Arrosto farcito con le noci

Dopo la serie di arrosti farciti di cui abbiamo parlato verso Natale, credevate forse che avessi perso il tocco o esaurito le batterie? Naaaaaah!
Questa volta ho cucinato dell’arista di maiale con le noci.
L’effetto molto piacevole deriva dalla croccantezza della frutta secca, che ho messo nella salsa, in contrasto con la morbidezza della farcia.
I felici risultati che ottengo con i miei famosi arrosti ripieni, li devo unicamente alla mia fantasia (e anche all’esperienza in realtà), ma non ricevo nessun aiuto da parte dei miei familiari.
Quando infatti chiedo un suggerimento per ottenere il massimo della loro soddisfazione, la risposta è sempre: pensaci tu, che sono tutti squisiti.
Se da una parte è molto gratificante, dall’altra mi mette a volte in difficoltà. Però mi stimola a dare il meglio.
Insomma l’altro giorno ho fatto questo nuovo arrosto che è piaciuto molto.

20140202-163659.jpgHo acquistato i fondamentali e canonici 8-900 gr di lonza di maiale (che, come ci insegnano i Toscani, prenderà una volta cotta il nome di arista) e l’ho fatta aprire a libro come al solito. Se il macellaio le dà anche una battutina, la carne si assottiglia ed è più agevole poi arrotolarla.
Ho preparato una farcia riunendo in una ciotola 150 gr di luganega spellata e sgranata, 1 quarto di pollo allo spiedo disossato, privato della pelle e frullato (che ovviamente avevo in freezer), 100 gr di mortadella di Bologna, 150 gr di polpa di vitello macinata, 2 cucchiai di Parmigiano, 150 gr di Taleggio a cubetti, sale, pepe, 1 grattugiata di noce moscata e 1 cucchiaino di prezzemolo tritato.
Ho impastato con le mani questo composto, ne ho fatto un salsicciotto, l’ho posizionato sulla fetta di carne, l’ho arrotolata, legata con qualche giro di spago e messa a rosolare in un tegame con olio, burro, 1 rametto di rosmarino, 1 spicchio d’aglio, 1 foglia di alloro e 1 rametto di mirto (che mi porta dalla Sardegna la mia consuocera Luisa Anna e faccio seccare così mi dura tutto l’inverno) che con il maiale sta benissimo.
Ho sfumato con 1/2 bicchiere di Marsala, ho aggiunto 1 mestolo di brodo e ho portato lentamente a cottura.
Alla fine ho tolto l’arrosto dal tegame, l’ho liberato dallo spago e tenuto al caldo.
Ho filtrato il sugo, ho aggiunto 1 bicchierino di Cognac, 100 ml di panna e i gherigli di 10-12 noci tritati nel mortaio e l’ho fatto leggermente addensare.
Ho affettato l’arrosto e servito coperto di salsa.

La spiegazione è molto più lunga di quanto non sia la realizzazione della ricetta!
Gli ingredienti sembrano molti, ma ognuno serve ad esaltare le caratteristiche dell’altro e secondo me ci vogliono tutti.
Il Taleggio per esempio, oltre che sapore, dona anche una morbidezza che sostituisce la necessità di aggiungere la mollica ammollata nel latte o l’uovo, la mortadella di Bologna è molto saporita e contrasta la delicatezza del pollo e del vitello… e via di seguito.

Pollo in umido (Polastro in tecia)

Se non è questa la stagione degli umidi!
Caldi e corposi piatti ricchi di sapori complessi e aromi fusi in un’unica armonia.
Sì, adoro il cibo e mi piace cucinarlo pretendendo il massimo dagli ingredienti e dalla stagione.
Infatti associo sempre all’inverno le carni in umido, come lo spezzatino di vitello, il gulasch di manzo, i sontuosi brasati profumati di vino e spezie e anche il semplice, casalingo e squisito pollo in tegame, che nella tradizione Veneta altro non è che il “Polastro in tecia”.
Nelle nostre campagne il pollo, l’anatra, il coniglio, dalla notte dei tempi l’hanno sempre fatta da padroni sulle tavole della famiglie nelle zone rurali, molto più del manzo o del vitello.
Il pollo ha continuato il suo cammino verso la gloria culinaria anche in un’epoca più vicina a noi, interprete principale di molte ricette innovative e gustose.
Questo semplice spezzatino di pollo è sempre lo stesso, invece, che viene dal ricettario (orale) di casa di mia nonna e non delude mai.

20140128-002604.jpgSi mettono in una casseruola 2 carote, 1 cipolla e 2 coste di sedano tritati non troppo fini e si fanno soffriggere a fuoco basso con 2-3 cucchiai di olio.
Si aggiunge 1 pollo tagliato a pezzi e si fa rosolare a fuoco vivace, si sala, si insaporisce con una macinata di pepe, si spruzza con 1/2 bicchiere di vino rosso e si fa sfumare.
Si uniscono 1 foglia di alloro, 1 di salvia e 1 rametto di rosmarino avvolti insieme e legati per facilitare alla fine la loro eliminazione e 1 spicchio d’aglio schiacciato.
Si bagna con 1 mestolino di brodo, si copre e si cuoce per circa 20 minuti rigirando i pezzi di pollo un paio di volte.
Quando sono cotti e i grassi sono diventati trasparenti, si estraggono dal tegame, si liberano della pelle, si disossano, si “sfilacciano” con i rebbi di una forchetta e si rimettono a scaldare per qualche minuto.
Si eliminano gli odori e si versa a cucchiaiate questo pollo squisito su una bella polenta morbida.

Una ricetta semplice, molto gustosa, un po’ antiquata d’accordo, ma con il vantaggio di poter essere preparata in tempi relativamente brevi pur avendo il sapore e la consistenza dei grandi piatti in umido dalle lunghe cotture.
Se non lo sfilacciate e aggiungete della polpa di pomodoro… ecco il pollo alla cacciatora!
E ci potete aggiungere anche dei funghi.
Oggi praticamente due ricette al prezzo di una!

E vai con le minestre!

Indubbiamente il clima di questi giorni invita alla preparazioni di cibi caldi: zuppe, minestre e vellutate di verdura.
Infatti in quasi tutti i blog di cucina che seguo c’è un gran proliferare di minestroni e affini.
A mangiare a pranzo un’insalata anche d’inverno mi sa che sono rimasta solo io!
Comunque nemmeno io tralascio certo la preparazione dei miei must invernali tradizionali.
La minestra di patate è uno dei più gettonati e graditi in famiglia.
Si tratta di uno dei pochi piatti che cucino utilizzando la pentola a pressione, che di solito snobbo perché non mi da la possibilità di controllare costantemente le preparazioni.
In questo caso invece (e in tutti gli altri che richiedono lunghe cotture senza rischi, come la mia “Pasta e fagioli senza pasta”) trovo che la pentola a pressione aiuti a raggiungere un risultato ottimale in un tempo molto più breve di quello necessario con la cottura tradizionale.
Il risultato è una minestra che ha la consistenza delle vellutate (a cui vengono invece aggiunti anche latte e panna), ma è molto più semplice, familiare, rassicurante.

20140115-102019.jpgSi fanno stufare con 2-3 cucchiai di olio e un pizzico di sale, 2 cipolle bianche affettate a velo, con pazienza infinita. Di tanto in tanto si rimestano con un cucchiaio di legno.
Si aggiunge se occorre un goccino d’acqua per non farle colorire. Io ci metto circa 20 minuti per ottenere delle cipolle perfettamente trasparenti. In questo modo il sapore di fondo non è né forte né acido.
Si tritano grossolanamente 100 gr di speck e si uniscono alle cipolle con gli aghi di 1 bel rametto di rosmarino.
Si mescola e dopo un minuto si aggiungono 4 patate a cubetti e 3/4 di litro di brodo vegetale.
Si chiude la pentola a pressione e dal fischio si fa cuocere 40 minuti.
Si sfiata, si aggiusta di sale e di pepe e si frulla accuratamente col minipimer a immersione.
Il risultato è una zuppa molto densa e profumata.
Si serve nelle ciotole con una piccola aggiunta di listarelle di speck rese croccanti al microonde e qualche fogliolina di timo fresco (ma va bene anche il prezzemolo tritato).

Se non dite niente a nessuno, può passare per la molto più sofisticata Zuppa Parmentier, vanto della cucina Francese.
Quello che faccio per alimentare questa impressione è, anziché servire i soliti crostini fritti nell’olio, usare il burro per dorare da entrambe le parti delle fette di pancarrè tagliate a triangolo e cospargendo solo un lato di grana grattugiato perché si formi una bella crosticina dorata.
Fidatevi, i Francesi in cucina ci sanno proprio fare!

I tortelli alla Mantovana (ossia i ravioli di zucca)

Il giorno dell’Epifania siamo andati a Gonzaga, che è un classico paese della Bassa Mantovana, di quelli caratterizzati da una piazza centrale molto ampia, coi portici sui lati lunghi, dove d’inverno ristagna sempre un velo di nebbia e d’estate si muore dal caldo.
Ci andiamo perché c’è uno di quei mercatini dell’Antiquariato che ci piace frequentare, quelli che ci offrono la scusa e l’occasione per muoverci di casa e fare una passeggiata divertendoci.
Senza la pretesa di fare anche dei buoni affari. Ma non senza la speranza.
Questo particolare mercatino si tiene la IV domenica dei mesi che ne hanno cinque e durante tutte le festività infrasettimanali.
Lo so, sembra difficile, ma poi si impara.
Proprio in piazza c’è un posto carino dove si può mangiare un piatto caldo e riprendersi dalle fatiche derivanti dall’impegno di setacciare tutte la bancarelle!
Ovviamente io mangio sempre i Tortelli alla Mantovana, li adoro.

20140114-103912.jpgLa cucina Mantovana è opulenta e saporita, un connubio imprescindibile e perfetto tra la rustica tradizione contadina e la ricercatezza delle tavole nobiliari.

La caratteristica di questi tortelli, o ravioli, è il ripieno, molto particolare, a base di zucca, ma non è finita qui.
Si comincia affettando, sbucciando e liberando dai semi e dai filamenti 1 chilo e 1/2 di zucca. Si inforna in una teglia a 180 gradi per circa 45 minuti: la polpa deve risultare tenera e asciutta.
Si taglia a tocchetti e si frulla con 150 gr di mostarda Mantovana (quella di mele cotogne, mi raccomando), 150 gr di grana Padano grattugiato, 50 gr di amaretti, la scorza grattugiata di 1/2 limone, 1 uovo intero, sale, pepe e noce moscata.
Si lascia riposare l’impasto e intanto si tira la sfoglia, che si fa solo con i tuorli e una piccola aggiunta d’acqua e non con le uova intere.
Per 500 gr di farina occorrono 14 tuorli, 2-3 cucchiai d’acqua e 1 pizzico di sale. Se avete l’impastatrice, meglio, perché il composto è piuttosto tenace.
Se vi fate la pasta come siete abituati fa lo stesso, ho suggerito questa alternativa solo per amore di precisione, in onore alla fastosa cucina Mantovana.
Si lavora a lungo, poi si stende la pasta molto sottile.
Su una metà si appoggiano con un cucchiaino dei mucchietti di ripieno distanti l’uno dall’altro 5-6 cm, si ripiega sopra l’altra metà della sfoglia, premendo delicatamente con le dita si fa uscire l’aria e si ritagliano i ravioli, sigillandoli, con l’apposito coppa pasta dentellato, quadrato o rotondo.
Si lessano e si condiscono con abbondantissimo burro e salvia oppure (e questo lo consiglio) con un battuto grossolano di pancetta Piacentina saltata in padella con del rosmarino tritato.

È davvero un piatto irresistibile. Meno male che il Mercatino di Gonzaga non c’è tutte le settimane!

Costine di maiale al latte

Questo è un piatto squisito, di quelli che nelle case di campagna della nostra infanzia non mancavano mai.
Allora c’era un tempo per ogni tipo di cibo, le stagioni seguivano un ritmo rigoroso e al momento giusto si cucinavano le costine di maiale, che si chiamano anche puntine o spuntature a seconda della regione.

20140112-015417.jpgLa Giulietta le fa ancora e le vengono tenere, succulente e profumate.
Vi dico subito come le cucina, perché sono sicura che da questa ricetta, se la vorrete provare, trarrete grande soddisfazione.
È un insieme di sapori antichi ma non dimenticati, che mi riportano indietro nel tempo, quando il profumo di casa era un insieme di cibo e d’amore e le mani di mia nonna odoravano di buono.

Occorrono 1 kilo di costine belle carnose (fatte tagliare a pezzi dal macellaio) che si fanno rosolare a fuoco vivace in un tegame antiaderente senza nessuna aggiunta di grassi, semplicemente con 3 spicchi d’aglio in camicia, 1-2 scalogni tagliati in quattro e 1 rametto di rosmarino avvolto in 2-3 foglie di salvia e legato con qualche giro di spago da cucina, così in cottura non perde gli aghi e si elimina poi facilmente.
Quando la carne di presenta leggermente arrostita, si sfuma con 1/2 bicchiere di vino bianco, si insaporisce con 1/2 dado sbriciolato e 1/2 cucchiaino di tàmaro.
La conoscete questa spezia, o meglio questo mix di spezie? Lo chiedo perché non a tutti è familiare, mentre in Veneto se ne fa largo uso quando si cucina la carne di maiale, siano costine “in tecia”, arista al forno, filetto in crosta o braciole ai ferri. È un insieme di semi di coriandolo, anice stellato e finocchio, cannella e chiodi di garofano. Ha un profumo intenso e inconfondibile, molto caratteristico, che col maiale è perfetto.
Tornando a noi, si aggiunge circa 1/2 litro di latte tiepido (le costine devono essere coperte a filo) e si porta a cottura a fuoco dolce.
Si eliminano l’aglio e gli odori e si serve con il purè oppure con la polenta. O con entrambi.

Con questo metodo di cottura, coperte di latte, le costine non possono che restare morbide, le spezie le rendono appetitose e conservano un confortante sapore di casa che scalda il cuore.
E va bene così: in fondo è un piatto invernale.

Code di gambero su vellutata di ceci

Ci sono poche occasioni nelle quali utilizzo le mie tazze da consommé, quelle della lista nozze, il tipo di stoviglie per intenderci a cui nessuno dei giovani che si sposano oggi verrebbe in mente di chiedere in regalo!
Io comunque ce le ho, ormai da quasi 45 anni. Erano oggetti che non potevano certo mancare nel corredo di vasellame classico ed elegante delle spose della mia generazione… un giorno parliamo anche del resto!
Difficilmente offro il consommé, anche se una volta, dopo un antipasto di Cappone alla Gonzaga, ho servito un classico Sorbir d’agnoli giusto per utilizzare un volta tanto le tazze da consommé e creare una specie di cena etnica “de noantri”. Alla mantovana.
Va be’, mi piace scherzare.
Di recente, derogando un po’ dalle ferree regole del galateo, le ho usate per una squisita passata di ceci con le code di gambero che, indipendentemente dal contenitore, è proprio una delizia.

20140109-094419.jpgPer prima cosa si puliscono e si privano del filo intestinale 12 code di gambero. Si mettono in una casseruola coperte d’acqua con 1 carota, 1 gambo di sedano, 1 piccolo scalogno, 1 pezzetto di buccia di limone, 1/2 bicchiere di vino bianco, 2 grani di pepe, 1 foglia di alloro e 2-3 gambi di prezzemolo.
Appena bolle, si spegne e si lasciano intiepidire nel loro court bouillon.
Il court bouillon va poi filtrato e conservato.
Intanto si fa appassire 1 piccola cipolla affettata sottile in poco olio salando appena. Si fa stufare a lungo, a fuoco molto dolce, mescolando di tanto in tanto per non farla colorire.
Ottenuto (noi senza stufarci) questo risultato, si versano nel tegame 2 scatole di ceci al naturale sciacquati e sgocciolati, si aggiungono gli aghi di 1 rametto di rosmarino e tanto court bouillon tenuto da parte quanto ne serve per coprire i ceci, si aggiusta eventualmente di sale e pepe e si lascia cuocere qualche minuto.
Si frulla col mixer ad immersione aggiungendo eventualmente altro court bouillon per ottenete una vellutata densa al punto giusto, appena fluida.
Si impiatta, tiepida, nelle tazze da consommé e si completa con le code di gambero sgusciate e un giro di olio d’oliva leggero (Ligure o del Lago di Garda).

Ovviamente le tazze da consommé sono un optional. In altre occasioni ho presentato questa vellutata in piccole cocotte, o addirittura in una ciotola di servizio da cui servirsi personalmente. Ocio però, perché come ho già detto così si corre il rischio che se i primi commensali non sono moderati, agli ultimi resta solo la passata!

I tortellini di Valeggio

Tutti conoscono i tortellini: una squisita pasta il cui ripieno varia da Regione a Regione.

20140104-094316.jpgQuelli di Valeggio sul Mincio (in provincia di Verona), sono di antichissima origine e si differenziano da tutti gli altri per la loro pasta all’uovo sottilissima che racchiude un ripieno delicato.
Pare si possano far risalire al Milletrecento, quando Giangaleazzo Visconti, Signore di Milano si accampò con le sue truppe sulla sponde del fiume Mincio, emissario del Lago di Garda.
Siccome noi Veronesi siamo dei gran sentimentali (pensate a cosa siamo riusciti a fare con la storia di Romeo e Giulietta!) abbiamo confezionato una leggenda su misura che parla del valoroso Capitano Malco e della bella ninfa del fiume Silvia di cui si era invaghito, che gli avrebbe lasciato come pegno d’amore eterno un fazzoletto giallo di seta teneramente annodato.
Questa non è che una veloce sintesi della loro storia d’amore, ma in fondo il mio è un blog di cucina!
Ogni anno per celebrare questo romantico avvenimento, sul Ponte Visconteo di Valeggio sul Mincio si allestiscono due lunghissime tavolate che possono ospitare fino a 4.000 commensali, dove si possono gustare quelli che vengono chiamati localmente Nodi d’amore, tortellini la cui pasta è sottile come un fazzoletto di seta…
E questa è la storia, anzi la leggenda.
Volendo essere prosaici e pragmatici, questa è invece la ricetta.

Per la sfoglia occorrono 700 gr di farina, 4 uova intere, 1/2 bicchiere d’acqua e 1 pizzico di sale.
Si lavora molto a lungo e poi si fa riposare.
Nel frattempo in un tegame si fa imbiondire 1 cipolla con 2 cucchiai di olio, si uniscono 200 gr di polpa di manzo, 200 gr di filetto di maiale, 200 gr di petto di pollo tritati e 2 fegatini di pollo affettati sottili.
Si sala, si aggiungono gli aghi di 1 rametto di rosmarino, 1 grattata di noce moscata, 1 macinata di pepe, 1-2 chiodi di garofano, si sfuma con 1/2 bicchiere di vino Bardolino e si porta a cottura.
Si lascia raffreddare, si eliminano i chiodi di garofano e poi si frulla il composto con 100 gr di prosciutto crudo a listarelle, 50 gr di pane raffermo grattugiato, 100 gr di Parmigiano e 1 tuorlo. Si fa una palla e si conserva al fresco.
Nel frattempo si tira la pasta assottigliando la sfoglia al massimo. Si può usare il mattarello o la macchinetta, l’importante è che diventi un velo.
Si ritaglia in quadrotti di 4-5 cm di lato. Su ognuno si appoggia una “nocciola” di ripieno e si ripiega la pasta su se stessa ottenendo un triangolo che si sigilla bene premendo i bordi con la punta delle dita. Si uniscono quindi i due angoli estremi intorno alla punta del dito indice, sormontandoli leggermente e si pizzicano alla congiunzione per farli aderire.
Si rivolta all’indietro l’angolo libero e sono pronti.
Ma che ve lo dico a fare?! Siete sicuramente tutti più bravi di me!

I tortellini di Valeggio si mangiano in brodo (meglio se di cappone) o asciutti con burro e salvia e abbondante Parmigiano grattugiato, mai conditi con il ragù di carne o con altri sughi di fantasia perché data la loro delicatezza non si prestano ad essere rimestati.

Il roast beef di filetto

20140101-181104.jpgEccolo qua, questo è un filetto di manzo.
Questo pregiato taglio di carne adatto ad un pranzo importante, tenero e dal sapore ricco e pieno, in cottura diventa succulento e appetitoso, pur mantenendosi morbido.
Quando ne acquisto un taglio intero, come questo nella foto, lo cucino come se fosse un classico roast beef di manzo e viene una meraviglia.

È sufficiente sistemarlo a freddo in un tegame che lo contenga di misura con 3 cucciai di olio, 1 foglia di alloro, 2 rametti di rosmarino e 2 spicchi d’aglio schiacciati.
Si fa rosolare a fuoco vivace da tutti i lati (ocio che un po’ schizza) e quando la superficie assume uniformemente un bel colore intenso, si cosparge con abbondante pepe nero appena macinato e sale grosso.
Si abbassa la fiamma, si mette il coperchio e si cuoce a fuoco medio 18 minuti per ogni chilo di carne. Naturalmente dovrete fare i dovuti calcoli a seconda del peso del vostro taglio di filetto. Con questi tempi, il risultato è quello della fotografia, come piace a noi: una cottura media.
Se si vuole più o meno cotto, ovviamente si allunga o si accorcia il tempo di permanenza sul fornello che ho suggerito.
Questa è una preparazione che preferisco non cucinare il forno, perché così la controllo meglio e posso rigirare la carne un paio di volte senza troppo stess.
Per concludere, qualunque sia il tipo di cottura sia stato scelto, una volta trascorso il tempo stabilito, si toglie la carne dal tegame e si lascia riposare qualche momento. Così poi si affetta con più facilità.
Nel frattempo si filtra il sugo, e con questo si cospargono abbondantemente le fette di roast beef disposte sul piatto da portata.
Fatto.

Da sempre a casa nostra il roast beef di filetto si mangia accompagnato da piselli al burro e patate in tegame.
Ed è anche un piatto eccellente, da Primo dell’Anno, per esempio!

L’arista con il cotechino

C’è un arrosto che a casa nostra non manca mai a Natale: l’arista con il cotechino.
La faccio da minimo quarant’anni e nonostante proponga ogni anno anche un secondo e a volte un terzo arrosto sempre differenti, in tavola lei è sempre presente.
È una tradizione e un caro ricordo di molti felici Natali passati con tutta la famiglia in case più piccole, in case di campagna, in palazzi del centro storico e anche qui dove abitiamo adesso.
L’esecuzione è semplicissima, il risultato più che apprezzabile e a parte la storia di famiglia che si porta dietro, è davvero un piatto molto buono.

20131229-100940.jpgServe un eccellente cotechino, che si cuoce nel solito modo. Gli si toglie la pelle finché è ancora caldo, altrimenti l’operazione diventa piuttosto complicata e poi si fa raffreddare
Si acquista un pezzo di carré disossato di maiale (lonza) che pesi il doppio del cotechino e la si fa aprire a libro dal solito cortese macellaio. Si ottiene così una di quelle bisteccone alle quali vi state abituando da quando mi sentite parlare tanto spesso di arrosti farciti!
La si apre sul piano di lavoro, al centro si posiziona il cotechino, freddo e spellato, e gli si arrotola attorno la carne racchiudendolo al suo interno.
Si lega con alcuni giri di spago da cucina e si fa rosolare da tutti i lati in olio e burro con 2 spicchi d’aglio, 1 rametto di rosmarino, 2-3 foglie di salvia e 1 di alloro, 2 chiodi di garofano e 3-4 bacche di ginepro.
Si sfuma con 1 bicchiere di vino bianco, si aggiunge 1 mestolo di brodo, si sala appena, si pepa a proprio gusto e si cuoce a fuoco basso per un’oretta e mezza, rigirandolo un paio di volte.
Per controllare la cottura bisogna fare la prova stuzzicadenti, che deve penetrare con facilità nella carne, oltre ovviamente tener presente la regola di mia nonna che dice che il cibo è cotto alla perfezione quando i grassi diventano trasparenti.
A cottura ultimata dunque, si toglie l’arrosto dal tegame, lo si libera dallo spago e si fa raffreddare completamente.
Si filtra il sugo di cottura, si affetta l’arrosto, si rimette nel tegame con le fette leggermente sovrapposte e si scalda, coperto, per qualche minuto, spruzzandolo eventualmente con altro vino.
Raccomando la massima attenzione nel trasferire le fette dal tegame al piatto di portata perché il cotechino non fuoriesca dal suo involucro di carne rovinando la presentazione.

In pratica può ricordare il “cotechino in gabbia” Emiliano, ma se non sbaglio questa versione prevede anche uno strato di sottili crêpes e uno di spinaci ripassati al burro all’interno della fetta di lonza, prima di inserire il cotechino.
Il mio è molto più semplice. E stavolta è anche veramente l’ultimo arrosto farcito del 2013!

Chiamiamolo pure Risotto con il tastasal

Chissà quante critiche, commenti e suggerimenti susciterà questa ricetta!
Il risotto con il tastasal (o italianizzato: tastasale) è una specialità sia Mantovana che Veronese, le ricette quindi sono molte e diverse fra loro perché anche i Comuni delle due Province citate hanno una loro versione.
Il tastasal è carne di maiale macinata aromatizzata e speziata, il composto insomma che si usa per fare il salame.
Dalle nostre parti si trova in vendita nelle salumerie più tradizionali, quelle per intenderci che vendono anche il baccalà (quello salato) e lo stoccafisso (quello essiccato), le olive nei barili, le aringhe e le acciughe sotto sale, la soppressa, tutti quei prodotti insomma di cui si va perdendo memoria.
Dunque, tanto per non litigare con nessuno, diciamo che quella che vi do è la ricetta del MIO risotto con il tastasal, molto apprezzato sia in famiglia che tra gli amici.
Eccolo qua.

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Faccio appassire una piccola cipolla con una noce di burro. Prima che imbiondisca troppo aggiungo 300 gr di tastasal sgranato con una forchetta e lo lascio rosolare.
Sfumo con 1/2 bicchiere di vino bianco. Faccio evaporare.
Aggiungo un trito finissimo di rosmarino, 1/2 cucchiaino di cannella in polvere e porto a cottura.
Verso 400 gr di riso (Carnaroli o Vialone Nano), lascio insaporire rimestando con cura perché i chicchi assorbano il grasso profumato, copro con qualche mestolo di brodo, aggiungendone altro se occorre, fino a cottura ultimata.
Fuori dal fuoco incorporo un’altra noce di burro e abbondante Parmigiano.
Manteco e servo, facendo contenti tutti i commensali.

Il fatto che abbia omesso di salare non è una dimenticanza: il tastasal e il brodo sono salati più che a sufficienza, ma nonostante il sapore intenso del piatto, personalmente aggiungo alla mia porzione una bella macinata di pepe nero.
Se voleste provare questa ricetta ma vi risultasse difficile reperire il tastasal potete tranquillamente sostituirlo con lo stesso peso di salsiccia Trevisana o di luganega spellate e battute a coltello e procedere come ho descritto.