Pomodori ripieni di verdure

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La copertina di Sale & Pepe di questo mese mi ha ispirato la ricetta di oggi, almeno nella scelta dei pomodori costoluti da cuocere ripieni in forno.
Avevo bisogno di un contorno ricco e saporito per accompagnare della semplice carne ai ferri, non una sontuosa grigliata, ma dei morbidi e succulenti nodini di vitello cucinati in casa alla griglia.
Ho preparato una piccola caponata facendo saltare in padella con 2 cucchiai di olio: 4 acciughe sott’olio spezzettate, 1 peperone rosso (o giallo) a striscioline, 1 melanzana a dadini, 2 zucchine a rondelle e una manciatina di uvette ammollate.
Ho salato, insaporito con una macinata di pepe e un pizzico di peperoncino in polvere, spruzzato con qualche goccia di riduzione di aceto balsamico e finito la cottura a fuoco vivace.
Sono bastati proprio pochi minuti perché mi piace che le verdure restino leggermente croccanti visto il successivo passaggio in forno.
Ho aggiunto basilico e timo e mi sarei potuta fermare lì perché questo contorno era già buonissimo anche così, ma mi frullava in testa l’immagine che dicevo e dunque ho preparato i pomodori.
I pomodori costoluti detti Fiorentini sono i più adatti a questa preparazione perché sono più scenografici di altre varietà meno… costolute, appunto.
Ho tagliato dunque le calotte a 2 bellissimi pomodori, li ho svuotati dei semi, salati leggermente, sgocciolati, cosparsi con una piccola quantità di zucchero a velo vanigliato* e farciti con la caponata.
Un giro d’olio e li ho infornati a 200 gradi, con le loro calotte sopra, per 25/30 minuti.
Non avevo a disposizione le foglie esterne di un porro o li avrei infiocchettati anch’io come quelli ripieni di riso di Sale & Pepe che mi erano piaciuti tanto.

È un contorno veramente sfizioso, ghiotto e divertente.
Naturalmente, come dicevo, si può gustare la caponata anche senza l’ulteriore impegno di farcire e cuocere al forno i pomodori (anche dei semplici e perfettamente tondeggianti ramati eventualmente)… ma allora come ci si diverte in cucina?
Un pizzico si zucchero nelle preparazioni a base si pomodori ne mitiga l’acidità.
* L’utilizzo dello zucchero a velo vanigliato è un semplice esercizio di stile.

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Pasta coi Pomodorini gratinati al forno

Ho già avuto occasione di dire che la pasta al pomodoro è il modo più semplice e gustoso per preparare il piatto del giorno.
Però, oltre che col solito, saporito e corposo sugo di pomodoro, mi piace anche condirla aggiungendo dei pomodorini gratinati, che danno alla pasta un sapore irresistibile e intenso.
Questi non hanno una farcitura classica, ma sono squisiti grazie proprio al sapore insolito e inaspettato.
Naturalmente sono anche un perfetto contorno per il pesce o la carne alla griglia per esempio, ma questa volta ci faremo un regalo e condiremo la pasta, che nel mio caso sono dei fusilli integrali.

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Ci vogliono 5-600 gr di pomodorini, che vanno lavati e tagliati a metà. Si salano leggermente e si appoggiano capovolti su un piano inclinato, perché perdano in parte l’acqua di vegetazione.
Nel frattempo si prepara la panure mescolando in una ciotola 3 cucchiai di pangrattato, 1/2 spicchio d’aglio ridotto a crema, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato, 2 cucchiai di parmigiano grattugiato, 1 cucchiaio di mandorle e 1 di uvette ammollate, strizzate e tritate insieme, 1 pizzico di peperoncino in polvere, 1 pizzico di sale, 1 grattugiata di pepe e 2 cucchiai di olio.
Si mescola per miscelare bene il composto.
Si appoggiano i pomodorini asciugati con la carta da cucina su una teglia coperta di carta forno e si coprono con la miscela di pangrattato. Si distribuisce sopra un filo d’olio e si inforna a 200 gradi per una mezz’oretta.
Si lessano i fusilli o altra pasta a scelta, si scolano e si condiscono con sugo di pomodoro (quello cucinato con il basilico e la cipolla) olio e parmigiano, sopra si accomodano i pomodorini gratinati e si serve subito.

Ve l’ho detto, la farcitura è curiosa e sfiziosa, ha un sapore vagamente mediorientale per via delle uvette e delle mandorle e fa diventare un semplice piatto di pasta al pomodoro, una specialità da veri gourmet.

La brioche danese

Fra pochi giorni saranno passati 30 anni esatti dal nostro primo viaggio in America.
Siamo partiti a giugno nel 1985, appena finite le scuole, con nostro figlio, che ha compiuto 10 anni al Parco delle Sequoia, e una coppia di amici con una ragazzina della stessa età.
Nostra figlia invece quella volta è rimasta a casa con la nonna e la bisnonna perché aveva solo 3 anni e per lei sarebbe stata maggiore la fatica rispetto al divertimento in un viaggio di quel tipo lungo 3 settimane.
Ne aveva comunque solo 5 quando finalmente ha partecipato al secondo viaggio, quello che ci ha portati fino alle Hawaii, con il fratello, la nonna e due coppie ciascuna con 2 figli, a due a due più o meno coetanei e se l’è goduta un mondo.
Ma a tutte queste esperienze accenno anche nei miei libri.
Dunque, quando abbiamo fatto il nostro primo viaggio in California abbiamo sempre dormito nei Motel e fatto colazione nelle loro caffetterie.
Dopo la sosta a Las Vegas dove anche il breakfast in hotel è faboulous (come viene definita la città nei cartelli stradali che danno il benvenuto agli ospiti), siamo volati a New York e tra le molte altre cose fatte per la prima volta, abbiamo anche ordinato la nostra prima colazione in camera.
Non la colazione all’Americana, ma quella continentale, più vicina alle nostre abitudini e ci hanno servito marmellate, burro, miele, yogurt, tè, caffè, bricchi di latte e di panna, frutta fresca, succo di arancia, succo di mela, pane tostato e un intero cestino di brioche.
L’assaggio delle prime Danish scelte dal Pastry Basket è stato amore a prima vista, un amore che da 30 anni ci accompagna e ci rende felici già dal mattino quando le preparo.

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Si fanno intiepidire 125 ml di latte, si versano in una ciotola e si aggiungono 60 gr di zucchero semolato, 1 pizzico di sale e 1 bustina di lievito di birra disidratato.
Dopo 5 minuti si uniscono 1 uovo intero leggermente sbattuto, 1 piccola patata lessa sbucciata e schiacciata e 100 gr di farina.
Si mescola energicamente e si fa riposare 10 minuti.
Si fondono 80 gr di burro, si uniscono al composto e poco alla volta si uniscono altri 250 gr di farina setacciata, senza fare grumi.
L’impasto deve risultare morbido ma non colloso. Lo si lavora per qualche minuto con le mani, si fa una palla, si copre e si lascia lievitare al caldo in una ciotola unta per almeno 30 minuti.
Si riprende la pasta e la si stende con il mattarello in un rettangolo di 1/2 cm di spessore, si spennella con altri 60 gr di burro fuso, si cosparge con 50 gr di zucchero di canna mescolato con 1 cucchiaio di cannella e si spargono su tutta la superficie 80 gr di uvette fatte rinvenire in acqua tiepida e asciugate.
Si arrotola la pasta su se stessa e si taglia a fette di circa 2,5 cm. Con queste dosi si dovrebbero ottenere 9 roll.
Sul fondo di una teglia da forno spennellata di burro si appoggiano i roll non troppo vicini gli uni agli altri, si copre con un tovagliolo e si fanno lievitare ancora 2 ore.
Si spennellano con un mix di uovo e latte e si infornano a 180° per 35 – 40 minuti, finché non risultano dorati.
Si sfornano e mentre si raffreddano si prepara una ghiaccia classica con zucchero a velo e albume (oppure come la faccio io senza uovo, solo con lo zucchero, l’acqua e il succo di limone).
Si sparge sulle brioche e si lascia rapprendere.
Ecco, sono pronte.

Consiglio di aspettare per farle una giornata di pioggia o addirittura l’autunno… per non dover accendere il forno con queste temperature!

Insolito e goloso: il Buche de Chèvre al pesto

Adoro i formaggi perché sono tra gli ingredienti più eclettici che si possano immaginare.
Possono diventare finger food, antipasti, dessert, trovare posto su un tavolo da buffet, su un vassoio di legno, nei cucchiai, essere serviti freddi, caldi, fusi, accompagnare frutta, ortaggi o salse…
Insomma sono un passepartout eccezionale.
Confesso di avere un debole per i formaggi Francesi, che trovo intriganti e voluttuosi, ma ho un debole anche per la Francia, quindi…
Naturalmente utilizzo equamente anche i nostri latticini nazionali, come risulta evidente da molte della mie ricette, però soprattutto quando scelgo una ricetta a base di formaggio di pecora o di capra, penso subito al Roquefort o allo Chèvre.

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Il formaggio che ho scelto per questo delizioso piatto è il Buche de Chèvre.
È un cremoso formaggio francese di pura capra, di stagionatura media, con la cosiddetta “crosta fiorita” commestibile più soda e dolce del suo interno, che invece è ricco e piccante.
Il modo più conosciuto per proporlo è senz’altro caldo in insalata, come suggerivo nel post dell’11 agosto (Insalata di spinaci e chèvre: una vera ricetta New Age Angelena), ma questa volta ho arricchito la sua interessante combinazione di sapori e consistenze con una salsa che esalta queste caratteristiche e lo rende insolito e molto seducente.

Affetto molto sottilmente una cipolla bianca e la faccio stufare con 1 cucchiaio di olio a fuoco dolcissimo, salando appena e aggiungendo qualche cucchiaiata d’acqua perché si ammorbidisca senza colorarsi.
Metto a bagno in acqua tiepida una manciata di uva sultanina.
Faccio leggermente tostare in un pentolino antiaderente 2 cucchiaiate di pinoli. Li mescolo alle cipolle fatte intiepidite e alle uvette sgocciolate e asciugate.
Dopo aver tagliato uno o più tronchetti di Buche de Chèvre a rondelle alte 3-4 cm, verso su ognuna 1 cucchiaino colmo di ottimo pesto ligure (quello classico fatto con basilico, aglio, pinoli, olio, pecorino, parmigiano e qualche grano di sale grosso) meglio se fatto in casa e 1 cucchiaio scarso di miscela di cipolle, pinoli e uvette.

Come dicevo può essere uno stuzzicante antipasto in attesa di una pasta saporita oppure la ghiotta conclusione di una cena di poche portate o un elegante piatto da buffet…
Insomma pensateci voi, l’importante è che ve la ricordiate questa ricetta, perché è semplice ma di grande effetto, oltre che gustosissima: una di quelle famose ricette che chiamo “fumo negli occhi” perché ottengono sempre un inspiegabile successo con uno sforzo minimo, se non quello della fantasia.

Il budino di semolino quasi come quello dell’Artusi

Mia cognata fa a Natale un budino di semolino che io trovo squisito e che secondo me è straordinario mangiato tiepido.
Come afferma mio cognato, si tratta della storica ricetta che si trova ne “La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi e questo è il risultato di quest’anno.

20141228-012600.jpgBasandomi soprattutto sulle mie intuizioni e sulla scarna descrizione della ricetta in mio possesso, suggerisco a chi volesse cimentarsi nella preparazione di questo storico dolce di procedere come segue.

Si fanno ammorbidire in acqua tiepida 50 gr di uvette.
Nel frattempo si portano a ebollizione 750 ml di latte con 1 pizzico di sale, 30 gr di burro e 75 gr di zucchero.
Si versano a pioggia 150 gr di semolino e continuando a mescolare si cuoce finché il composto non comincia ad addensarsi. Ci vorranno circa 10 minuti.
Si lascia raffreddare quasi completamente e si incorporano 4 tuorli, uno alla volta.
Si aggiungono le uvette scolate e asciugate, circa 50 gr di frutta candita mista a cubetti, la buccia grattugiata di 1 limone, 1 bicchierino di rum e da ultimi, delicatamente, i 4 albumi montati a neve.
Si versa il composto in uno stampo a ciambella imburrato e spolverizzato di pangrattato molto fine e si inforna a 180 gradi per circa 40 minuti.

L’Artusi secondo me avrebbe obiettato sull’aggiunta dei canditi, ma io li ho sempre trovati perfetti in questo dolce.

La torta di Betty

La torta di Betty è un classico dolce di recupero, che ha lo scopo di eliminare almeno in parte il pane che si accumula in ogni cucina.
Infatti nonostante anche noi siamo attenti a non comprare più di quello che pensiamo di mettere in tavola, mi ritrovo sempre con dei grossi sacchetti ricolmi di pane vecchio.
Di tanto in tanto quindi lo grattugio e poi lo uso per le cotolette, le polpette, i gratin, i ripieni, ma se mi voglio liberare di una bella quantità di pane vecchio faccio la torta di Betty.

20140706-011022.jpgSi sbucciano 4 grosse mele, si privano del torsolo e si affettano sottili.
Si bagnano con il succo di 1 limone e si mescolano aggiungendo 150 gr di zucchero di canna, 1 cucchiaino di cannella e 70 gr di uvette ammollate.
A parte si fa un composto unendo 300 gr di pane raffermo affettato molto sottile a 150 gr di burro fuso.
Con 1/3 si cosparge il fondo di una tortiera, si accomodano sopra metà delle mele, si coprono con un altro terzo di composto e si dispone sopra il rimanente mix di mele.
Per ultimo si fa il terzo strato di pane.
Si spruzza tutta la superficie con 1-2 bicchierini di rum e si inforna a 180° per circa 1 ora.

Se pensate di fare i furbi e non la realizzate a strati, ma mescolate tutto insieme, la torta di Betty non vi verrà mai come si deve.

Budino di pane con le uvette

Di pane raffermo si parlava pochi giorni fa con Marina di Le ricette di Baccos. Per quanto poco se ne compri, di pane se ne avanza sempre.
Personalmente spesso mi trovo con il freezer intasato di sacchetti gelo con dentro diversi panini interi che prima o poi vengono buoni e con un sacchettone di pane appena sbocconcellato che conservo per grattugiare, per fare i crostini per le minestre, per sfamare le anatre del Lago. Ma me ne resta sempre un bel po’.
Quando erano piccoli i ragazzi facevo spesso un dolce morbido e profumato, adatto alla merenda, ma poi loro sono cresciuti e l’ho abbandonato.
Mi è tornato in mente adesso che questo tempo e il vento mi mettono a disagio, mi fanno accelerare il ritmo cardiaco e acuiscono la malinconia.

20140209-173602.jpgSi mettono a scaldare 750 ml di latte a cui si mescolano i semini di 1 baccello di vaniglia (oppure 1 cucchiaino di estratto).
Si affettano molto sottili 400 gr di pane raffermo, si coprono con il latte tiepido aromatizzato e si lasciano riposare per un paio d’ore.
Di tanto in tanto si mescola e si schiaccia con una forchetta e quando il composto è morbido e omogeneo si aggiungono 100 gr di zucchero, 50 gr di burro fuso, 1 cucchiaino di cannella in polvere, 2 uova intere e 50 gr di uvette ammollate in acqua tiepida.
Sul fondo di una teglia quadrata si versa, spandendola uniformemente, una miscela di 50 gr di noci tritate finemente, 75 gr di zucchero di canna e 50 gr di burro fuso.
Ci si versa sopra il composto, si livella e si inforna a 180 gradi per circa mezz’ora.
Trascorso questo tempo, si sforna e appena il dolce si è un po’ intiepidito si capovolge su un piatto.
Si serve tagliato a quadrotti. È buonissimo con il tè e si mangia con il cucchiaio: l’ho definito infatti un budino e non una torta.

Se non lo fate per la merenda dei bambini, le uvette le potete ammollare in 1 bicchierino di Marsala tiepido, versando nell’impasto anche quello che non è stato assorbito: avrà un sapore più stimolante!
Se non vi piace la vaniglia, la potete sostituire con la buccia grattugiata di limone, non cambia niente.
Oltre alle uvette, se volete potete aggiungere anche una mela affettata e una cucchiaiata di frutta mista candita oppure sostituirle con le gocce di cioccolato.
Voglio dire in sostanza che partendo dal pane raffermo potete creare una serie infinita di varianti del mio budino e dare sfogo alla fantasia, però mi aspetto che poi postiate anche la vostra ricetta!

Una ricetta vintage

La mia cucina è piena di oggetti Vintage.
Non mi riferisco alle cioccolatiere di rame, agli stampi da aspic di vetro o ai sifoni per il seltz, che sono molto più vecchi. Intendo semplicemente alcuni oggetti della nostra Lista Nozze.
Lo zucchero e il sale grosso e fino, per esempio, da quarantaquattro anni sono sempre negli stessi barattoli di porcellana a fiori col tappo in tek accanto ai fornelli, come nella cucina della nostra prima casa. Questa è la quarta. La quarta casa e la quarta cucina intendo.
Il vassoietto ovale della Alessi per i nostri due caffè, le tazze da colazione con le roselline, i coltelli da formaggio, il mortaio e il tagliere di legno sono stati tutti acquistati alla fine degli anni Sessanta, quindi sono ormai decisamente Vintage.
Sarà quindi questa atmosfera retró che aleggia nella mia cucina a suggerirmi spesso ricette datate o addirittura in disuso se non obsolete.
Io faccio ancora le mele cotte, per esempio. Semplici, rassicuranti, antiquate mele al forno, dolci e nostalgiche.

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Meglio di tutto sarebbe poter avere a disposizione le mele di Zevio, dalla caratteristica buccia ruvida, dolci, croccanti e aromatiche, ma vanno bene anche le normali Golden Delicious.

Io lavo bene le mie mele lasciando il picciolo, le dispongo in una pirofila a bordi alti, ben accostate così non si rovesciano.
Sopra ognuna verso 1 cucchiaio di miele, spolverizzo con la cannella, un pizzico di noce moscata e appoggio sulla sommità alcune uvette fatte rinvenire nella grappa tiepida e 1 chiodo di garofano.
Inforno a 180 gradi per 20-25 minuti. Finito.

Sono uno stupendo fine pasto. Ancora tiepide sono eccezionali con una pallina di gelato alla vaniglia. Sono antiquate e irresistibili, perfette per una domenica sera…

L’estate di San Martino

Accidenti, quest’anno mi è proprio sfuggito! Mi sono dimenticata che l’11 era San Martino, anche se le temperature miti delle scorse settimane avrebbero dovuto ricordarmi che era la nostra Estate Indiana.
In famiglia l’abbiamo sempre festeggiato con le caldarroste, le castagne bollite, qualche volta coi “peladei” e con dolcetti vari.
Tanti anni fa organizzavamo degli allegri dopocena col vino nuovo Bardolino e i marroni di San Zeno, quelli della Comunità Montana del Monte Baldo, dove il castagno viene coltivato già dal Medioevo tra il Lago di Garda e la Valle dell’Adige, però anche se ultimamente la “festa di San Martino” è diventata esclusivamente un piccolo assaggio di castagne senza l’accompagnamento del vino rosso Novello delle nostre parti (l’equivalente dell’acclamatissimo Beaujolais), mi dispiace proprio averla saltata.
Ho cercato di rimediare facendo il castagnaccio. In ritardo.
Non so se vale lo stesso.

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Questo è il modo “moderno” per preparare il castagnaccio, che in dialetto Veronese si chiama “bole” e non c’è da preoccuparsi se vi sembrerà all’inizio eccessivamente liquido, è il segreto perché riesca morbido e cremoso, mai stopposo:
– piano piano si stemperano 1/2 chilo di farina di castagne, 1 cucchiaino raso di sale e 100 gr di zucchero con 3/4 di litro d’acqua e 3/4 di latte, senza fare grumi;
– si versa questo composto molto liquido in una teglia rettangolare (quella per le lasagne al forno per intenderci) unta con 4 cucchiai d’olio;
– si distribuiscono sulla superficie 50 gr di pinoli e 100 gr di uvette precedentemente ammollate;
– si inforna a 180 gradi orientativamente per 1 ora. Come indicazione posso dire che la cottura è perfetta quando sulla superficie della bole appaiono le caratteristiche crepe che si notano anche nella fotografia.

La mia mamma mi raccontava che quand’era ragazzina, all’uscita dalla scuola con 10 centesimi poteva comperare da un carrettino che stazionava lì davanti una fetta di bole (quella vera, povera e antica: senza latte, uvette e pinoli).
La più grande soddisfazione consisteva nell’ottenere che il venditore nel cartoccio ne aggiungesse anche un pezzettino in più in regalo, la “zonta”.

Bambini, merenda!

Nostro nipote è decisamente troppo piccolo per fare merenda con una fetta di torta. I nostri figli, da anni fuori casa, ormai troppo grandi… forse.
Quindi spesso mi capita di ripensare con un filo di nostalgia al periodo (breve) in cui non lavoravo e vivevamo in campagna, sulle colline della sponda Veronese del Lago di Garda.
Allora preparavo praticamente tutti i giorni un dolce per la merenda dei bambini, che si finiva poi la mattina successiva a colazione.
Erano focacce, torte, biscotti di ogni tipo il cui profumo riempiva la cucina e il cuore, un fragrante, dolce, rassicurante profumo di casa, di pazienza, d’amore.
Adesso però meglio darsi una scrollantina o la malinconia per le cose passate potrebbe perfino ostacolare la lievitazione!
Dunque, facevo queste torte con la frutta, la marmellata, le uova del contadino, il cacao, torte che non faccio più da anni, ma oggi me ne è venuta in mente una perfetta per questo periodo, che tra l’altro non ha lievito nell’impasto… così non corriamo rischi!

20131115-094031.jpgSi tratta di una torta di zucca: un involucro di pasta brisé con un soffice, insolito ripieno.

Per prima cosa si prepara la brisé con 220 gr di farina, 140 gr di burro, 1 cucchiaino raso di sale e circa 1 dl di acqua molto fredda. Si fa la solita palla e si conserva in frigorifero avvolta nella pellicola.
Nel frattempo si monda, si affetta e poi si riduce a dadi 1 chilo circa di zucca. Si fa asciugare in forno a 200 gradi per una ventina di minuti e poi si passa al setaccio e si raccoglie in una ciotola.
Si uniscono alla polpa di zucca 100 gr di amaretti frullati, 2 uova, 100 gr di zucchero di canna, 200 gr di ricotta setacciata, 50 gr di uvetta sultanina, 1 pizzico di sale, la buccia di 1 arancia grattugiata e 1/2 cucchiaino di cannella.
Si riprende la pasta, si divide in due, se ne stende metà e si fodera una tortiera imburrata. Si bucherella il fondo e si riempie con la farcia di zucca, si livella e si copre con la seconda metà dalla pasta stesa col mattarello.
Si pratica una serie di tagli (proprio come quelli delle torte di Nonna Papera!) per permettere al vapore di fuoruscire durante la cottura e si inforna a 180 gradi per 45 minuti circa.

Come sempre 45 minuti “circa”, perché ognuno conosce le caratteristiche del proprio forno e se ne deve assumere la responsabilità.
Il risultato comunque deve essere una torta dalla superficie dorata come quella della foto.
Ovviamente si possono apportare mille modifiche a questo ripieno, ma vi suggerirei, se ne avete voglia, di provarla così: è una torta collaudata, piena di sapore e di ricordi. Questi sono solo i miei, ma potete sempre cominciare a crearvene di nuovi, tutti vostri, magari proprio con questo dolce semplice e stagionale.