per renderlo più ricco e importante, ma francamente non lo trovo necessario, a meno che non si trasformi in una di quelle insalate che sono deliziosi piatti unici a pranzo… quando il marito è al golf!

Polpettine miele e limone

Vi ho raccontato come faccio ormai sempre più spesso il ragù con le carni bianche.
Come al solito l’altro giorno ho acquistato macinato decisamente in abbondanza. Chissà, forse in un’altra vita devo aver sofferto per la carestia e ho il terrore di non avere cibo a sufficienza non solo per sfamare la famiglia, ma anche per le emergenze.
Dunque, nonostante avessi preparato più di un chilo e mezzo di ragù restavano comunque 300 gr circa di macinato perfetti per fare due polpette. Due o tre insomma, ma non fritte, rosolate invece dolcemente in padella con uno stuzzicante fragranza di limone e una nota lievemente aromatica di miele.

20140524-001608.jpgHo bagnato nel latte 2 fette di pane: ricordate che più è buono il pane, più è buono l’impasto. Io ho utilizzato una ciabatta di grano duro, ma va bene qualsiasi altro tipo di ottimo pane.
L’ho strizzato, schiacciato bene con la forchetta e aggiunto al macinato misto che dicevo prima con 30 gr di parmigiano, la buccia grattugiata di 1 limone non trattato, 1 bel pizzico di sale e 1 macinata di pepe.
Ho amalgamato tutto con le mani e ho formato delle polpettine tondeggianti non troppo grosse che ho rosolato in padella con olio e burro.
Completata la doratura a fuoco moderato perché potessero cuocere anche all’interno, le ho scolate e tenute al caldo.
Al fondo di cottura ho aggiunto il succo del limone di cui avevo grattugiato la buccia per l’impasto e 1 cucchiaio di miele.
Ho fatto addensare la salsa mescolando e l’ho versata sulle polpettine ottenendo un inaspettato risultato molto gradevole.

Qualche dritta per queste polpettine facilissime e golosissime.
In questa preparazione eviterei il pancarrè perché si imbeve troppo di latte e rende molle l’impasto.
Io ho utilizzato il miele di castagno per il suo retrogusto leggermente amaro, ma va bene qualunque altro vi piaccia, anche il Millefiori.
Quando dico che “tengo al caldo” qualcosa o intendo che lo infilo nel forno preriscaldato a 120 grado con lo sportello semiaperto oppure che lo copro con un foglio doppio di alluminio. Non c’è differenza se non quella della temperatura in cucina!
Volendo di può aggiungere all’impasto aglio e prezzemolo tritati ma io lo lascerei così, per gustare più intensamente l’asprezza del succo di limone e la dolcezza del miele nella salsina.

Carciofi alla Romana

Quanto mi piacciono i carciofi! Li amo cucinati in tutti i modi.
A Verona sono le “siele”, cioè i cuori (o fondi), il modo più comune per consumarli.
In Piazza delle Erbe, che sorge sopra l’antico foro Romano, fino a pochi anni fa c’era la Tina, una delle ultime “piassarotte” DOC, che per tutta la giornata non faceva che tornire carciofi con un coltellino affilato a velocità incredibile, con grande manualità.
Otteneva montagne di siele che buttava in secchi pieni di decine di mezzi limoni e acqua presa alla fontana del Capitello, cioè la gogna -o tribuna- che sorge in mezzo alla Piazza, accanto a quella più spettacolare di Madonna Verona.
La “Piassa” ormai ha perso la sua connotazione di storico mercato della frutta e della verdura riducendosi a un semplice mercato di souvenir, maschere Veneziane e abbigliamento made in China, con pochissime bancarelle di tipo tradizionale.
Ma della mia Verona parliamo magari un’altra volta, torniamo invece ai carciofi, che sono l’oggetto del blog di oggi.

20140501-192656.jpgPer cucinarli alla Romana, ricetta della quale vi voglio parlare oggi, credo che i più indicati siamo quelli che si chiamano “mammole”.
Si liberano delle foglie esterne e si pareggiano tagliando le punte a 6 bei carciofi “romani”, che devono essere freschi perché così di utilizzano anche i gambi che sono una prelibatezza e vanno pelati con cura.
Si aprono bene i carciofi con le dita, si separano le foglie e si toglie il fieno all’interno.
Si trita un ciuffo di prezzemolo con qualche fogliolina di menta e uno spicchio d’aglio, si versano in una ciotola, si aggiunge sale, pepe e circa 1/2 bicchiere d’olio.
Si distribuisce questa emulsione tra le foglie dei carciofi (che poi si fanno aderire di nuovo tra loro) e si sistemano capovolti, con i gambi verso l’alto, in un tegame a bordi alti che li contenga di misura così che non si muovano durante la cottura.
Si salano leggermente e si versa tanto olio quanto ne serve per coprirli fino a metà. Si aggiunge poi tanta acqua fino a coprirli completamente.
Si dispongono i gambi tagliati a pezzi lunghi 4-5 cm fra i carciofi e si cuoce a fuoco medio, col coperchio, finché tutta l’acqua non si è completamente consumata.

Questo non è che un esempio dei molti modi di cucinare i carciofi, che sono tanti almeno quanti sono i tipi di carciofo: con e senza spine e di colore che varia dal verde, al grigio, al violetto.
Non solo ogni regione, ma ogni famiglia ha una sua ricetta speciale.
Questa, manco a dirlo, è quella di mia nonna, che per un periodo, da ragazza, era vissuta a Roma, a casa di una zia che abitava in Via Giulia.

Risotto con gli asparagini

Negli anni in cui ho abitato sulle colline del Garda, ogni tanto ricevevo in omaggio da qualche vicina di casa un mazzetto di quelli che venivano erroneamente chiamati asparagi selvatici, mentre il più delle volte si trattava dei germogli del luppolo o anche dei getti del pungitopo che con gli asparagi non c’entrano niente. Ma questo lo so adesso.
A quell’epoca mi fidavo ciecamente di quello che mi veniva raccontato da chi pensavo che dei prodotti di campagna, lago e collina ne sapesse molto più di me, che arrivavo dalla città, avevo sempre lavorato nel Marketing di un’importante Casa Farmaceutica e non avrei riconosciuto un bruscandolo da un’ortica.
Non che adesso sia migliorata molto…
Quello che per una decina d’anni è stato il mio paese ospitava a maggio la Festa degli asparagi con stand gastronomici dove gustare specialità locali, degustare ottimi vini del territorio e acquistare olio e appunto asparagi, quelli bianchi, grossi, carnosi e succulenti caratteristici delle nostre zone.
La Sagra degli Asparagi era un appuntamento importante, che richiamava anche gli abitanti dei paesi limitrofi e dopo il tramonto si arricchiva di una band con un repertorio di canzoni che inducevano a ballare. Oppure ci si poteva aggregare al coro degli Alpini che si esibiva in canonica.
Ovviamente c’era anche la pesca di beneficenza.
E adesso la pianto se no questa diventa un’altra storia e non la ricetta del sugo di asparagini verdi, molto più saporiti di quelli bianchi e più adatti ai sughi perché meno acquosi, con cui condisco il risotto di cui parliamo oggi.
Questa è una ricetta basica e semplicissima, ma ugualmente saporita, da tener presente proprio per queste caratteristiche.

20140503-012514.jpgTrito una cipollina oppure un paio di scalogni e li faccio rosolare con 30 gr di burro. Aggiungo 1/2 chilo di asparagi verdi sottili sottili, che assomigliano molto a quelli selvatici e tra l’altro costano molto meno di quelli più grossi, per non parlare dei bianchi, e hanno un sapore molto intenso, leggermente erboso che a me piace moltissimo.
Naturalmente questi asparagi sono stati mondati, sciacquati e mentre affetto i gambi finché il coltello non incontra una certa resistenza, tengo interi 3-4 cm di punte.
Mescolando aspetto che si insaporiscano per qualche minuto, poi aggiungo un mestolino scarso di brodo e completo la cottura in modo che gli asparagi risultino ancora leggermente croccanti. Li spolverizzo con il prezzemolo tritato e li aggiusto di sale e pepe.
In una casseruola faccio scaldare, come sempre, il doppio del volume di brodo rispetto al riso. Quando bolle verso il riso, scuoto leggermente per distribuirlo e lo faccio cuocere semi coperto.
Quando è pronto, fuori dal fuoco anziché burro e parmigiano, aggiungo qualche cucchiaiata di ricotta e poi tanto sugo di asparagini quanto ne serve per condirlo riccamente.
Impiatto e servo bello caldo.

Questa è la breve e golosa stagione degli asparagi, conviene quindi darci dentro a cucinarli e gustarli in quanti più modi possibile per non avere rimpianti nei prossimi mesi.

Zucchine col fiore farcite di gamberi

L’ultima volta che abbiamo parlato dei fiori di zucca, anzi dei “Fleurs de courgette farcis” che avevo assaggiato a Ginevra, dove li preparano con un delicato ripieno di filetti di di pesce persico del Lago Lemano è stato il 25 febbraio. Ve li ricordate?
Mi sono resa conto oggi, scrivendo questo articolo, che in realtà io i fiori di zucca li farcisco sempre con il pesce. Vedi “Fiori, ma non opere di bene” dell’1 settembre, da considerare una ricetta di recupero e prima ancora (era uno dei miei primi post) “Fiori di zucca ripieni di riso” pubblicata il 26 maggio dell’anno scorso, che avevo definito: Una ricetta ipocalorica, seria, raffinata… ma che nella blogosfera non aveva a suo tempo ottenuto il successo che secondo me merita questo piatto unico delicato e chic, profumato di curry.
Oggi comunque parliamo di saporite e ghiotte zucchine col fiore farcite con i soliti gamberi, che nel mio freezer, lo sapete, non mancano mai.
Credetemi, ne vale la pena.

20140429-014221.jpgCalcolate da 1 a 4 zucchine a testa a seconda che intendiate servirle come antipasto e secondo piatto, vedete voi. Io ne ho preparate per noi due 6 in totale.
Erano freschissime, intatte e perfette.
È bastato soffiare all’interno dei fiori perché si aprissero così da permettermi di togliere il pistillo, che altrimenti avrebbe reso amaro l’insieme.
Le ho spuntate, sciacquate con estrema delicatezza e affettate nel senso della lunghezza, senza staccarle dal fiore
Ho preparato la farcia sgusciando e privando del filo intestinale una ventina di code di gambero, le solite di cui mi sentite parlare sempre, che acquisto il mercoledì al mio banco del pesce di fiducia qui al mercato rionale.
Ho fatto soffriggere 50 gr di bacon a cubetti con 2 scalogni tritati e 1 spicchio d’aglio schiacciato, che poi ho eliminato. Ho fatto saltare brevemente le code di gambero e le ho spruzzate di vermut.
Appena hanno cambiato colore le ho tolte dal fuoco. Ne ho tenute da parte 8 e le altre 12 le ho tritate grossolanamente.
Ho versato tutto in una ciotola, ho aggiunto 1 piccola patata lessa schiacciata, 1 pomodoro ramato sbucciato, privato dei semi e ridotto a cubetti, 1 cucchiaino di curry, una macinata di pepe e ho aggiustato di sale.
Ho mescolato tutto, farcito delicatamente i fiori delle mie zucchine e allineate su una teglia coperta di carta forno, le ho irrorate d’olio e infornate a 200 gradi per 10-12 minuti.
Come sempre controllate che non si asciughino troppo, perché solo voi conoscete il vostro forno.
Le ho servite nei piatti, completate con le code di gambero tenute da parte e spruzzate di prezzemolo tritato.

Come avete visto questa volta non erano semplicemente fiori di zucca, ma zucchine col fiore. Non che faccia una gran differenza, ma a me piacciono molto di più per via delle consistenze diverse in ogni boccone.

Salsa verde & Co.

Ho accennato ieri alla salsa verde che ho messo sulle uova sode nella mia insalata.
Quella verde, che i Piemontesi chiamano “bagnet verd” è anche da noi una delle classiche salse usate per accompagnare i bolliti, ma che in cucina trovano un utilizzo molto più ampio.

20140423-021620.jpgIn qualunque trattoria tradizionale e spesso nelle famiglie della nostra zona dove la domenica si va ancora a pranzo dalla nonna, dalla mamma o dalla suocera, con il bollito e il cotechino questo tris non manca mai: cren, mostarda e salsa verde.
Ovviamente a parte si serve anche la pearà, ma di questo abbiamo già parlato.
Per finire il discorso sulla salsa verde, come avete visto ieri, io la utilizzo anche per insaporire le uova sode e mi piace spalmarla su uno dei quattro angoli di una fetta di pane a cassetta, mentre sugli altri tre metto: alici spezzettate, tonno sminuzzato, salsa tartara. Completo poi con prosciutto e formaggio affettato sottile e faccio tostare sulla piastra: un’alternativa molto più saporita e corposa del solito toast.
Torniamo dunque alla salsa verde se no non la finiamo più.
Sono sicura che la fate tutti e non è che ci siano poi tanti metodi regionali o innovativi… comunque se interessa, questa è la mia ricetta.

Trito finemente con la mezzaluna un grosso ciuffo di prezzemolo con 1/2 spicchio d’aglio e 3-4 alici sott’olio.
Li verso in una ciotola e aggiungo 1 uovo sodo prima affettato e poi schiacciato bene con una forchetta e 1/2 panino raffermo privato della crosta, ammollato nell’aceto, strizzato e sminuzzato finemente.
Mescolo tutto e incorporo un po’ alla volta tanto olio quanto ne occorre per ottenere una salsina morbida e ben amalgamata, come nella foto.
Io aggiungo anche un pizzico di sale e di pepe, ma la salsa verde è già bella saporita anche così.

Nella foto si vedono chiaramente anche la mostarda di arance e il cren. La prima ormai è troppo tardi per farla: ne parliamo l’anno prossimo. Il secondo, dato che mi rifiuto di sottopormi alla sofferenza di grattugiare le radici di rafano, lo compro già pronto.

Insolito e spettacolare: l’aspic di filetto

Se Pasqua fosse quest’anno all’insegna del tempo bello e delle temperature tiepide che ci aspettiamo (ci auguriamo e ci meritiamo) si potrà servire come secondo un piatto freddo.
E se non si volesse risolvere con il vitello tonnato, per esempio, si potrebbe prendere in considerazione questo Aspic di filetto, la cui preparazione è complessa e abbastanza complicata, ma si può realizzare con un certo anticipo e a fasi successive, senza sfiancarsi quindi in un’unica giornata e con un risultato incredibile.
È un piatto fatto per stupire e per farsi ricordare.

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Per prima cosa, due giorni prima di quando si intende servire l’aspic, si prepara una versione semplice del paté facendo scottare 200 gr di fegato di maiale a pezzettini con 30 gr di burro e qualche foglia di salvia.
Si aggiusta di sale e si frulla con 100 gr di lardo a cubetti, 200 gr di polpa di maiale macinata, 1 spicchio d’aglio, 1 bicchierino di Recioto Bianco di Soave (o di Sauternes o di Vin Santo), 2 cucchiai di Cognac, 1 tartufo grattugiato (oppure 1 cucchiaino di pasta di tartufo), sale e pepe.
Ottenuto un impasto omogeneo, lo si compatta in una terrina e si inforna a 180 gradi per circa 1 ora e mezza.
Una volta raffreddato si ripone in frigorifero.
Il secondo passaggio è la cottura del filetto.
Si prepara una miscela riducendo a crema uno spicchio d’aglio e aggiungendo 1/2 cucchiaino di zenzero in polvere, sale e una macinata di pepe.
Si unge d’olio tutta la superficie di un filetto intero di vitello (o di maiale) di circa 8-900 gr e si sfrega con la miscela facendola aderire bene.
Si inforna a 200 gradi per circa 40 minuti e una volta cotto si fa raffreddare e si conserva in frigorifero.
Un giorno prima di servirlo, si assembla l’aspic.
Si scaldano 750 ml di brodo leggero e si sciolgono 12 fogli di gelatina ammollati in acqua fredda, si aggiunge 1 altro bicchierino di vino Recioto bianco e si lascia intiepidire appena.
Se ne versa 1 cm sul fondo di uno stampo che possa contenere comodamente il filetto e si mette a rassodare in frigorifero per una mezz’oretta. Sopra si spalma con attenzione circa 1/3 di paté.
Al centro si appoggia il filetto e si riveste con il resto del paté distribuendolo sopra e sui lati.
Occorre lasciare 1-2 cm di spazio dai bordi delle stampo. Questo spazio andrà riempito con il resto della gelatina che coprirà interamente anche tutto il paté.
La preparazione è completata. Basta coprire lo stampo con la pellicola e metterlo in frigorifero fino al giorno successivo.
Al momento di servire, è sufficiente immergere lo stampo per un attimo in acqua calda e poi capovolgerlo sul piatto da portata.

Qualcuno forse potrà farsi intimorire da questo piatto indubbiamente complesso e con molti passaggi, ma ricordate che è un piatto freddo, quindi si può preparare in anticipo e a fasi successive.
Io devo dire invece che questo tipo di preparazioni così articolate mi spingono a provare e costituiscono una grande soddisfazione, ma io ho molto tempo, una grande passione e in fondo anche una certa abilità maturata negli anni.
Ma se questo piatto vi incuriosisce e vi stimola la fantasia, seguite tutti i miei passaggi e i vostri sforzi saranno ripagati da un risultato formidabile.
E volendo c’è tutto il tempo per prepararlo per Pasqua: mancano ancora tre giorni!

Polpettine (con la scorciatoia)

So già che fra poco comincerò a mettervi ansia ricordandovi quanto poco manca al 20 aprile…
L’ho fatto anche a Natale! Anzi allora mi pare di aver cominciato a gridare metaforicamente “Al lupo! Al lupo!” fin da ottobre. Ve lo ricordate?
Oggi dunque vi metto a parte di un segreto: sto riordinando le idee per il menù di Pasqua…
Quasi sicuramente il primo piatto sarà una pasta al forno, per i consueti motivi di praticità di cui abbiamo più volte parlato.
Mi piacerebbe preparare qualcosa di particolare, oltre che buono, diverso dal solito insomma.
Sto occhieggiando gli ziti, una pasta per me piuttosto inconsueta, con cui foderare uno stampo da charlotte, ma sto pensando anche ad un timballo di pasta fresca o di riso. Ancora non so dove cadrà la scelta.
Quello che so comunque è che con tutta probabilità il ripieno sarà in parte costituito, oltre che da chissà quali altri ingredienti, dalle polpettine di carne.
Ora, confezionare e friggere un sacco di piccole polpette per poi ripassarle nel sugo è un lavoraccio, diciamocelo.
Quindi vi offro un’alternativa, che essendo come sempre uno dei segreti dello chef, vi prego di tenere per voi, senza divulgarlo…

20140324-194237.jpgCapito? Le polpetttine vanno cotte al forno negli stampi da muffin, quelli piccoli.

Si prepara un impasto con 400 gr di macinato misto di manzo e suino, 100 gr di grana grattugiato, 50 gr di pane raffermo grattugiato, 1 uovo, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato, sale, pepe, 1 pizzico di noce moscata.
Si impasta tutto insieme e con le mani inumidite si formano delle palline che vanno inserite negli spazi di uno stampo multiplo per piccoli muffin o in uno di quelli di silicone per i cioccolatini. Con queste dosi ne verranno almeno una trentina.
Si infornano a 180 gradi per circa 20 minuti.
In questo modo ci si risparmia lo stress da frittura e si ottengono comunque delle polpettine eccezionali.
A questo punto si possono ripassare, una volta raffreddate e quindi belle compatte, in una salsa di pomodoro preparata con 500 ml di passata di pomodoro, 1/2 cipolla tritata, alcune foglie di basilico, una presa di sale e una puntina di zucchero, fatta restringere per una ventina di minuti, mescolando di tanto in tanto con un cucchiaio di legno, senza alcun condimento.

Ci siamo: una parte del ripieno del timballo pasquale è bella e pronta, non importa se verrà utilizzata con la pasta o col riso. Sapere che è stato comunque fatto un primo passo verso la realizzazione del primo piatto è già una bella consolazione, no?
Se al pranzo di Pasqua invece proprio non ci pensate, con la preparazione che vi ho suggerito conditeci due spaghetti, come farebbe Joe Bastianich o servite le polpettine al pomodoro come secondo piatto insieme alle patate lesse ripassate in padella, come queste qua.

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Timballini di patate e funghi

Le patate sono le grandi protagoniste di molti piatti saporiti.
Io le cuocio intere insieme agli arrosti così si insaporiscono col loro sugo, le inforno a cubetti con salsicce, erbe e aromi, le cucino in umido, ne faccio purè, gnocchi, minestre e crocchette, le metto nei dolci e nelle insalate.
Le faccio insomma in tutti i modi in cui le fate anche voi, però forse questa di servirle come timballi mono porzione abbinate ai funghi (per accompagnare uno dei miei arrosti per esempio) è un’idea nuova, o almeno poco spesso realizzata e vale la pena di parlarne perché servite così, le patate diventano proprio un contorno raffinato.

20140311-092114.jpgFaccio appassire con 1 cucchiaio di olio 1 cipolla dorata tritata grossolanamente.
Nello stesso tegame aggiungo una noce di burro e 1/2 chilo di patate pelate, tagliate a fettine e sbollentate per 6-8 minuti, e le foglioline di un rametto di timo. Salo, pepo e porto a cottura: ci vorranno altri 10 minuti.
Faccio saltare 200 gr di funghetti champignon con olio e aglio a fuoco vivace, regolo di sale e pepe, li trito grossolanamente a coltello e li unisco alle patate.
Spolverizzo con 1 cucchiaio di prezzemolo tritato, una grattugiata di noce moscata, 50 gr di grana grattugiato e mescolo.
Compatto questo composto in 12 stampini da muffin ben imburrati e li passo in forno a bagnomaria a 200° per 15 minuti. Li lascio intiepidire e poi li sformo.

Ecco un contorno sfizioso e molto saporito.
Non c’è bisogno di aggiungere uova al composto perché lo renderebbero più stabile e legato, mentre è buono così: piuttosto sbricioloso quando si apre con la forchetta…. Ma si potrà dire? Probabilmente non è corretto, ma è proprio sbricioloso. E squisito.