La Apple Pie

Le mele sono frutti molto versatili e adatti ad essere utilizzati in un’infinità di preparazioni sia dolci che salate.
Grazie alle loro numerose varietà infatti, si possono cucinare con gli arrosti di maiale o farle entrare nella composizione di interessanti insalate come la Waldorf, per esempio.
Restando però nell’ambito dei dolci, so che pochi resistono di fronte ad una fetta di torta di mele.
Nel capitolo 22 (Il tempo delle mele) del mio libro cito Eva come esempio di una donna talmente privilegiata da vivere in Paradiso, che non ha saputo farselo bastare a causa di una mela.
D’accordo la sua vita non sarà stata proprio tutta rose e fiori: in fondo aveva sposato il primo venuto e non aveva uno straccio di amica con cui fare shopping, ma insomma poteva pensarci un po’ su prima di mandare tutto all’aria, no?
Non mi sento comunque di criticarla, perché anch’io ho qualche difficoltà a tirarmi indietro di fronte se non proprio ad una mela appena colta dall’albero, ad una fetta di fragrante, dolce, speziata Apple Pie.
Questa torta la faccio da talmente tanti anni che pensarci fa persino un po’ male. La potrei preparare persino bendata, tanto già la impasto con una mano sola.

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Per la pasta:
220 gr di farina
1 cucchiaino da caffè di sale fino
140 gr di margarina (potete usare il burro ma peggio per voi)
1 dl circa di acqua molto fredda
Per il ripieno:
6 mele Granny Smith
150 gr di zucchero
2 cucchiai di farina
30 gr di burro fuso (non di margarina eh)
1 cucchiaino da tè di cannella in polvere
Preparo il guscio di pasta tagliando a pezzetti la margarina ben fredda nella farina, aggiungo il sale e un po’ alla volta l’acqua, impasto velocemente con la punta delle dita, faccio una palla e la metto in frigorifero avvolta nella pellicola.
Intanto sbuccio e affetto le mele piuttosto sottili e le mescolo a farina, zucchero, burro fuso e cannella.
Riprendo la pasta, la divido in due e ne stendo metà col mattarello. La piego in quattro per non romperla mentre la sollevo e la trasferisco nella tortiera imburrata e infarinata.
Bucherello il fondo e la riempio con il composto di mele.
Stendo l’altra metà e copro la tortiera premendo bene i bordi per far aderire i due dischi di pasta, taglio l’eccedenza e decoro il bordo con i rebbi di una forchetta.
Questo gesto serve anche a sigillare il ripieno all’interno del guscio di pasta.
Pratico dei tagli simmetrici sulla superficie per far uscire il vapore durante la cottura, spennello con il latte e cospargo di zucchero.
Inforno a 180° per circa un’ora.

Se la Apple Pie viene servita a fette, tiepida, con una pallina di gelato alla vaniglia, come faccio io, negli Stati Uniti si chiama “à la mode”: un bizzarro francesismo americano per una torta di origine tedesca.

Stracotto all’Amarone della Valpolicella

Quello che in Piemonte chiamano Brasato e cucinano con il pregiato Barolo, a Verona lo chiamiamo Stracotto (pronunciandolo con una sola T) e lo anneghiamo in quella che è l’eccellenza dei nostri vini: l’Amarone della Valpolicella.
Lo stracotto è un piatto che non faccio più molto spesso.
Lo associo piuttosto agli anni in cui abbiamo vissuto sulle colline del Lago di Garda, a una sala da pranzo dalle travi a vista, con un grande camino, le tende pazientemente fatte all’uncinetto, una madia, una credenza con l’alzata, gli oggetti di rame, i piatti alle pareti, il lungo tavolo da osteria.
Un piatto insomma da condividere con amici un po’ chiassosi e dallo stomaco robusto, mangiato bevendo con consapevolezza e reverenza lo stesso Amarone con cui si cucina.
Un piatto invernale, saporito, pieno di aromi e di profumi, da mangiare con la polenta, le verdure cotte e il radicchio, meglio se fa freddo o fuori nevica.
Un piatto che starebbe bene anche in un racconto di Charles Dickens. Scommettiamo?

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Il giorno precedente si mette in una terrina capiente un pezzo di scamone di manzo di circa 1 chilo con 1 costa di sedano e 1 carota affettati, 1 cipolla tagliata in quarti steccata con 4 chiodi di garofano, 1 pezzetto di stecca di cannella, 1 spicchio d’aglio, 1 foglia di alloro e 4 bacche di ginepro. Si copre con 750 ml di Amarone (1 bottiglia) e si conserva in frigorifero per almeno 12 ore.
Il giorno successivo si sgocciola la carne, si infarina e si fa rosolare in olio e burro da tutti i lati. Si toglie dal tegame e si conserva al caldo.
Intanto si filtra la marinata, si eliminano l’alloro, la cannella, i chiodi di garofano e le bacche di ginepro, il resto si versa nel tegame in cui si è rosolato lo scamone. Si fa appassire, si aggiunge la carne, si sala, si pepa e si versa il liquido della marinata.
Appena alza il bollore si copre e si cucina a fuoco lento per circa 3 ore.
A cottura ultimata si toglie la carne e la si affetta.
Si passa al setaccio il sugo con le verdure, si rimette nel tegame con altri 40 gr di burro per ottenere una bella salsina densa e si rimettono le fette di carne nel tegame, al caldo, fino al momento di servire.

Alcuni chiamano il brasato, oltre che stracotto, anche stufato.
Credo che grosso modo si usino gli stessi ingredienti in tutte e tre le preparazioni ma cambi leggermente il procedimento di cottura.
Nel blog Fornellopazzo troverete notizie più dettagliate sulle denominazioni e i diversi metodi di cottura.

Timballo di anellini (o anelletti) al forno

Mi piacciono molto i formati di pasta un po’ insoliti.
Anche se alla fine per abitudine e per pigrizia cucino regolarmente penne, rigatoni, linguine e vermicelli, mi resta questa predilezione per anelletti, gramigna, castellane, mafaldine e ziti, per esempio.
Qualche anno fa mi ero messa in mente che dovevo assolutamente fare uno sformato di ziti lunghi molto scenografico e non trovando altrove la pasta, l’ho comprata in un Autogrill, che secondo me è l’esempio di emporio più fornito di irresistibile merce superflua e spesso introvabile che ci si possa immaginare.
Un’altra volta vi racconto come è finita poi col mio sformato di ziti, ma oggi volevo parlare degli anelletti e darvi un suggerimento per un delizioso ed ingannevole primo piatto che dà l’impressione di essere estremamente elaborato, ma è invece persino di recupero, un piatto di quelli che ho sentito alcuni di voi definire “svuota frigo”, però di aspetto e sapore così sontuoso che non sfigurerebbe nemmeno sul desco imbandito di ricchi e sfarzosi pranzi nelle Corti rinascimentali.

A me capita spessissimo di restare con appena una porzione, magari abbondantina, ma non sufficiente per due, mettiamo per esempio di ragù di carne, di sugo di piselli e di funghi trifolati. Fermiamoci qua con gli ingredienti di recupero per il momento perché adesso dobbiamo mettere insieme “il grande inganno”.

20140205-110707.jpgOltre a qualche cucchiaiata di ragù di carne, di sugo di piselli e di funghetti trifolati, a cui ho accennato prima, occorrono dunque 500 gr di famigerati anelletti, della pomarola (che credo tutti abbiamo in freezer o in dispensa), del formaggio grana grattugiato, 1 piccola scamorza (a cubetti), 2 luganeghe (tagliate a rotelline e saltate in padella con 1 noce di burro e sfumate con uno spruzzo di vino bianco), pangrattato e poco burro per ungere uno stampo da timballo.
Non si fa altro che lessare la pasta, ovviamente al dente, scolarla, condirla con la pomarola, 2 cucchiai di grana e 30 gr di burro e tenerne da parte circa 1/3.
Con i restanti 2/3 si “fodera” lo stampo imburrato e cosparso di pangrattato, facendolo aderire bene con l’aiuto di una spatola.
Il terzo di pasta tenuta da parte invece si condisce con tutti gli altri ingredienti: ragù di carne e di piselli, funghi trifolati, rotelline di luganega, cubetti di scamorza e qualche cucchiaiata di grana grattugiato.
Si mescola e si versa all’interno dello stampo, si compatta bene e si inforna a 220 gradi per una decina di minuti.
Si sforna. Si attende qualche minuto e si sforma su un piatto da portata.

È un piatto in cui ognuno può esprimersi al meglio seguendo il proprio istinto, la fantasia, il gusto personale e le sorprese che riserva il frigorifero.
Gli ingredienti che ho suggerito possono essere sostituiti quindi con quelli che vi piacciono di più, il risultato finale è comunque stupendo, ricco e goloso.

Ravioli di branzino

I ravioli con il pesce sono senza dubbio un primo piatto raffinato, per un’occasione importante diciamo, perché presentano alcune piccole difficoltà di esecuzione, che richiedono cura e pazienza.
Quindi bisogna essere motivati per affrontare questa prova… e San Valentino non è poi così lontano.
Io vi do la ricetta, poi pensateci voi.

20140130-170045.jpgImpasto 300 gr di farina con 3 uova e 1 pizzico di sale. Lavoro la pasta a lungo, la avvolgo nella pellicola, la faccio riposare per mezz’ora circa e mentre riposa preparo il ripieno.
I tempi coincidono perfettamente.
Faccio imbiondire 1 scalogno con 1 cucchiaio di olio, poi nel tegame aggiungo 200 gr di filetti di branzino (oppure di sogliola o di orata) privati della pelle e tagliati a pezzetti, li sfumo di vino bianco, salo, pepo e porto a cottura.
Li lascio raffreddare, poi li frullo con 100 gr di patate bollite, 100 gr di gamberetti sgusciati cotti al vapore, la buccia grattugiata di 1/2 limone e 1 cucchiaino di prezzemolo tritato.
Mescolo con cura, tiro la pasta molto sottile con la macchinetta (ma potete anche usare il mattarello se preferite) e col coppapasta ricavo dei dischi di 10 cm di diametro.
Al centro di ognuno metto un cucchiaino di ripieno, bagno il bordo, ripiego il disco su se stesso e presso i contorni con le dita. Per sicurezza li ripasso anche coi rebbi di una forchetta, così in cottura non si apriranno di sicuro.
Per la salsa, faccio aprire a fuoco vivace in un tegame (con 2 cucchiai di olio, 2 spicchi d’aglio e qualche gambo di prezzemolo) 1/2 kg di vongole prima lavate e fatte spurgare per qualche ora in acqua salata.
Quando sono tutte aperte le sguscio e le tengo da parte. Naturalmente scarto quelle ancora chiuse.
Filtro il liquido e lo lascio restringere.
In un tegame faccio imbiondire 2 spicchi d’aglio con 2 cucchiai di olio, aggiungo 1/2 tazzina di liquido delle vongole, elimino l’aglio e unisco le vongole e una dadolata di pomodori. Faccio scaldare il sugo, lo completo con pepe appena macinato e prezzemolo tritato. Non occorre salare.
Cuocio i ravioli. Quando vengono a galla li raccolgo col mestolo bucato, li impiatto e li condisco con il sugo di vongole.

Dato che si diceva che questo è un piatto per le occasioni “importanti”, vale la pena di completarlo con qualche goccia di olio al basilico, che lo rende perfetto e fa molta scena!

Arrosto farcito con le noci

Dopo la serie di arrosti farciti di cui abbiamo parlato verso Natale, credevate forse che avessi perso il tocco o esaurito le batterie? Naaaaaah!
Questa volta ho cucinato dell’arista di maiale con le noci.
L’effetto molto piacevole deriva dalla croccantezza della frutta secca, che ho messo nella salsa, in contrasto con la morbidezza della farcia.
I felici risultati che ottengo con i miei famosi arrosti ripieni, li devo unicamente alla mia fantasia (e anche all’esperienza in realtà), ma non ricevo nessun aiuto da parte dei miei familiari.
Quando infatti chiedo un suggerimento per ottenere il massimo della loro soddisfazione, la risposta è sempre: pensaci tu, che sono tutti squisiti.
Se da una parte è molto gratificante, dall’altra mi mette a volte in difficoltà. Però mi stimola a dare il meglio.
Insomma l’altro giorno ho fatto questo nuovo arrosto che è piaciuto molto.

20140202-163659.jpgHo acquistato i fondamentali e canonici 8-900 gr di lonza di maiale (che, come ci insegnano i Toscani, prenderà una volta cotta il nome di arista) e l’ho fatta aprire a libro come al solito. Se il macellaio le dà anche una battutina, la carne si assottiglia ed è più agevole poi arrotolarla.
Ho preparato una farcia riunendo in una ciotola 150 gr di luganega spellata e sgranata, 1 quarto di pollo allo spiedo disossato, privato della pelle e frullato (che ovviamente avevo in freezer), 100 gr di mortadella di Bologna, 150 gr di polpa di vitello macinata, 2 cucchiai di Parmigiano, 150 gr di Taleggio a cubetti, sale, pepe, 1 grattugiata di noce moscata e 1 cucchiaino di prezzemolo tritato.
Ho impastato con le mani questo composto, ne ho fatto un salsicciotto, l’ho posizionato sulla fetta di carne, l’ho arrotolata, legata con qualche giro di spago e messa a rosolare in un tegame con olio, burro, 1 rametto di rosmarino, 1 spicchio d’aglio, 1 foglia di alloro e 1 rametto di mirto (che mi porta dalla Sardegna la mia consuocera Luisa Anna e faccio seccare così mi dura tutto l’inverno) che con il maiale sta benissimo.
Ho sfumato con 1/2 bicchiere di Marsala, ho aggiunto 1 mestolo di brodo e ho portato lentamente a cottura.
Alla fine ho tolto l’arrosto dal tegame, l’ho liberato dallo spago e tenuto al caldo.
Ho filtrato il sugo, ho aggiunto 1 bicchierino di Cognac, 100 ml di panna e i gherigli di 10-12 noci tritati nel mortaio e l’ho fatto leggermente addensare.
Ho affettato l’arrosto e servito coperto di salsa.

La spiegazione è molto più lunga di quanto non sia la realizzazione della ricetta!
Gli ingredienti sembrano molti, ma ognuno serve ad esaltare le caratteristiche dell’altro e secondo me ci vogliono tutti.
Il Taleggio per esempio, oltre che sapore, dona anche una morbidezza che sostituisce la necessità di aggiungere la mollica ammollata nel latte o l’uovo, la mortadella di Bologna è molto saporita e contrasta la delicatezza del pollo e del vitello… e via di seguito.

Un panino Sloppy Joe. Why not?

Del ragù di casa nostra vi ho già parlato il 22 novembre.
Il ragù di carne è un cult di ogni famiglia Italiana, in alcune addirittura un must.
La ricetta è diversa da regione a regione, differenti sono le carni scelte, gli aromi da aggiungere per insaporirle, i tempi e i metodi di cottura. Ogni ragù ha un suo sapore e una sua storia.
Lontani tra loro, ma entrambi importanti e apprezzati, sono quello Bolognese e quello Napoletano, per esempio, ma sono solo i più noti.
Può sembrare strano, ma anche negli Stati Uniti cucinano piatti interessanti che assomigliano come consistenza ai nostri ragù.
Ebbene con la carne macinata, oltre ad hamburger favolosi come quello che vi ho suggerito il 6 gennaio, o “meat balls” per gli spaghetti (classico ricordo dell’infanzia di Joe Bastianich), se vi piace la cucina Americana potreste cimentarvi nella preparazione del Chili con carne: caldo, indimenticabile, piccante e saporito esempio di attentato gastronomico al palato, che secondo me crea dipendenza.
Oppure farvi un panino Sloppy Joe come questo.

20140129-175303.jpgNoi tutti in famiglia adoriamo gli Stati Uniti, ogni volta che ci torniamo impariamo qualcosa di nuovo, anche dal punto di vista gastronomico.
Dal suo ultimo viaggio in Florida nostra figlia mi ha portato il mix di spezie che serve alla preparazione dello Sloppy Joe Sandwich.
Se avete una voglia golosa di sapori caldi, pieni e intensi, eccovi la ricetta, leggermente “addomesticata” per riuscire a reperire anche qui da noi gli ingredienti necessari.

A Key West lo Sloppy Joe si prepara prima di tutto combinando insieme gli ingredienti per la salsa che caratterizza questo piatto.
Si miscelano quindi 100 ml di ketchup con 1/2 cucchiaino di peperoncino in polvere e 1/2 di paprica, 1 cucchiaino di senape forte e 1 di zucchero di canna, 1 cucchiaio di aceto di vino bianco e 1 pizzico di sale al sedano.
Si fanno rosolare senza grassi 200 gr di bacon a cubetti, 100 di polpa di maiale e 100 di polpa di manzo macinate con 1 piccola cipolla tritata e 1 spicchio d’aglio grattugiato.
Si abbassa la fiamma e si prosegue la cottura per una mezz’oretta a tegame coperto, mescolando di tanto in tanto.
A cottura ultimata si scolano i grassi e i succhi emessi dalle carni, si versano nel tegame 200 gr di formaggio Edamer tagliato a julienne e la salsa appena preparata.
Si mescola, si lascia fondere il formaggio e si fa restringere la salsa perfettamente.
Si divide questo ghiotto “ragù all’Americana” in 4 (o 2, dipende da voi!) panini da hamburger tagliati e fatti scaldare sulla piastra, così la parte a contatto con questa preparazione incredibilmente golosa risulterà leggermente abbrustolita e non si inzupperà di sugo.
Per accompagnare lo Sloppy Joe, non possono mancare le patate fritte.

Believe it or not, è un panino pazzesco: squisito, ricco di sapori caldi e molto intensi, giusto per i giorni di pioggia o di nebbia come questi qui da noi, nei quali sento acuta la nostalgia del sole della Florida, dei suoi profumi inconfondibili, dei suoi panorami caraibici, del suo cibo “jerk” dalle irresistibili contaminazioni Cubane e Giamaicane.
E chi mi ama, mi segua!

Ancora a proposito di gnocchi di patate

Ma non si dice che l’Epifania tutte le feste si porta via?
E teoricamente si porta via anche l’attitudine e l’abitudine ai pasti pantagruelici del mese di dicembre.
Fosse vero! Invece non c’è mai pace. Pensateci.
Finite le Feste per antonomasia infatti, praticamente comincia il Carnevale e da noi a Verona (per non parlare delle frittelle) c’è la consuetudine di preparare più volte in questo periodo gli gnocchi di patate, che amiamo così tanto da averne fatto il tradizionale emblema della sfilata dei carri allegorici dell’ultimo venerdì prima delle Ceneri.
Vi rimando al mio post del 24 agosto nel quale ho parlato profusamente degli gnocchi di patate, se avete voglia sia di conoscere le varianti dei sughi più popolari a Verona, sia di approfondire la tradizione del nostro “Venerdì gnocolar”.
In quell’occasione, oltre a suggerire un intrigante condimento dal sapore “estivo”, ho accennato a degli gnocchi di patate conditi in modo particolare.
Sono una memoria lontana di certi pranzi in famiglia a Garda, a casa di mia nonna Emma, la nonna paterna, ai quali accenno anche nel capitolo “Pelle d’oca e zampe di gallina” del mio ormai conosciutissimo libro di ricordi, ricette e viaggi “I tempi andati e i tempi di cottura (con qualche divagazione)” che potete acquistare anche su Amazon.
Sempre che siate interessati.

20140127-000748.jpgLa ricetta è presto detta.
Per 1 chilo di patate occorrono circa 300 gr di farina, 1 pizzico di sale e metteteci pure 1 uovo, se siete abituati così.
Amalgamate, formate i cordoni, tagliate gli gnocchi e passateli sul retro della grattugia, così avranno proprio la forma di quelli di mia nonna.
Tuffateli nell’acqua salata in ebollizione e raccoglieteli con il mestolo forato a mano a mano che vengono a galla.
Divideteli nei piatti, conditeli subito con abbondantissimo burro nocciola e spolverizzateli con una miscela preparata con moltissimo Parmigiano grattugiato, una generosissima quantità di cannella macinata e pochissimo zucchero semolato.
Tutto qua.

A me una volta tanto piace mangiarli di nuovo conditi così.
Potrebbe perfino essere un piatto di sapore vagamente Siciliano, di derivazione Araba, no?
Invece è originario della Bassa Veronese, dove si è sempre coltivata e lavorata la barbabietola e dove lo zucchero si reperiva abbastanza agevolmente anche nei periodi di difficoltà e ristrettezze.
Magari alla borsa nera, chissà?!
Comunque, se non avete ricordi alimentari (non si può definirli gastronomici quelli del dopoguerra!) da rinverdire o se non amate una punta di dolce nei piatti tradizionali, lasciate perdere. Per mangiare i miei gnocchi aspettate magari di sentire la ricetta con gamberi e pomodorini come li fanno a Jesolo!
Appena li rifaccio ne parliamo, promesso.

“Cotolette” di salmone

Oltre alle polpette, adoro qualsiasi cibo infarinato, impanato o pastellato e poi fritto: carni, pesci, pasta, uova, verdure, frutta, dolci. Insomma se escludiamo il brodo, credo di aver fritto veramente qualunque cosa.
Be’ il gelato non è che mi sia venuto benissimo quella volta e nemmeno i cestini di spaghetti, ma continuando a sperimentare si cresce. Anche di peso… ahimè.
Di fritto praticamente mi nutrirei tutto l’anno ma per fortuna l’Angelo Custode del fegato mi tiene d’occhio e arriva perfino a farmi qualche proposta alternativa che trovo soddisfacente. Quasi.
Ho provato questa nuova tecnica del “fritto in forno”, per esempio, già con i galani (le chiacchiere, i crostoli, i cenci, le frappe, le bugie: come li chiamate voi?) un paio di anni fa, ma non è che sia tutta ‘sta meraviglia.
Invece vengono proprio bene i filetti di pesce: asciutti e fragranti.
Magari fate una prova con il vostro pesce preferito, poi decidete se cambiare la vostra filosofia di vita riguardo alla frittura oppure no.
Di recente ho cotto al forno dei filetti di salmone che, grazie alla panatura saporita, erano proprio golosi.

20140130-172732.jpgLa ricetta è semplicissima e molto gustosa.
Si frullano alcune fette di pancarrè, a cui si è tolta la crosta, con le foglioline di un rametto di timo, 1/2 peperoncino senza i semi, affettato, un po’ di buccia d’arancia grattugiata, sale e pepe.
Con questo composto “sabbioso” si impanano dei filetti di salmone, senza lische e senza pelle, prima passati nell’albume leggermente battuto.
La panatura deve essere bella consistente e restare perfettamente attaccata al pesce.
I filetti si adagiano in una teglia e si infornano a 200 gradi. Dopo 8-10 minuti si rigirano con una spatola senza che la panatura si stacchi e dopo altri 5, si accende il grill per 30 secondi.
Si servono con un’insalatina fresca e volendo una cucchiaiata di salsa tartara.

Lo so, il fritto è un’altra cosa. Non venite a dirlo a me!
Questa ricetta infatti non vuole essere un surrogato, ma un’alternativa e tutto sommato anche piuttosto ben riuscita.