Quando si dice “mangiare in bianco”…

Se i preparativi per Natale (e oltre a cucinare montagne di cibo, intendo anche gli ultimi giri in centro per l’acquisto dei regali, la tovaglia grande ancora da stirare, l’argenteria da lucidare, il servizio di cristallo da spolverare per bene, le decorazioni floreali ancora da decidere…) assorbono gran parte del vostro tempo e vi creano anche un leggero stato d’ansia, in questo periodo un po’ frenetico conviene scegliere di nutrirsi in modo semplice e delicato.
Per bypassare lo scontatissimo panino al prosciutto, veloce soluzione per i momenti a volte convulsi di questo festoso periodo, suggerisco di dedicare qualche minuto alla realizzazione di una torta salata leggera, salutare, insolita e a mio avviso molto ghiotta.

20141204-102559.jpgSi copre di carta forno leggermente unta di burro una tortiera e si stende con il mattarello una pasta brisè che io faccio con 200 gr di farina, 80-100 gr di burro freddo tagliato a pezzettini, 1/2 cucchiaino di sale e circa 75 ml di acqua gelata (oppure se proprio non avete tempo si può usare quella pronta che si trova al supermercato).
Si fodera la tortiera e si bucherella il fondo con i rebbi della forchetta.
Se la tenete in freezer per 15-20 minuti, potete procedere alla cottura “cieca” in forno senza riempirla di fagioli secchi. Vedrete che non si gonfia.
Si inforna a 180 gradi finché non risulta dorata.
Nel frattempo si divide a cimette un bel cavolfiore e si lessa in acqua bollente salata per una decina di minuti. Si scola e si fa asciugare.
Si lava, si priva del torsolo, si sbuccia e si taglia a dadini una mela Golden Delicious.
Si riducono a cubetti circa 300 gr di formaggio Brie.
Con questi tre ingredienti si riempie il guscio di pasta brisè, si aggiusta di sale e pepe e si inforna sotto il grill solo il tempo necessario a far fondere il formaggio.

Si gusta tiepida e a noi, che pure non siamo dei grandi fans delle torte salate, questa soluzione “in bianco” è piaciuta molto.

Un’insalata creola per sostituire il sorbetto

Come raccontavo nel post del 12 dicembre dell’anno scorso (Macché sorbetto!) ormai non servo quasi più il sorbetto a metà delle portate nei pranzi veramente importanti come saranno di sicuro almeno uno o due di quelli previsti nei prossimi giorni.
L’ho sostituito con un’insalata divertente, fresca e colorata che mi sono accorta essere anche più gradita.
Gli anni scorsi è stata la volta della Waldorf, della classica arance, cipolla e finocchi e anche di un fantasioso insieme di frutta e ortaggi molto colorato.
E questa è anche l’idea per il pranzo di Natale di quest’anno.

20141221-100715.jpgSpinacini, noci spezzettate, mirtilli, fragole e fettine di pera: questa è la base dell’insalata, ma il tocco magico è nel condimento.
Si tratta di un’emulsione profumatissima che si ottiene battendo con una frusta in una piccola brocca qualche cucchiaiata d’olio, una spruzzata di succo di lime, il succo di 1 arancia, sale, pepe creolo e i semini di 1 o 2 frutti della passione.
Posso garantire che questo condimento dà all’insalata un sapore incredibile: insolito e molto festoso, proprio adatto a completare i pranzi importanti dei prossimi giorni.

Sformatini di zucca

A Natale ho sempre fatto tre arrosti distinti, perfino differenti ogni anno.
Tutti e tre sono diversamente farciti a seconda del tipo di carne. Utilizzo infatti fesa di tacchino, spinacino oppure noce di vitello e arista di maiale.
La mia mamma voleva sempre sapere in anticipo che farce avrei scelto perché le sue amiche morivano di curiosità e a lei piaceva molto anticipare qualcosa del mio menù per poi completare la descrizione il giorno di Santo Stefano, quando si riunivano per giocare a carte come avevano sempre fatto fin da quando c’erano ancora i mariti.
Ormai erano tutte e sei vedove ma hanno continuato a ritrovarsi la domenica per le loro partite anche quando il gruppo si è a mano a mano assottigliato.
Adesso sono rimaste in due e non so come si regolino. Comunque ne ho incontrata una l’anno scorso a dicembre e dopo due parole di rammarico per aver perso tante amiche mi ha chiesto: “E quest’anno cosa fa per Natale?” Mi sono inventata qualcosa lì per lì, non potevo mica deluderla, no?!
Se la rivedo anche quest’anno le dico di questi sformatini di zucca, che entreranno di diritto fra i contorni degli arrosti, coi popover alle mele e i funghetti gratinati.

20141121-011527.jpgSbuccio 1,500 kg di zucca, la libero dei semi e dei filamenti, la taglio a fette e la inforno per 40 – 50 minuti a 180°: deve risultare tenera e asciutta. Poi la frullo nel mixer con 50 gr di amaretti, 150 gr di grana padano grattugiato, 150 gr di mostarda Mantovana, la scorza grattugiata di mezzo limone, 1 uovo, sale, pepe e noce moscata.
Ungo con il burro degli stampini di plexiglass o di ceramica, ma vanno benissimo anche quelli usa e getta di alluminio, li riempio fino a 3/4 con il mio composto e inforno per 15 minuti a 160°.
Li lascio leggermente intiepidire e li sformo aiutandomi con la lama di un coltello.
Come dicevo, li servo con gli arrosti, ma probabilmente a voi verranno in mente anche altre golose soluzioni.

L’avete riconosciuto? Si tratta in pratica del ripieno dei Tortelli alla Mantovana trasformato in un insolito contorno.
Vedrete, i vostri ospiti ne andranno pazzi e anche una delle due uniche amiche superstiti della compagnia della mia mamma, se le faccio una telefonata…

Sono arrivate le renne: allora è quasi Natale

Nel periodo Natalizio è consuetudine preparare dolcetti e biscotti che possono essere mangiati a colazione, offerti con il tè, oppure appesi all’albero con un nastrino rosso.
Dato che sono una collezionista di larghissime vedute, ho un’infinità di stampini taglia-biscotti che nel corso degli anni ho comprato un po’ dappertutto e li ho utilizzati in mille modi.
I più belli credo siano quelli che abbiamo acquistato a Monaco di Baviera: degli animaletti molto accurati, mentre da un antiquario di Saint Moritz ho trovato una scatola di latta che ne contiene una dozzina di misure diverse, tutti tondi coi bordi sagomati, che non ho mai avuto il coraggio di usare.
Un Natale ho fatto i segnaposto di pasta brisè a motivi Natalizi, uno diverso dall’altro e un Calendario dell’Avvento con 25 formine differenti.
Quest’anno invece è toccato a una mandria di renne (che forse però sono alci) allietare la “pausa caffè” di chi prepara l’albero e gli addobbi, decora le porte, appende i biglietti d’auguri degli anni scorsi e fa tutte quelle cose insomma che a Natale sono irrinunciabili e liete.

20141203-000255.jpgIn una ciotola si versano 400 gr di farina 00 setacciata, si aggiungono 125 gr di zucchero semolato, 1/2 cucchiaino di lievito in polvere e 1 pizzico di sale.
Si miscela, si fa la fontana e al centro si sgusciano 2 uova intere e si tagliuzzano 150 gr di burro molto freddo.
Si impasta velocemente prima con una forchetta e poi con le mani e si divide il composto in due metà.
Con una si fa una palla e si mette a riposare in frigorifero avvolta nella pellicola.
All’altra metà si amalgamano 1 cucchiaino di cannella, 1/2 cucchiaino di zenzero in polvere e una grattata di noce moscata.
Si ripone anche questo impasto in frigorifero per una mezz’ora, trascorsa la quale si stendono separatamente i due composto con il mattarello e si ritagliano con lo stampino a forma di renna due serie di biscotti.
Si infornano a 180 gradi per 10-12 minuti controllando che non scuriscano.
A cottura ultimata si sfornano e si fanno raffreddare su una griglia. Si spolverizzano di zucchero e di zucchero misto a cannella.

Se non vi piacciono le renne, naturalmente potete utilizzare qualsiasi altra forma di taglia-biscotti abbiate in casa.
L’impasto non è proprio quello del ginger bread, ma i biscotti sono aromatici e molto festosi e chi non ama le spezie, si può servire di quelli di semplice pastafrolla.

Il pane di mais

A proposito del Thanksgiving Day, mi sono accorta che alcuni blog, che in nei giorni scorsi hanno proposto festose ricette a base di tacchino ripieno o tacchino al forno, hanno commesso un grosso errore di data.
In realtà negli Stati Uniti il Giorno del Ringraziamento si celebra l’ultimo giovedì di Novembre, che quest’anno cade il 27, cioè oggi.
Dunque auguri di cuore a tutti gli amici Americani che seguono il mio blog.
Mi sa che la storia la sapete tutti, ma lasciatemela raccontare lo stesso…
I Nativi Americani (come è politicamente corretto chiamare gli Indiani, ossia i Pellerossa) delle zone di Nord Est vivevano cacciavando cervi e tacchini selvatici, in più coltivavano mais e fagioli, pescavano nei fiumi, estraevano lo sciroppo dalla corteccia degli aceri e raccoglievano il miele.
E mentre nel Nuovo Mondo si svolgeva questa bucolica esistenza, circa un centinaio di quelli che chiamiamo Padri Pellegrini sebbene fossero civili e non religiosi, partiti da Immingham, salparono sul Mayflower alla volta dell’America dal porto di Plymouth il 6 Settembre 1620 e raggiunsero la Baia di Cape Cod circa due mesi dopo, l’11 Novembre.
E una volta lì, dopo essere quasi morti di fame, impararono dai saggi indigeni Wampanoag ad utilizzare gli alimenti spontanei del territorio e cominciarono a cucinare con gli ingredienti locali, oltre che con quelli che si erano portati dall’Europa e facevano parte da secoli delle loro abitudini gastronomiche .
La tradizione del Giorno del Ringraziamento nasce proprio dal desiderio di festeggiare l’essere riusciti a superare quel primo durissimo inverno.
Il tacchino ripieno è il piatto simbolo di questa festa, insieme alla salsa di mirtilli, le patate dolci, il purè, le carote glassate, la torta di zucca e il pane di mais.
Noi non festeggiamo il Giorno del Ringraziamento, però mi piace ogni tanto fare il Pane di Mais che servo con certi arrosti, specialmente di petto di tacchino e di pollo che sono sempre un po’ asciutti, mentre questo pane “focaccioso” è morbidissimo e leggermente umido.
Credetemi, per una come me che in pratica non si avventura quasi mai nelle ricette lievitate, ottenere questo risultato è una grande soddisfazione.20141114-015256.jpgPer prima cosa preparo il latticello, che non è facilmente reperibile in commercio: in una tazza miscelo 100 ml di yogurt magro con 100 ml di latte scremato e 1 cucchiaio di succo di limone e lo metto a riposare in frigorifero per 10-15 minuti.
Nel frattempo frullo 1 barattolo di mais sgocciolato, lo verso in una ciotola, aggiungo 1 cucchiaio di zucchero di canna, il latticello, 1 cucchiaio di sciroppo d’acero e infine 1 uovo intero.
Deve risultare un composto granuloso.
Setaccio insieme 200 gr si farina di mais, 150 gr di farina 00, 1/2 cucchiaino di bicarbonato, 1 bustina di lievito di birra disidratato e 1 cucchiaino raso di sale.
Incorporo questi ingredienti secchi al composto umido preparato in precedenza e per ultimo aggiungo 100 gr di burro fuso fatto raffreddare.
Mescolo con cura con una spatola e verso in una tortiera imburrata.
Inforno a 200 gradi per circa mezz’ora.
Quando lo sforno, lo lascio raffreddare e poi lo taglio a cubotti.

Mi pare che adesso il latticello si trovi anche all’Auchan e da NaturaSì.
Se usare il burro vi spaventa, potete sostituirlo con 50 ml di olio… di mais ovviamente.

Patate “con la crosticina” e Nodini di vitello in tegame

20141010-014348.jpgApparentemente la ricetta di oggi è banale, ma in realtà è solo collaudata e rassicurante. Soprattutto familiare.
Quando lesso le patate ne faccio sempre un paio in più per poi cucinarle “con la crosticina” tagliate a rondelle sottili e ripassate in padella.
Storcete pure il naso ma il risultato migliore si ha con la margarina.
Per 2 patate se ne fa sciogliere 1/2 panetto in una padella grande e ci si accomodano dentro le fettine di patate lesse in un unico strato.
Si alza la fiamma e quando sono dorate dal lato a contatto con il grasso si rigirano una per una con l’aiuto di una spatola o della pinza.
La crosticina per cui sono famose è assicurata. Si scolano sulla carta da cucina e si salano. Vedrete che nella padella sarà rimasta la stessa quantità di grasso che è stata messa all’inizio, cosa che non sarebbe successa con il burro.
Infatti se si friggono con una quantità abbondante di margarina, le patate non la assorbono ma si rosolano perfettamente.
Come dicevo, vanno salate a fine cottura, dopo che sono state tolte dalla padella e sono il contorno ideale per questi nodini di vitello cotti in tegame.
Nodini che sembrerebbero altrettanto banali ma nascondono anche loro un piccolo segreto: prima della cottura in padella con burro, aglio e salvia, si fanno marinare per 8/12 ore in una miscela di Whiskey (se possibile Bourbon per rispettare la ricetta originale), miele, aglio a fettine, sale e pepe. Poi si scolano e si cuociono.
L’abbinamento è insolito e fantastico, appena avvertibile, ma molto ghiotto.

Marinare la carne per un periodo che corrisponde in pratica a tutta una notte permette agli ingredienti scelti per insaporirla di penetrare nelle fibre e ai loro profumi di rivelarsi al momento della cotture in tegame o ai ferri.

Il castagnaccio perfetto

L’anno scorso me l’ero scordato, ma quest’anno S.Martino (Castagne e Vino) è stato festeggiato ieri in casa Avanzi con quel dolce povero, delizioso, campagnolo, antiquato, dal gusto particolare che è il castagnaccio.
È uno dei rari dolci della mia infanzia, insieme alla torta di mele, la crema fritta e un semifreddo coi savoiardi imbevuti di Alkermes che faceva mia nonna.
Quand’ero piccola non mi piaceva mica tanto: dalla fetta che mi veniva offerta, con un ditino scavavo le uvette e toglievo tutti i pinoli dalla superficie (perché quelli restano in superficie, mentre le uvette vanno a fondo), mangiavo solo quelli e lasciavo quella specie di gruviera che restava, miseramente abbandonata nel piatto.
Adesso invece mi piace molto di più. È diventato un alimento “dal gusto acquisito”, come direbbero i popoli Anglosassoni, uno di quei piatti cioè che continuando a consumare, anche se all’inizio ci sembravano addirittura sgradevoli, finisce che li gustiamo con un certo piacere.
La ricetta del mio castagnaccio, “bole” in vernacolo Veronese, l’ho postata anche l’anno passato, ma mi fa piacere darle una rinfrescatina, perché è un dolce tradizionale che io riesco a fare particolarmente morbido e cremoso e che magari qualcuno ancora non ha provato o non conosce.

20141107-000155.jpgIl segreto del mio “castagnaccio perfetto” è tutto nella quantità di liquido con il quale si stemperano 500 gr di farina di castagne, 1 cucchiaino raso di sale e 100 gr di zucchero.
Ci vogliono infatti 750 ml di latte e 750 ml di acqua che si aggiungono poco alla volta agli altri ingredienti mescolando con una spatola, senza fare grumi.
Sul fondo di una teglia rettangolare o una pirofila, si distribuiscono 4 cucchiaiate di olio e si versa il composto, decisamente liquido, appena preparato.
Si aggiungono 100 gr di uvette ammollate in acqua tiepida e 50 gr di pinoli distribuendoli su tutta la preparazione e si inforna a 180 gradi per un’ora circa. Fondamentale è che sulla superficie si formino della crepe (che si vedono bene anche nella fotografia) che significano che la cottura è perfetta.
Il castagnaccio va mangiato a temperatura ambiente e consumato rapidamente data la presenza del latte.
A casa nostra non dura mai tanto a lungo da pregiudicarne la freschezza…

In ogni regione dove tradizionalmente si prepara il castagnaccio, le ricette variano. In Toscana per esempio l’ho mangiato squisito con l’aggiunta di aghi di rosmarino, ma qualunque sia la ricetta, secondo me per essere perfetto deve essere morbido e cremoso.
Assolutamente mai asciutto e compatto.

Sformato di pesce effetto “WOW!”

Ecco un altro esempio di un piatto che può rendere particolarmente goloso un buffet o costituire un secondo o un antipasto squisiti, col solito vantaggio di poter essere preparato in anticipo.
Sono certa concordiate infatti sull’effetto “Wow!” di questo sformato di coda di rospo (oppure di nasello o di merluzzo), perfetto per un buffet.
E di buffet mi sentirete parlare spesso perché sto (da un po’) pensando già alle Feste imminenti, che non ci devono trovare a corto di idee.

20141021-190531.jpgSi portano a ebollizione circa 2 litri di acqua con 1 bicchiere di vino bianco e 1 carota, 1 costa di sedano, 1 foglia di alloro, qualche gambo di prezzemolo, 5-6 grani di pepe e 1/2 cucchiaino di sale grosso.
Si immergono in questo brodo circa 8-900 gr di coda di rospo e si fanno cuocere per circa 15 minuti.
Quando è cotta si estrae e si scola e al suo posto si mettono a lessare 400 gr di code di gambero.
Dopo 5 minuti da quando cambiano colore, si scolano e si sgusciano.
Si condiscono col succo di 1/2 limone, la buccia grattugiata, 1 filo d’olio, sale e pepe.
Si affetta sottile 1 porro e si fa stufare con 40 gr di burro aggiungendo qualche cucchiaiata d’acqua finché non diventa una crema.
Si priva la coda di rospo della lisca centrale e delle eventuali spine, si passa al mixer con i porri, 1/2 confezione di panna da cucina, 2 albumi montati a neve soda, 1 pizzico di sale e una grattata di pepe.
Si imburra uno stampo rotondo, si dispongono sul fondo alcune fette sottili di limone formando un disegno concentrico e si fa uno strato con metà del composto premendo bene per non lasciare vuoti.
Si adagiano sopra tutti i gamberi scolati e si coprono con l’altra metà del composto.
Si copre lo stampo con un foglio doppio di alluminio e si inforna a 180 gradi per circa un’ora.
Quando è trascorso questo tempo, si sforna e si lascia intiepidire. Si capovolge sul piatto da portata e si serve a temperatura ambiente con la maionese passata a parte.

La maionese è proprio indispensabile perché questo sformato è piuttosto asciutto: bellissimo, buonissimo, ma decisamente asciutto. Appunto.

Per variare un po’: un sandwich con il branzino

Nei giorni scorsi di grande caldo, che ci ha sorpreso perché in qualche modo forse non ce l’aspettavamo più, a volte ho cucinato a giorni alterni.
Intendo dire che ho ottimizzato i tempi ai fornelli preparando spesso qualcosa da poter poi riutilizzare facendolo diventare l’ingrediente principale del pasto successivo.
È quello che ho fatto per esempio con quegli spaghetti conditi col sugo di recupero che ho postato il 10 agosto e l’ho rifatto ieri, con quello che era rimasto di un magnifico branzino al sale cucinato la sera prima a cena.
La ricetta del branzino (o meglio dell’orata) al sale è di mia nuora, che al sale aggiunge un albume montato a neve e farcisce la pancia dei pesci con rosmarino, alloro, salvia, prezzemolo e buccia di limone.
È così che faccio anch’io, ma dal mio pescivendolo, oltre a farlo eviscerare faccio anche togliere la testa: non sopporto di essere osservata mente cucino…
Comunque, una volta cotto al forno, frantumata la crosta di sale, prelevati i filetti (senza bisogno di rimuovere la pelle) ed eliminate le erbe aromatiche e la lisca centrale, basta condire con pepe e olio e la cena è in tavola.
Be’ naturalmente ci vuole vicino anche una patata, ma quella non richiede nessun impegno: basta infilarla in forno con la buccia leggermente bucherellata ed è fatta.
Ma non era questa la ricetta di oggi.
La ricetta è il solito panino che spesso mi preparo per pranzo, imbottito fino a scoppiare di ingredienti squisiti.
L’ingrediente principale di oggi è dunque un filetto di branzino avanzato, morbido e appetitoso.

20140812-011126.jpgHo semplicemente affettato sottile un piccolo gambo di sedano, tagliato a pezzettini mezza mela, tritato grossolanamente qualche mandorla e mescolato tutto con il filetto di branzino spezzettato.
Ho condito con olio, succo di limone, sale, yogurt bianco e paprika affumicata, che col suo sapore intenso e dolce conferisce a questo mix un gusto particolare.
Ho farcito due belle fette di pane e mi sono goduta un signor pranzetto con una birra fresca.
Una Bud bionda e leggera.

Quello che mi è piaciuto particolarmente di questo sandwich è la croccantezza degli ingredienti aggiunti alla morbidezza del pesce, che hanno dato al ripieno una interessante combinazione di consistenze diverse.

Frutta tropicale e poco altro

Tornati dalla nostra vacanza in Sardegna, abbiamo provveduto a rifornire frigorifero e dispensa andando oltre che all’EsseLunga e al mercato (per i gamberi!), anche a fare la spesa dal mitico fruttivendolo Pakistano che a mio avviso ha la frutta e gli ortaggi migliori di tutta Verona.
In più, per certe occasioni, ha sempre qualche primizia interessante e molti prodotti insoliti, quelli che non si trovano con facilità per esempio nei negozi di quartiere.
A mio avviso è superiore anche a quello del centro che chiamano “Bulgari”, tanto per darvi un’idea dei suoi prezzi!
Per farla breve, oltre a scegliere la classica base di frutta e verdura per tutti i giorni, mi sono lasciata conquistare dalla varietà e dai colori dei frutti tropicali che mi facevano l’occhiolino dallo scaffale su cui erano esposti e ne ho messi alcuni nel cestino.
Avevo già in mente di fare per pranzo questa straordinaria insalata tropicale, profumatissima e colorata che ci ha fatto sentire ancora felicemente in vacanza.
L’esecuzione, non occorre neanche dirlo, è come sempre semplicissima e piuttosto veloce, ma il risultato è uno di quelli di cui essere orgogliosi.
Giudicate voi.

20140802-193425.jpgHo sciacquato e scolato alcune foglie di lattuga e ho foderato i nostri due piatti.
Ho sgusciato e privato del filo intestinale alcune code di gambero (la quantità è a discrezione) e le ho fatte saltare in una padella appena unta d’olio. Le ho sfumate con 1 bicchierino di Cognac, salate, pepate e tenute da parte.
Ho sbucciato e tagliato più o meno a dadi 1 mango, 1 papaya e 1 avocado. Ho tagliato a pezzetti anche 2 fette di ananas.
Ho riunito tutto in una ciotola e ho condito con 1 cucchiaio di olio, il succo di 1/2 arancia, sale, pepe, 1 cucchiaio di salsa Worcester e qualche goccia di Tabasco.
Ho mescolato la mia insalata di frutta tropicale e l’ho divisa sopra le foglie di lattuga nei due piatti.
Ho aggiunto le code di gambero, versato il loro sughetto al Cognac e completato con qualche stelo di erba cipollina tagliuzzata con la forbicina.

Lo sapete, io vado pazza per questi piatti. Avevo già l’acquolina in bocca dentro il negozio immaginando come avrei utilizzato questi frutti!
Pregustavo infatti sia un dolce che un’insalata, dove ci sarebbero stati bene anche degli anelli di cipolla rossa di Tropea, ma qui a qualcuno non piace la cipolla cruda, quindi…
Con il frutto della passione, la banana e il mango che non ho utilizzato per questo piatto unico ho decorato la Pavlova di cui abbiamo parlato ieri.
Ah, se qualcuno se lo sta chiedendo, sì, siamo stati in Sardegna due settimane, ma grazie all’iPad, al mio fornitissimo archivio e al lavoro delle settimane precedenti, sono riuscita a non lasciare nessuno a bocca asciutta… se mai a bocca aperta! Vero?!