Melanzane al forno con sorpresa

Questa ricetta viene dalla felice intuizione di “maritare” le Melanzane alla Parmigiana con il risotto alla Parmigiana: due preparazioni diversissime fra loro, nonostante il nome, che sono diventate un abbinamento perfetto.
Devo confessare che il tarlo che poi ha portato a creare questa ricetta me l’ha instillato un po’ di tempo fa Angiola di Piatti coi tacchi, che aveva equivocato sulla definizione appunto di risotto alla Parmigiana trovata nel mio blog.
Sulla scorta di quell’osservazione, quando ho deciso di preparare una teglia di classica Parmigiana, mi sono allargata e ne è uscito un primo piatto molto goloso.
La ricetta è laboriosa, ma non complicata. Insomma, un po’ di pazienza ci vuole, ma il risultato vale, secondo me, la fatica.

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Si affettano le melanzane, si salano, si mettono in un colapasta e si depurano dal liquido amarognolo che contengono, poi di sciacquano e si asciugano perfettamente.
Si friggono poche alla volta in olio extravergine e si fanno sgocciolare sulla carta da cucina.
Si prepara un sugo di pomodoro abbondante facendo restringere dell’ottima passata con sale, zucchero, cipolla tritata sottile e basilico.
Si cucina un classico risotto alla Parmigiana facendo imbiondire la cipolla, tostando il riso, sfumandolo di vino bianco e coprendolo con una quantità di brodo pari al doppio del suo volume.
Senza mai mescolarlo si porta a cottura piuttosto al dente a pentola scoperta perché non deve essere troppo “all’onda”. Si manteca fuori dal fuoco con burro e parmigiano e si fa intiepidire.
Si trita o si grattugia una grossa scamorza (volendo anche affumicata) e si mescola al riso ormai quasi freddo aggiungendo altro basilico spezzettato con le mani.
Sul piano di lavoro si stendono le fette di melanzane fritte, si salano appena e si spolverizzano di pepe.
Su ognuna si appoggia una quenelle di risotto, si arrotolano e si sistemano in una pirofila unta d’olio uno accanto all’altro fino a riempire tutta la teglia.
Si coprono con abbondante sugo di pomodoro, si distribuisce sopra un’altra cucchiaiata di scamorza grattugiata e si infornano a 200 gradi per una ventina di minuti.
Sono un fantastico primo piatto dal sapore intenso e mediterraneo che a me è piaciuto molto.

Qualche precisazione: non ci sono indicazioni circa le quantità perché non posso regolarmi non sapendo la dimensione delle vostre melanzane, ma consiglio di friggerne parecchie. Quelle che non saranno utilizzate per questa ricetta serviranno per una pasta alla Norma per esempio.
Per il riso suggerisco di considerare la stessa quantità che prevedete di solito per due, quattro o sei persone, a seconda del numero dei vostri commensali.
Si può usare anche la mozzarella, ma la scamorza, più stagionata, resta più asciutta.

Sugo di gamberi al succo di lime e peperoncino

Avevo bisogno di un po’ di spazio nel freezer, perciò ho tolto l’ultimo sacchetto di code di gamberi, le solite, che sono la base di moltissimi dei miei piatti, quelle che avete imparato ad apprezzare anche voi a forza di leggere le mie ricette, che acquisto il mercoledì mattina al mercato, dal mio pescivendolo di fiducia. Capito, no?
Questa volta ho fatto un sugo per la pasta dal sapore insolito e intrigante, vagamente Caraibico, che vale davvero la pena di provare o almeno di leggere la ricetta.

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Si prepara il fondo per il sugo facendo stufare a fuoco dolcissimo con qualche cucchiaiata di olio una piccola cipolla bianca tritata e 1 peperoncino affettato.
Si aggiungono 1 bicchierino di rum, il succo di 2 lime, 1/2 bicchiere di vino bianco, una generosa grattata di pepe alla creola, 1 pizzico di sale e 1 foglia di alloro.
Si fa restringere il sugo e amalgamare tutti i sapori quindi si aggiungono 400 gr di code di gambero sgusciate, si alza la fiamma e appena i gamberi cambiano colore di toglie la padella dal fuoco altrimenti diventano gommosi, si aggiustano eventualmente di sale e si spolverizzano con un trito di prezzemolo, menta e poca buccia grattugiata di lime.

Io ci condisco il riso pescato (o pilaf), ma si può usare anche come una zuppetta e versarlo sui crostoni di pane casereccio tostati in forno.

Filetti di pesce bianco gratinati al forno

Come sapete, nella categoria del pesce azzurro rientrano: sardine, alici, sgombri, acciughe, perfino il pesce spada e il tonno.
Mentre si definiscono pesce bianco: orata, branzino, merluzzo, platessa, sogliola, rombo, nasello, coda di rospo, eccetera.
Quindi per questa ricetta potete scegliere liberamente i filetti di uno di questi ultimi: quello che preferite, che trovate, che vi ispira, non c’è nessun limite.
Io ho utilizzato il merluzzo questa volta e l’ho cotto al forno.

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Ho preparato una panure con 2-3 cucchiai di pangrattato, 1 puntina di aglio ridotto a crema, pepe nero, 2 acciughette sott’olio tritate con un cucchiaino di capperi sciacquati con molta cura, la buccia grattugiata di 1/2 limone e 1 cucchiaino di foglioline di timo fresco, ma si può usare anche un pizzico di timo secco
Ho appoggiato su una teglia un foglio di carta forno e sopra ho sistemato 2 filetti di merluzzo di circa 300 gr l’uno.
Ho sparso su entrambi la panure e ho completato con un giro d’olio. Ho infornato a 200 gradi per 15-20 minuti.
A metà cottura ho appoggiato accanto al pesce alcuni rametti di pomodorini, li ho cosparsi di olio, pepati e salati, ho aggiunto un pizzico di zucchero e ho infornato di nuovo.
Se utilizzate un filetto di pesce meno spesso del mio trancio di merluzzo, bastano 10 minuti di cottura, quindi si possono infornare insieme pesce e pomodori.

Ricetta semplice e molto gustosa.

Torte salate

Non è che le torte salate siano sempre state proprio il mio forte, lo sapete, ma ogni tanto in quest’ultimo periodo mi si è presentata l’occasione di preparare questo rustico piatto unico che alla fine risulta facile e goloso e lascia spazio alla fantasia individuale.
In genere associo queste preparazioni alla casa del Lago, perché l’ambiente circostante, il verde, la possibilità si mangiare sul terrazzo, la mancanza di formalità nei pranzi che organizzo là, mi fa sentire libera di preparare quiche, focacce farcite e pie salate che a casa non faccio quasi mai.
Queste due torte salate dalla pasta morbida e i ripieni golosi sono i miei auguri di buona Pasqua per voi che mi leggete e magari un altro suggerimento per Pasquetta diverso dalle ultime quiche che ho postato di recente.

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Dato che si prepara un unico impasto (tipo focaccia) per entrambe le torte, le dosi sono per due.
Si lessa 1 patata di circa 200 gr, si sbuccia, si schiaccia e si mescola in una ciotola con 500 gr di farina, 1 cucchiaio di olio, 1 pizzico di sale e 1 cubetto di lievito di birra sciolto in 1/2 bicchiere di acqua tiepida.
Si lavora il composto fino ad ottenere una pasta liscia e omogenea e si lascia lievitare all’interno del forno spento, ma con la luce accesa, per almeno 1 ora.
Nel frattempo si preparano i due ripieni: uno al tonno e uno alla salsiccia.
Per il primo composto si uniscono 2 uova a 200 gr ricotta, 1 pizzico di sale e si mescola per ottenere una crema.
Si aggiungono 250 gr di tonno al naturale sgocciolato e sminuzzato con una forchetta, 4-5 alici spezzettate, 1/2 cipolla rossa di Tropea tritata grossolanamente, 75 gr di parmigiano grattugiato e alcune foglie di basilico.
L’altro composto si prepara sempre con 2 uova, 200 gr di ricotta, l’altra 1/2 cipolla rossa di Tropea, 250 gr di salsiccia pelata, sbriciolata e passata in padella, 75 gr di parmigiano grattugiato, 100 gr di salamino piccante affettato sottile e gli aghi di 1 rametto di rosmarino tritati.
Si riprende la pasta, si sgonfia e si impasta di nuovo velocemente, si divide a metà e con il mattarello si stendono 2 dischi piuttosto sottili con cui si foderano due tortiere unte d’olio.
Ognuna si riempie con uno dei due composti e si infornano a 180 gradi per una mezz’ora.

Lo sapete meglio di me: queste torte salate sono buone sia tiepide che fredde, si possono preparare anche coperte come delle pie, si possono usare come guscio anche la pasta da pane, la sfoglia o la brisè, si possono farcire con mille ingredienti diversi e sono veramente la massima espressione della libertà individuale in cucina, dunque divertitevi!

Vi abbraccio e auguro a tutti una felice Pasqua.
Ci risentiamo fra un paio di giorni.

Un angolo di Messico a Los Angeles e nel piatto

Il primo insediamento urbano di Los Angeles è stato il Pueblo, che si sviluppa intorno a Olvera Street e alla chiesa di Nuestra Señora la Reina de Los Àngeles de la Porciuncula, che dà il nome alla città.

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Vale la pena di visitarlo anche se in realtà non è che un mercato che offre souvenir, abbigliamento in stile messicano e cianfrusaglie pseudo etniche, ma ci sono anche i Mariachi che suonano chitarre, violini e trombe e cantano struggenti canzoni in Spagnolo, ricreando un’immagine dei secoli scorsi, mentre i ristoranti messicani ti stordiscono col profumo di cibo piccante e speziato che arriva fino in strada.
Ci sono anche negozietti che vendono terrecotte smaltate, abiti lunghi dai colori stupefacenti e irresistibili camicette di cotone, scollate sulle spalle, con le maniche a sbuffo come quelle che indossavano le mogli dei peones nelle haciendas.
Insomma in una città come Los Angeles fa anche piacere scoprire qualcosa che non sia super moderno.
Dato che ci si trova già a Nord Est del Down Town, una volta che si è nelle vicinanze conviene anche dare un’occhiata alla Union Station perché essendo Los Angeles grande quasi come la Lombardia, in quella zona ci si va una volta sola durante il soggiorno!

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La principale stazione ferroviaria della città è una bellissima costruzione del 1939 in stile Mission all’esterno e Art déco nell’immensa sala d’aspetto. Dunque per gli standard californiani è quasi antica.
Con tutto questo andare in giro vi sarà sicuramente venuta fame, allora potreste concedevi un invitante spuntino di sapore messicano al Cielito Lindo, o a La Noche Buena, ma anche godervelo a casa.

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Quello che non so è se queste sono fajitas, tacos, burritos, empanadas o enchiladas… chiamiamole dunque semplicemente tortillas ripiene.
Per il ripieno si fanno imbiondire con 2 cucchiai di olio una grossa cipolla e 1 spicchio d’aglio grattugiato.
Si aggiungono 400 gr di macinato di manzo, o di maiale e si fanno rosolare. Poi si uniscono 1 peperone rosso a cubetti, privato dei semi, 2 peperoncini freschi piccanti tritati e 400 gr di pomodori pelati sgocciolati e tagliati a pezzetti.
Si completa con 1 cucchiaino di semi di cumino, 1 cucchiaio di coriandolo fresco tritato, sale e pepe.
Si fa sobbollire piano per circa un’ora.
Si scaldano le tortillas dando loro una forma adatta a contenere la carne, si farciscono e si completano con pomodori e insalata freschi spruzzati di lime per contrastare il sapore “caldo” del ripieno.

Insomma questa è la dimostrazione che Los Angeles non è soltanto Beverly Hills!

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Jambalaya

Come definire la Jambalaya?
Insieme al Gumbo è uno dei più famosi piatti della cucina creola. Le sue origini sono provenzali ma si è nel tempo arricchita di molte successive varianti grazie alle influenze spagnola e africana.
Si potrebbe dire, semplificando giusto per dare un’idea, che è la versione della Paella che si mangia in Louisiana perché si cucina tradizionalmente con riso, carne, verdure e gamberi.
Non sono mai stata in Louisiana, ma la tipica cucina Cajun si gusta anche in Florida per esempio, e lì sì che ci sono stata, più volte e sempre divertendomi un sacco, facendo esperienze sensoriali diverse e interessanti: passeggiando con Topolino a Orlando, abbronzandomi a Miami Beach, quasi sfuggendo a un uragano a Key West, cercando la Fonte dell’eterna giovinezza di Ponce de Leon, raccogliendo conchiglie a Sanibel Island e mangiando specialità della cucina creola e molto altro un po’ dappertutto: sulla Costa Atlantica e sul Golfo del Messico.
Questa è la mia Jambalaya.

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In una larga padella si fanno saltare con 4 cucchiai di olio una grossa cipolla tritata, 2 spicchi d’aglio grattugiati, 1 peperone verde a cubetti, le foglioline di 2 rametti di timo e 2 gambi di sedano affettati sottili.
Quando sono appassiti, si aggiungono 200 gr di petto di pollo (oppure di prosciutto cotto) a dadini e 200 gr di salsiccia piccante tagliata a fette di circa 1/2 cm, si fanno dorare e si cuociono per una decina di minuti abbassando la fiamma.
Si uniscono 1 scatola di pomodori pelati sgocciolati e spezzettati con una forchetta, 200 gr di riso parboiled, 1/2 cucchiaino di sale, 1 foglia di alloro, 1/2 cucchiaino di chiodi di garofano pestati, 1 cucchiaino di peperoncino a scaglie, 1 cucchiaino di origano secco e 1 cucchiaio di prezzemolo tritato.
Si mescola, si fa insaporire poi si versa 1/2 litro di brodo e si fa cuocere coperto per circa 30 minuti, tanto questo riso non scuoce, ma diventa tenero e assorbe quasi tutto il liquido.
A questo punto si aggiungono 500 gr di code di gambero pulite e sgusciate e si prosegue la cottura per altri 5 o 6 minuti.
Il risultato è un riso morbido e profumato, caldo, speziato, piccante e ricco di sapore. Indimenticabile.

Quello che si avvicina di più al chorizo, la salsiccia piccante della ricetta originale, è il salamino napoletano o la salsiccia calabra al peperoncino non troppo stagionati, ma piuttosto morbidi, che sono decisamente più facili da reperire.

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Spaghettoni integrali col tonno

Da un po’ stiamo mangiando spesso la pasta integrale, nel tentativo di trarre vantaggio dai benefici che pare questo alimento garantisca: dona un senso di sazietà maggiore, rallenta l’assimilazione dei grassi e degli zuccheri ed è quindi indicata per il controllo del peso. Inoltre contiene vitamina E, antiossidante e anti-age e vitamine del gruppo B.
E non è neanche cattiva come ci si aspetterebbe da qualcosa che fa così bene…
Inoltre ha talmente tante proprietà e contiene una tale infinità di garanzie per una vita sana ed equilibrata, che pare impossibile che un pacco da mezzo chilo non pesi più di quelli di pasta normale.
Quindi per cercare di non vanificare i vantaggi che derivano dal consumo delle fibre e di tutto il resto contenuto nella pasta integrale, cerco di condirla con sughi che rispettino le sue caratteristiche.
A volte il risultato visivo non è granché soddisfacente. Per esempio questo sugo di tonno ha finito con l’avere la stessa sfumatura di beige della pasta, ma era comunque molto profumato e molto saporito e magari soddisfa anche i patiti del “tono su tono”.

20150226-005951.jpgFaccio imbiondire in poco olio 2 spicchi d’aglio schiacciati e 1 cipolla bianca tritata. Unisco 4 alici sott’olio spezzettate e le faccio sciogliere a fuoco basso.
Aggiungo 1 foglia di alloro e il contenuto sgocciolato di 2 scatolette medie di tonno al naturale.
Insaporisco con una macinata di pepe, il succo di 1/2 limone e qualche pezzetto di scorza.
Cuocio per una decina di minuti mantenendo il fuoco piuttosto allegro e mescolando spesso.
Elimino l’aglio, l’alloro, le scorzette e aggiusto eventualmente di sale.
Condisco 150 gr di spaghettoni integrali aggiungendo un filo d’olio crudo e spolverizzando di pepe appena macinato.

Se si passa sopra alla monocromaticità del piatto, il piatto stesso garantisce un sapore intenso e gradevolissimo che soddisferà anche i palati più scettici… come il mio.

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Polenta e renga

Finiti i festeggiamenti di ieri, rimettiamoci al lavoro condividendo una squisita ricetta Veronese tradizionale della Quaresima.
Parona è una frazione di Verona affacciata sull’Adige che ha rivestito nei secoli scorsi una grande rilevanza in quanto importante porto doganale per le merci in arrivo per via fluviale dal Nord Europa.
Ancora all’epoca del baratto, grazie al pagamento “in natura” dei barcaioli che sostavano nelle locande e osterie di Parona, l’aringa è approdata sulle rive del nostro Adige.
Il Mercoledì delle Ceneri qui tradizionalmente di festeggia il primo giorno di Quaresima con la preparazione e la vendita in piazza di un piatto eccellente e antico: l’aringa affumicata accompagnata dalla polenta.
Ci sono molte ricette per preparare “la renga” che è uno dei fondamenti della cucina povera Veronese.
Una delle migliori che abbia mai mangiato è quella che fa il nostro amico Franco, che abitando a Parona ha sempre la felice idea di invitare un gruppo di amici a festeggiare in taverna l’inizio della Quaresima preparando personalmente questo piatto squisito.

20150226-174755.jpgCi sono due modi per cuocere le aringhe affumicate, che si acquistano intere oppure a filetti sotto vuoto, decisamente molto più pratici, nei negozi che vendono il baccalà, le alici salate, le olive, i capperi sotto sale.
Il metodo più antico prevedeva la cottura delle aringhe sulla graticola posta sulle braci, ma oggi cucinarle può essere più semplice.
La ricetta di Franco, alla quale vi suggerisco di attenervi se intendere provare questo piatto straordinario, è la seguente, passo passo.
Dopo aver privato le aringhe della testa e della coda, si spellano e si fanno bollire 2-3 minuti in abbondante acqua e latte in parti uguali per togliere la troppa salinità.
Si scolano, si diliscano con cura e si spezzettano.
Si accomodano in un contenitore con il coperchio e si condiscono con abbondantissimo olio, prezzemolo tritato, aglio a fettine, capperi sott’aceto e (facoltativo) alcune falde di peperone rosso e giallo scottati sulla griglia e tagliati a striscioline.
Naturalmente più tempo si lasceranno le aringhe a macerare con questi ingredienti, più saporito risulterà il piatto.

È ovvio che “la renga” oltre che tradizionalmente il Primo di Quaresima è una specialità che si può gustare con soddisfazione durante tutto l’arco dell’anno, basta avere la pazienza di prepararla
È un piatto rustico e antico pieno di sapore, stuzzicante e deliziosamente sapido.
La indispensabile polenta che lo accompagna può essere morbida o “brustolà”, cioè passata sulla griglia, dipende dalle vostre preferenze.

Insalata di granchio nei tumbler

Il 13 gennaio avevo già parlato di antipasti a base di polpa di granchio. E non era la prima volta perché trovo che questo ingrediente si presti a creare una bella aspettativa negli ospiti in attesa dei piatti principali.
In genere preparo una mousse che sistemo nei cucchiaini se si tratta di amuse bouche o nei bicchieri se è un vero antipasto.
Le ricette comunque differiscono di poco, si tratta più che altro di sfumature e del contenitore in cui vengono servite.
L’ultima volta ho sistemato queste mousse di granchio nei tumbler bassi come a Natale e sono piaciute molto.

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Tolgo la polpa di granchio da 2 scatolette, la sgocciolo bene e la metto in una ciotola.
Con la punta delle dita la spezzetto ed elimino le eventuali cartilagini (che ci sono sempre).
Affetto molto sottilmente la parte bianca di 1 cipollotto e lo unisco alla polpa di granchio, aggiungo anche 2 cucchiaiate di mascarpone 2 cucchiai di olio, il succo di 1/2 lime, 1 spruzzata di Tabasco (qui regolatevi voi: la quantità dipende da quanto vi piace il piccante) e 1 cucchiaino di prezzemolo tritato.
Salo appena e pepo abbondantemente.
Mescolo con delicatezza per amalgamare perfettamente tutti gli ingredienti e suddivido la mousse nei bicchieri su una base di insalata riccia spezzettata, spruzzata di limone e leggermente salata e pepata.
Completo con una cucchiaiata di chicchi di melagrana oppure con un rametto di ribes quando lo trovo, più che altro per il colore.

Se non avete in previsione inviti a cena, potreste comunque prepararvi questa insalata come pranzo veloce, magari spalmandola su una fetta di pane ai cereali leggermente tostata e aggiungendo qualche fettina di pomodoro e dei germogli freschi (di soia, di crescione, di piselli, eccetera).
Nel calice da amaro in secondo piano nella fotografia, c’è invece un’insolita mousse di sgombro e tartufo arricchita di buccia d’arancia. Anche quella piuttosto interessante: vale la pena di parlarne uno dei prossimi giorni, va bene?

Umido di mare con le patate

Durante il periodo invernale mi piace molto cucinare gli umidi.
Adoro gulasch, ossobuco, brasato, spezzatino, tutto quello insomma che si cuoce e si serve con una dose abbondante di sugo denso e profumato che si può accompagnare magari con la polenta.
Alla luce di questa mia predilezione ho cucinato in umido della coda di rospo a bocconcini che si è rivelata un piatto davvero interessante.

20141123-180636.jpgIl procedimento e gli ingredienti sono quelli che tradizionalmente utilizzo per lo spezzatino di vitello con le patate.
Ho fatto appassire con qualche cucchiaio di olio un abbondante trito di sedano, carota e cipolla. Ho aggiunto 1 spicchio d’aglio in camicia, 1 foglia d’alloro, qualche pezzetto di buccia di limone, 2 chiodi di garofano e gli aghi tritati di 1 rametto di rosmarino.
Ho privato della lisca centrale e dei residui di pelle una coda di rospo di circa 600 gr. L’ho sciacquata, asciugata e tagliata a grossi dadi. L’ho leggermente infarinata e versata nel tegame del sugo e poi spruzzata con 1/2 bicchiere di vino bianco.
Ho aggiunto 1 tazza di sugo di pomodoro, 2 grosse patate lessate a metà tagliate a pezzetti e ho regolato di sale e pepe.
Ho cosparso di prezzemolo tritato e portato a cottura.

Volendo si può preparare una polenta morbida (meglio se bianca) e sistemarla come base per una generosa porzione di questo “spezzatino” di mare.
La coda di rospo può essere sostituita per esempio con il merluzzo. Un pesce più modesto ma molto adatto a queste preparazioni.