“Polpette” di pesce

Non ditemi che a voi non succede mai, che le vostre porzioni sono sempre perfettamente corrispondenti al numero e all’appetito dei commensali. Insomma che non avanzate mai del pesce al forno, per esempio qualche filetto di branzino al sale o un’orata al cartoccio.
Quando succede si può il giorno dopo servirli con maionese, qualche sottolio, una salsina alle acciughe, una falda di peperone, due pomodorini a dadini e magari una patata bollita.
Oppure si possono fare le polpette, sì, delle belle polpette che anziché friggerle si passano al forno ma danno comunque più soddisfazione di un’insalata fredda. O no?!

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Queste “polpette” si cuociono negli stampi da muffin che sono perfetti per queste preparazioni.
In una ciotola si spezzetta con la forchetta il pesce avanzato, mettiamo 300 gr di branzino al sale, ma anche di merluzzo semplicemente bollito.
Si lessa 1 patata, si sbuccia, si taglia a dadini e si unisce al pesce.
Si aggiunge 1 uovo, il succo di 1/2 limone, sale, pepe, qualche goccia di Tabasco o 1 pizzico di peperoncino, 1 gambo di sedano pulito dai filamenti e tagliato a cubetti e qualche foglia di basilico spezzettata con le mani.
Si mescolano tutti gli ingredienti e si riempiono fino a 3/4 gli stampi da muffin spennellati con l’olio.
Si spolverizzano di pangrattato e si passano in forno a 200 gradi.
Quando sono dorati si possono sfornare e dopo qualche minuto sformare e servire con un’insalata di patate e dei pomodori all’origano per esempio.

Naturalmente chi volesse friggere queste polpette, lo può tranquillamente fare e saranno ovviamente squisite.
Ricordatevi di servirle con la salsa tartara (post del 4 marzo).

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Jambalaya

Come definire la Jambalaya?
Insieme al Gumbo è uno dei più famosi piatti della cucina creola. Le sue origini sono provenzali ma si è nel tempo arricchita di molte successive varianti grazie alle influenze spagnola e africana.
Si potrebbe dire, semplificando giusto per dare un’idea, che è la versione della Paella che si mangia in Louisiana perché si cucina tradizionalmente con riso, carne, verdure e gamberi.
Non sono mai stata in Louisiana, ma la tipica cucina Cajun si gusta anche in Florida per esempio, e lì sì che ci sono stata, più volte e sempre divertendomi un sacco, facendo esperienze sensoriali diverse e interessanti: passeggiando con Topolino a Orlando, abbronzandomi a Miami Beach, quasi sfuggendo a un uragano a Key West, cercando la Fonte dell’eterna giovinezza di Ponce de Leon, raccogliendo conchiglie a Sanibel Island e mangiando specialità della cucina creola e molto altro un po’ dappertutto: sulla Costa Atlantica e sul Golfo del Messico.
Questa è la mia Jambalaya.

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In una larga padella si fanno saltare con 4 cucchiai di olio una grossa cipolla tritata, 2 spicchi d’aglio grattugiati, 1 peperone verde a cubetti, le foglioline di 2 rametti di timo e 2 gambi di sedano affettati sottili.
Quando sono appassiti, si aggiungono 200 gr di petto di pollo (oppure di prosciutto cotto) a dadini e 200 gr di salsiccia piccante tagliata a fette di circa 1/2 cm, si fanno dorare e si cuociono per una decina di minuti abbassando la fiamma.
Si uniscono 1 scatola di pomodori pelati sgocciolati e spezzettati con una forchetta, 200 gr di riso parboiled, 1/2 cucchiaino di sale, 1 foglia di alloro, 1/2 cucchiaino di chiodi di garofano pestati, 1 cucchiaino di peperoncino a scaglie, 1 cucchiaino di origano secco e 1 cucchiaio di prezzemolo tritato.
Si mescola, si fa insaporire poi si versa 1/2 litro di brodo e si fa cuocere coperto per circa 30 minuti, tanto questo riso non scuoce, ma diventa tenero e assorbe quasi tutto il liquido.
A questo punto si aggiungono 500 gr di code di gambero pulite e sgusciate e si prosegue la cottura per altri 5 o 6 minuti.
Il risultato è un riso morbido e profumato, caldo, speziato, piccante e ricco di sapore. Indimenticabile.

Quello che si avvicina di più al chorizo, la salsiccia piccante della ricetta originale, è il salamino napoletano o la salsiccia calabra al peperoncino non troppo stagionati, ma piuttosto morbidi, che sono decisamente più facili da reperire.

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Insalata di granchio nei tumbler

Il 13 gennaio avevo già parlato di antipasti a base di polpa di granchio. E non era la prima volta perché trovo che questo ingrediente si presti a creare una bella aspettativa negli ospiti in attesa dei piatti principali.
In genere preparo una mousse che sistemo nei cucchiaini se si tratta di amuse bouche o nei bicchieri se è un vero antipasto.
Le ricette comunque differiscono di poco, si tratta più che altro di sfumature e del contenitore in cui vengono servite.
L’ultima volta ho sistemato queste mousse di granchio nei tumbler bassi come a Natale e sono piaciute molto.

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Tolgo la polpa di granchio da 2 scatolette, la sgocciolo bene e la metto in una ciotola.
Con la punta delle dita la spezzetto ed elimino le eventuali cartilagini (che ci sono sempre).
Affetto molto sottilmente la parte bianca di 1 cipollotto e lo unisco alla polpa di granchio, aggiungo anche 2 cucchiaiate di mascarpone 2 cucchiai di olio, il succo di 1/2 lime, 1 spruzzata di Tabasco (qui regolatevi voi: la quantità dipende da quanto vi piace il piccante) e 1 cucchiaino di prezzemolo tritato.
Salo appena e pepo abbondantemente.
Mescolo con delicatezza per amalgamare perfettamente tutti gli ingredienti e suddivido la mousse nei bicchieri su una base di insalata riccia spezzettata, spruzzata di limone e leggermente salata e pepata.
Completo con una cucchiaiata di chicchi di melagrana oppure con un rametto di ribes quando lo trovo, più che altro per il colore.

Se non avete in previsione inviti a cena, potreste comunque prepararvi questa insalata come pranzo veloce, magari spalmandola su una fetta di pane ai cereali leggermente tostata e aggiungendo qualche fettina di pomodoro e dei germogli freschi (di soia, di crescione, di piselli, eccetera).
Nel calice da amaro in secondo piano nella fotografia, c’è invece un’insolita mousse di sgombro e tartufo arricchita di buccia d’arancia. Anche quella piuttosto interessante: vale la pena di parlarne uno dei prossimi giorni, va bene?

Linguine all’astice (Prove generali per San Valentino)

Chi abita in luoghi di mare ed è abituato al pesce appena pescato non sarà d’accordo con me, ma relativamente di recente è stata aperta molto vicino a casa mia un negozio che offre una gamma infinita di pregiati prodotti ittici che vengono congelati direttamente a bordo dei pescherecci. La scelta è così varia e abbondante da riuscire a scatenare la fantasia di chiunque.
Le signore del banco del mercoledì (il mio pescivendolo di fiducia insomma) continuano a rifornirmi di molte varietà di pesci freschi e di crostacei tra cui le mitiche code di gambero multiuso di cui parlo spesso, ma l’offerta di questo franchising altamente specializzato è irresistibile.
Ho acquistato un fantastico astice americano surgelato pronto per essere utilizzato previa breve cottura e ho preparato un sugo semplice e squisito per condire delle linguine al nero di seppia in vendita sempre in questo grande negozio self-service.
Ocio che può essere un’idea per San Valentino e se non avete a disposizione l’astice lo potete sostituire con gli scampi. Pensateci su.

20150120-184957.jpgHo fatto decongelare l’astice, l’ho privato del carapace (tagliandolo col trinciapollo), ho sgusciato le chele mantenendole intere perché sono piuttosto decorative e le ho tenute da parte.
Ho fatto imbiondire in 2-3 cucchiai d’olio 2 spicchi d’aglio e ho aggiunto 1 peperoncino. Dopo qualche minuto li ho eliminati e ho aggiunto nella padella 8-10 pomodorini Pachino tagliati a metà.
Li ho insaporiti con sale e pepe e lasciati appassire.
Ho tagliato grossolanamente la polpa dell’astice e l’ho aggiunta ai pomodori insieme alle chele, ho spruzzato con 1/2 calice di Prosecco o Franciacorta o addirittura di Champagne, data la materia prima che stiamo cuocendo.
Ho fatto evaporare e poi spolverizzato con un trito di basilico, prezzemolo e maggiorana.
Ho completato con qualche cucchiaiata di panna da cucina e un pizzico di paprica affumicata.
Ho lessato al dente le linguine al nero di seppia e le ho spadellate con il sugo di astice unendo due cucchiaiate di acqua di cottura e un filo d’olio crudo.

Sì, sì suggerisco proprio di tenere in considerazione questa ricetta per la cena di San Valentino.

Di nuovo un’insalata di arance… ma con le clementine

Almeno una volta l’insalata di arance, cipolla e finocchio come antipasto l’abbiamo fatta tutti, credo.
Io stessa ho proposto la mia versione l’1 giugno 2014 nel post “Un antipasto fresco e sfizioso”, nel quale come sempre ho confidato quei piccoli segreti che la rendono personale e gradevole.
Questa volta però ho fatto di meglio: ho creato un’insalata, che anziché come antipasto si può servire tra la portata di pesce e quella di carne nei pranzi veramente importanti al posto del sorbetto, non con le arance ma con le clementine.

20141223-012028.jpgIl procedimento è tra i più semplici, ovviamente, ma il risultato è sorprendente.
Basta mettere a bagno nel latte per una mezz’ora una cipolla rossa affettata e nel frattempo sbucciare e privare di tutte le pellicine bianche 4 clementine, possibilmente della varietà senza semi.
Mantenendole intere, si tagliano a rondelle e se invece hanno i semi si tolgono con cura.
Si sciacquano dalla salamoia una decina di olive nere denocciolate e si riunisce tutto in una ciotola, dopo aver sgocciolato la cipolla dal latte.
Si prepara una citronette con olio, succo di limone, sale, pepe e 1 cucchiaino di semi di finocchio e si condisce rimestando con delicatezza per non rovinare le clementine.

Fidatevi, è un’insalata deliziosa, insolita, di quelle che piacciono a me. Questa volta non ho aggiunto il peperoncino per non togliere importanza ai semi di finocchio, che si devono invece sentire in tutta la loro fragranza.

Le Quiches

L’amica Laura (Le ricette di Laura WordPress.com) ha di recente pubblicato una ricetta che sta a metà fra la quiche e il croque Monsieur, deliziosa, soprattutto per l’aggiunta di una cucchiaiata di verdurine che ricordano la caponata, insolite in questo tipo di preparazioni.
Mi ha fatto venire in mente che è qualche anno ormai che non preparo più le quiche, e sì che mi venivano bene. L’ultima volta deve essere stato per la festa pomeridiana di compleanno di nostra figlia Lisa, quando anche nostro figlio Simone viveva ancora a Verona.
Dunque, grazie all’ispirazione di Laura, finalmente le ho cucinate di nuovo, decisamente più tradizionali delle sue, ma anche le mie niente male direi, comunque potete giudicare voi.

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Si parte come sempre dalla pasta brisè: 250 gr di farina, 120 gr di burro molto freddo a pezzettini, 1/2 cucchiaino di sale e circa 100 ml di acqua gelata. Si impasta velocemente, si fa la palla, si avvolge nella pellicola e si fa riposare in frigo.
Nel frattempo si mondano e si fanno a rondelle 2-3 zucchine, si fanno saltare in padella con 1 scalogno tritato e 30 gr di burro. Si salano, si insaporiscono con un pizzico di pepe, si cospargono di prezzemolo tritato e si tengono da parte.
Si tagliano a striscioline 150 gr di speck, si fanno a cubetti 200 gr di formaggio gruviera. Si sbattono 3 uova con 250 ml di panna, una grattata di noce moscata, 50 gr di parmigiano grattugiato, sale e pepe.
Si recupera dal frigo la pasta brisé. Si tira una sfoglia dello spessore di 3 mm, si ricavano dei dischi con cui si foderano gli stampini, si bucherellano sul fondo con una forchetta e si passano in forno a 200 gradi per 6-7 minuti.
Naturalmente bisognerà appoggiare su ognuno un circoletto di carta forno e riempirli di fagioli secchi.
Appena la pasta è dorata si sforna, si eliminano i fagioli e la carta.
Si incorporano alle uova con la panna sia le zucchine che lo speck e il groviera.
Si versa il composto nelle coppette di brisé e si inforna nuovamente per circa 15 minuti.
Prima di sfornarle, bisogna controllare che la superficie sia dorata e consistente.
Vanno lasciate intiepidire prima si sformarle per evitare che si rompano.

Le quiches sono una bella soluzione come aperitivo o piatto da buffet, sono semplici e molto saporite: cercherò di non scordarmelo più!

Il Sandwich BLT

Ma da quant’era che non mi facevo un panino! Finalmente è arrivato il momento di riprovarci con un classico della “cucina” americana (sto già promuovendo il mio nuovo libro “U.S.A. e jet”, che uscirà a breve!).
Uno dei sandwich più classici, ma poco conosciuti da chi non ha dimestichezza con il modo di nutrirsi degli Americani, è senza dubbio il BLT che si ordina pronunciandolo bieltì.
L’acronimo è per bacon, lettuce, tomato: semplicemente pancetta, lattuga, pomodoro e vi assicuro che come spuntino veloce è più popolare di un hot dog.
È un sandwich semplice, delizioso e senza pretese… quindi oltre ai tre ingredienti fondamentali che lo compongono, io faccio un’aggiunta golosa e raffinata: l’avocado. Noblesse oblige!

20150127-014512.jpgCome si prepara è presto detto.
Si fanno diventare croccanti (crispy) 5-6 fettine di bacon a microonde o in padella antiaderente. Si sciacquano alcune foglie di lattuga che si spezzettano con le mani e si lava un pomodoro sodo e maturo che va affettato e condito con olio, pepe e sale.
Si riduce a cubetti 1/2 avocado e lo si spruzza col succo di limone.
Si affetta del pane ai 5 o 7 cereali, si spalma con abbondante maionese e si dispongono a strati sulla prima fetta: bacon, avocado, pomodoro e lattuga. Si chiude con un’altra fetta di pane, sempre spalmata di maionese e lo sforzo di oggi in cucina finisce qui.

A me piace mangiarlo bevendo una birra leggera e vi assicuro che è più fresco, ma comunque altrettanto ghiotto, del più noto Club Sandwich. Perché non provarlo?!
Naturalmente l’ordine degli ingredienti può essere invertito e l’avocado omesso, dato che non è presente nella versione ufficiale, altrimenti sarebbe non un BLT ma un BLAT!

La mia Amatriciana

20150120-013219.jpgLa ricetta di oggi solleverà qualche critica ed è proprio per questo che la definisco la MIA amatriciana, in quanto non rispetta le ferree regole che governano la cucina regionale ma è una squisita pasta che semplicemente trae ispirazione dall’originale.
Passo a descrivervi le differenze tra la ricetta originale e la mia versione.
Primo: all’ingresso di Amatrice, la cittadina che ha dato origine a questo piatto ormai di fama internazionale c’è un cartello che informa che si tratta della città degli Spaghetti all’Amatriciana.
Io con questo sugo condisco invece i bucatini, che compro unicamente proprio per cucinare questo piatto.
Secondo: la vera Amatriciana (o Matriciana) non prevede l’uso della cipolla, ma solo dell’aglio.
Io invece faccio appassire con il grasso rilasciato dal guanciale anche della cipolla bianca affettata a velo, prima di aggiungere i pomodori.
Terzo: aggiungo il prezzemolo, mentre di questa aggiunta non si fa menzione in nessuna ricetta tradizionale.
Quarto: pare sia tassativo l’uso del pecorino romano per insaporire la pasta una volta condita.
Io preferisco invece miscelare pecorino e parmigiano per ottenere un sapore meno deciso. Faccio lo stesso quando preparo il pesto, ma che resti fra noi perché non vorrei inimicarmi anche i Genovesi, oltre a mettermi a litigare con i Romani, che hanno fatto loro questa ricetta.
In realtà gli è stata invece regalata dai pastori della zona a cavallo tra la provincia di Rieti e l’Abruzzo, che grazie alla transumanza attraverso le campagne romane, l’hanno portata nella capitale.
Comunque, se siete interessati alle mie varianti, vi dico subito come faccio la mia Amatriciana.

Taglio il guanciale a listarelle, mi raccomando non a cubetti perché così resta più morbido, e lo faccio rosolare a fuoco vivace con 2 cucchiai di olio, 1 spicchio d’aglio e 1 peperoncino.
Lo sfumo con il vino bianco, lo scolo dalla padella e lo tengo da parte coperto di carta stagnola.
Verso nella padella 1/2 cipolla bianca affettata sottile e la faccio lentamente rosolare. Aggiungo 1 scatola di pelati sgocciolati e tagliati a filetti e li faccio consumare.
Elimino l’aglio e il peperoncino, rimetto il guanciale nella padella, aggiusto di sale, insaporisco con una generosa macinata di pepe e condisco i bucatini, scolati al dente, aggiungendo anche il formaggio grattugiato che aiuta la pasta a trattenere il sugo.
Cospargo di prezzemolo tritato, mescolo e servo.
A parte passo altro formaggio, il macinapepe e il peperoncino in polvere.

Nonostante questa non sia la ricetta originale e abbia subito diverse contaminazioni, devo dire che in famiglia ha sempre un gran successo.

Nei menù della mia infanzia c’era anche il fegato alla Veneziana

Quando ero piccola io, non era mica come adesso. Allora i pasti consistevano sempre in due portate più la frutta alla fine. Non erano previsti piatti unici, torte salate, pizza fatta in casa, insalatone o sandwich che potevano sostituire primo e secondo insieme.
In più c’era persino una specie di scaletta che prevedeva alcuni cibi in determinati giorni. Per esempio, in genere la domenica si mangiava il brodo e poi il lesso con verdure cotte e salse (immancabile la pearà) e di conseguenza il lunedì si facevano le polpette.
Ricordo che per cena c’erano quasi sempre zuppe o passati di verdura seguiti da prosciutto e formaggio, oppure da una frittata o un uovo all’occhio di bue. In alternativa a volte si faceva una “svizzera” alla griglia con le patatine.
Una volta a settimana si cucinavano lo spezzatino, l’osso buco con la polenta o l’arrosto di vitello, piatti che si finivano in due volte, la seconda per cena il giorno successivo ma accompagnati dall’insalata e non più dalle patate.
La polenta era presente la sera almeno una volta, con il gorgonzola o le salsicce tagliate a rondelle e rosolate con la salvia.
Un paio di volte a settimana, a pranzo in tavola c’erano le cotolette oppure le scaloppine al Marsala, le bistecche alla pizzaiola o gli involtini, dopo un piatto di riso pescato condito con olio o burro e parmigiano.
Quando si mangiavano le lasagne o le tagliatelle con il ragù di carne, di funghi o di piselli per esempio, come secondo c’era sempre l’affettato misto.
Il venerdì per tutto l’anno allora si rispettavano il digiuno e l’astinenza, quindi si spaziava dalle cotolette di asià (spinarolo), alle seppie ripiene, ai gamberetti al limone e al fritto misto con l’insalata mentre il primo piatto si saltava.
Senza un ordine preciso apparivano a rotazione: le trippe, il baccalà, il pasticcio di lasagne, il pollo fritto e il fegato alla veneziana.
Questo è il mio fegato alla veneziana: succulento e gustoso, dalla consistenza cremosa, accompagnato da cipolle fondenti e deliziose.
È lo stesso che si faceva a casa mia quando ero piccola.

20150113-181744.jpgSi affettano non troppo sottilmente 300 gr di cipolle bianche e si fanno appassire a fuoco dolcissimo con 2 cucchiai di olio e qualche foglia di salvia. Si sala appena e, come sempre, si aggiunge se occorre un filino d’acqua.
Quando diventano trasparenti e morbidissime si aggiungono 600 gr di fegato di vitello tagliato prima a fette e poi a pezzetti e circa 30 gr di burro.
Si alza la fiamma e si porta velocemente a cottura mescolando col cucchiaio di legno.
Si sala, si insaporisce con una generosa macinata di pepe nero, si elimina la salvia e si serve subito. Volendo anche con della polenta morbida.

Il fegato alla Veneziana è uno dei piatti tipici più conosciuti della nostra regione, molto appetitoso e stuzzicante. Come per molte altre ricette, ogni famiglia ha una sua versione, questa è quella della mia.

Parliamo ancora un po’ di antipasti

20141228-181522.jpgLa fotografia, da sola, basta a raccontare questo piatto di antipasti che ha aperto il pranzo di Natale.
Come sempre nelle occasioni importanti, siano pranzi o cene, inviti formali o riunioni di famiglia, non riesco a trattenermi e limitare la preparazione degli antipasti, soprattutto degli antipasti, a uno solo, semplice e classico.
Devo insomma esibirmi in una carrellata di assaggi che a volte nel tempo finiscono col ripetersi ma solo perché tengo conto delle preferenze dei miei commensali.
Di queste tre verrine, l’unica novità è quella con insalata, avocado, polpa di granchio e chicchi di melagrana.
Ecco, ho già detto tutto in pratica perché questo antipasto si compone solo di questi ingredienti e pochi altri giusto per insaporirli.

Si sgocciola la polpa di granchio di 2 scatolette, si condisce con succo di lime, sale, pepe, peperoncino, 1 tazzina di panna, 1 cucchiaio di olio e si conserva al fresco.
Si sbuccia 1 avocado maturo e si riduce la polpa a cubetti, si spruzza di succo di limone e si sala appena.
Si prepara una julienne con qualche foglia di insalata iceberg, si condisce con olio e sale e si suddivide sul fondo dei bicchieri scelti per questo antipasto, si aggiunge l’avocado, la polpa di granchio e si completa con i chicchi di 1 melagrana.
Si serve fresco.

Gli altri antipastini della fotografia sono una passatina piccante di fagioli cannellini completa di 2 code di gambero, un piccolo assaggio di formaggio Roquefort su confettura di fichi e pinoli tostati e una coccinella portafortuna che mi piace da morire e prima o poi diventerà un vero post tutto dedicato a lei.