Un dessert a base di riso e arance

A volte bastano veramente pochi dettagli per fare di un semplice dolcetto, di quelli adatti alla merenda per intenderci, un vero dessert.
Prendiamo per esempio la torta di riso, quella semplice, classica che si fa cuocendo 200 gr di riso in 750 ml di latte intero in ebollizione con 120 gr di zucchero e 1 pizzico di sale.
Facciamo un rapido ripasso della sua preparazione.
Quando tutto il latte è stato assorbito si aggiungono la buccia grattugiata di 1 limone e 1 bicchierino di rum.
Una volta che il composto si è raffreddato si incorporano uno alla volta 3 tuorli e poi a cucchiaiate i 3 albumi montati a neve, si versa in una tortiera imburrata e si inforna a 180 gradi per i soliti 45-50 minuti.
Questo per quanto riguarda la torta di riso, che credo più o meno facciate tutti così, ma come dicevo con pochi tocchi avviene un’interessante trasformazione.

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Prima di tutto si utilizza uno stampo rettangolare e non la classica tortiera tonda, perché impiattare i quadrotti è più elegante che servire le fette triangolari e poi si decora con una salsa di frutta.
Stavo per usare la gelatina di rose (post di giovedì 15 gennaio) ma invece ho preferito una specie di marmellata di arance, più di stagione.
Ci sono diversi modi per preparare la marmellata, questa secondo me è molto adatta ad essere utilizzata nella preparazione dei dolci per via delle scorzette e delle noci che la rendono particolare.
La mia salsa all’arancia dunque, non è che una marmellata di arance con qualche piccola aggiunta golosa, molto semplice da preparare, ma deliziosa.

Si lavano con molta cura 5 arance non trattate, si sbucciano e di 2 si conserva la scorza, che si taglia a filetti e si sbollenta per 2-3 minuti.
Si eliminano tutte le pellicine bianche dalle arance e si affettano togliendo eventuali semi.
Si pesano e si versano in una casseruola con lo stesso peso di zucchero e 1 bicchierino di Cointreau. Si portano a ebollizione, mescolando spesso e schiumando.
Si fanno cuocere per circa mezz’ora e quando lo zucchero assume la consistenza del miele e comincia a velare il mestolo, si aggiungono i filetti di scorza d’arancia preparati in precedenza e 80 gr di noci spezzettate.
Si cuoce ancora per qualche minuto sempre mescolando e poi si versa il composto bollente nei vasetti che vanno subito chiusi ermeticamente.

Qualche cucchiaiata di questa marmellata su una semplice torta di riso, come dicevo, la trasforma in un lampo in un elegante dessert, ma è fantastica anche per una crostata al cacao per esempio.

Il budino di semolino quasi come quello dell’Artusi

Mia cognata fa a Natale un budino di semolino che io trovo squisito e che secondo me è straordinario mangiato tiepido.
Come afferma mio cognato, si tratta della storica ricetta che si trova ne “La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi e questo è il risultato di quest’anno.

20141228-012600.jpgBasandomi soprattutto sulle mie intuizioni e sulla scarna descrizione della ricetta in mio possesso, suggerisco a chi volesse cimentarsi nella preparazione di questo storico dolce di procedere come segue.

Si fanno ammorbidire in acqua tiepida 50 gr di uvette.
Nel frattempo si portano a ebollizione 750 ml di latte con 1 pizzico di sale, 30 gr di burro e 75 gr di zucchero.
Si versano a pioggia 150 gr di semolino e continuando a mescolare si cuoce finché il composto non comincia ad addensarsi. Ci vorranno circa 10 minuti.
Si lascia raffreddare quasi completamente e si incorporano 4 tuorli, uno alla volta.
Si aggiungono le uvette scolate e asciugate, circa 50 gr di frutta candita mista a cubetti, la buccia grattugiata di 1 limone, 1 bicchierino di rum e da ultimi, delicatamente, i 4 albumi montati a neve.
Si versa il composto in uno stampo a ciambella imburrato e spolverizzato di pangrattato molto fine e si inforna a 180 gradi per circa 40 minuti.

L’Artusi secondo me avrebbe obiettato sull’aggiunta dei canditi, ma io li ho sempre trovati perfetti in questo dolce.

“Uncategorized” dolce coi fichi

Credevo proprio che non ce ne fossero più e invece ieri, inaspettatamente, proprio sul bancone accanto a finferli e porcini, ce n’era una cassettina intera.
Di cosa? Di fichi: piccolini, sodi, alcuni con un accenno di goccia, irresistibili. Tanto che di slancio ne compro davvero tanti perché i fichi li adoro e li mangio anche col prosciutto o lo speck e coi formaggi erborinati, come piatto unico a pranzo e ormai se non faccio il pieno adesso…
Felice, una volta a casa comincio a sbucciarne uno perché un assaggio ci vuole e lo trovo se non proprio cattivo, assolutamente senza sapore.
Do comunque fiducia agli altri nel cestino e ne assaggio un secondo. Niente di che nemmeno questo. Peccato.
Sono troppo pochi per fare la mostarda o la marmellata e non ho liquori a sufficienza per metterli sotto spirito, ma così non vale proprio la pena di mangiarli.
Non ho tempo per fare un dolce da forno quindi se voglio servire un piccolo dessert a pranzo devo farmi venire un’idea. In fretta.
Nella credenza per fortuna ho sempre qualche dolcetto pronto.
Ho scovato una bella pastafrolla tonda, di quelle che vanno messe al centro della tavola, colpite col pugno e servite con un bicchierino di grappa, il tipico fiore all’occhiello della montagna Veronese, quella parte che fu abitata dai Cimbri dal 1200.
La conoscete?
Comunque meno male che ce l’avevo perché mi ha permesso di mettere insieme un dessert niente male, che non saprei se è giusto collocare tra le crostate.

20140927-182905.jpgHo spalmato di crema pasticcera (preparata con 1/2 litro di latte, 4 tuorli, 100 gr di zucchero, 40 gr di farina e 1 pizzico di sale) la base di pastafrolla, sopra ho accomodato i fichi, anche se erano così così, tagliati a spicchi.
Ho sciolto in un pentolino qualche cucchiaiata di confettura di pesche e 1 bicchierino di rum, l’ho passata al setaccio e ho spennellato con attenzione tutta la superficie dei fichi.
Ho finito cospargendo questo dolce improvvisato con una cucchiaiata di mandorle a scaglie tostate.

Nell’insieme il dolce è risultato delizioso e perfino i fichi hanno acquistato sapore grazie alla crema e alla base di eccellente frolla.
Naturalmente chi non abita nei dintorni di Verona, la pasta frolla se la può fare da solo, agli altri suggerisco quella del Forno Bonomi, che non ha eguali.

Torta al cioccolato senza cottura

Di questi tempi pare che i dolci da frigo che vanno per la maggiore siano le cheesecake, che hanno soppiantato le Zuppe Inglesi e i Tiramisù. Vero?
Io però faccio una torta al cioccolato che non richiede il forno, è squisita, si prepara in pochi minuti, si conserva in frigorifero, ma non è la solita cheesecake.

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Pesto nel mortaio 200 gr di biscotti ai cereali con 100 gr di amaretti, li verso entrambi in una ciotola e aggiungo 120 gr di burro fuso.
Mescolo con cura e premo questo miscuglio sul fondo e sul bordo di una classica tortiera tonda, che metto a raffreddare in frigorifero per almeno mezz’ora..
Intanto preparo il ripieno facendo sciogliere a fuoco dolcissimo 200 gr di cioccolato fondente e 200 gr al latte spezzettati in un pentolino con 125 ml di panna da cucina e 1 bicchierino di rum.
Faccio intiepidire mescolando di tanto in tanto.
Recupero il guscio di biscotti, lo riempio con il composto al cioccolato ancora fluido, livello la superficie e rimetto in frigorifero per minimo 6 ore, ma meglio tutta la notte.

Buona eh? Certo, se avevate in mente un dolce light… avete sbagliato Blog!

La torta di Betty

La torta di Betty è un classico dolce di recupero, che ha lo scopo di eliminare almeno in parte il pane che si accumula in ogni cucina.
Infatti nonostante anche noi siamo attenti a non comprare più di quello che pensiamo di mettere in tavola, mi ritrovo sempre con dei grossi sacchetti ricolmi di pane vecchio.
Di tanto in tanto quindi lo grattugio e poi lo uso per le cotolette, le polpette, i gratin, i ripieni, ma se mi voglio liberare di una bella quantità di pane vecchio faccio la torta di Betty.

20140706-011022.jpgSi sbucciano 4 grosse mele, si privano del torsolo e si affettano sottili.
Si bagnano con il succo di 1 limone e si mescolano aggiungendo 150 gr di zucchero di canna, 1 cucchiaino di cannella e 70 gr di uvette ammollate.
A parte si fa un composto unendo 300 gr di pane raffermo affettato molto sottile a 150 gr di burro fuso.
Con 1/3 si cosparge il fondo di una tortiera, si accomodano sopra metà delle mele, si coprono con un altro terzo di composto e si dispone sopra il rimanente mix di mele.
Per ultimo si fa il terzo strato di pane.
Si spruzza tutta la superficie con 1-2 bicchierini di rum e si inforna a 180° per circa 1 ora.

Se pensate di fare i furbi e non la realizzate a strati, ma mescolate tutto insieme, la torta di Betty non vi verrà mai come si deve.

Semifreddo all’ananas

Nei giorni scorsi ho parlato con qualcuno del semifreddo all’ananas… ma non ricordo né con chi, né in che occasione.
Ho ripensato all’unico viaggio che ho fatto alle Hawaii, quando siamo partiti in 13 il 17 di giugno e per fortuna nessuno era superstizioso: tre coppie con sei bambini vagamente coetanei e una nonna (la mia mamma) che in quell’occasione ha ricevuto il battesimo del volo.
Sembravamo un po’ l’Armata Brancaleone, lo ammetto, ma è stato il primo viaggio fin quasi agli antipodi ed è difficile da dimenticare: una meta esotica e lontana, l’emozione di scoprire culture e profumi sconosciuti, panorami mozzafiato, abiti ricchi di colore, sapori inusuali, danze armoniose, surfisti a cavallo delle onde dell’Oceano, il calore della gente che parla una lingua musicale usando parole come aloha, mahalo, hula, ohana, lei, luao…
E proprio in occasione di un “luao” sulla spiaggia di Kanapaali, sull’isola di Maui, dopo maialino arrosto, patate dolci, riso fritto, piatti a base di aragosta, cocco e avocado, ci hanno servito un semifreddo all’ananas.
Ne parlavo con qualcuno di voi? O ero dal parrucchiere?
Comunque, dato che mi è tornato in mente, ho fatto questo delizioso semifreddo che delle Hawaii ha il profumo e il sapore, anche se va preparato con l’ananas in scatola, quello sciroppato, che è molto più comodo da usare, in questo caso, rispetto a quello fresco.
Ve lo propongo volentieri, dato che è un dessert semplice ma di effetto, di quelli insomma che fanno fare bella figura con poca fatica.
È sempre utile, trovo, conoscere una ricetta in più di questo tipo, da tirare fuori quando occorre.

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Per prima cosa ho frullato circa 300 gr di fette di ananas sciroppato sgocciolate e ben asciugate.
Ho montato con le fruste elettriche 500 ml di panna fresca con 1 cucchiaio di zucchero a velo e l’ho unita a 100 ml di succo di ananas, 50 ml di succo di limone e 1 bicchierino di rum*.
Ho amalgamato tutto sempre con le fruste, aggiunto la polpa frullata dell’ananas e ho semplicemente versato il composto in un contenitore con chiusura ermetica che ho riposto in freezer per 4-6 ore almeno.
Ormai sapete che questo tipo di preparazioni si può estrarre dal contenitore con facilità quando è il momento, usando un semplice cucchiaio o l’utensile apposito per fare le palline di gelato.
Questo dipende da quante cianfrusaglie avete nel tempo acquistato per utilizzarle poi magari piuttosto raramente…
In questo caso è vitale però l’uso dell’attrezzo che consente di ottenere delle palline da posizionare sulle fette di ananas e poi servirle con un un bicchierino di Batida de Coco, antiquata e un po’ fuori moda, ma comunque perfetta per accompagnare questo semifreddo.

*Se non avete in casa il rum, va bene anche un bicchierino di Limoncello o Grand Marnier o nessun liquore se siete astemi o prevedete di farlo assaggiare anche ai bambini.

La mia crema Catalana con doppia sorpresa

Adoro la Crema Catalana.
Trovo che il fatto di avere come ingrediente la maizena anziché la farina, la renda più delicata della nostra crema pasticciera, che comunque mi piace molto ed è la base di molti dei miei dolci.
Mi piace altrettanto anche la crème brûlée e mediamente la crème caramel.
Ma di recente ho provato una curiosa variante della crema Catalana che adesso vi racconto.
La prima parte non presenta nessuna modifica rispetto alla preparazione classica.

Si porta a ebollizione 1/2 litro di latte con la buccia di 1/2 limone e una stecca di cannella.
Nel frattempo si montano 4 tuorli con 100 gr di zucchero, si aggiungono 1 pizzico di sale e 2 cucchiai di maizena. Si amalgama alla perfezione e si unisce, sempre mescolando, il latte filtrato.
Si rimette il composto sul fuoco nella stessa casseruola del latte, si porta nuovamente a bollore e si fa cuocere, senza smettere mai di mescolare, per circa 5 minuti finché la crema non acquista una certa consistenza.
A questo punto normalmente si suddivide la crema nelle ciotoline, si fa raffreddare in frigorifero, si cosparge di zucchero di canna e si caramella col l’apposito cannello.

Io invece, prima di versare la crema nelle coppette, spargo sul fondo una cucchiaiata di frutti di bosco e anziché coprire la superficie con lo zucchero di canna, ci verso sopra 1 bicchierino di rum caldo e gli do fuoco in tavola.
Oooooooh!
Ecco la prima sorpresa.

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Ed ecco la seconda.

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Il dessert per il pranzo di Pasqua

Mi metto nei vostri panni, perché un po’ sono anche i miei.
Chi si occuperà personalmente dell’antipasto, del primo, del secondo e dei contorni del pranzo di Pasqua, arrivato al momento di riflettere sul dessert magari ripiegherà sulla classica, tradizionale colomba.
Perché no? Certo che si può fare!
Vi do solo una piccola idea per presentarla nel solito modo un po’ chic che ci piace tanto. Senza stress, senza troppo lavoro, senza fatica.

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Si taglia la colomba a fette spesse, si spruzzano di rum oppure di Cognac, si spolverizzano di cannella in polvere e si passano due minuti in forno a 200 gradi.
Si accomodano su un bel piatto da portata e si decorano con alcuni rametti di ribes.

Consiglio di portare in tavola il piatto con una certa aria compiaciuta, come se la sua preparazione avesse richiesto chissà che impegno e questo vi rendesse molto orgogliose.
Ci cascano sempre tutti. Fidatevi, ho già fatto le prove generali.
Comunque chi si sentisse in colpa per non aver faticato nella preparazione del dessert e volesse proprio fare un piccolo sforzo, potrebbe preparare uno zabaione e servirlo a parte in salsiera, come suggerisce mio marito.
E i consigli di mio marito in fatto di dolci è meglio seguirli.

Perché le biscottiere sono vuote?

20131128-094247.jpgCome dicevano Benjamin Franklin e anche mia nonna: Ogni cosa al suo posto e un posto per ogni cosa.
Perciò queste particolari biscottiere sono ancora vuote perché andranno riempite con degli squisiti dolcetti fatti col panettone avanzato… e ancora non ne ho!
Un sacco di tempo fa, proprio per recuperare quello che non era stato consumato durante le Feste avevo cominciato a fare un dessert che è stato battezzato dagli amici che l’avevamo assaggiato: il dolce degli Avanzi, con la a maiuscola, dato il nostro cognome di famiglia!
Era così buono che, su richiesta, è diventato per molti anni il dessert del pranzo di Natale. Poi le cose sono cambiate di nuovo… ma è il bello della diretta!
Se lo rifaccio, ne riparliamo. Intanto col panettone avanzato faccio dei deliziosi bon bon molto decorativi, che servo a Natale col caffè. Ed è di questi che oggi vi voglio parlare anche se non ho la foto da mostrarvi, ma vi prometto che la pubblico appena possibile.

Ci vogliono 300 gr di fette di panettone (quello classico con uvette e canditi) che si riducono a cubetti e si mettono in una ciotola.
Si irrorano con 2 bicchierini di rum 100 gr di amaretti e mentre si imbevono, si sciolgono a bagnomaria150 gr di cioccolato fondente spezzettato e si versano sul panettone.
Si uniscono anche gli amaretti e con le mani inumidite con l’acqua di fiori d’arancio si mescolano tutti gli ingredienti e si formano delle palline grandi come noci.
Si allineano su un vassoio coperto di carta forno e si fa colare irregolarmente su ognuna un po’ di glassa reale (zucchero a velo, albume, succo di limone) simulando un mini nevicata.
Si sistemano sulla sommità di ogni pallina imbiancata due frammenti di ciliegina candita verde tagliati come due foglioline lanceolate e un frammento rotondo di ciliegina rossa che rappresenta una bacca.
L’illusione del clima Natalizio, o quanto meno invernale, è completa.
Si fanno asciugare bene, si sistemano nei pirottini di carta e finalmente nelle biscottiere munite di coperchio.

Questi dolcetti non si conservano a lungo (e non vanno riposti in frigorifero o si induriscono troppo). Come vi dicevo non ho una foto da mostrarvi al momento, ma mi pare di essere stata esauriente. In ogni caso sono sempre qua.
Non preoccupatevi se vi ho detto che non si conservano in frigo, tanto una volta che comincerete ad assaggiarli, non ve ne resteranno poi molti!

Gli zaletti Veneziani

Gli zaletti sono squisiti dolcetti Veneziani, a base di farina di mais, come molte altre specialità Venete, di antichissime origini.
In dialetto veneziano si chiamano “zaeti”, dove la zeta iniziale si pronuncia con quell’inconfondibile, morbida intonazione di molte parole dialettali della nostra Regione.
Il nome deriva dal colore giallino di queste prelibatezze, che in veneziano di dice appunto “zaeto”, gialletto insomma.
Ci sono diverse scuole di pensiero circa la loro preparazione. Alcuni fanno un impasto piuttosto sodo da tirare col mattarello e ricavarne con un coppapasta dei biscottini rotondi. Altri danno all’impasto la forma di un salame e lo tagliano a fette. Altri ancora (e io appartengo a questo terzo gruppo) preparano un composto ricco e morbido da depositare a cucchiaiate sulla placca del forno.
Il risultato sono dei dolcetti delicati dalla consistenza cremosa, contrapposti a quelli piuttosto asciutti delle altre varianti.

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Prima di tutto bisogna mettere in ammollo in un bicchierino di rum caldo 80 gr di uvetta. Intanto si portano a bollore 1/2 litro di latte con 120 gr di zucchero e 150 gr di burro.
A pioggia si versano nel latte 200 gr di farina di mais “fioretto” miscelata con 150 gr di farina 00 e 1 pizzico di sale e si fa cuocere 5-6 minuti sempre mescolando con una frusta per non creare grumi.
Fuori dal fuoco si incorporano, come sempre una alla volta, 3 uova intere, la buccia grattugiata di 1 limone, 1 bustina di lievito per dolci vanigliato e le uvette scolate.
Si amalgama tutto per bene e, come s’era detto, si depone l’impasto a cucchiaiate ben distanziate, sulla placca del forno foderata di carta forno leggermente imburrata.
Si inforna a 180 gradi per un tempo che varia dai 15 ai 25 minuti: dipende dal forno, dall’umidità in origine della farina, dalla dimensione delle cucchiaiate e da chissà quali altre variabili che è impossibile prevedere.
Gli zaletti insomma devono essere tenuti d’occhio e poi sfornati non appena risultano dorati in superficie e colorati più intensamente nella parte a contatto con la carta forno.
Vanno serviti spolverizzati di zucchero a velo.

Si possono aggiungere all’impasto anche 30 gr di pinoli. A volte lo faccio anch’io, ma non sempre.
Suggerisco di non provare altre ricette dove gli zaletti risultino più consistenti o finiranno per somigliare a dei comuni biscotti, mentre questi sono veramente speciali, “Serenissimi” e degni della tavola dei Dogi!