Penne, melanzane e tonno fresco

Vi dirò la verità: con questa ricetta avrei voluto partecipare al Contest Melanzane di Ostriche, ma non ce l’ho fatta.
Quindi la pubblico oggi, mentre le ricette pervenute in tempo utile sono già al vaglio della “giuria”.
Si tratta di un primo piatto robusto, sapido e appetitoso, decisamente più frutto della mia fantasia culinaria e della voglia di sperimentare che della tradizione regionale o di famiglia.

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Occorre per prima cosa ridurre a cubetti 1-2 melanzane, del peso diciamo di circa 400 gr e friggerli in olio ben caldo con 2 spicchi d’aglio schiacciati, che vanno poi eliminati.
Si scolano con un ragno, si fanno asciugare sulla carta da cucina e si salano.
Nella stessa padella si fanno saltare adesso 400 gr di tonno fresco tagliato a dadini della stessa dimensione di quelli di melanzana. Bastano veramente 2 minuti di cottura.
Si scolano anche questi e si “parcheggiano” con le melanzane, salandoli appena e pepandoli invece abbondantemente.
Si dà una veloce pulita alla padella e ci si fa imbiondire dentro 1 piccola cipolla bianca tritata con un filo d’olio e quando è appassita si aggiungono 400 gr di pomodori, sempre a cubetti.
Si uniscono quindi i dadini di tonno e quelli di melanzana e si fanno scaldare.
Si completa con 6-7 foglie di basilico e altrettante di menta spezzettate a mano e la buccia grattugiata di 1/2 limone.
Si condiscono con questo sugo profumato e stuzzicante delle penne (o se preferite anche dei fusilli o dei sedani).
Si passa a parte della mollica di pane raffermo frullata e tostata con aglio grattugiato, olio, peperoncino secco e prezzemolo tritato, come se fosse parmigiano da spolverizzare su un piatto di penne al ragù.

In questa ricetta ci sono diversi passaggi, ma è decisamente semplice e di sicura riuscita.
In più è molto appetitosa e piena di profumi.

Arrosto alle nocciole

Ragazzi, è il momento.
Bisogna piantarla con i piatti freschi e profumati di basilico, con le caponate e le parmigiane di melanzane o di zucchine. L’autunno è indubbiamente tempo di arrosti.
Per aprire la serie di queste nuove pietanze, più adatte ad una stagione fresca se non fredda, ho scelto un arrosto di vitello ricco e saporito, rielaborazione delle classiche Escalopes à la crème, francesi, che ho imparato a cucinare ben più di 40 anni fa e che in tutto questo tempo hanno subito non so più quante modifiche, tanto da non essere nemmeno più riconoscibili!
Questo è uno dei pochi casi in cui scelgo per l’arrosto il girello (o magatello) che acquisto invece regolarmente per preparare il vitello tonnato. Ma poiché la salsa è molto ricca e corposa, è meglio utilizzare un taglio di carne piuttosto magro e asciutto.
Per altri tipi di arrosto di vitello, di cui avremo occasione di parlare, preferisco la noce, il codino, il carré, la fesa francese o lo spinacino, perfetto per le farce.

20131020-115543.jpgDunque per il primo, sfarzoso arrosto della stagione occorrono 8-900 gr di girello, in un solo pezzo.
Si fa rosolare la carne in olio e burro con 2 foglie di salvia e 1 di alloro in un tegame che possa poi andare in forno. Si sala appena, si sfuma con 1 bicchierino di Cognac, di lascia evaporare, si aggiunge 1/2 bicchiere di Marsala e poi 1 mestolo di brodo.
Si inforna a 200 gradi per circa 1 ora e 1/2, controllando che non asciughi troppo e aggiungendo eventualmente altro brodo, magari si può anche coprirlo con un foglio di stagnola.
Nel frattempo di fanno rosolare con poco burro e 1 scalogno tritato, 200 grammi di funghetti coltivati piccolissimi, eventualmente si affettano i più grossi. Si regola di sale e pepe e quando sono cotti, si aggiungono nello stesso tegame 100 gr di nocciole tritate molto grossolanamente e si spegne il fuoco.
Una volta cotto, l’arrosto si toglie dal tegame e si fa raffreddare per poterlo affettare più agevolmente.
Si filtra il sugo di cottura, si rimette nel tegame, si aggiungono 200 ml di panna da cucina, i funghi e le nocciole e si mescola.
Si aggiungono le fette di arrosto e si fa scaldare tutto a fuoco dolce.
Si serve coperto con la salsa, che intanto si è leggermente addensata.

Ecco un arrosto per le grandi occasioni: un compleanno, un anniversario, o magari un giorno qualunque nel quale si ha voglia di festeggiare tutto e niente.

Pollo e fantasia

Molti dei miei Food Writers favoriti conducono anche programmi televisivi di Cucina che a volte trovo molto illuminanti.
Sono per me inesauribili fonti d’ispirazione: Jacques Pépin, Nigella Lawson, Delia Smith, Gordon Ramsey, Martha Steward, Jamie Oliver, Lorraine Pascale.
Seguo anche i programmi di Csaba dalla Zorza, che vive in un bellissimo casale, mette insieme menù molto chic ed è andata all’Ecole de Cuisine Francaise Cordon Bleu in Francia… ma deve averla trovata chiusa.
Infatti purtroppo è assolutamente priva di manualità: ma l’avete mai vista tritare le cipolle, tanto per fare un solo esempio?
Sarà che nel mio immaginario, chi ha frequentato una Scuola di Cucina in Francia deve essere minimo come la Audrey Hepburn di “Sabrina”, che rompeva le uova con un elegante movimento del polso, con una mano sola, ma nonostante la signora dalla Zorza abbia sempre un’aria molto ispirata, oltre a non azzeccare quasi mai la telecamera che la sta riprendendo, manca di tecnica e abilità.
Non sa infatti pelare correttamente mele e patate, affettare pomodori o sbucciare uno spicchio d’aglio.
Comunque è molto elegante e i suoi libri hanno ricette fantastiche e foto stupende.
Tra tutti però, mentre Jacques Pépin è il mio guru, Nigella Lawson è il mio mito. Ha un modo disarmante di semplificare gesti e azioni in cucina.
Mi diverte la spontaneità con cui cerca di convincerti che con due sottocosce disossate di pollo puoi nutrire uno stuolo infinito di ospiti, basta che ci aggiungi una salsa esotica, due salsicce chorizo affettate e un semifreddo al liquore.
Se solo lavasse la frutta e la verdura prima di utilizzarla… Avete mai notato quel terriccio all’interno dei porri che affetta e butta in pentola?! Giusto per fare un evidente esempio televisivo.
In compenso però ha degli attrezzi da cucina straordinari e prepara piatti saporiti all’insegna del massimo risultato col minimo sforzo.
E siccome di tanto in tanto vado di fretta anch’io, mi sono lasciata contagiare e ho acquistato un pollo allo spiedo già pronto.

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Allora, quando si ha poco tempo, ma si vuole stupire o ci si vuole coccolare, basta procurarsi un pollo allo spiedo in rosticceria e farlo tagliare in quattro.
Una volta a casa, si ripassa il pollo in padella con 2 spicchi d’aglio, 1 rametto di timo, 1 foglia di alloro, 1 noce di burro e una spruzzata di vino bianco.
Mentre il pollo si scalda, si fanno abbrustolire con poco olio 2-3 fette di pancarrè a cubetti e si distribuiscono su un letto di misticanza, arricchita da qualche gheriglio di noce.
Adesso veniamo al condimento per questa variazione di pollo speciale, veloce e saporita.
Si scaldano 2 cucchiaiate di Marsala, si aggiunge 1 cucchiaio di uvetta e si lascia rinvenire.
Con una piccola frusta si miscelano olio, sale, pepe, aceto balsamico, miele e succo di limone. Si condisce l’insalata, si aggiunge l’uvetta, si mescola e ci si appoggiano sopra i quarti di pollo caldi col loro sugo.

Insomma quando si va di fretta, un piatto così, vale proprio la pena di fermarsi a gustarlo. Vero?
Oh, chi ha tempo può fare un classico pollo arrosto in casa, o anche un “pollo zoppo” al limite, e sistemarlo sulla stessa base di insalatina. Scegliete voi.

Le capesante: una miniera inesauribile

Si era parlato tanto bene delle cozze il mese scorso e anche in agosto, mi pare, ci siamo detti che le cozze sono buone in qualsiasi modo vengano cucinate, che si prestano a qualunque preparazione, che sono i molluschi più eclettici dei sette mari… e le capesante allora?!
D’accordo, le cozze sono più veraci, familiari, sapide, alla buona, ma le capesante sono più eleganti, più adatte ai pranzi formali, si prestano con molta più facilità a diventare antipasti raffinati, secondi delicati, amuse bouche intriganti.
Quindi? Quindi penso che adesso che l’estate è ormai nel cassetto dei ricordi, ci possiamo già orientare mentalmente alla preparazione di piatti adatti alle Feste imminenti.
Lo so, in pratica salto l’autunno, lo racconto anche nell’ultimo capitolo del mio libro, ma che ci posso fare?
Dunque dicevo come le capesante si prestino magnificamente a fare da apripista in un pranzo elegante: approfittiamone.
Prima di tutto occorre acquistare i molluschi, aprirli tranciando il “muscolo” che li tiene attaccati alla conchiglia, eliminare l’anello gommoso che li circonda, liberarli dalla sabbia sciacquandoli più volte e sciacquare bene anche la parte concava delle valve, mentre con quella piatta si può al limite tentare un piccolo addobbo per la tavola, se no si butta.
Oppure il vostro pescivendolo (quello gentile che vi da anche la materia prima per il fumetto e vi sfiletta le orate e i branzini) fa il grosso del lavoro e vi vende solo 16 mezze conchiglie con il mollusco già libero da vincoli e sabbia, che è la cosa migliore. A voi non resta che sciacquarle.
Dunque le capesante sono pronte e il forno è acceso, partiamo.

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Facile: si miscelano 4 cucchiai di pangrattato fine con 1 cucchiaino di prezzemolo tritato, 1 macinata di pepe, 1/2 spicchio d’aglio grattugiato, 2 cucchiai di burro fuso e un bicchierino di Vermut.
Si distribuisce questo composto sui molluschi e si infornano sotto il grill a 200 gradi per 5 minuti.

Voilà! Se sostituite il Vermut con il Sauterne avrete delle capesante quasi alla francese e le potrete chiamare Coquilles Saint Jacques.

Torta frangipane con le pere

La storia è questa: avevo un po’ troppe pere tutte allo stesso punto di maturazione e ho cominciato a pensare di cuocerne alcune, magari col vino, oppure di fare la mostarda o un dolce.
Alla fine ho optato per un dolcetto e dato che la torta di pere e cioccolato l’avevo fatta da poco, ho preso in considerazione questa alternativa, che si è rivelata un’idea vincente.

Si prepara una pasta frolla mettendo nel food processor 125 gr di burro, 275 gr di farina, 100 gr di zucchero, 1 pizzico di sale, 50 gr di farina di mandorle (la stessa che avete usato per gli amaretti morbidi) e 1 uovo intero.
Quando l’impasto diventa una palla, si lavora brevemente e dopo il solito riposino in frigorifero di mezz’oretta, si stende con il mattarello, si fodera una tortiera rettangolare imburrata e si rimette in frigorifero ancora per 30 minuti.
Nel frattempo si prepara una crema mescolando con le fruste elettriche 100 gr di burro morbido, 100 gr di zucchero, 50 gr di farina 00 e altri 100 gr di farina di mandorle. Si incorporano poi 1 uovo intero e 1 bicchierino di liquore Amaretto mescolando con una spatola.
Si versa la crema sul guscio di frolla tolta dal frigorifero, punzecchiata con una forchetta e si pareggia stendendola uniformemente.
Si sbucciano 3 pere Williams, si tagliano a metà, si elimina il torsolo e si accomodano sulla crema una accanto all’altra alternate.
Si inforna come sempre a 180 gradi per circa 45 minuti e si sforna quando è bella dorata come nella foto qui sotto.

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Si lascia intiepidire e si spolverizza con dello zucchero a velo.

Naturalmente, se non avete una teglia da forno rettangolare, potete accomodare le pere a raggiera nella tradizionale tortiera tonda. Ci piace anche così.

Believe it or not

La ricetta di oggi è per persone molto avanti, giovani dentro, che amano pane, amore e fantasia piuttosto che pane, praticità e abitudine, persone fantasiose e fantastiche. Quelle, per intenderci, che anche se a volte hanno poco tempo, troveranno il modo di stupire e rallegrare chi dipende da loro per cibarsi.
Che ci crediate o meno… questa è una cotoletta alla Milanese con patate!

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È stata destruttarata e poi ricomposta in un mosaico. Per puro divertimento. Per mettersi alla prova. E per passione.

Se guardate bene vi accorgerete che si tratta effettivamente di:
5 cubi di vitello di circa 2,5 cm di lato passati nella farina, nell’uovo, nel pangrattato e poi fritti nel burro spumeggiante;
4 cubi della stessa dimensione ricavati da una patata lessata a metà, sbucciata e ripassata in padella per rosolarla alla perfezione;
3 cubi di pane nero (di segale, integrale o di cereali misti, fate voi ma devono avere una certa croccantezza) fatti saltare in padella con poco olio.
Si sala tutto dopo la cottura, prima di impiattare.

Questa naturalmente è una sola porzione, moltiplicate per il numero dei commensali, otterrete tanti piatti quanti ve ne servono e il gioco è fatto.
Una volta imparato il trucco potrete sbizzarrirvi con mille altri abbinamenti (proponendoli sempre a mosaico perché il divertimento è tutto lì), tipo polenta abbrustolita, gorgonzola e soppressa (che impegnano pochissimo) oppure salmone, branzino e zucchine (tutti e tre al vapore).
E avanti così. Con allegria.

Viva le polpette!

Le polpette più buone del mondo le faceva la mia mamma, con la carne avanzata dal bollito che preparava la domenica con la pearà, la salsa verde, il cren e la rubra, dopo le tagliatelle in brodo coi fegatini.
Credo comprasse addirittura più carne del necessario proprio per poterne avanzare abbastanza per le polpette del giorno dopo.
Le ho fatte con lei un milione di volte, fin da bambina, quando ancora per tritare la carne e la mortadella si utilizzava il passaverdura perché i food processor non erano ancora all’orizzonte. Le polpette della mia mamma fanno parte della nostra storia di famiglia.
Oggi però vi suggerisco una ricette per preparare delle polpette più moderne, insolite, “giovani” e molto sfiziose.
Fidatevi, sono eccellenti, voluttuose e intriganti: non sono a base di carne ma di crostacei, niente a che vedere quindi con quelle della mia infanzia, ma sono comunque polpette!

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Si cuociono in padella con uno spicchio d’aglio, una noce di burro e del prezzemolo tritato 200 gr di funghetti champignon affettati, che a cottura ultimata si tritano grossolanamente a coltello.
Si prepara una besciamella con 30 gr di farina, 30 di burro, 300 ml di latte, 1 pizzico di sale e di pepe, 1 grattatina di noce moscata e si incorpora ai funghi.
Si lessano e si sgusciano 300 gr di code di gambero, si tagliano a pezzetti e si uniscono alla besciamella e ai funghi.
Si aggiunge 1 uovo, si aggiusta di sale e di pepe, si mescola e ottenuto un composto consistente ma non troppo sodo (a seconda del risultato potrebbe essere necessario aggiungere o un cucchiaino di maizena o un cucchiaio di latte) si ricavano delle polpettine tonde, grandi come noci, con le mani inumidite. Volendo si può confezionarle anche più grandi, della dimensione delle tradizionali polpette e dar loro una forma piuttosto appiattita, ma a me queste piacciono di più piccole.
Si fanno dorare il olio e burro e si servono su un’insalatina.

Segreto dello chef: non occorre passarle nell’uovo prima di impanarle.
Altro segreto: anziché con il solito pangrattato, si impanano con il pancarrè fresco frullato: sentirete che differenza! La panatura risulta più delicata e più asciutta.
Voi cosa mangiate oggi a pranzo…?!

Tartellette cacio e pere

Ci sono alcuni ingredienti che non devono mai mancare nel frigorifero, perché consentono di improvvisare con ottimi risultati stuzzichini molto divertenti.
Uno di questi è la pasta sfoglia, con la quale si possono preparare mini croissant salati farciti di würstel, torcetti con le alici o il pecorino e le tartellette di cui parliamo oggi.
Sono quelle idee che vanno bene soprattutto per un buffet, ma che risultano comode anche per uno spuntino quando si torna tardi dal cinema o dal teatro, o come oggi che è domenica e si va a fare un giretto.
Basta prepararle prima di uscire e infornarle due minuti, per scaldarle appena, quando si rientra. Ma sono buone anche fredde.

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Per queste tartellette occorre tagliare in 12 rettangoli una confezione di pasta sfoglia rettangolare.
Si bucherella con una forchetta il fondo dei rettangoli ottenuti, si spalmano di robiola, parmigiano grattugiato e gorgonzola dolce mescolati insieme in una ciotolina con abbondante pepe nero e una spruzzata di grappa e sopra si appoggiano a ventaglio 4-5 fettine molto sottili di pera (kaiser o abate) bagnate di limone perché non anneriscano.
Si spolverizzano con foglioline di timo e si infornano a 200 gradi per circa 10 minuti.

Risotto con il pesce del lago (di Garda)

Racconto nel mio libro che quando ero piccola, la nonna Emma, la mia nonna paterna, abitava a Garda, dove era sfollata in tempo di guerra.
Oltre ai piatti che cito nel libro, c’è una ricetta particolare a base di coregone (o di lavarello) che vale la pena di ricordare, sempre perché non vada perso niente del nostro passato, anche se si tratta semplicemente di specialità culinarie e non di arte o di cultura.
Entrambi i pregiati pesci di lago che ho citato hanno carni delicate che generalmente poco si prestano ad essere cucinati come sughi per il risotto.
Più spesso sulla costa Veronese del lago di Garda vi verrà offerto il risotto con la tinca, pesce che però io trovo abbia un lontano ma fastidioso sentore di fango e sia così pieno di lische che la polpa deve farsi addirittura un giro nel passaverdura a fori piccoli per esserne liberata.
Tuttavia è una vera specialità locale.
Comunque, nella nostra famiglia si prepara già dal secolo scorso (che effetto che fa, eh?) un risottino alternativo delicato e curioso.

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Si fanno soffriggere in 40 gr di burro 2-3 cucchiaiate di classico misto per soffritto tritato finemente, abbondando leggermente con la cipolla rispetto al sedano e alla carota.
Si uniscono 300 gr di filetti di coregone (o di lavarello, se si trova) senza pelle e perfettamente diliscati, si sfuma con 1/2 bicchiere di Lugana, si regola di sale e pepe, si mescola con delicatezza e si copre con 4 tazze di brodo vegetale.
Quando alza il bollore si aggiungono 2 tazze di riso Romeo o Maratelli e 4-5 foglie di salvia tritate. Si gira delicatamente una sola volta, si abbassa la fiamma e si procede alla cottura a pentola coperta senza più mescolare.
Alla fine, fuori dal fuoco si manteca con altri 30 gr di burro e 2 cucchiai di grana giovane grattugiato, si spolverizza di prezzemolo e si serve.

Questo insolito metodo di cottura e la scelta di un riso in genere più adatto alle minestre (e che rilascia quindi più amido dei moderni Carnaroli o Vialone Nano consigliati per i risotti) sono invece assolutamente appropriati per questo delicato risotto di antica memoria e alla gustosa morbidezza dei filetti di coregone o di lavarello.
Ahimè, purtroppo chi vive lontano dai laghi del nord, si perde la possibilità di questo assaggio tradizionale e particolare.
Poco male, sono certa che i ghiotti e i golosi troveranno comunque il modo di consolarsi con le specialità del loro territorio!

Amuse bouche di recupero (ma molto chic!)

Servire con l’aperitivo in attesa di sedersi a tavola, come amuse bouche, dei piccoli antipasti nei cucchiai o nei bicchierini è molto chic.
Ci vuole un po’ a prepararli, ma una volta presa la mano tutto diventa fattibile e soddisfacente.
Dei miei cucchiaini di granchio, vi ha parlato anche Simona nel suo blog Le frivolezze di Simo, quando generosamente ha recensito il mio libro appena letto e sono effettivamente uno dei miei cavalli di battaglia, ma come ho già avuto modo di dire: l’ispirazione è ovunque ed ecco che vi metto a parte di un’altra buona idea, che farà colpo.

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Vi ricordate il sugo per condire il tortino di riso Venere, quello della ricetta del 2 ottobre? Spero non l’abbiate utilizzato tutto…!
Io ne avevo preparato, come sempre, una quantità molto superiore a quella che mi è servita e ne avevo quindi congelato l’eccedenza.
Questo surplus è venuto buono sabato, quando ho semplicemente aggiunto al sugo di capesante e zucchine, scongelato, mascarpone e striscioline di carpaccio di storione (che si trova anche nei Supermercati più importanti) per ottenerne una quantità sufficiente a preparare gli amuse bouche che mi servivano.
Ho insaporito con un pizzico di peperoncino, ho mescolato, distribuito nei bicchierini, decorato con qualche filo di erba cipollina e disposto tutto su un vassoio, accanto ai cucchiaini di salsa di granchio, sul tavolino di fronte ai divani.

Come aperitivo: Prosecco e chicchi di melagrana sul fondo delle flûte. Per fare scena.