La torta di Betty

La torta di Betty è un classico dolce di recupero, che ha lo scopo di eliminare almeno in parte il pane che si accumula in ogni cucina.
Infatti nonostante anche noi siamo attenti a non comprare più di quello che pensiamo di mettere in tavola, mi ritrovo sempre con dei grossi sacchetti ricolmi di pane vecchio.
Di tanto in tanto quindi lo grattugio e poi lo uso per le cotolette, le polpette, i gratin, i ripieni, ma se mi voglio liberare di una bella quantità di pane vecchio faccio la torta di Betty.

20140706-011022.jpgSi sbucciano 4 grosse mele, si privano del torsolo e si affettano sottili.
Si bagnano con il succo di 1 limone e si mescolano aggiungendo 150 gr di zucchero di canna, 1 cucchiaino di cannella e 70 gr di uvette ammollate.
A parte si fa un composto unendo 300 gr di pane raffermo affettato molto sottile a 150 gr di burro fuso.
Con 1/3 si cosparge il fondo di una tortiera, si accomodano sopra metà delle mele, si coprono con un altro terzo di composto e si dispone sopra il rimanente mix di mele.
Per ultimo si fa il terzo strato di pane.
Si spruzza tutta la superficie con 1-2 bicchierini di rum e si inforna a 180° per circa 1 ora.

Se pensate di fare i furbi e non la realizzate a strati, ma mescolate tutto insieme, la torta di Betty non vi verrà mai come si deve.

Il polpettone di Woodstock

Se dico che una volta sono stata a Woodstock, viene subito in mente la Woodstock dello Stato di New York, hippy, libera e scatenata, che ha ospitato il primo memorabile concerto Rock per un pubblico di disinibiti figli dei fiori, vero?
Invece è la Woodstock del Vermont, storica, sofisticata e tradizionalista, quella coi boschi dorati nelle vicinanze, le locande di mattoni e lo sciroppo d’acero: la città dove nel corso del nostro “loop” del New England ho mangiato il polpettone più buono della mia vita!
Il viaggio in New England andrebbe fatto in pieno autunno, quando le dolci colline dell’interno assumono quelle tonalità di rosso, arancio e oro che sembrano pennellate di un pittore impressionista. Noi ci siamo arrivati appena un po’ troppo in anticipo e solo qualche albero qua e là sembrava in fiamme sullo sfondo verde intenso delle foreste.
Siamo sbarcati a Boston e dopo qualche giorno di immersione nella culla dell’Indipendenza Americana, abbiamo proseguito per il Maine e le sue coste selvagge, abbiamo attraversato il New Hampshire, malinconico e montuoso e prima di tornare sulla Costa per fermarci a Cape Cod a respirare l’aria dell’Oceano, abbiamo percorso un tratto del romantico Vermont coi suoi pascoli, i fienili dipinti di rosso, i ponti coperti e una cucina eccellente.
Una delle specialità del Vermont è il prosciutto affumicato alla maniera antica.
La ricetta tradizionale prevede che venga arrostito in forno ricoperto di sciroppo d’acero miscelato con bourbon e senape.
Dopo averne consumato la maggior parte, quello che avanza viene utilizzato per fare questo fantastico polpettone.

20140810-003030.jpgIn una terrina si mescolano con una forchetta 1 tazza di pancarrè appena tritato, 2 cucchiai di zucchero di canna e 2 cucchiaini di senape e si ottengono delle briciole.
Si uniscono circa 500 gr di prosciutto affumicato (noi dovremo accontentarci di quello “di Praga”) tritato, 500 gr di polpa di maiale macinata, 1/4 di litro di latte, 50 gr di pistacchi tritati, 8 albicocche secche tagliuzzate grossolanamente, 1 bicchierino di bourbon e 2 uova.
Si insaporisce con sale e pepe e si miscela bene.
Si dà all’impasto la forma di una pagnotta e la si avvolge in 200 gr di bacon affettato sottile.
Si appoggia in una pirofila foderata di carta forno leggermente unta e si inforna a 180° per 1 ora e 1/2 circa.

Questa dunque è considerata una ricetta di recupero, un riciclo… basta aver avanzato circa mezzo chilo di prosciutto!
Una piccola nota: le albicocche possono essere sostituite dalle prugne secche e i pistacchi dalle noci, ma non vedo perché.
Ah, si serve col purè.

Crumble di nettarine

Strana cosa i ricordi… io dico spesso che sono come le ciliegie: uno tira l’altro.
Il post di ieri sull’insalata Cobb, anziché farmi semplicemente ricordare le molte volte in cui siamo stati a Hollywood, grazie a un commento di Manu (Il Mondo di Ortolandia), mi ha fatto pensare al periodo in cui seguivamo con grande passione il Baseball.
Naturalmente adesso vi racconto qualcosa di più.
Ho un’amica Texana, che vive ancora in Italia ma vedo ormai molto di rado.
Ci siamo perse di vista, come spesso succede, quando gli impegni familiari e professionali non ci hanno più consentito di incontrarci liberamente come quando si era più giovani, ma ho conservato ricordi e ricette di quegli anni spensierati e felici.
Questa amica ha una storia affascinante e lei stessa è una persona molto attraente.
Prima di venire in Italia è vissuta a San Antonio, la città di Fort Alamo e Davy Crockett, e con suo nonno andava a caccia di armadilli, era stata cheerleader nella Squadra di Football (Americano ovviamente) del suo liceo, ha sposato un nostro amico d’infanzia che giocava a Baseball, aveva all’epoca un fratello in Vietnam, cantava canzoni folk con una stupenda voce da contralto e faceva dei dolci straordinari: il Pane di banane, la Torta di noci al cioccolato, i Brownies con le noci e questo Crumble di nettarine, che raccomando vivamente.

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Lavo 1 kg di nettarine (pesche noci), le taglio a metà ed elimino il nocciolo.
Le affetto sottili in maniera regolare, le allineo e le impilo in una pirofila imburrata.
Preparo una miscela con 100 gr di zucchero di canna, 120 gr di farina, 60 gr di burro fuso, 60 gr di biscotti frollini pestati e 80 gr di nocciole tritate.
Distribuisco questo “crumble” sulla frutta e inforno a 200° fino a che non si è formata una ricca crosticina dorata.

È un dessert stagionale davvero squisito. Non occorre che la frutta cuocia a lungo, anzi è sufficiente che il crumble sulla superficie sia dorato e il dolce è pronto.
Lo so, anche oggi vi sto chiedendo di accendere il forno, ma pare che con questa estate impossibile, la cosa non richieda poi un grosso sacrificio.

Pollo alla creola (si fa per dire)

Ogni tanto faccio un pollo al forno che chiamo “alla Creola”, ma che in realtà è solo un pollo a pezzi, molto saporito, con qualche ingrediente esotico miscelato ai più rassicuranti e familiari sedano e basilico per esempio, che un po’ alla volta si è arricchito di nuove spezie o fragranze ed è diventato questo piatto straordinario.

20140704-013335.jpgNell’insieme il sapore risulta un po’ orientale e un po’ dei mari del Sud: un connubio irresistibile che fa pensare alla cucina delle Colonie, agli abiti bianchi, a una musica lenta e ritmata, ai ventilatori a pale a soffitto, alle cucine vaste e piene di aromi, ai mari caldi e tranquilli dei Tropici.
E vi pare poco?! Pensate che tutte queste sensazioni si possono ottenere con un pollo e una salsa piuttosto complessa, sì, ma facile, come sempre.
Se poi avete la fortuna di poterlo mangiare in giardino… è fatta: il mio pollo vi conquisterà.

Si comincia dalla salsa: si tritano finemente 2 peperoncini rossi freschi piccanti, 1 falda di peperone giallo, 2 spicchi d’aglio, 1 pezzetto di zenzero, 1 costa di sedano e 1 cipollotto.
Si aggiungono 2 cucchiai di olio, 1 cucchiaino di zucchero di canna, 1 cucchiaio di basilico e 1 di coriandolo tritati insieme e 1 macinata molto generosa di pepe alla Creola.
Si mescola, si diluisce con il succo di 1 arancia e la sua scorsa grattugiata, 2 cucchiaiate di salsa di soia e 1 cucchiaio di miele.
Si accomodano in una pirofila 2 polli tagliati ciascuno in 8 pezzi, si coprono di salsa e si lasciano marinare in frigorifero un’oretta.
Si rigirano per bene nella salsa e si infornano a 220 gradi per circa 25 minuti, ma tutto dipende dal vostro forno. Comunque devono risultare dorati, morbidi e succulenti, eventualmente si possono coprire con la stagnola se si rosolano troppo o aggiungere altro succo di arancia.

Se vi state chiedendo con quale contorno accompagnare il Pollo alla Creola, direi che ci stanno bene il riso pilaf con zenzero e buccia d’arancia, le carote glassate, le patate novelle al vapore… e se viene in mente a voi qualcos’altro, per favore ditelo!

La mia torta di pesche

La storia di questa torta è piuttosto buffa e nasce da un errore di lettura della ricetta.
Fatto sta che questa che sarebbe dovuta essere una tarte tatin di pesche, non è mai stata capovolta sul piatto di portata, ma orgogliosamente servita direttamente dalla bellissima tortiera di ceramica, regalo di nozze…
Ero proprio convinta che così fosse perfetta. E in realtà era sul serio deliziosa, per cui da più di 40 anni, pur essendomi accorta da tempo dell’errore, la faccio in questo modo e prima di adesso non l’avevo mai detto a nessuno.

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Si sbucciano 6 pesche gialle e si tagliano a fette non troppo sottili. Si uniscono a 120 gr di zucchero di canna, 50 gr di burro fuso, 2 cucchiai di farina e 70 gr di mandorle a filetti prima tostate in forno. Si trasferiscono in una tortiera quadrata ben imburrata.
Si prepara la pasta mescolano nel food processor 150 gr di farina, 75 gr di burro a pezzetti, 75 gr di zucchero, 1 uovo, 1 pizzico di sale, 1/2 cucchiaino di cannella e 4 cucchiai di latte.
Si ottiene un impasto liscio e omogeneo che quando si raccoglie non si deve appiccicare alle dita.
Si stende con il mattarello e si trasferisce sul composto di pesche rimboccando e premendo bene i bordi per farlo aderire.
Si inforna a 200° per circa 45 minuti facendolo colorire uniformemente.

La mia bella tortiera decorata non ce l’ho più, quindi cuocio la torta di pesche in una teglia di Pyrex e servo le porzioni già fatte nei piattini da dessert.
Se la offrite ancora tiepida, accanto ci sta benissimo una pallina di gelato alla vaniglia. Vi fidate di me?!

Un antipasto tropicale

Adoro i Paesi tropicali.
Mi piacciono l’atmosfera, il ritmo lento della gente, il colore del cielo, gli odori nell’aria, il profumo dei fiori e del cibo. Il cibo ai Tropici ha un gusto dolce, forte e speziato che gioca sui contrasti.
In Polinesia, alle Hawaii, sul Mar dei Caraibi, sul Golfo del Messico ho assaggiato piatti esotici straordinari.
Ogni cucina ha le sue caratteristiche e gli ingredienti spesso variano molto, ma quello che hanno in comune è che ti rapiscono!
Una volta a casa, a volte basta veramente un’idea appena un po’ originale unita al ricordo di un piatto gustato in uno di quei luoghi per creare un antipasto esotico e goloso, che non si dimentica con facilità.
Per la ricetta di oggi c’è bisogno di pochissimi ingredienti e di un pizzico di audacia.

20140419-011359.jpgPer ogni commensale bastano 4 grosse code di gambero sgusciate che si fanno brevemente saltare in padella con una lacrima di olio e una spruzzata di succo di lime, si sfumano con un sorso di Cognac e si insaporiscono con pochissimo sale, una macinata di pepe e un pizzico di paprica affumicata.
Serve anche una fetta di ananas fresco privata del torsolo arrostita sulla piastra e condita con una leggera grattugiata di zenzero, qualche goccia di aceto balsamico, un pizzico di sale e uno di zucchero grezzo di canna.
Ora basta assemblare i piatti appoggiando su ognuno la fetta di ananas tagliata in quattro e sistemare sopra con garbo i quattro gamberi irrorati col loro sugo di cottura.

Anziché lo zenzero, si può grattugiare sull’ananas la buccia di un lime.
Mi pare che su un piatto così non ci sia proprio altro da aggiungere.

Cinnamon Rolls? Oh yes!

AVVERTENZA: CONSIGLIO A CHI NON AMA LA CANNELLA DI ASTENERSI DAL LEGGERE QUESTA RICETTA.

Molti anni fa avevamo un appartamentino in Multiproprietà al lago di Carezza.
Quando non ci siamo più andati perché erano cambiate le esigenze della famiglia, siamo entrati nel circuito dello scambio delle abitazioni, quindi per qualche anno abbiamo avuto la possibilità di permutare la nostra settimana di gennaio in montagna con una settimana in qualunque altra località in Europa e Oltreoceano nel periodo che si poteva di volta in volta concordare.
Con questo sistema siamo stati in Francia, in Florida, in Nevada e in California ed è stata una bellissima esperienza vivere all’estero, ma come gli indigeni!
Ricordo certe prime colazioni a nord di San Diego…
Anzi non l’ho proprio più dimenticate e adesso vi do la ricetta dei Cinnamon Rolls (rotoli alla cannella) che vi assicuro sembrano quelli mangiati da Neiman’s e al Daily News Café.

Si fanno intiepidire 125 ml di latte e si aggiungono 60 gr di zucchero semolato, 1 cucchiaino di sale e 1 bustina di lievito di birra secco, 1 uovo leggermente sbattuto, 1 piccola patata lessa ben schiacciata e 100 gr di farina.
Si mescola energicamente e si fa riposare 10 minuti.
Si fondono 80 gr di burro, si uniscono al composto e poco alla volta si aggiungono altri 250 gr di farina setacciata, senza fare grumi.
L’impasto deve risultare morbido ma non colloso. Lo si lavora per qualche minuto con le mani, si fa una palla, si copre con un canovaccio e si lascia lievitare al caldo in una ciotola unta.
Dopo 1/2 ora si riprende la pasta e la si stende con il mattarello in un rettangolo di 1/2 cm di spessore, si spennella con altri 60 gr di burro fuso e si cosparge con 80 gr di zucchero di canna mescolato con 1 cucchiaio raso di cannella. Si arrotola su se stessa e si taglia a fette alte circa 2,5 cm. Si dovrebbero ottenere 12 “girelle”, che si fanno lievitare, coperte, ancora mezz’ora in una teglia foderata di carta forno imburrata.

20140603-012711.jpgSi infornano poi a 180 gradi per 30 minuti circa.
Una volta sfornati si lasciano intiepidire e si servono sormontati da una pallina di ricotta montata con pochissimo zucchero su cui si fa sgocciolare una cucchiaiata di caramello (lo stesso del crème caramel).

“Crostata” ai piccoli frutti

Oggi, se per voi va bene, vi parlerei di nuovo di crostate.
Sarà che invecchiando si tende ad essere ripetitivi, d’accordo, ma non potevo tenere per me questo nuovo esperimento…
Ho da poco scoperto Allison Kave e un suo impasto fantastico per le “crostate”.
Il risultato è una sfoglia friabile di stampo inconfondibilmente U.S.A. che mi è piaciuta molto.

20140411-015123.jpgSi mescolano in una ciotola 400 gr di farina 00, 1 cucchiaino raso di sale, 2 cucchiai di zucchero a velo e 200 gr di burro freddissimo a pezzettini piccoli come piselli.
Un po’ per volta si aggiungono, spruzzandoli sull’impasto, 100 ml di latte e 1-2 cucchiai di aceto di mele.
Si lavora con la punta delle dita fino ad ottenere prima delle briciole e poi un composto nel quale il burro si intravede ancora.
Si fa riposare in frigorifero avvolto nella pellicola e nel frattempo si fanno saltare velocemente in padella 600 gr in totale di piccoli frutti (fragoline, lamponi, more e mirtilli) con 150 gr di zucchero di canna e 1 bicchierino di ottimo e aromatico Liquore ai frutti di bosco o anche di Limoncello.
Quando è evaporato, si lascia intiepidire e poi si aggiungono 2 cucchiai di maizena, mescolando delicatamente.
Si riprende la pasta, si divide in due. Con metà si fodera una tortiera da crostate, si bucherella il fondo e si versa il composto di frutta.
Dall’altra metà si ricavano delle larghe strisce con la rotella dentellata e si intrecciano sulla superficie. Infine si spennellano con una miscela di uovo e latte e si inforna a 180 gradi per circa 30 minuti.
Come sempre si lascia intiepidire questa insolita crostata prima di affettarla.

L’ho definita insolita perché è una crostata senza la classica la base di frolla, ma vi assicuro che questa pasta, che non è nemmeno una brisé, è una vera scoperta. Suggerisco di provarla.
Ovviamente Allison Kave la utilizza come base per le “pies” (cioè torte completamente coperte), ma io in cucina sono un po’ anarchica…

Crème brûlée

Adoro tutti i dolci che hanno come componente la crema pasticcera: dai krapfen ai pasticciotti, dalle crostatine di frutta ai bignè, dalla torta della nonna al diplomatico.
E questi sono solo alcuni dolci di tradizione, poi c’è la Torta degli Avanzi per riciclare il panettone e il golosissimo El Pules che sono tipici di casa nostra e in fine la leggendaria crema fritta della zia Celina, di cui parlo anche nel mio libro, e la crème brûlée, che considero vere preparazioni “in purezza”.
La crema pasticcera insomma è un vero atout.
Un po’ alla volta magari parliamo anche degli altri dessert, ma oggi è la volta della mia crème brûlée.

20140219-143513.jpgFacile.
In una casseruola mescolo insieme 4 cucchiai di farina, 4 di zucchero, la buccia grattugiata di 1 limone e 1 pizzico di sale.
Poi poco alla volta diluisco con 1 litro di latte, attenta a non fare grumi. Aggiungo 4 uova, una alla volta, incorporandole bene al composto e lo metto sul fuoco.
Aspetto che si alzi il bollore e lascio cuocere per una decina di minuti a fuoco dolcissimo, mescolando continuamente con la frusta.
Quando la crema è cotta, la verso in una pirofila e la lascio raffreddare completamente, poi la passo in frigorifero per almeno 3-4 ore.
A questo punto la base è pronta.

Una parte la taglio a losanghe, la impano nel semolino e rosolata nel burro diventa la crema fritta, ma questa è un’altra storia.
Il resto lo divido nelle porzioni di cui ho bisogno, le posiziono sui piattini da dessert, le cospargo di zucchero di canna e col cannello caramellatore ottengo una deliziosa crosticina bruciacchiata. Brûlé, appunto.
Le servo sempre con i frutti di bosco, che con la loro acidità mitigano la dolcezza, altrimenti lievemente stucchevole, della crema.

Budino di pane con le uvette

Di pane raffermo si parlava pochi giorni fa con Marina di Le ricette di Baccos. Per quanto poco se ne compri, di pane se ne avanza sempre.
Personalmente spesso mi trovo con il freezer intasato di sacchetti gelo con dentro diversi panini interi che prima o poi vengono buoni e con un sacchettone di pane appena sbocconcellato che conservo per grattugiare, per fare i crostini per le minestre, per sfamare le anatre del Lago. Ma me ne resta sempre un bel po’.
Quando erano piccoli i ragazzi facevo spesso un dolce morbido e profumato, adatto alla merenda, ma poi loro sono cresciuti e l’ho abbandonato.
Mi è tornato in mente adesso che questo tempo e il vento mi mettono a disagio, mi fanno accelerare il ritmo cardiaco e acuiscono la malinconia.

20140209-173602.jpgSi mettono a scaldare 750 ml di latte a cui si mescolano i semini di 1 baccello di vaniglia (oppure 1 cucchiaino di estratto).
Si affettano molto sottili 400 gr di pane raffermo, si coprono con il latte tiepido aromatizzato e si lasciano riposare per un paio d’ore.
Di tanto in tanto si mescola e si schiaccia con una forchetta e quando il composto è morbido e omogeneo si aggiungono 100 gr di zucchero, 50 gr di burro fuso, 1 cucchiaino di cannella in polvere, 2 uova intere e 50 gr di uvette ammollate in acqua tiepida.
Sul fondo di una teglia quadrata si versa, spandendola uniformemente, una miscela di 50 gr di noci tritate finemente, 75 gr di zucchero di canna e 50 gr di burro fuso.
Ci si versa sopra il composto, si livella e si inforna a 180 gradi per circa mezz’ora.
Trascorso questo tempo, si sforna e appena il dolce si è un po’ intiepidito si capovolge su un piatto.
Si serve tagliato a quadrotti. È buonissimo con il tè e si mangia con il cucchiaio: l’ho definito infatti un budino e non una torta.

Se non lo fate per la merenda dei bambini, le uvette le potete ammollare in 1 bicchierino di Marsala tiepido, versando nell’impasto anche quello che non è stato assorbito: avrà un sapore più stimolante!
Se non vi piace la vaniglia, la potete sostituire con la buccia grattugiata di limone, non cambia niente.
Oltre alle uvette, se volete potete aggiungere anche una mela affettata e una cucchiaiata di frutta mista candita oppure sostituirle con le gocce di cioccolato.
Voglio dire in sostanza che partendo dal pane raffermo potete creare una serie infinita di varianti del mio budino e dare sfogo alla fantasia, però mi aspetto che poi postiate anche la vostra ricetta!