La vera zuppa inglese (secondo mia nonna)

Era mia nonna Emma, quella che abitava a Garda, sul lago, la specialista della Zuppa Inglese.
Quando si pranzava da lei nelle ricorrenze più classiche, ne serviva generose porzioni anche a noi bambini, nonostante la robusta presenza dei liquori.
Sosteneva che questo dolce aiutasse la digestione.
In realtà qualcosa ci voleva proprio dopo che ci aveva rimpinzati con un antipasto che comprendeva tutti i salumi che riuscite ad immaginare, i riccioli di burro, i sottaceti, le alici (quello che oggi per noi costituisce in pratica un intero pranzo veloce), le lasagne col sugo, l’anatra arrosto o la tacchinella ripiena o il coniglio in umido, la trota o il coregone lessati e serviti con la maionese, minimo sei verdure diverse, la frutta cotta e infine il dolce. Per digerire.
Dopo un pranzo a casa della nonna Emma noi bambini andavamo sempre a fare un riposino nel suo lettone altissimo e scuro, con le lenzuola ruvide di lino spesso e i cuscini di piuma: non eravamo affatto stanchi ma secondo me piuttosto brilli. Ecco il motivo della sonnolenza…
Ma nonostante il leggero stato etilico, il ricordo della Zuppa Inglese mi ha accompagnato per anni e mi ha indotto a cercare di ricreare la magia e l’atmosfera di più di sessant’anni fa. Anzi, facciamolo insieme.

20140924-210858.jpgSi battono 5 tuorli con 150 gr di zucchero finché non diventano bianchi e spumosi. A questo punto di incorporano 100 gr di farina 00 sempre mescolando.
Si fa scaldare 1/2 litro di latte e si incorpora piano piano ai tuorli.
Si riversa nella pentola in cui si è scaldato il latte, si porta dolcemente a bollore e si cuoce per 7-8 minuti sempre mescolando.
Si versa metà di questa crema in una ciotola e si copre con la pellicola a contatto con la superficie così con si forma quell’antipatica pellicina.
All’altra metà si aggiungono 125 gr di cioccolato fondente grattugiato e si fa sciogliere finché la crema è ancora calda.
Si versa in un’altra ciotola, si copre con la pellicola e si fa raffreddare anche questa.
Si miscelano in un piatto fondo 150 ml di rum (o Cognac) con 150 ml di Alchermes e un paio di cucchiai di acqua.
Si immergono pochi alla volta una ventina di savoiardi e se ne utilizzano circa 1/2 per rivestire una ciotola di vetro o uno stampo da charlotte foderati di pellicola che ne faciliterà l’estrazione.
Si versa sopra la crema base, quella gialla per intenderci, e si copre con uno strato di savoiardi imbevuti nel mix di liquori.
Si versa sopra la crema al cioccolato e si termina coi savoiardi rimasti.
Si preme uniformemente con molta delicatezza e si copre con altra pellicola.
Si conserva in frigorifero per almeno 12 ore e si serve decorato con qualche ciuffo di panna montata.

Credo che l’unica cosa diversa rispetto alla ricetta originale di mia nonna sia l’utilizzo della pellicola alimentare, che allora non c’era, mentre tutto il resto è tale e quale, perfino la miscela di alchermes e rum semplicemente perché a lei non piacevano i savoiardi troppo rossi…

Una “coperchiona” estiva

Come preparare una “coperchiona” non dovrebbe avere più segreti neanche per voi ormai, comunque svelo a chi non sapesse di cosa sto parlando, il significato del termine nel nostro lessico familiare.
Nel post del 20 maggio spiegavo che a casa nostra intendiamo per “coperchiona” sia un dolce al cucchiaio (realizzato a strati di crema e biscotti sostanzialmente) che il suo contenitore, che deve tassativamente essere una grossa coppa di vetro o cristallo. Nello stesso post ho anche motivato il perché di questo appellativo.
Ma queste sono storie di famiglia. Importante invece è entrare nello spirito della coperchiona e prepararla sempre differente, con gli ingredienti di stagione e un po’ di fantasia.
Quella di oggi, ispirata da una creazione di Martha Steward, è proprio semplice come piace a voi, veloce come spesso è utile che sia e deliziosa, se no non varrebbe la pena di farla.

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Sono partita sbucciando e tagliando a fettine 4 pesche mature. Ho aggiunto 75 gr di zucchero e il succo di un limone. Ho coperto con la pellicola e messo in frigorifero almeno per un’oretta.
Ho sciacquato e asciugato con la carta da cucina 250 gr di lamponi freschi e profumati.
Ho montato con le fruste 500 ml di panna fresca con i semi di una stecca di vaniglia e l’ho messa in frigorifero.
Io avevo in questa occasione circa 300 gr di plumcake al limone (post del 30 giugno), ma in genere utilizzo il pandispagna o anche savoiardi o Pavesini.
Ho tagliato a cubetti il plumcake, ne ho fatto uno strato sul fondo della coppa, l’ho spruzzato generosamente col succo emesso dalle pesche affettate e ne ho accomodate sopra circa metà.
Le ho coperte con metà dei lamponi e ho versato sulla frutta a cucchiaiate metà della panna montata alla vaniglia e ho ricominciato con gli strati.
L’ultimo, di panna, l’ho decorato con qualche fettina di pesca sgocciolata e una cucchiaiata di lamponi.

Eh, la “coperchiona” ha sempre un suo perché.

Bagel al salmone

Anche se non faccio mai il pane e compagnia bella, ci sono due impasti che (raramente) preparo: quello per le focaccine e quello per i bagel.
Avevo anticipato a Manu (Il Mondo di Ortolandia) che ne avrei parlato.
Il mio primo bagel al salmone l’ho mangiato a San Francisco, nel Coffee Shop dei Grandi Magazzini Macy’s di Union Square, circondata da tutti i miei acquisti in saldo tra cui un abito da sera tipo quelli di Dinasty. Fantastico!
Il salmone, specie quello affumicato, mi piace molto, a prescindere dai bagel, ma queste ciambelle un po’ gommose e non tanto saporite hanno un certo non so che.
Cosa vi devo dire? Le adoro perché mi fanno ripensare allo shopping di lusso, però a prezzi da Grandi Magazzini, che si può fare solo in America e poi alle visite a Malibu, a Santa Barbara, a Carmel, a Newport Beach, a Cape Cod, a Key West…
Ogni tanto, adesso che viaggio molto meno che negli anni scorsi, mi diverto a prepararle per uno spuntino all’Americana e rivivo in parte le mie incursioni negli States.

20140702-012555.jpgPer l’impasto dei bagel si fanno sciogliere 50 gr di burro in 1/4 di litro di latte scaldato con 1 cucchiaio di zucchero.
Si aggiunge 1 cubetto di lievito di birra sbriciolato e quando è completamente sciolto, 1 albume montato a neve.
Si uniscono gradualmente 400 gr di farina, poi 1 cucchiaino di sale e si mescola fino ad ottenere un impasto liscio e senza grumi che si lascerà lievitare coperto e al caldo per circa un’ora.
Quando è aumentato due volte di volume, si lavora brevemente e si suddivide in 12 pezzi. Si formano delle palline, si appiattiscono e usando il manico di un cucchiaio di legno si pratica un foro nel mezzo e si allarga facendole ruotare perché assumano l’aspetto di ciambelle.
Si coprono con un tovagliolo e si lasciano lievitare ancora 10/15 minuti.
Si tuffano poche alla volta in una pentola d’acqua in ebollizione e si tolgono dopo 2 minuti con una schiumarola o un ragno.
Si sgocciolano bene e si dispongono su una teglia foderata di carta forno. Si sbatte il tuorlo con due cucchiai d’acqua e si spennellano.
Si infornano a 180° per 20 minuti.
Nel frattempo si miscelano 200 gr di formaggio fresco (che può essere Philadelphia, oppure mascarpone o ricotta) con 2 cucchiai di Cognac e 1 spruzzo di salsa Worcester.
Una volta raffreddati, si tagliano i bagel a metà, si spalmano con la salsa al formaggio, si aggiunge qualche fettina di salmone e si completano con il finocchietto e, se piace, con un po’ di cipolla tritata.
Si spolverizza con il pepe e si spruzza di limone.

È uno spuntino raffinato e saporito. Molto chic: uno straordinario cibo da strada però decisamente adatto anche a Beverly Hills.
Una volta spennellati con il mix di tuorlo e acqua oltre ad infornarli semplicemente, i bagel si possono anche spolverizzare con semi di papavero e di sesamo per ottenere una superficie più aromatica e croccante.
Se ne possono preparare metà e metà e accontentare tutti.

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Frutti di bosco nei bicchieri

Per favore, volete tornare un momento al post di ieri, quello con la ricetta di “pizza e fichi”?
Ve lo chiedo perché il dessert che propongo oggi è proprio il modo per finire in bellezza “un pranzo improvvisato o una piccola cena tra amici”, come dicevo ieri, a base di pizza o di torta salata magari particolarmente insolita e saporita.
Quando mi è capitato di offrirlo senza essermi preparata con largo anticipo alla fine di una cena non proprio organizzata, ma lo stesso riuscita benissimo, non avevo in freezer uno dei soliti semifreddi che cerco di avere sempre a disposizione, quindi con qualche cestino di frutti di bosco, un pacchetto di savoiardi e una confezione di mascarpone, me la sono cavata con poca fatica e in poco tempo.

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Ho sciacquato un cestino per tipo di fragole, lamponi, more e mirtilli.
Ho montato con 2 cucchiai di zucchero e 1 bicchierino di Cognac 250 gr di mascarpone.
Ho imbevuto con l’Alchermes circa 1/2 confezione di savoiardi.
Ho preparato il dessert posizionando a strati nei soliti bicchieri “tumbler” savoiardi spezzettati, ho messo sopra more e mirtilli, quindi qualche cucchiaiata di mascarpone, di nuovo qualche savoiardo, poi fragole e lamponi, di nuovo mascarpone, per finire con alcuni frutti misti a decorare la sommità dei bicchieri.
Con tutta questa pioggia mi si è ammalata la menta, se no un rametto sopra ci stava proprio bene!

Come dicevo, è un dessert fresco, veloce e delizioso, che va tenuto in frigorifero fino al momento di servirlo.
È una di quelle piccole idee che consentono di riuscire ad organizzare in breve tempo un allegro momento conviviale senza troppe formalità e senza stress.

Una tarte tatin di albicocche

Quelle che si trovano adesso in commercio sono proprio le ultime albicocche, infatti non sono più granché… ma se te ne accorgi quando ormai in casa ne hai già un cestino, cosa fai?!
Esatto! Fai una torta.
E stavolta sarà una deliziosa, raffinata e burrosa tarte tatin, classico dolce d’Oltralpe che le signore francesi preparano davvero in “catrecattrot”.
Io a Parigi l’ho casualmente assaggiato a colazione farcito con le susine Mirabelle, le Gocce d’oro insomma, mentre ero ospite della cognata di quell’amica francese di cui vi ho già parlato.
Questa elegante e ospitale signora che viveva letteralmente all’ombra della Tour Eiffel, mi aveva assicurato che la tatin viene bene anche con le albicocche, le pesche o i fichi.
Oltre naturalmente che con le classiche mele o pere. Ca va sans dire.
Per concludere, ieri avevo questo chiletto di albicocche così così e per cambiare ho cercato la mia ricetta francese scritta su un foglietto a quadretti con la pubblicità del Pernod in alto, un po’ stropicciato, ma per fortuna leggibile e traducibile abbastanza agevolmente, una ricetta che avevo provato solo una volta, con le susine, quando? Trent’anni fa, ma le buone ricette non hanno scadenza per fortuna.

20140817-004448.jpgPer fare proprio una cosa da fighi, come direbbe Cracco, si tuffano nell’acqua in ebollizione circa 1 kg di albicocche già lavate.
Si scolano, si spellano, si tagliano a metà e si eliminano i noccioli. Se no basta tagliarle a metà e togliere i noccioli: vedete voi.
In una tortiera di acciaio inossidabile dal fondo spesso o in una antiaderente già collaudata sulla fiamma, si fanno caramellare dolcemente 4 cucchiai di zucchero con 50 gr di burro.
Si aggiungono le albicocche in un solo strato con la parte tagliata verso l’alto.
A fuoco dolcissimo, magari con uno spargi fiamma sotto, si fanno cuocere per una decina si minuti: basta che appassiscano un po’. Poi si fanno leggermente intiepidire e si accomodano meglio che si può.
Si stende un abbondante disco di pasta sfoglia pronta sulle albicocche, si “rimbocca” con cura inserendo il contorno tra la frutta e la tortiera e si inforna a 180 gradi per circa 15-20 minuti, finché la pasta non è dorata.
Quando si sforna conviene aspettare qualche minuto o col caramello si rischia di scottarsi, quindi si capovolge con decisione su un piatto rotondo da portata, si ripuliscono leggermente i bordi e si offre.

Al burro e allo zucchero per caramellare le albicocche, io aggiungo anche un bicchierino di Cognac, ma in casa nostra non ci sono bambini…

Quasi una crostata di albicocche

Martedì 8 luglio ho postato una ghiotta torta di pesche la cui ricetta è piaciuta tanto da indurre anche la mia consuocera Luisa Anna a prepararla, come ha riferito il marito Giorgio “in tempo reale” e l’amico Giovanni (http://giovannileo.wordpress.com) mi chiedeva se è un dolce che faccio anche con le albicocche.
La sua domanda mi ha fatto ripensare ad una non-proprio-crostata con le albicocche fresche che non facevo da un po’.
Eccola qua.

20140708-231921.jpgInizio preparando una pasta frolla alle mandorle che darà al dolce una certa nota di fragrante personalità già dall’inizio.
Metto nel vaso del food processor 150 gr di burro, 120 gr di zucchero, 2 uova, 1 pizzico di sale, 200 gr di farina, 50 gr di fecola di patate e 100 gr di farina di mandorle.
Aziono l’apparecchio e quando il composto fa la palla, lo prelevo, lo lavoro velocemente, lo divido in due e lo metto a riposare in frigorifero.
Preparo nel frattempo una crema pasticciera con 1/2 litro di latte, 4 tuorli, 100 gr di zucchero e 40 gr di farina e poi la lascio intiepidire e aggiungo 4 cucchiai di marmellata di albicocche.
Riprendo la pasta, ne stendo metà e fodero una piccola tortiera quadrata. Distribuisco sul fondo 120 gr di amaretti sbriciolati (che raccoglieranno il succo della frutta) e accomodo sopra 400 gr di albicocche lavate, tagliate a metà e private del nocciolo con la parte tagliata a contatto dei biscotti.
Copro con la crema mescolata alla marmellata e la livello.
Tiro con il mattarello l’altra metà della pasta e ne ricavo le classiche strisce che intreccio sulla superficie del dolce.
Inforno a 180 gradi per circa 40 minuti.

Non è la solita crostata anche se l’aspetto può trarre in inganno. È un dolce squisito con un ripieno morbido e goloso.
Se vi è piaciuta la ricetta suggerisco di provarla, finché ci sono ancora le albicocche.

Marasche spiritose

20140702-015731.jpgBisognerebbe sempre approfittare di quello che ci offrono le stagioni, ma io con le marasche non ci riesco mai!
Eppure è da più di mezzo secolo che mi porto nel cuore degli enormi vasi di vetro colmi di marasche e zucchero che magicamente diventavano leggermente liquorose dopo un’adeguata esposizione al sole.
Nel salotto buono dei miei nonni, venivano offerte agli ospiti nei bicchierini da rosolio, raccolte dal vaso con l’apposito cucchiaio dal lungo manico ricurvo, insieme a un vassoietto di savoiardi e il caffè fatto con la “napoletana”.
Era mio nonno Amedeo, il nonno paterno, che preparava queste delizie e si occupava di rincorrere il sole trasportando quei vasi di vetro spesso e verdino coi tappi sempre in vetro che diventavano “ermetici” grazie all’inserimento di un disco di “carta oleata” che impediva inoltre l’attrito contro la bocca del vaso.
Non ci sono segreti in questa ricetta antiquata e dimenticata, è di una semplicità infinita ma ha una caratteristica peculiare che rende difficile la sua esecuzione: richiede la continua esposizione dei vasi al sole per circa 6 settimane.
E qui casca l’asino perché le marasche maturano nel periodo in cui si va al mare… e chi sposta i vasi dunque da un davanzale all’altro durante le nostre vacanze?!
Quindi non riesco mai a prepararle, eppure mi vengono in mente ogni volta che le compro per consumarle a tavola.
Allora faccio come diceva il comico Daniele Formica in uno sketch famoso: “io maestro, tu fai” e vi insegno come procedere.
Naturalmente se deciderete di ascoltare anche questo suggerimento che vi do, utilizzerete i vasi Bormioli, più sicuri e più facilmente reperibili, prima sterilizzati.
Poi vi procurerete 1 chilo di marasche sane e mature, toglierete i piccioli e le metterete nei vasi scuotendole per accomodarle, poi le coprirete con lo stesso peso di zucchero semolato.
Tutto qua.
I vasi vanno tassativamente posti su uno dei davanzali ad est al mattino e nel pomeriggio saranno trasferiti su uno di quelli delle finestre che guardano ad ovest fino al tramonto, poi si ritireranno per la notte e il giorno successivo… si ricomincia.
Questo giochetto deve durare circa 40 giorni, sperando nel bel tempo, ma il risultato vi ripagherà del disagio!

Fresca e insolita: la mia torta di mirtilli

Noi abbiamo la fortuna di abitare in una città che quando ci viene voglia di montagna ci si può arrivare con un viaggio che dura da mezz’ora a un’ora e mezza sui nostri Lessini, le Prealpi Venete, o nel Trentino e godere di un clima più fresco di quello cittadino, di panorami rilassanti e di aria più pulita.
Che si scelgano le località più lontane o quelle della nostra provincia, la gita di un giorno in montagna ci attrae sempre.
In particolare amiamo Baselga di Pinè, un paese di cui vi ho parlato anche un anno fa (il 30 luglio ho pubblicato la ricetta delle Farfalle nel bosco mangiate là), dove mio marito trascorreva l’estate da bambino e dove la nostra passeggiata attorno al lago, nutrendo gli uccelli acquatici che lo popolano, ci porta ad una rivendita di frutti di bosco, o piccoli frutti, a ridosso delle serre dove vengono coltivati e colti al momento.
L’ultima volta non abbiamo acquistato frutti rossi, ma solo more e mirtilli.
Con le more faccio un dessert minimalista con il gelato alla crema e con i mirtilli una torta insolita e golosa che adesso vi racconto.

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Riunisco insieme in una ciotola 175 gr di farina, 120 gr di burro a pezzettini, 2 cucchiaini di estratto di vaniglia, 1 pizzico di sale, la buccia grattugiata di 1/2 arancia e diluisco questo mix con il succo dell’arancia. Bisogna aggiungerne poco per volta perché si deve ottenere un impasto morbido ma non appiccicoso.
Faccio una palla e la metto a riposare in frigorifero.
Stendo la pasta col mattarello e fodero una tortiera imburrata, la copro con un foglio di alluminio, verso qualche manciata di fagioli secchi e inforno a 200 gradi per 10-12 minuti.
Elimino i fagioli e l’alluminio e proseguo la cottura per altri 5-6 minuti finché la pasta non assume un bel colore dorato.
Mentre la pasta cuoce, porto a bollore in un pentolino 150 ml di acqua, 150 gr di zucchero, 2 cucchiai di maizena e 200 gr di mirtilli. Lascio sobbollire, mescolando spesso, per circa 15 minuti.
Quando questo composto si è addensato, fuori dal fuoco aggiungo 30 gr di burro e il succo dell’altra mezza arancia. Profumo con 1 bicchierino di Cointreau e lascio raffreddare completamente.
Aggiungo quindi altri 200 gr di mirtilli freschi, mescolando delicatamente.
Sformo il guscio di pasta ormai freddo e lo riempio con questo composto.
Faccio riposare in frigorifero questa insolita torta almeno per un’ora, perché va mangiata fredda.

Non è la solita crostata ai frutti di bosco ed è fantastica, fresca e profumata, quindi adatta alla stagione e molto piacevole grazie alle due consistenze dei mirtilli.
Secondo me, quando sarà il momento si potrà fare anche con l’uva. Cercherò di ricordarmelo.

Spaghetti with meatballs (Joe Bastianich sarebbe orgoglioso di me)

20140702-185053.jpgGli “Spagetti with meatballs” sono un piatto della cultura Italo-Americana, un probabile adattamento degli immigrati Italiani negli Stati Uniti di uno dei loro piatti tradizionali.
La pasta è una nostra imprescindibile prerogativa culinaria, si sa.
Le polpette… le polpette sono un classico anche della cucina Americana.
Questo piatto è dunque la versione Statunitense della pasta col ragù. O no?
Non c’è nessuna necessità di cucinarlo, ovviamente, ma se una volta vi voleste divertire e far mangiare i bambini con allegria, ecco come preparo io le polpettine e il sugo per gli Spaghetti with meatballs.

Per prima cosa faccio il sugo con 750 gr di passata di pomodoro, 1 piccola cipolla tritata, 1 decina di foglie di basilico, 1/2 cucchiaino di sale grosso e 1 cucchiaino di zucchero.
Lascio addensare la salsa facendola cuocere per circa 20 minuti.
Nel frattempo riunisco in una ciotola 250 gr di macinato di manzo, 100 gr di salsiccia spellata e sbriciolata, 50 gr di parmigiano, la mollica di 1 panino raffermo grattugiata, 1 uovo, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato, sale, pepe e una grattata di noce moscata.
Mescolo tutto e con le mani umide formo tante polpettine piccole piccole che infarino e friggo in olio d’oliva, poi le raccolgo con la schiumarola e le faccio asciugare sulla carta da cucina.
Quando sono tutte fritte le verso nel sugo e faccio cuocere ancora 10 minuti.
Lesso al dente gli spaghetti, li scolo e li condisco con abbondante sugo e qualche cucchiaiata di polpettine.

Naturalmente si può completare il piatto col nostro immancabile parmigiano grattugiato, ma non sono sicura lo facciano anche in America. Se mai mia figlia oltre a Cracco e Barbieri dovesse incontrare in un aeroporto internazionale anche Bastianich, le dico di chiederglielo, eh?!

4 luglio: negli U.S.A. è la festa dell’indipendenza

Come l’anno scorso, dedico questo post alla celebrazione del Giorno dell’Indipendenza degli Stati Uniti e faccio i miei auguri agli amici blogger (e non) che mi seguono dal Paese “where the sky is full of sunlight and the flag is full of stars”.

20140620-194620.jpgSiccome per noi ogni scusa è buona, oggi facciamo questo dolcetto decorato come la bandiera degli Stati Uniti.
Si comincia col preparare una pasta frolla con 300 gr di farina, 175 gr di burro, 200 gr di zucchero, 1 uovo e 1 tuorlo, 1 pizzico di sale e l’aggiunta di 1/2 cucchiaino di bicarbonato.
Si tira la pasta col mattarello dandole una forma rettangolare e si inforna per 20 minuti a 180 gradi in una semplice teglia da lasagne.
Mentre cuoce e poi si raffredda completamente si prepara la crema detta Chantilly: una crema pasticcera (500 ml di latte, 200 gr di zucchero, 80 gr di farina, 4 uova, 1 pizzico di sale, la buccia grattugiata di 1 limone) alla quale si aggiungono 500 ml di panna montata.
Si spalma la crema su tutta la superficie della torta e si decora con mirtilli e fettine di fragole e banane.
Credo che per la guarnizione non servano spiegazioni più dettagliate, basta guardare la fotografia.
Se avete voglia di dare un’occhiata a quella che ho proposto l’anno scorso, magari ne vale la pena: era diversa, ma altrettanto buona.

Happy Independence Day to Ann, John, Shanna, Sylvia, Judy, Alma, Bob, Anna.