Mele fritte in pastella perché è già Carnevale

Lo so che credevate di essere al sicuro, che in molti state postando ricette depurative, che rimettono in forma, che cercano di rimediare a quello che tra dicembre e gennaio abbiamo pensato, cucinato e poi mangiato.
Ma vi siete dimenticati che siamo a Carnevale?! E le ricette di galani (ossia cenci, frappe, chiacchiere, bugie), fritole (frittelle di mele, di riso, di semolino, con le uvette o le noci) e favette (o castagnole, zeppole, tortelli) dove sono?
Sarò la prima allora a postare le classiche, semplici, squisite Mele fritte in pastella.

20150124-014930.jpgSi sbucciano 2 mele Golden Delicious, si toglie il torsolo e si affettano ad anelli.
Si spruzzano di rum e si lasciano in immersione finché si prepara la pastella con 150 gr di farina, 1 uovo, 50 gr di zucchero, 1 cucchiaino di lievito in polvere per dolci, l’immancabile pizzico di sale e tanto latte quanto ne occorre per ottenere una pastella fluida ma abbastanza densa da non scivolare sulla superficie delle fette di mela.
Insomma ci vuole un po’ di pratica, ma si impara presto a friggere in pastella, che secondo me è il modo più goloso per gustare i fritti.
Si sgocciolano le mele dal rum, si immergono dunque nella pastella, non più di 2-3 per volta e si friggono in olio abbondante di arachidi rigirandole con il ragno finché non diventano dorate.
Si scolano sulla carta da cucina e a me piace spolverizzarle di semplice zucchero semolato, che scricchiola un po’ sotto e denti e crea un piacevole contrasto con la morbidezza della mela, ma di può usare anche lo zucchero a velo.

Allora: con queste frittelle do ufficialmente il via al Carnevale!

Un dessert a base di riso e arance

A volte bastano veramente pochi dettagli per fare di un semplice dolcetto, di quelli adatti alla merenda per intenderci, un vero dessert.
Prendiamo per esempio la torta di riso, quella semplice, classica che si fa cuocendo 200 gr di riso in 750 ml di latte intero in ebollizione con 120 gr di zucchero e 1 pizzico di sale.
Facciamo un rapido ripasso della sua preparazione.
Quando tutto il latte è stato assorbito si aggiungono la buccia grattugiata di 1 limone e 1 bicchierino di rum.
Una volta che il composto si è raffreddato si incorporano uno alla volta 3 tuorli e poi a cucchiaiate i 3 albumi montati a neve, si versa in una tortiera imburrata e si inforna a 180 gradi per i soliti 45-50 minuti.
Questo per quanto riguarda la torta di riso, che credo più o meno facciate tutti così, ma come dicevo con pochi tocchi avviene un’interessante trasformazione.

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Prima di tutto si utilizza uno stampo rettangolare e non la classica tortiera tonda, perché impiattare i quadrotti è più elegante che servire le fette triangolari e poi si decora con una salsa di frutta.
Stavo per usare la gelatina di rose (post di giovedì 15 gennaio) ma invece ho preferito una specie di marmellata di arance, più di stagione.
Ci sono diversi modi per preparare la marmellata, questa secondo me è molto adatta ad essere utilizzata nella preparazione dei dolci per via delle scorzette e delle noci che la rendono particolare.
La mia salsa all’arancia dunque, non è che una marmellata di arance con qualche piccola aggiunta golosa, molto semplice da preparare, ma deliziosa.

Si lavano con molta cura 5 arance non trattate, si sbucciano e di 2 si conserva la scorza, che si taglia a filetti e si sbollenta per 2-3 minuti.
Si eliminano tutte le pellicine bianche dalle arance e si affettano togliendo eventuali semi.
Si pesano e si versano in una casseruola con lo stesso peso di zucchero e 1 bicchierino di Cointreau. Si portano a ebollizione, mescolando spesso e schiumando.
Si fanno cuocere per circa mezz’ora e quando lo zucchero assume la consistenza del miele e comincia a velare il mestolo, si aggiungono i filetti di scorza d’arancia preparati in precedenza e 80 gr di noci spezzettate.
Si cuoce ancora per qualche minuto sempre mescolando e poi si versa il composto bollente nei vasetti che vanno subito chiusi ermeticamente.

Qualche cucchiaiata di questa marmellata su una semplice torta di riso, come dicevo, la trasforma in un lampo in un elegante dessert, ma è fantastica anche per una crostata al cacao per esempio.

La gelatina di rose

Ci sono piatti, come la cacciagione, che devono essere accompagnati da salse e gelatine che ne mitighino il sapore troppo intenso.
Io non cucino la cacciagione, ma elaboro alcune ricette utilizzando il pollame da cortile rendendolo così saporito con erbe aromatiche e spezie che vicino ci sta proprio bene per esempio una gelatina di rose.
Naturalmente questa non è più la stagione per prepararla, ma piuttosto per toglierla dalla dispensa e metterla in tavola, però consiglio di segnare la ricetta e tenerla in evidenza per il prossimo mese di maggio, o di giugno.

20141123-021330.jpgCon questa ricetta nel 1984 ho vinto un Concorso indetto da un Mensile femminile e sono stata premiata sia con la sua pubblicazione che con un set di tovagliette all’americana.
Una bella soddisfazione, eh.
A quell’epoca ho potuto utilizzare i petali di profumatissime rose rosse Papa Meilland, che mio marito coltivava nella parte del giardino posteriore dedicata all’orto e alle piante da fiore destinate ad essere recise per ornare i vasi della casa.
Occorre infatti che i petali di rosa (del vostro giardino o al limite di quello dei vicini per maggior sicurezza) siano assolutamente non trattati con prodotti chimici e preferibilmente di un bel colore rosso intenso.
La preparazione è semplice e divertente.

Peso 250 gr di petali di rosa, li lavo accuratamente e li tampono con uno strofinaccio (ma si può dare anche qualche giro di centrifuga per l’insalata).
Elimino pazientemente la parte bianca dell’attaccatura, li trito grossolanamente con la mezzaluna e li metto in un contenitore a chiusura ermetica. Li copro con 200 gr di zucchero e li tengo in frigorifero 24 ore.
Il giorno dopo in un tegame metto 250 ml d’acqua, altri 200 gr di zucchero, il succo di 1 limone, 1 mela lavata, privata del torsolo ma non sbucciata e tagliata a fettine sottili e il composto di petali. Porto a bollore e cuocio a fuoco molto dolce per 20-25 minuti.
Passato questo tempo lascio intiepidire, frullo pochissimo, schiumo e rimetto sul fuoco finché il composto raggiunge la densità del miele.
Invaso a caldo, sterilizzo e aspetto almeno un mesetto prima di utilizzare questa insolita e deliziosa gelatina.

Un esempio di un piatto di carne a cui accompagno la gelatina di rose? Le cosce di tacchino in salsa aromatica, quelle cucinate con panna e grappa oltre a alloro, scalogno, aglio, rosmarino, salvia, timo, bacche di ginepro, chiodi di garofano, stecca di cannella, pepe in grani, eccetera della ricetta di giovedì 8 gennaio.

Il budino di semolino quasi come quello dell’Artusi

Mia cognata fa a Natale un budino di semolino che io trovo squisito e che secondo me è straordinario mangiato tiepido.
Come afferma mio cognato, si tratta della storica ricetta che si trova ne “La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi e questo è il risultato di quest’anno.

20141228-012600.jpgBasandomi soprattutto sulle mie intuizioni e sulla scarna descrizione della ricetta in mio possesso, suggerisco a chi volesse cimentarsi nella preparazione di questo storico dolce di procedere come segue.

Si fanno ammorbidire in acqua tiepida 50 gr di uvette.
Nel frattempo si portano a ebollizione 750 ml di latte con 1 pizzico di sale, 30 gr di burro e 75 gr di zucchero.
Si versano a pioggia 150 gr di semolino e continuando a mescolare si cuoce finché il composto non comincia ad addensarsi. Ci vorranno circa 10 minuti.
Si lascia raffreddare quasi completamente e si incorporano 4 tuorli, uno alla volta.
Si aggiungono le uvette scolate e asciugate, circa 50 gr di frutta candita mista a cubetti, la buccia grattugiata di 1 limone, 1 bicchierino di rum e da ultimi, delicatamente, i 4 albumi montati a neve.
Si versa il composto in uno stampo a ciambella imburrato e spolverizzato di pangrattato molto fine e si inforna a 180 gradi per circa 40 minuti.

L’Artusi secondo me avrebbe obiettato sull’aggiunta dei canditi, ma io li ho sempre trovati perfetti in questo dolce.

La notte di Santa Lucia

Domani è Santa Lucia. È lei che porta i doni ai bambini Veronesi.
Santa Lucia, il suo asinello e l’aiutante Gastaldo avranno una notte impegnativa per poter riuscire a consegnare a tutti i bambini che hanno scritto per tempo una letterina, i doni che hanno chiesto.
Prima di andare a dormire quindi stasera le mamme Veronesi, aiutate dai loro bambini, lasceranno sul tavolo della cucina o sul davanzale della finestra: latte, biscotti, una carota oppure un pugno di sale, così potranno rifocillarsi e riposare un po’.
Domattina al loro posto ci saranno i doni (quelli in kit perfino già montati…) e i dolci tradizionali che il Gastaldo acquista ai “bancheti de la Bra”, le immancabili bancarelle che per tre giorni riempiono la Piazza Bra, per comporre il classico “piatto”.
In un “piatto” come si deve non possono mancare: mandorlato, frolline, torrone, cioccolatini e caramelle, mandorle zuccherate, croccante, datteri, fichi secchi, noci e mandarini.
Naturalmente le moderne composizioni possono variare, ma sono certa che nessuno mi smentirà se affermo che i fondamentali della base classica non possono che essere quelli che ho elencato.
Dalla notte dei tempi nel nostro “piatto” deve esserci soprattutto il croccante!

20141127-013037.jpgLa ricetta è facilissima, perfino banale e chi non può contare su Santa Lucia riuscirà a preparare da solo un eccezionale croccante alla vecchia maniera.

Si versano 300 gr di zucchero in una casseruola con il succo di 1 limone.
Si fa sciogliere a fuoco dolcissimo mescolando di tanto in tanto con una spatola di legno e quando è diventato di un bel colore ambrato, si aggiungono 300 gr di mandorle.
Si amalgamano bene e si prosegue la cottura mescolando continuamente.
Dapprincipio lo zucchero diventerà ancora bianco e granuloso, ma in breve si scioglierà di nuovo e tornerà a caramellarsi.
A questo punto si versa il composto su una teglia bassa coperta da carta forno oppure direttamente sulla tavola di marmo leggermente unta, come si faceva ai miei tempi!
Per livellare la superficie del croccante si strofina con 1/2 limone e finché è ancora caldo si taglia a quadrati o a rombi.
Si conserva bene in una scatola di latta.

Siccome c’è una filastrocca in vernacolo che recita: “Santa Lùssia vien de note, co le scarpe tute rote…”, quando ero bambina mettevo accanto al latte, i biscotti, il sale e la carota, anche le pantofole di mia mamma, così Santa Lucia poteva togliersi per un po’ le scarpe, che essendo tutte rotte, le dovevano fare male ai piedi.
Sono sempre stata una bambina esageratamente sensibile…

Sono arrivate le renne: allora è quasi Natale

Nel periodo Natalizio è consuetudine preparare dolcetti e biscotti che possono essere mangiati a colazione, offerti con il tè, oppure appesi all’albero con un nastrino rosso.
Dato che sono una collezionista di larghissime vedute, ho un’infinità di stampini taglia-biscotti che nel corso degli anni ho comprato un po’ dappertutto e li ho utilizzati in mille modi.
I più belli credo siano quelli che abbiamo acquistato a Monaco di Baviera: degli animaletti molto accurati, mentre da un antiquario di Saint Moritz ho trovato una scatola di latta che ne contiene una dozzina di misure diverse, tutti tondi coi bordi sagomati, che non ho mai avuto il coraggio di usare.
Un Natale ho fatto i segnaposto di pasta brisè a motivi Natalizi, uno diverso dall’altro e un Calendario dell’Avvento con 25 formine differenti.
Quest’anno invece è toccato a una mandria di renne (che forse però sono alci) allietare la “pausa caffè” di chi prepara l’albero e gli addobbi, decora le porte, appende i biglietti d’auguri degli anni scorsi e fa tutte quelle cose insomma che a Natale sono irrinunciabili e liete.

20141203-000255.jpgIn una ciotola si versano 400 gr di farina 00 setacciata, si aggiungono 125 gr di zucchero semolato, 1/2 cucchiaino di lievito in polvere e 1 pizzico di sale.
Si miscela, si fa la fontana e al centro si sgusciano 2 uova intere e si tagliuzzano 150 gr di burro molto freddo.
Si impasta velocemente prima con una forchetta e poi con le mani e si divide il composto in due metà.
Con una si fa una palla e si mette a riposare in frigorifero avvolta nella pellicola.
All’altra metà si amalgamano 1 cucchiaino di cannella, 1/2 cucchiaino di zenzero in polvere e una grattata di noce moscata.
Si ripone anche questo impasto in frigorifero per una mezz’ora, trascorsa la quale si stendono separatamente i due composto con il mattarello e si ritagliano con lo stampino a forma di renna due serie di biscotti.
Si infornano a 180 gradi per 10-12 minuti controllando che non scuriscano.
A cottura ultimata si sfornano e si fanno raffreddare su una griglia. Si spolverizzano di zucchero e di zucchero misto a cannella.

Se non vi piacciono le renne, naturalmente potete utilizzare qualsiasi altra forma di taglia-biscotti abbiate in casa.
L’impasto non è proprio quello del ginger bread, ma i biscotti sono aromatici e molto festosi e chi non ama le spezie, si può servire di quelli di semplice pastafrolla.

Il castagnaccio perfetto

L’anno scorso me l’ero scordato, ma quest’anno S.Martino (Castagne e Vino) è stato festeggiato ieri in casa Avanzi con quel dolce povero, delizioso, campagnolo, antiquato, dal gusto particolare che è il castagnaccio.
È uno dei rari dolci della mia infanzia, insieme alla torta di mele, la crema fritta e un semifreddo coi savoiardi imbevuti di Alkermes che faceva mia nonna.
Quand’ero piccola non mi piaceva mica tanto: dalla fetta che mi veniva offerta, con un ditino scavavo le uvette e toglievo tutti i pinoli dalla superficie (perché quelli restano in superficie, mentre le uvette vanno a fondo), mangiavo solo quelli e lasciavo quella specie di gruviera che restava, miseramente abbandonata nel piatto.
Adesso invece mi piace molto di più. È diventato un alimento “dal gusto acquisito”, come direbbero i popoli Anglosassoni, uno di quei piatti cioè che continuando a consumare, anche se all’inizio ci sembravano addirittura sgradevoli, finisce che li gustiamo con un certo piacere.
La ricetta del mio castagnaccio, “bole” in vernacolo Veronese, l’ho postata anche l’anno passato, ma mi fa piacere darle una rinfrescatina, perché è un dolce tradizionale che io riesco a fare particolarmente morbido e cremoso e che magari qualcuno ancora non ha provato o non conosce.

20141107-000155.jpgIl segreto del mio “castagnaccio perfetto” è tutto nella quantità di liquido con il quale si stemperano 500 gr di farina di castagne, 1 cucchiaino raso di sale e 100 gr di zucchero.
Ci vogliono infatti 750 ml di latte e 750 ml di acqua che si aggiungono poco alla volta agli altri ingredienti mescolando con una spatola, senza fare grumi.
Sul fondo di una teglia rettangolare o una pirofila, si distribuiscono 4 cucchiaiate di olio e si versa il composto, decisamente liquido, appena preparato.
Si aggiungono 100 gr di uvette ammollate in acqua tiepida e 50 gr di pinoli distribuendoli su tutta la preparazione e si inforna a 180 gradi per un’ora circa. Fondamentale è che sulla superficie si formino della crepe (che si vedono bene anche nella fotografia) che significano che la cottura è perfetta.
Il castagnaccio va mangiato a temperatura ambiente e consumato rapidamente data la presenza del latte.
A casa nostra non dura mai tanto a lungo da pregiudicarne la freschezza…

In ogni regione dove tradizionalmente si prepara il castagnaccio, le ricette variano. In Toscana per esempio l’ho mangiato squisito con l’aggiunta di aghi di rosmarino, ma qualunque sia la ricetta, secondo me per essere perfetto deve essere morbido e cremoso.
Assolutamente mai asciutto e compatto.

Corn dogs

20141022-005546.jpgUno dei Parchi Nazionali che abbiamo visitato negli Stati Uniti è stato il Parco delle Sequoia: un’immensa foresta che si estende sulle pendici della Sierra Nevada.
Ad essere fortunati, all’interno del Parco ci si imbatte in caprioli, orsetti lavatori e volpi. Raramente in linci e puma, sempre se si è fortunati… altrimenti è meglio mettersi a correre!
Ho avuto lì il mio primo incontro con un ranger, altissimo e allampanato come gli alberi che sorvegliava, con in testa tanto di regolamentare “cappello da Sergente” esattamente come quello del Ranger Smith di Yoghi e Bubu o del Ranger Woodlore, quello dell’Orso Onofrio.
Il nostro ci ha indicato come arrivare al General Sherman Tree, un albero alto più di 80 metri, che vanta la venerabile e incredibile età di 2600 anni e ci ha dato anche un utile e goloso suggerimento per il pranzo.
Abbiamo mangiato per la prima volta corn dogs e chili dogs in una vera capanna di tronchi con vista sui boschi e i picchi montuosi.
I Corn dogs sono un peccato di gola, un attentato alla dieta, una bizzarria alimentare insomma alla quale noi Italiani non siamo abituati, ma una volta nella vita secondo me si devono provare, entro certi limiti, anche le eccentricità culinarie.

20141022-010238.jpgQuesti sono ingredienti e dosi per preparare 8 corn dogs:
1 tazza di farina 00
1/2 tazza di farina di mais “fioretto”
1 cucchiaio di zucchero
1 bustina di lievito in polvere per torte salate
1/2 cucchiaino di sale
2 cucchiai di olio di oliva
1 uovo
1/2 tazza di latte
8 würstel tipo Frankfurter
8 lunghi spiedini di legno
olio per friggere
Si spennella con poco olio ogni würstel e si infila in uno spiedino di legno nel senso della lunghezza. Si passa nella farina e si fa aderire bene.
Si miscelano le farine con lo zucchero, il lievito in polvere per torte salate e il sale, si aggiunge l’olio d’oliva e si mescola: risulterà un composto granuloso che andrà diluito con l’uovo leggermente sbattuto e il latte.
Si mescola ancora delicatamente controllando che la pastella non sia troppo liquida.
Si immergono i würstel uno alla volta, facendola aderire bene alla superficie infarinata.
Si fa scaldare l’olio e si friggono finché non sono belli dorati.
Si servono con le classiche salse da hot dog: senape, maionese, ketchup e si completano con insalata di cavoli, crocchette di patate, pannocchie bollite e panini al latte.

Believe it or not, sono deliziosi… ma non chiedetemi se si digeriscono facilmente!
Se volete assaggiarli, senza arrivare fino al Parco delle Sequoia, li potete mangiare anche a Disneyworld nel settore Frontierland, oppure passare da me.
Come vi è più comodo.

Gelatine ai frutti di bosco

Le gelatine di frutta sono dolcetti deliziosi da offrire dopo cena con caffè e liquori su un vassoietto o un’alzatina insieme a tartufini al cioccolato, piccole castagnole al rum, scorzette di arancia candite. Per esempio.
Sono veramente semplicissime da preparare e sono anche un’idea molto carina per un regalo di Natale non impegnativo ma sentito, come tutti quelli che si preparano con le nostre mani: mancano solo due mesi a Natale, ci pensate?!
Questa volta le ho fatte ai frutti di bosco perché avevo da utilizzare questi due tipi di confettura, mirtilli e lamponi, ma si possono scegliere molti altri gusti, a seconda delle proprie preferenze: ciliegie, pesche, fragole, albicocche, arancia e così via.

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Si frullano e poi si setacciano 350 gr di confettura e si ottiene un composto dalla consistenza liscia e uniforme.
In una casseruola si riuniscono 100 gr di zucchero, 150 ml d’acqua, il succo di 1 limone e si aggiungono 30 gr di maizena stemperandola con una frusta.
Si cuoce a fiamma dolce finché lo sciroppo appare vellutato, si unisce ora la confettura e si mescola senza interruzione fino a che non si alza il bollore.
Dopo un minuto si toglie dal fuoco e si aggiungono 30 gr di fogli di gelatina ammollati e strizzati mescolando bene fino al loro completo scioglimento.
Si fodera con la carta forno ritagliata perfettamente a misura uno stampo rettangolare piuttosto basso e vi si trasferisce il composto livellandolo con una spatola. L’ideale è ottenere un’altezza di 1,5 cm.
Si lascia rassodare all’aria per almeno 12 ore e quando il composto diventerà della consistenza ottimale si potrà ritagliarlo con un coltello affilatissimo oppure con gli stampini sagomati.
Con queste dosi ne dovrebbero venire una ventina di pezzi.
Si lasciano asciugare ancora qualche ora, poi si passano nello zucchero semolato facendolo aderire bene.

Le gelatine si conservano bene nelle scatole di latta foderate di carta forno, lontano dall’aria.

Gateau Quatre Quarts

La Torta Quattro Quarti (Gateau Quatre Quarts) è un delizioso dolce bretone, soffice e umido, reso incredibile dal burro salato caratteristico di quella Regione e della confinante Normandia.
Non sono molti, che io ricordi dopo l’unico viaggio fatto nel Nord della Francia, i dolci tipici di quelle parti che non siano a base di mele e aromatizzati col Calvados: questo è diverso, squisito, anche nella versione con le prugne.
Non è elegante come i macarons o gli zouzous, né noto come le crêpes, ma ha questa seducente aria un po’ retrò, che fa pensare al salotto buono, al vino dolce, al tè, ai piattini da dessert filettati d’oro zecchino.
In Bretagna, terra di leggende dove si dice sia nato anche il Mago Merlino, la torta Quattro Quarti rappresenta il perfetto equilibrio tra il mare e la terra: le spiagge e le scogliere, le distese di prati e le città medievali.
È fatta di soli quattro ingredienti perfettamente equilibrati come la natura autentica e la storia antica di questo luogo incantevole e incantato.
Il segreto di questo dolce sta dunque nella perfezione delle proporzioni dei suoi soli quattro ingredienti.

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Prima di tutto si pesano per esempio 4 uova, col guscio. Diciamo che sono circa 250 gr, bene, il loro peso sarà l’unità di misura per gli altri tre ingredienti principali.
Con le fruste elettriche si montano i tuorli con 250 gr di zucchero, quando risultano chiari e spumosi si aggiungono 250 gr di burro sciolto a bagnomaria ormai bello freddo e un po’ per volta 250 gr di farina setacciata con 1/2 bustina di lievito in polvere per dolci.
Si montano quindi a neve i 4 albumi con 1 pizzico di sale e si incorporano delicatamente al composto. Sapete come fare, no? Prima si unisce solo una cucchiaiata di albumi, si mescola con la spatola e poi si aggiunge il resto con delicatezza per non farlo smontare.
Si versa tutto in uno stampo rettangolare ben imburrato, si livella con la spatola e si inforna a 220 gradi per i primi 10 minuti, poi si abbassa a 200 per altri 10 e negli ultimi 25 minuti si porta a 170 gradi.
Così dovrebbe essere perfetto. È importante non cuocere troppo il dolce che deve rimanere molto morbido e piuttosto umido.

Come le crostate, è senz’altro una torta adatta soprattutto a merende e colazioni, ma se volete renderla più sofisticata e servirla come dessert dopo cena, versate nello stampo solo metà del composto, accomodate sopra 250 gr di prugne secche denocciolate e fatte rinvenire per una notte in un piatto coperte a filo con il vostro liquore preferito (qui ci vorrebbe proprio il Calvados) e copritele con la rimanente metà di composto.
I tempi di cottura sono gli stessi e in genere la sorpresa all’interno del dolce è molto gradita.
Personalmente comunque preferisco la più semplice versione originale.