L’insalata di patate

Come affermava la signora Petrella durante quel lungo volo verso Miami, con il pollo fritto si mangia l’insalata di patate, non ci sono ma che tengano.
Quindi come anticipato e promesso ieri, vi dico come faccio un’ottima insalata di patate.
Anche se gli Americani se ne sono appropriati, l’origine dell’insalata di patate è teutonica o asburgica ed è secondo me uno dei più squisiti contorni che possano accompagnare le cotolette, i würstel o, appunto, il pollo fritto.

20140315-012051.jpgL’insalata di patate è deliziosa, cremosa, sfiziosa e sostanziosa e avendo esaurito gli aggettivi in “osa” concludo con: facile.
Come sempre ci saranno decine di modi per prepararla, quindi non farò altro che proporvi la mia versione.
Perfino la mia mamma la faceva un po’ differente dalla mia, quindi non preoccupatevi se non corrisponde alla vostra, anzi sono graditi i suggerimenti e le varianti perché di imparare non si finisce mai.

Faccio lessare 800 gr di patate con la buccia. Le pelo e le metto in una ciotola tagliate a pezzetti.
Lesso 2 uova e prelevo i tuorli.
Preparo una salsa con 80 gr di maionese, 1 cucchiaino di senape, 2-3 cucchiai di yogurt bianco intero, 1-2 cucchiai di aceto di mele, 1 bella presa di sale, pepe bianco e 1 cucchiaino di zucchero.
Dopo aver amalgamato bene questi ingredienti aggiungo 1-2 cipollotti freschi affettati sottili, i tuorli sodi sbriciolati, le patate e poco olio.
Mescolo tutto e la mia insalata di patate è pronta.
Se avete pronto anche il pollo fritto siete a posto!

Un irresistibile panino con l’aragosta: il Lobster roll

Perfino all’estero ci sono alcuni ristoranti che consideriamo i nostri preferiti, locali che non frequentiamo assiduamente come altri, per motivi facilmente intuibili, ma che meritatamente resistono da anni nel nostro carnet di viaggiatori gourmand.
Mi riferisco per esempio a Le Bofinger di Parigi, zona Bastiglia, di gran lunga la nostra brasserie prediletta. Ci andiamo sempre almeno una volta durante i nostri soggiorni a Parigi, prenotando il tavolo al piano terra dove si respira maggiormente l’atmosfera Belle Époque del locale.
A Santa Monica, in California, invece il nostro punto di riferimento gastronomico è sempre stato The Lobster, che si trova proprio dove termina la leggendaria Route 66 e ha una vetrata panoramica che domina il Pier, la spiaggia e il Pacifico.
Sono due realtà diametralmente opposte sia dal punto di vista storico che culinario, ma offrono entrambe soddisfazioni inenarrabili!
Oggi vi parlo di uno dei piatti vanto del ristorante Californiano, che si può ordinare solo a pranzo e non appare nel menù della cena.
Si tratta di un “semplice” panino all’aragosta, il Lobster Roll, che vale la pena di assaggiare perché è veramente incredibile e imparare a farlo perché non se ne potrà più fare a meno.
Da ricordare che in generale quelli che gli Americani chiamano aragoste sono in realtà astici.

20140305-013908.jpgSi fanno bollire per circa 20 minuti 2 astici surgelati di circa 500 gr l’uno (o 2 astici vivi, se ne avete il coraggio) in un court bouillon classico fatto di acqua, cipolla, carota, alloro, 1 bicchiere di vino bianco e qualche grano di pepe nero.
Nel frattempo si prepara una salsa con 200 gr di maionese, 2 cucchiai di panna fresca, il succo di 1/2 limone, 1 spruzzo di salsa Worcester, qualche goccia di Tabasco, 1 cucchiaio di Cognac, 1 pizzico di sale e di pepe.
Quando gli astici sono cotti si scolano, si lasciano intiepidire, poi si tagliano a metà nel senso della lunghezza e si rompono le chele. Si estrae la polpa e si taglia a pezzetti.
Si miscela con la salsa e si fa riposare in frigorifero perché i sapori si amalgamino.
Si farciscono dei panini al latte spalmati di burro salato e si aggiunge qualche stelo di erba cipollina tagliuzzato.

Io adoro questi panini, è inutile dirlo.
Il condimento è cremoso e molto ghiotto, la polpa dell’astice tenera e profumata, il pane morbido e adatto ad essere insaporito con il burro salato, l’insieme insomma è squisito e irresistibile, come si può dedurre anche solo leggendo la preparazione.
Secondo me è un piatto terribilmente sofisticato e talmente imprevedibile da poter essere servito, magari preceduto da un’insalata Caesar, come piatto unico anche per un pranzo non solo di famiglia. Ma io sono a volte poco convenzionale.
È un panino da mangiare con coltello e forchetta. Oppure si può offrire il composto in una bowl da cui servirsi a cucchiaiate e passare a parte il pane, ma così si snatura un po’.
Come dicevo, per questa ricetta preferisco utilizzare gli astici surgelati, che oltre tutto sono anche decisamente più economici e la loro preparazione è… assolutamente incruenta.

La poesia di un tramezzino in rosa

Ieri era uno di quei giorni in cui non avevo voglia di pasta, sulla quale contava invece mio marito, che occhieggiava dentro il frigorifero sperando che ci fosse una porzione di ragù qualsiasi con cui condire due penne.
Lo sa che cucino sempre quantità esagerate di sughi, come se dovessimo far fronte ad un periodo di impossibilità a fare acquisti o comunque fossimo obbligati a restarcene chiusi in casa per giorni senza rifornimenti dall’esterno.
Be’, in fondo non si sa mai… Metti che passi uno dei figli a salutare: vorresti farlo andare via senza il suo doggy bag?!
Accontentarlo non mi costava nulla in fondo: in freezer c’erano perfino delle lasagne al forno solo da infilare in microonde. E come spesso succede, un tramezzino come quello di ieri l’ho fatto solo per me.
Con buona pace di tutti.
Però con voi posso, se non dividerlo, almeno condividerlo.

20140129-173636.jpgFaccio tostare leggermente sulla piastra, solo da un lato, 2 fette di pancarrè senza crosta.
Imburro il lato caldo lasciando quello non tostato all’esterno.
Spalmo poca maionese sul burro, solo su una fetta, copro con del salmone affumicato e 1-2 foglie di cuore di lattuga spezzettata.
Ci appoggio sopra 5-6 code di gambero sgusciate e cotte a vapore, quelle avanzate dalla Catalana, le condisco con una spruzzata di succo di limone, una piccola presa di sale e una macinata di pepe.
Chiudo con l’altra fetta di pane: la parte tostata a contatto con la farcitura, mi raccomando.

In questi particolari tramezzini mi piace utilizzare il pancarrè tostandolo solo da un lato perché trovo intriganti le diverse consistenze che si incontrano addentandoli. State a sentire.
A contatto con le labbra c’è l’ingannevole morbidezza esterna del pane che non fa sospettare la tostatura interna.
Subito dopo i denti affondano nella resistenza dei gamberi e la croccantezza del cuore di lattuga e per ultimo si trovano a contatto con la cedevolezza del salmone e della maionese.
Affrontano per ultimo il contrasto con la ruvida compattezza del pane tostato che all’esterno però torna soffice.
Lo so, il cibo è poesia…

Hamburger a chi?!

Quella dell’hamburger è una filosofia di vita.
È come per i jeans: i “blue jeans” una volta, quando ero giovane io, erano un vero stile di vita, non solo un paio di braghe di cotone pesante.
Creare un panino, mangiare un particolare panino, significa allontanarsi dalla consuetudine alimentare di tutti i giorni per tuffarsi in un mondo di fantasia e libertà che non ha eguali.
Faccio degli hamburger buonissimi, piuttosto simili a quelli che si mangiano in America, dal sapore molto più ricco e appetitoso di quello delle “svizzere” che quando ero bambina mi cucinava la mia mamma e che risultavano sempre asciutte e gommose.
Negli Stati Uniti fanno di un hamburger un piatto non solo gustoso, abbondante, vario e ipercalorico, ma un vero pasto completo… anzi spesso due!
Gli Americani riescono ad infilare in un panino un intero pasto e aggiungono anche patate e cipolle fritte, il più delle volte a fianco.
È stato a San Francisco, durante il primo viaggio negli Stati Uniti che ho avuto un incontro ravvicinato del terzo tipo con uno di questi mostri.
Un’esperienza che mi ha segnata per sempre, seconda solo all’assaggio dei peperoni Habanero fritti a Palm Springs.

20140106-102410.jpgQuella prima volta era più il cibo che dovevo raccogliere con le mani dal piatto di quello che addentavo, perché ad ogni boccone sfuggivano dalle due fette di pane a rotazione: bacon croccante, cipolle rosolate, formaggio Cheddar (quello giallo), lattuga, carne tritata, fette di pomodoro e di cetriolo. Il tutto moltiplicato per tre, a formare un’incredibile torre di puro, saporitissimo colesterolo sormontato persino da un uovo fritto.
È stato come assaporare in una volta sola l’intero menù di un normale Family Restaurant!
Quando voglio ripetere a casa quell’esperienza, ovviamente sono molto più moderata e i miei hamburger sono proprio squisiti.

Quello che bisogna ricordare per ottenere 4 “polpette” succulente e saporite, proprio American Style, è il suggerimento di acquistare 450 gr di eccellente carne di manzo e farla macinare al momento.
Si mette in una ciotola, si uniscono 1 salsiccia spellata e 1 cucchiaio di pancarrè frullato, si insaporisce poi con 1 scalogno tritato molto finemente, 1 tuorlo, 1 spruzzata di salsa Worcestershire, 1 pizzico di sale e di pepe, 1 di aromi misti per arrosto e si lavora a lungo l’impasto con le mani umide.
Si divide in 4 parti e si da ad ognuna la classica forma di hamburger. Si cuociono sulla griglia, sulla piastra o in padella.
Si tagliano a metà 4 burger buns (i classici panini tondeggianti da hamburger), si scaldano sulla piastra, si spalmano di maionese e senape nella parte inferiore, si aggiungono 1 bella foglia di lattuga, 1-2 fette di pomodoro e qualche fettina sottile di cipolla dolce.
Si appoggiano sopra gli hamburger e si completano con 2 fettine di cetriolo in agrodolce, ketchup e altra maionese, si coprono con l’altra metà dei panini e si addentano. Con grande soddisfazione.

Volendo si possono arricchire ulteriormente con qualche fettina di bacon croccante e 1 fetta sottile di formaggio tipo Edamer o Emmental. Se ce ne fosse bisogno…

Avocado e gamberi per una cena romantica

Mi pare che gli avocado che ho suggerito venerdì 20 dicembre come antipasto abbiano riscosso un notevole successo, o quanto meno abbiano risvegliato una grande curiosità.
Dunque, ho pensato che magari un’altra variante di queste scenografiche “barchette” verdi, sempre abbinate ai crostacei, poteva diventare un’alternativa interessante, oltre che molto chic per questa particolare serata, se come me la passate in casa.
Anche questa non vuole essere una vera ricetta, ma un’idea.

20131231-010531.jpgMettiamo dunque che per stasera abbiate in mente una cenetta romantica, da ricordare, per festeggiare privatamente (per scelta o per necessità) con l’altra metà della vostra mela la fine di questo 2013.
L’importante è partire con il piede giusto, con un antipasto insomma che un po’ stupisca e un po’ suggerisca e anticipi le prelibatezze a base di crostacei che seguiranno. Vi do un esempio? Ravioli neri di scampi al sugo di astice, gamberi su zuppetta di cannellini, piccola grigliata con carciofi… Ma ve ne parlo l’anno prossimo!

Occorrerà quindi 1 avocado maturo, da tagliare a metà e liberare dal nocciolo.
Si strofina la polpa con mezzo lime, che poi si spreme e si aggiunge a 2 cucchiaiate di mascarpone, 1 cucchiaino di maionese, 1/2 scalogno piccolo, tritato molto finemente, qualche goccia di Tabasco e 1 pizzico di sale.
Si ottiene una crema che si suddivide nei due mezzi avocado e si completa con 6 code di gambero a testa (ne bastano anche 4, ma noi siamo molto golosi) lessate e sgusciate, condite appena con olio e lime e disposte con cura.
Si decora con 1 oliva farcita e 1 oliva nera denocciolata tagliate a metà, solo per fare scena, ovviamente.
Si conserva al fresco fino al momento di servire e si usa anche in questo caso un cucchiaino per gustare la polpa dell’avocado, alternandola ad una coda di gambero.

Questa salsa di accompagnamento dei gamberi è squisita, ha carattere e sapore, si abbina benissimo al gusto morbido e cremoso dell’avocado maturo e crea un contrasto molto stuzzicante.
Se però proprio non vi piace l’idea dell’abbinamento con la frutta tropicale, potreste semplicemente amalgamarla ai gamberi, che poi servirete nei tumbler (old fashioned), perché anche la soluzione di utilizzare i bicchieri è molto raffinata e in più fa tanto nouvelle cuisine!
Insomma la raccomandazione è di provarla, perché è davvero curiosa e intrigante. E chi ben comincia…
E a proposito di cominciare bene: dalla mia piccola scrivania a ribalta da dove con l’iPad creo ed elaboro le mie ricette, che poi diventano una quotidiana chiacchierata sul blog, vi faccio i miei più cari auguri perché il 2014 sia per tutti un anno da togliere il fiato… ma non l’appetito!

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L’omino di pan di zenzero

L’omino di pan di zenzero è una figura originaria del Nord Europa che ormai siamo abituati a vedere sotto forma di biscotti durante tutto il periodo delle Feste Natalizie.
Questi dolcetti sono un classico prodotto da forno da appendere all’albero o da sgranocchiare mentre lo si addobba.
Quest’anno il mio personale omino, classico simbolo del Natale d’Oltralpe, esce da un bello stampo da torta in silicone, riempito invece di mousse di tonno.
Eccolo qui, tutto vestito a festa con il papillon di peperone rosso e i bottoni di capperi, diventato uno degli antipasti del nostro pranzo di Natale.

20131227-094627.jpgLa mousse è semplice e molto ghiotta e si può presentare in qualunque forma, persino già spalmata sui crostini nel vassoio delle tartine di Capodanno, se preferite.
Uno stampo a soggetto Natalizio però era l’ideale per questa occasione… e non è l’unico che ho utilizzato. Quest’anno infatti ho temporaneamente abbandonato le classiche terrine di porcellana per questi contenitori decisamente più stagionali.

Veniamo al dunque: per questa mousse servono 250 gr di tonno sott’olio, sgocciolato, 50 gr di burro morbido, 2 cm di pasta d’acciughe, 1/2 limone spremuto, 1 cucchiaino di capperi sott’aceto, sciacquati e strizzati e 2 cucchiai di maionese.
Si frulla tutto a lungo e si mette in frigo a rassodare nel contenitore scelto.

Basta anche una ciotola che andrà poi decorata con maionese e prezzemolo tritato e passata in giro per la tavola.
Naturalmente per ottenere un omino grande come il mio, ho raddoppiato le dosi che vi ho dato prima.
Ah, è piaciuto a tutti!

Coppe di avocado

Il tempo stringe!
Oggi è il 20 dicembre e “believe it or not” sto ancora aggirandomi tra le diverse scelte e opportunità soprattutto per quanto riguarda gli antipasti.
Vado a ritroso nel tempo perché essendo il pranzo di Natale un avvenimento familiare, cerco di ricordare cosa ha riscosso maggior successo presso i miei adorati ospiti e cerco di accontentare tutti.
Dunque, al lavoro, spulciamo l’archivio!
Non so se avete mai preso in considerazione gli avocado per preparare degli antipasti sfiziosi e stuzzicanti. Appagano e gratificano sia i commensali che il creatore della ricetta.
L’utilizzo della frutta tropicale nei piatti salati è una scelta sofisticata e cosmopolita. Lo so, non piace a tutti, ma bisogna ogni tanto uscire dagli schemi, osare e divertirsi.
Quindi, ecco un antipasto che fa subito festa, con il vantaggio di essere fresco e piuttosto veloce e mi sa che in questi giorni non perdere tempo è fondamentale. Si tratta di una felice fusione di granchio, salsa rosa e avocado.
Vi do ricetta e dosi per 6 persone, quindi regolatevi.

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Prima di tutto si prepara la salsa, miscelando insieme 1 tubetto di maionase, il succo di 1/2 arancia, 1 cucchiaio di ketchup, pepe bianco, 1 pizzico di sale, 2 cucchiai di Cognac, 1 spruzzata di salsa Worcester.
Quella che si ottiene è una sorta di salsa rosa.
Si tagliano a metà 3 avocado maturi al punto giusto e si eliminano i grossi noccioli.
Si strofina subito la polpa con 1/2 limone per evitare che annerisca.
Con l’aiuto di un cucchiaino si scava un altro po’ allargando la cavità centrale.
La polpa estratta si taglia a pezzettini e si unisce al contenuto di 2 scatole di granchio reale Chatka al naturale, ben sgocciolato.
Il tutto si versa nella ciotola della salsa, si mescola e si trasferisce a cucchiaiate nei mezzi avocado riempiendoli con abbondanza.
Consiglio però di assemblare il piatto all’ultimo momento, intanto la polpa di granchio, peraltro già squisita, si insaporirà ulteriormente nella salsa.
Prima di servire ricordarsi di decorare con una fettina di arancia.
Prevedete di mangiarlo non con coltello e forchetta ma con un cucchiaino, che servirà anche a scavare la polpa del frutto.

Adoro queste combinazioni di frutta e crostacei o pesci. A voi piacciono? Se cercate ispirazioni in questo senso, scorrete il blog a ritroso.
Ne ho pubblicato diversi esempi: il 28 luglio, il 16 agosto, il 6 e il 30 settembre, il 31 ottobre, il 13 e il 21 novembre, di sicuro, ma forse me ne sono dimenticato qualcuno!
Si era capito che mi piacciono molto vero?!

Un pic nic in casa

Ci sono alcune occasioni in cui anziché il pranzo della domenica classico e consueto, è meglio offrire una specie di pic nic… placè.
Qualche settimana fa, per esempio, le circostanze della riunione di famiglia suggerivano proprio una soluzione di questo tipo.
Eravamo nove persone, di tre generazioni, e tutti ci siamo goduti un pranzo freddo, già servito in tavola: così anche la padrona di casa (che come avrete capito ero io) è potuta restare seduta con gli altri per tutta la durata del pasto.
Ed è stato bellissimo.
L’abbondanza e la qualità del cibo non ne hanno certo risentito ed è stato anzi un modo molto informale e conviviale di pranzare festeggiando un compleanno.
Avevo preparato una grossa pissaladière, una pie di sfoglia (di cui vi ho dato le ricette rispettivamente nei post del 6 luglio e dell’11 giugno), una “pizza” pomodorini e scamorza, una ricca, classica insalata nizzarda e il vitello tonnato, servito con sottoli e sottaceti.
Anche dell’insalata Nizzarda abbiamo più o meno già parlato e la pizza classica la sapete fare di sicuro, quindi non mi resta che descrivere il mio vitel tonnè, come lo chiamava la mia mamma, ritenendo che la denominazione francese giustificasse un piatto non quotidiano, raffinato ed elegante. Il mio papà ne andava pazzo.
Anche per me il vitel tonnè è rimasto un piatto simbolo delle occasioni speciali, dei pranzi di compleanno e dei festeggiamenti in generale.
Ho molte ricette e conosco diversi modi per prepararlo, ma il più antiquato, banale, familiare e soddisfacente è quello di cui vi do la ricetta. Senz’altro il vostro sarà anche più buono, ma il mio parla di casa, di tradizioni e di affetti.

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Si fanno lessare 1200-1400 gr di girello di vitello, privato di tutte le cartilagini, con 1 gambo di sedano, 1/2 cipolla piccola, 1 carota, 1 foglia di alloro, 1 chiodo di garofano, 1 pezzetto di buccia di limone, 1/2 cucchiaino di sale grosso, 1 bicchiere di vino bianco e l’acqua sufficiente a coprire appena la carne.
Ci vorrà un po’ più di 1 ora perché sia cotta a puntino, tenera e morbida.
Si lascia raffreddare nel suo brodo, poi si scola e si mette in frigorifero meglio fino al giorno successivo: per essere tagliata a fette sottili infatti deve essere molto fredda e compatta.
Si prepara nel frattempo la salsa tonnè. Si frullano 2 scatolette piccole di tonno sgocciolato insieme a 1 tazza di maionese, 1 cucchiaiata di capperi sciacquati, 2 acciughette sott’olio, 1 pizzico di pepe bianco e 1/2 bicchiere di liquido di cottura filtrato.
Quest’ultima aggiunta è fondamentale, una sorta di segreto dello chef che infonde un particolare sapore di fondo, non riconoscibile ma avvertibile, alla salsa.
Salsa che deve risultare densa e cremosa (che eventualmente si aggiusta aggiungendo altro liquido o altra maionese, secondo necessità) con la quale si coprono generosamente le fettine di vitello allineate leggermente sormontate su un grande piatto da portata.
Si completa decorando con qualche cappero e servendo a parte carciofini, funghetti e cetriolini. Come una volta.

Ricetta da tener presente anche per le prossime Feste, perché… dai diciamolo in coro: fra poco è veramente Natale!

Pomodori ripieni

Oltre che il “Riso alla greca”, un altro must delle estati della mia infanzia sono stati i pomodori ripieni. Naturalmente, crudi perché per nessun motivo al mondo la mia mamma avrebbe acceso il forno in estate.

In realtà a casa nostra quando ero bambina si cucinava al forno solo il “Pasticcio di lasagne” (vale a dire le lasagne al forno) in genere a Pasqua e la torta di mele due o tre volte durante l’inverno, altrimenti tutti i pasti venivano preparati in tegame o in casseruola.
D’estate comunque si mangiava quasi sempre freddo. A volte qualcosa che necessitava di essere cucinato, veniva lasciato raffreddare, come il Vitel tonné, il petto di tacchino o il Roast beef, che la mia mamma affettava sottilissimi, quasi a velo, con un vecchio coltellaccio affilatissimo e serviva con le salse adatte.

I pomodori ripieni di tonno erano un classico del venerdì sera, perché in quegli anni l’astinenza dalle carni si praticava tutto l’anno e non sono durante la Quaresima, mentre venerdì a pranzo si mangiavano calamari ripieni, cotolette di asià (pesce spinarolo), risotto con gli scampi, spaghetti con le vongole, fritto misto, seppie in umido… ma oggi volevo parlarvi dei pomodori ripieni di tonno e di cui ho ereditato la ricetta.

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Eccoli qua. Si tagliano a metà in orizzontale dei bei pomodori non troppo maturi, si svuotano dei semi, si salano e di appoggiano capovolti per eliminarne l’acqua.
Intanto si mescola il tonno sgocciolato e sminuzzato con una forchetta di 2 scatolette, con 2 cm di pasta d’acciughe, una spruzzata di succo di limone e del pepe bianco.
Si sciacquano e si asciugano i pomodori, si riempiono con il composto di tonno, si decorano con la maionese, qualche cappero sott’aceto e un’oliva.

Chissà quanti altri modi ci saranno per farcire i pomodori, lo so. Questi sono quelli di casa nostra, che sono diventati un classico pasto estivo fresco e veloce… perché, dai, non è che faccio sempre Nouvelle Cuisine!