Basta una pera Williams

Ci vogliamo divertire? Perché no?!
Sappiamo quanta pazienza occorre per far mangiare la frutta ai piccolini, ma bastano una pera Williams (anzi mezza), due pinoli e due chiodi di garofano… ed ecco apparire nel piatto un topolino.
E quale bambino potrà rinunciare a mangiare la frutta trovandoselo di fronte? Mio nipote Francesco no di sicuro!
Anche chi non ha bimbi per casa può comunque divertirsi con questa idea perché potrà offrire a conclusione di una cena informale tra amici un simpatico dessert che con qualche piccola aggiunta renderà questo gioco adatto agli adulti.

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Dopo aver tagliato e sbucciato le pere, si spruzzano di Grappa, o altro liquore secco, si aggiungono i pinoli e i chiodi di garofano per creare l’illusione dei musetti dei topolini e si accomodano su un vassoio mantenendo i piccioli almeno su tutte le metà possibili per simulare le code, mentre per le altre si useranno dei piccoli segmenti di un rametto di rosmarino privato degli aghi.
Si contornano di cubetti di formaggio come l’Emmental, il Provolone, il Taleggio e il Gorgonzola, si sparge qualche gheriglio di noce e si porta in tavola.

OK, non è una vera ricetta, è solo un fine pasto piuttosto semplice, ma è divertente: in fondo è carnevale!

Stracotto all’Amarone della Valpolicella

Quello che in Piemonte chiamano Brasato e cucinano con il pregiato Barolo, a Verona lo chiamiamo Stracotto (pronunciandolo con una sola T) e lo anneghiamo in quella che è l’eccellenza dei nostri vini: l’Amarone della Valpolicella.
Lo stracotto è un piatto che non faccio più molto spesso.
Lo associo piuttosto agli anni in cui abbiamo vissuto sulle colline del Lago di Garda, a una sala da pranzo dalle travi a vista, con un grande camino, le tende pazientemente fatte all’uncinetto, una madia, una credenza con l’alzata, gli oggetti di rame, i piatti alle pareti, il lungo tavolo da osteria.
Un piatto insomma da condividere con amici un po’ chiassosi e dallo stomaco robusto, mangiato bevendo con consapevolezza e reverenza lo stesso Amarone con cui si cucina.
Un piatto invernale, saporito, pieno di aromi e di profumi, da mangiare con la polenta, le verdure cotte e il radicchio, meglio se fa freddo o fuori nevica.
Un piatto che starebbe bene anche in un racconto di Charles Dickens. Scommettiamo?

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Il giorno precedente si mette in una terrina capiente un pezzo di scamone di manzo di circa 1 chilo con 1 costa di sedano e 1 carota affettati, 1 cipolla tagliata in quarti steccata con 4 chiodi di garofano, 1 pezzetto di stecca di cannella, 1 spicchio d’aglio, 1 foglia di alloro e 4 bacche di ginepro. Si copre con 750 ml di Amarone (1 bottiglia) e si conserva in frigorifero per almeno 12 ore.
Il giorno successivo si sgocciola la carne, si infarina e si fa rosolare in olio e burro da tutti i lati. Si toglie dal tegame e si conserva al caldo.
Intanto si filtra la marinata, si eliminano l’alloro, la cannella, i chiodi di garofano e le bacche di ginepro, il resto si versa nel tegame in cui si è rosolato lo scamone. Si fa appassire, si aggiunge la carne, si sala, si pepa e si versa il liquido della marinata.
Appena alza il bollore si copre e si cucina a fuoco lento per circa 3 ore.
A cottura ultimata si toglie la carne e la si affetta.
Si passa al setaccio il sugo con le verdure, si rimette nel tegame con altri 40 gr di burro per ottenere una bella salsina densa e si rimettono le fette di carne nel tegame, al caldo, fino al momento di servire.

Alcuni chiamano il brasato, oltre che stracotto, anche stufato.
Credo che grosso modo si usino gli stessi ingredienti in tutte e tre le preparazioni ma cambi leggermente il procedimento di cottura.
Nel blog Fornellopazzo troverete notizie più dettagliate sulle denominazioni e i diversi metodi di cottura.

Curry di pollo con riso pilaf e caponata di verdure

La vogliamo chiamare ricetta fusion, per via del pollo al curry nello stesso piatto della caponata?
Perché no, dato che queste verdurine mediterranee saltate e insaporite con una goccia di aceto balsamico lì ci stavano proprio bene? Prendevano addirittura un’aria esotica.
Tutto è nato dalla possibilità di cucinare finalmente uno di questi piatti che mio marito giudica un po’ “osé” e che quindi non mangio quasi mai perché ovviamente non mi metto a prepararli solo per me.
Però quando posso condividere il contenuto dei tegami e delle padelle con qualcuno dei figli, allora sì che mi diverto!
La preparazione è un po’ laboriosa, ma non così tanto quanto può apparire. L’insieme degli ingredienti nel piatto dà francamente l’impressione di essere molto più articolata di quanto non sia in realtà ed hanno inoltre l’innegabile vantaggio di poter essere cucinati in anticipo.
Se ci volete provare a creare questo gradevole connubio di riso, pollo e caponata, vi dico subito come faccio io.

20140124-095003.jpgMetto in tegame un po’ d’olio e qualche cucchiaiata di classico misto di verdure per il soffritto, faccio leggermente imbiondire, unisco 1 petto di pollo completo a cubetti e lo faccio rosolare.
Aggiungo 1 foglia di alloro, 1 mela (Granny Smith) a dadini, 1 manciata di uva sultanina fatta rinvenire in acqua tiepida e poi sgocciolata, 1 cucchiaio di curry in polvere di buona qualità sciolto in una tazza di brodo vegetale, sale, pepe, 2 chiodi di garofano e del prezzemolo (o del coriandolo) tritato.
Dopo qualche minuto aggiungo 1 confezione di panna da cucina e porto a cottura. Ci vorranno 20 minuti circa, se i bocconcini di petto di pollo sono piccoli come i miei. Mescolo delicatamente di tanto in tanto, attenta a non spappolare la mela.
Se nel frattempo la salsa si è addensata troppo, unisco del latte.
Faccio intanto un riso pilaf con il solito doppio volume di liquido rispetto al riso, che butto quando si alza il bollore e non mescolo mai finché non lo ha assorbito tutto ed è cotto.
Si può cuocerlo in acqua salata a cui si aggiunge qualche spezia (anice stellato, cardamomo, pepe nero in grani, stecca di cannella, chiodi di garofano), oppure in brodo vegetale o di pollo.
Quando è pronto si sgrana con una forchetta.
Preparo, magari non contemporaneamente, ma a volte tocca fare proprio così, una piccola caponata facendo saltare in padella con 2 cucchiai di olio 1 peperone rosso o giallo a pezzetti, 1 melanzana a dadini e 2 zucchine a rondelle. Salo, insaporisco con una macinata di pepe, spruzzo con qualche goccia di riduzione di aceto balsamico e finisco la cottura a fuoco vivace.
Bastano proprio pochi minuti perché mi piace che le verdure restino leggermente croccanti.
Non resta che assemblare il piatto e godersi questo insieme di sapori che legano così bene: il pollo è saporito e cremoso, la mela gli da un inaspettato tocco di freschezza, il riso è profumato e gustosamente etnico e la caponata equilibra la densità della salsa con una nota di dolce e pungente aroma vinoso.

Mamma mia, pare quasi che ve lo voglia vendere!

I tortellini di Valeggio

Tutti conoscono i tortellini: una squisita pasta il cui ripieno varia da Regione a Regione.

20140104-094316.jpgQuelli di Valeggio sul Mincio (in provincia di Verona), sono di antichissima origine e si differenziano da tutti gli altri per la loro pasta all’uovo sottilissima che racchiude un ripieno delicato.
Pare si possano far risalire al Milletrecento, quando Giangaleazzo Visconti, Signore di Milano si accampò con le sue truppe sulla sponde del fiume Mincio, emissario del Lago di Garda.
Siccome noi Veronesi siamo dei gran sentimentali (pensate a cosa siamo riusciti a fare con la storia di Romeo e Giulietta!) abbiamo confezionato una leggenda su misura che parla del valoroso Capitano Malco e della bella ninfa del fiume Silvia di cui si era invaghito, che gli avrebbe lasciato come pegno d’amore eterno un fazzoletto giallo di seta teneramente annodato.
Questa non è che una veloce sintesi della loro storia d’amore, ma in fondo il mio è un blog di cucina!
Ogni anno per celebrare questo romantico avvenimento, sul Ponte Visconteo di Valeggio sul Mincio si allestiscono due lunghissime tavolate che possono ospitare fino a 4.000 commensali, dove si possono gustare quelli che vengono chiamati localmente Nodi d’amore, tortellini la cui pasta è sottile come un fazzoletto di seta…
E questa è la storia, anzi la leggenda.
Volendo essere prosaici e pragmatici, questa è invece la ricetta.

Per la sfoglia occorrono 700 gr di farina, 4 uova intere, 1/2 bicchiere d’acqua e 1 pizzico di sale.
Si lavora molto a lungo e poi si fa riposare.
Nel frattempo in un tegame si fa imbiondire 1 cipolla con 2 cucchiai di olio, si uniscono 200 gr di polpa di manzo, 200 gr di filetto di maiale, 200 gr di petto di pollo tritati e 2 fegatini di pollo affettati sottili.
Si sala, si aggiungono gli aghi di 1 rametto di rosmarino, 1 grattata di noce moscata, 1 macinata di pepe, 1-2 chiodi di garofano, si sfuma con 1/2 bicchiere di vino Bardolino e si porta a cottura.
Si lascia raffreddare, si eliminano i chiodi di garofano e poi si frulla il composto con 100 gr di prosciutto crudo a listarelle, 50 gr di pane raffermo grattugiato, 100 gr di Parmigiano e 1 tuorlo. Si fa una palla e si conserva al fresco.
Nel frattempo si tira la pasta assottigliando la sfoglia al massimo. Si può usare il mattarello o la macchinetta, l’importante è che diventi un velo.
Si ritaglia in quadrotti di 4-5 cm di lato. Su ognuno si appoggia una “nocciola” di ripieno e si ripiega la pasta su se stessa ottenendo un triangolo che si sigilla bene premendo i bordi con la punta delle dita. Si uniscono quindi i due angoli estremi intorno alla punta del dito indice, sormontandoli leggermente e si pizzicano alla congiunzione per farli aderire.
Si rivolta all’indietro l’angolo libero e sono pronti.
Ma che ve lo dico a fare?! Siete sicuramente tutti più bravi di me!

I tortellini di Valeggio si mangiano in brodo (meglio se di cappone) o asciutti con burro e salvia e abbondante Parmigiano grattugiato, mai conditi con il ragù di carne o con altri sughi di fantasia perché data la loro delicatezza non si prestano ad essere rimestati.

L’arista con il cotechino

C’è un arrosto che a casa nostra non manca mai a Natale: l’arista con il cotechino.
La faccio da minimo quarant’anni e nonostante proponga ogni anno anche un secondo e a volte un terzo arrosto sempre differenti, in tavola lei è sempre presente.
È una tradizione e un caro ricordo di molti felici Natali passati con tutta la famiglia in case più piccole, in case di campagna, in palazzi del centro storico e anche qui dove abitiamo adesso.
L’esecuzione è semplicissima, il risultato più che apprezzabile e a parte la storia di famiglia che si porta dietro, è davvero un piatto molto buono.

20131229-100940.jpgServe un eccellente cotechino, che si cuoce nel solito modo. Gli si toglie la pelle finché è ancora caldo, altrimenti l’operazione diventa piuttosto complicata e poi si fa raffreddare
Si acquista un pezzo di carré disossato di maiale (lonza) che pesi il doppio del cotechino e la si fa aprire a libro dal solito cortese macellaio. Si ottiene così una di quelle bisteccone alle quali vi state abituando da quando mi sentite parlare tanto spesso di arrosti farciti!
La si apre sul piano di lavoro, al centro si posiziona il cotechino, freddo e spellato, e gli si arrotola attorno la carne racchiudendolo al suo interno.
Si lega con alcuni giri di spago da cucina e si fa rosolare da tutti i lati in olio e burro con 2 spicchi d’aglio, 1 rametto di rosmarino, 2-3 foglie di salvia e 1 di alloro, 2 chiodi di garofano e 3-4 bacche di ginepro.
Si sfuma con 1 bicchiere di vino bianco, si aggiunge 1 mestolo di brodo, si sala appena, si pepa a proprio gusto e si cuoce a fuoco basso per un’oretta e mezza, rigirandolo un paio di volte.
Per controllare la cottura bisogna fare la prova stuzzicadenti, che deve penetrare con facilità nella carne, oltre ovviamente tener presente la regola di mia nonna che dice che il cibo è cotto alla perfezione quando i grassi diventano trasparenti.
A cottura ultimata dunque, si toglie l’arrosto dal tegame, lo si libera dallo spago e si fa raffreddare completamente.
Si filtra il sugo di cottura, si affetta l’arrosto, si rimette nel tegame con le fette leggermente sovrapposte e si scalda, coperto, per qualche minuto, spruzzandolo eventualmente con altro vino.
Raccomando la massima attenzione nel trasferire le fette dal tegame al piatto di portata perché il cotechino non fuoriesca dal suo involucro di carne rovinando la presentazione.

In pratica può ricordare il “cotechino in gabbia” Emiliano, ma se non sbaglio questa versione prevede anche uno strato di sottili crêpes e uno di spinaci ripassati al burro all’interno della fetta di lonza, prima di inserire il cotechino.
Il mio è molto più semplice. E stavolta è anche veramente l’ultimo arrosto farcito del 2013!

Una ricetta vintage

La mia cucina è piena di oggetti Vintage.
Non mi riferisco alle cioccolatiere di rame, agli stampi da aspic di vetro o ai sifoni per il seltz, che sono molto più vecchi. Intendo semplicemente alcuni oggetti della nostra Lista Nozze.
Lo zucchero e il sale grosso e fino, per esempio, da quarantaquattro anni sono sempre negli stessi barattoli di porcellana a fiori col tappo in tek accanto ai fornelli, come nella cucina della nostra prima casa. Questa è la quarta. La quarta casa e la quarta cucina intendo.
Il vassoietto ovale della Alessi per i nostri due caffè, le tazze da colazione con le roselline, i coltelli da formaggio, il mortaio e il tagliere di legno sono stati tutti acquistati alla fine degli anni Sessanta, quindi sono ormai decisamente Vintage.
Sarà quindi questa atmosfera retró che aleggia nella mia cucina a suggerirmi spesso ricette datate o addirittura in disuso se non obsolete.
Io faccio ancora le mele cotte, per esempio. Semplici, rassicuranti, antiquate mele al forno, dolci e nostalgiche.

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Meglio di tutto sarebbe poter avere a disposizione le mele di Zevio, dalla caratteristica buccia ruvida, dolci, croccanti e aromatiche, ma vanno bene anche le normali Golden Delicious.

Io lavo bene le mie mele lasciando il picciolo, le dispongo in una pirofila a bordi alti, ben accostate così non si rovesciano.
Sopra ognuna verso 1 cucchiaio di miele, spolverizzo con la cannella, un pizzico di noce moscata e appoggio sulla sommità alcune uvette fatte rinvenire nella grappa tiepida e 1 chiodo di garofano.
Inforno a 180 gradi per 20-25 minuti. Finito.

Sono uno stupendo fine pasto. Ancora tiepide sono eccezionali con una pallina di gelato alla vaniglia. Sono antiquate e irresistibili, perfette per una domenica sera…

Il riso del sultano

Quando si sente dire: Riso all’Orientale, si pensa subito al Riso alla Cantonese, vero? O almeno a me era sempre successo così.
Ma esiste anche una versione poco conosciuta dello squisito riso Basmati (il cui nome deriva dalla fusione delle parole Hindi: “bas” che significa fragrante e “mati” che significa prodotto dalla terra) che ho ribattezzato Riso del Sultano, perché ha origini Persiane. Se siete curiosi, vi consiglio di prenderlo in considerazione con o senza le varianti che ho introdotto rispetto alla ricetta originale. È insolito e profumato, stuzzica e sazia, è adatto anche ai pic nic.
Come sempre, di questo piatto esistono tante versioni quante sono le famiglie Iraniane, Siriane o Turche che lo cucinano. Questa non è che la mia. Italianizzata al massimo.

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Prima di tutto sciacquo 2 tazze di riso Basmati sotto l’acqua corrente fresca e lo lascio a bagno per una decina di minuti.
Nel frattempo faccio appassire in olio e burro 1 cipolla affettata sottile e 1 spicchio d’aglio grattugiato senza farli imbiondire troppo. Aggiungo 3 tazze di brodo vegetale nel quale ho fatto sciogliere 1 bustina di zafferano e aggiunto cannella, curry in polvere, 2 chiodi di garofano e porto a bollore.
A questo punto aggiungo il riso (che ho scolato e poi asciugato tamponandolo), copro e faccio cuocere 20 minuti senza mai sollevare il coperchio. Passato questo tempo il liquido sarà completamente assorbito.
Verso il riso in un contenitore piuttosto basso, che possa andare in tavola e lo sgrano con due forchette, aggiungo 1 mela a cubetti, 1 petto di pollo cotto alla piastra tagliato a pezzetti, 50 gr di mandorle spezzettate e 50 gr di uvetta ammollata, aggiusto di sale e pepe e mescolo.

Naturalmente scelgo la Sultanina, dato il titolo della ricetta! Però se avete in casa uvetta di Corinto, di Smirne o di Malaga, va bene lo stesso, anzi a me piace utilizzarne anche due tipi insieme. È bello il contrasto tra i chicchi grossi e biondi e quelli piccoli e scuri.

A questo punto vi potete fermare, perché avrete un piatto “comme il faut”, ma io introduco anche una nota Mediterranea di casa nostra, aggiungendo funghetti champignon crudi affettati sottili, qualche falda di peperone arrostito e spellato ridotto a striscioline e alcune olive verdi farcite e altre nere aromatizzate.

La macedonia… al forno

macedoniaQuesto invitante dessert, mi è sempre capitato di farlo in un giorno di pioggia, verso la fine dell’estate.
Non c’è un vero perché, ma forse mettere insieme l’ultima frutta di stagione con le prime mele anticipa un po’ l’idea che è in arrivo l’autunno.

Bisogna far bollire in 1/2 bicchiere d’acqua aromatizzata con alcune scorzette di limone, 2 chiodi di garofano e un pezzetto di stecca di cannella 4-5 albicocche e altrettante prugne snocciolate entrambe secche. Si spegne il fuoco e si lasciano raffreddare nel loro liquido.
Intanto si tagliano a pezzetti, proprio come per una comune macedonia: 2 nettarine, 4 susine, 1 mela e 1 pera, queste ultime due sbucciate. Si coprono con 2 cucchiai di zucchero e si aggiunge 1 bicchierino di liquore all’arancia o di limoncello.
Si lasciano al fresco per una mezz’oretta poi si scolano e si uniscono alla frutta secca cotta in precedenza e scolata anche questa.
Si uniscono i due liquidi (di cottura e di macerazione), si filtrano e si imbevono tanti savoiardi quanti ne occorrono per coprire il fondo di una pirofila.
Si distribuisce sopra questa base di biscotti (che possono essere anche Pavesini o fette di Pan di Spagna) tutta la frutta in un solo strato e si cosparge con una cucchiaiata di zucchero a velo. Naturalmente dovrete regolarvi voi per la misura della pirofila o della tortiera di porcellana.
Si prepara una crema pasticcera sbattendo 2 uova intere con 100 gr di zucchero, si uniscono 50 gr di farina setacciata, la buccia grattugiata di 1/2 limone e si incorpora un po’ per volta 1/2 litro di latte caldo.
Si fa addensare a fuoco basso, sempre mescolando, e poi si versa sulla frutta. Si inforna a 180 gradi per circa mezz’ora.
Si serve, dopo averla fatta raffreddare, a cucchiaiate direttamente dalla pirofila.

Mi accorgo che la spiegazione è venuta un tantino lunga, ma volevo fosse dettagliata. In realtà non è affatto una ricetta complicata, al contrario, ma necessita di alcuni passaggi di cui è bene tener conto per la sua perfetta riuscita.