Costine di maiale al latte

Questo è un piatto squisito, di quelli che nelle case di campagna della nostra infanzia non mancavano mai.
Allora c’era un tempo per ogni tipo di cibo, le stagioni seguivano un ritmo rigoroso e al momento giusto si cucinavano le costine di maiale, che si chiamano anche puntine o spuntature a seconda della regione.

20140112-015417.jpgLa Giulietta le fa ancora e le vengono tenere, succulente e profumate.
Vi dico subito come le cucina, perché sono sicura che da questa ricetta, se la vorrete provare, trarrete grande soddisfazione.
È un insieme di sapori antichi ma non dimenticati, che mi riportano indietro nel tempo, quando il profumo di casa era un insieme di cibo e d’amore e le mani di mia nonna odoravano di buono.

Occorrono 1 kilo di costine belle carnose (fatte tagliare a pezzi dal macellaio) che si fanno rosolare a fuoco vivace in un tegame antiaderente senza nessuna aggiunta di grassi, semplicemente con 3 spicchi d’aglio in camicia, 1-2 scalogni tagliati in quattro e 1 rametto di rosmarino avvolto in 2-3 foglie di salvia e legato con qualche giro di spago da cucina, così in cottura non perde gli aghi e si elimina poi facilmente.
Quando la carne di presenta leggermente arrostita, si sfuma con 1/2 bicchiere di vino bianco, si insaporisce con 1/2 dado sbriciolato e 1/2 cucchiaino di tàmaro.
La conoscete questa spezia, o meglio questo mix di spezie? Lo chiedo perché non a tutti è familiare, mentre in Veneto se ne fa largo uso quando si cucina la carne di maiale, siano costine “in tecia”, arista al forno, filetto in crosta o braciole ai ferri. È un insieme di semi di coriandolo, anice stellato e finocchio, cannella e chiodi di garofano. Ha un profumo intenso e inconfondibile, molto caratteristico, che col maiale è perfetto.
Tornando a noi, si aggiunge circa 1/2 litro di latte tiepido (le costine devono essere coperte a filo) e si porta a cottura a fuoco dolce.
Si eliminano l’aglio e gli odori e si serve con il purè oppure con la polenta. O con entrambi.

Con questo metodo di cottura, coperte di latte, le costine non possono che restare morbide, le spezie le rendono appetitose e conservano un confortante sapore di casa che scalda il cuore.
E va bene così: in fondo è un piatto invernale.

Lasagna aperta col tartufo

Ecco una di quelle ricette talmente basiche che diventano sofisticate proprio per la loro semplicità.
Mi ricorda quei tagliolini al triplo burro che si mangiavano al Marconi molti anni fa, quelli che assomigliavano alle “fettuccine Alfredo” del ristorante L’Originale Alfredo of Rome del Rockefeller Center di Manhattan, del World Showcase di Epcot, del Planet Hollywood di Las Vegas o dell’Hotel Doral di Miami Beach.
Tornando, senza troppo divagare, alla nostra lasagna aperta, ecco, trovo sia uno di quei piatti che sull’onda dei pasti luculliani preparati e consumati in questi giorni di festa, mantiene alto il buon nome dello chef senza sfiancarlo ulteriormente.

20140111-101759.jpgCon 1 uovo e 100 gr di farina si prepara la sfoglia, si passa più volte nella macchina per la pasta, o si tira con il mattarello, e si ottengono delle strisce, che non vanno tagliate a fettuccine ma lessate intere come se si avesse intenzione di cucinare le classiche lasagne al forno, per intenderci. Invece ci si risparmia la preparazione della besciamella e del ragù.
Si scolano, si fa un primo strato in due piatti imburrati che possano andare in forno, si cosparge con una profumatissima crema di panna, acqua di cottura della pasta e una quantità di burro al tartufo* che dipende dal vostro gusto personale, ma il mio consiglio è di abbondare.
Si completa con una bella spolverata di Parmigiano grattugiato al momento.
Si fa un secondo strato e poi un terzo, sempre intervallati da crema al tartufo e Parmigiano grattugiato.
Si infornano i piatti in forno preriscaldato a 180 gradi per 5 minuti.
Si servono subito perché la mia sontuosa lasagna al tartufo va mangiata bella calda.

* Il mio burro al tartufo è quello che tengo in freezer, come vi ho raccontato nel post del 26 novembre, che viene buono di tanto in tanto, ma soprattutto per me è rassicurante sapere che all’occorrenza ne posso disporre.
Se non vi siete procurati prima i tartufi (della Lessinia o della zona più vicina a voi che li produca), potete grattugiarne al momento uno fresco acquistato apposta in questi giorni e miscelarlo ad una “cremina” fatta, come dicevo sopra, con 50 gr di burro fuso (ma non nocciola mi raccomando), 80 ml di panna da cucina, 1 pizzico di sale, 1 macinata di pepe e qualche cucchiaiata di acqua di cottura della pasta.

Vi consiglio di tenere segreta la ricetta… soprattutto al vostro fegato!

Generazioni a confronto

Faccio da un sacco di anni una squisita Key Lime Pie utilizzando una ricetta che viene da lontano, con un guscio di pasta brisè, albumi, latte condensato, buccia e succo di lime.
Si tratta di un dolce freschissimo ed anche evocativo di uno straordinario viaggio che abbiamo fatto in Florida, fino al punto più meridionale degli Stati Uniti, coi suoi colori e sapori caraibici.
Mia figlia di recente mi ha sfidato preparando una Key Lime Pie assolutamente diversa dalla mia, ma molto buona, tanto che quasi vi do la sua ricetta, anziché quella che era diventata una tradizione in casa nostra, come chiusura di una cena di pesce.

20140110-090441.jpgSi frullano 250 gr di biscotti Digestive e si mescolano a 80 gr di burro fuso e 50 gr di zucchero.
Si distribuisce questa miscela sul fondo e sui bordi di una tortiera compattando bene e si inforna a 180 gradi per 10 minuti, poi si fa raffreddare.
Nel frattempo si frullano 4 tuorli con 400 ml di latte condensato, la buccia grattugiata di 1 o 2 lime e 120 ml di succo.
Si ottiene una crema spumosa che si versa nel guscio di biscotti e burro e si inforna nuovamente per altri 15 minuti sempre a 180 gradi.
A cottura ultimata si fa raffreddare completamente e si conserva in frigorifero (meglio se fino al giorno successivo).
Si serve con panna montata zuccherata. Ed è squisita, lo ammetto.

Come vedete, nella nostra famiglia non si butta niente: mentre mia figlia prepara il ripieno della Key Lime Pie solo con i tuorli, io utilizzo gli albumi che scarta lei!

Code di gambero su vellutata di ceci

Ci sono poche occasioni nelle quali utilizzo le mie tazze da consommé, quelle della lista nozze, il tipo di stoviglie per intenderci a cui nessuno dei giovani che si sposano oggi verrebbe in mente di chiedere in regalo!
Io comunque ce le ho, ormai da quasi 45 anni. Erano oggetti che non potevano certo mancare nel corredo di vasellame classico ed elegante delle spose della mia generazione… un giorno parliamo anche del resto!
Difficilmente offro il consommé, anche se una volta, dopo un antipasto di Cappone alla Gonzaga, ho servito un classico Sorbir d’agnoli giusto per utilizzare un volta tanto le tazze da consommé e creare una specie di cena etnica “de noantri”. Alla mantovana.
Va be’, mi piace scherzare.
Di recente, derogando un po’ dalle ferree regole del galateo, le ho usate per una squisita passata di ceci con le code di gambero che, indipendentemente dal contenitore, è proprio una delizia.

20140109-094419.jpgPer prima cosa si puliscono e si privano del filo intestinale 12 code di gambero. Si mettono in una casseruola coperte d’acqua con 1 carota, 1 gambo di sedano, 1 piccolo scalogno, 1 pezzetto di buccia di limone, 1/2 bicchiere di vino bianco, 2 grani di pepe, 1 foglia di alloro e 2-3 gambi di prezzemolo.
Appena bolle, si spegne e si lasciano intiepidire nel loro court bouillon.
Il court bouillon va poi filtrato e conservato.
Intanto si fa appassire 1 piccola cipolla affettata sottile in poco olio salando appena. Si fa stufare a lungo, a fuoco molto dolce, mescolando di tanto in tanto per non farla colorire.
Ottenuto (noi senza stufarci) questo risultato, si versano nel tegame 2 scatole di ceci al naturale sciacquati e sgocciolati, si aggiungono gli aghi di 1 rametto di rosmarino e tanto court bouillon tenuto da parte quanto ne serve per coprire i ceci, si aggiusta eventualmente di sale e pepe e si lascia cuocere qualche minuto.
Si frulla col mixer ad immersione aggiungendo eventualmente altro court bouillon per ottenete una vellutata densa al punto giusto, appena fluida.
Si impiatta, tiepida, nelle tazze da consommé e si completa con le code di gambero sgusciate e un giro di olio d’oliva leggero (Ligure o del Lago di Garda).

Ovviamente le tazze da consommé sono un optional. In altre occasioni ho presentato questa vellutata in piccole cocotte, o addirittura in una ciotola di servizio da cui servirsi personalmente. Ocio però, perché come ho già detto così si corre il rischio che se i primi commensali non sono moderati, agli ultimi resta solo la passata!

Prosciutto glassato al forno

Vi raccontavo il 17 dicembre, del luogo comune di cui ero stata vittima, relativo al tacchino ripieno che in America si cucina il Giorno del Ringraziamento e non a Natale, quando il menù prevede invece oca farcita e prosciutto affumicato al forno.
Sull’oca non sono molto preparata, anche se posso immaginare un ripieno perfetto a base di frutta secca per le carni grasse e succulente di questo volatile…
Ma posso parlare con cognizione di causa del prosciutto al forno, tanto per completare la trilogia dei classici arrosti delle Feste Statunitensi.
È un piatto assolutamente coreografico e gustoso oltre ogni dire, poco conosciuto da noi, quindi cucinato molto raramente, ma di grande effetto.
Personalmente, sconvolgendo le tradizioni d’Oltreoceano, l’ho cucinato in campagna per un compleanno, una festa che era in pratica un Luao Hawaiano.

20140108-091600.jpgUna delle difficoltà maggiori consiste nel reperire un piccolo prosciutto: in genere sono tutti piuttosto grossi e questo comporta il rischio di dover mangiare prosciutto al forno per settimane, a meno che non abbiate invitato a pranzo l’intero condominio.
La soluzione è accordarsi col salumiere e acquistare i 2-3 chili terminali di un buon prosciutto affumicato, quello che da noi si chiama “di Praga”.
Per preparare la glassa, si mescolano insieme in una ciotola 1 cucchiaino di noce moscata, 1 di cannella macinate, 1/2 di pepe, 1 di sale e 1/2 di peperoncino in polvere, 100 ml di sciroppo d’acero, 50 di aceto di mele e 50 gr di miele.
Si toglie al prosciutto solo la cotenna (questo magari ve lo fa anche il salumiere, se è disponibile e compiacente come il pescivendolo), si incide il grasso che lo ricopre ottenendo dei rombi (questo fatelo voi) al centro di ciascuno dei quali si inserisce 1 chiodo di garofano e si spalma accuratamente tutta la superficie con il composto aromatico.
Si inforna a 200° per circa un’ora spennellandolo spesso con il sugo che si raccoglie sul fondo della teglia.

La ricetta è facilissima e veramente insolita. Per adeguarla un po’ ai nostri gusti suggerirei di deglassare a fine cottura il fondo della teglia con un bicchiere di vino, mescolando il sugo con una spatola e facendolo restringere sul fornello per servirlo, filtrato, in salsiera.
Il prosciutto va affettato in tavola, se no si perde l’effetto “ananas” che invece è molto bello.
L’unica accortezza per poter assaggiare questo piatto veramente particolare e goloso è… invitare un sacco di gente, altrimenti, come dicevo prima, non lo finirete mai.
In ogni caso con quello che di sicuro avanzate, potreste cucinare un favoloso Ham Loaf, il famoso polpettone tipico del New England.
Magari ne riparliamo.

Pasta al forno con ragù di granchio

La pasta al forno è quanto di più classico si possa immaginare per il pranzo della domenica o per festeggiare un anniversario oppure un compleanno.
In più è uno di quei piatti che si possono preparare in anticipo, perfetti quindi quando si prevedono più portate.
Con le lasagne o i cannelloni insomma non si sbaglia mai, dato che si prestano ad un’infinità di varianti, vengono bene con molti sughi diversi e il piatto resta sempre morbido e vellutato anche dopo il passaggio in forno.
Insomma è la soluzione ideale per un pranzo importante, che sia “affollato” o semplicemente per due.
La pasta al forno l’ho fatta, come tutti penso, un milione di volte, compreso il Primo dell’anno, quando la portata che è andata a ruba sono state le lasagne verdi col ragù di carne e la besciamella, quelle solite e sempre molto apprezzate, quelle insomma che sapete fare anche voi.
Oggi allora vi racconto come con un ragù di granchio ho preparato invece queste lasagne raffinate e molto golose, appunto per due, perché le occasioni di festeggiare, se non ci sono, bisogna crearle!

20140107-095805.jpgHo fatto imbiondire 2 spicchi d’aglio schiacciati in 2 cucchiai di olio e ho poi buttato nel tegame 8-10 pomodorini tagliati a cubetti, li ho fatti appassire a fuoco vivace, li ho insaporiti con 1/2 dado sbriciolato e 1 abbondante macinata di pepe.
Ho fatto appassire 1 scalogno tritato con poco olio, ho aggiunto 1 scatoletta di granchio Chatka sgocciolato e sminuzzato con 1 pizzico di peperoncino.
Fuori dal fuoco l’ho insaporito con 2 cucchiaiate di ricotta, 100 ml di panna,1 cucchiaino di prezzemolo tritato e 1 cucchiaio di grana Padano grattugiato.
Ho sistemato in una piccola pirofila un primo strato di sfoglia lessata e scolata, l’ho coperta con qualche cucchiaiata di ragù di granchio e un po’ di sugo di pomodorini. Ho proseguito fino ad esaurire gli ingredienti.
Ho infornato per 20 minuti a 180 gradi.

È uscito uno di quei piatti veramente speciali, che assolutamente nessuno penserebbe mai che nascono dall’esigenza di esaurire per esempio la sfoglia avanzata dopo la confezione dei tortellini di Valeggio…

Hamburger a chi?!

Quella dell’hamburger è una filosofia di vita.
È come per i jeans: i “blue jeans” una volta, quando ero giovane io, erano un vero stile di vita, non solo un paio di braghe di cotone pesante.
Creare un panino, mangiare un particolare panino, significa allontanarsi dalla consuetudine alimentare di tutti i giorni per tuffarsi in un mondo di fantasia e libertà che non ha eguali.
Faccio degli hamburger buonissimi, piuttosto simili a quelli che si mangiano in America, dal sapore molto più ricco e appetitoso di quello delle “svizzere” che quando ero bambina mi cucinava la mia mamma e che risultavano sempre asciutte e gommose.
Negli Stati Uniti fanno di un hamburger un piatto non solo gustoso, abbondante, vario e ipercalorico, ma un vero pasto completo… anzi spesso due!
Gli Americani riescono ad infilare in un panino un intero pasto e aggiungono anche patate e cipolle fritte, il più delle volte a fianco.
È stato a San Francisco, durante il primo viaggio negli Stati Uniti che ho avuto un incontro ravvicinato del terzo tipo con uno di questi mostri.
Un’esperienza che mi ha segnata per sempre, seconda solo all’assaggio dei peperoni Habanero fritti a Palm Springs.

20140106-102410.jpgQuella prima volta era più il cibo che dovevo raccogliere con le mani dal piatto di quello che addentavo, perché ad ogni boccone sfuggivano dalle due fette di pane a rotazione: bacon croccante, cipolle rosolate, formaggio Cheddar (quello giallo), lattuga, carne tritata, fette di pomodoro e di cetriolo. Il tutto moltiplicato per tre, a formare un’incredibile torre di puro, saporitissimo colesterolo sormontato persino da un uovo fritto.
È stato come assaporare in una volta sola l’intero menù di un normale Family Restaurant!
Quando voglio ripetere a casa quell’esperienza, ovviamente sono molto più moderata e i miei hamburger sono proprio squisiti.

Quello che bisogna ricordare per ottenere 4 “polpette” succulente e saporite, proprio American Style, è il suggerimento di acquistare 450 gr di eccellente carne di manzo e farla macinare al momento.
Si mette in una ciotola, si uniscono 1 salsiccia spellata e 1 cucchiaio di pancarrè frullato, si insaporisce poi con 1 scalogno tritato molto finemente, 1 tuorlo, 1 spruzzata di salsa Worcestershire, 1 pizzico di sale e di pepe, 1 di aromi misti per arrosto e si lavora a lungo l’impasto con le mani umide.
Si divide in 4 parti e si da ad ognuna la classica forma di hamburger. Si cuociono sulla griglia, sulla piastra o in padella.
Si tagliano a metà 4 burger buns (i classici panini tondeggianti da hamburger), si scaldano sulla piastra, si spalmano di maionese e senape nella parte inferiore, si aggiungono 1 bella foglia di lattuga, 1-2 fette di pomodoro e qualche fettina sottile di cipolla dolce.
Si appoggiano sopra gli hamburger e si completano con 2 fettine di cetriolo in agrodolce, ketchup e altra maionese, si coprono con l’altra metà dei panini e si addentano. Con grande soddisfazione.

Volendo si possono arricchire ulteriormente con qualche fettina di bacon croccante e 1 fetta sottile di formaggio tipo Edamer o Emmental. Se ce ne fosse bisogno…

Aspic di frutti di bosco

Quando ho ospiti evito sempre di concludere la cena con una macedonia.
Non c’è un vero perché, la macedonia anzi mi piace molto, ma preferisco offrire la frutta, quando è prevista, in un’altra forma, cercando sempre qualche idea elegante.
A volte la servo semplicemente affettata su un vassoio e spolverizzata di zucchero a velo, a volte cotta con le bucce degli agrumi e il vino rosso, ma la presentazione di maggior effetto è senza dubbio l’aspic di frutti di bosco in mono porzione. Colpisce sempre molto.

20140105-100910.jpgLa realizzazione di questo luminoso e colorato fine-pasto è semplicissima, il che non guasta mai.
Si lavano brevemente lamponi, mirtilli, more, ribes e fragoline di bosco (se le trovate, se no vanno bene anche normali fragole piuttosto piccole) e si tamponano delicatamente per asciugarli..
In un tegamino si fanno sciogliere 100 gr di zucchero in 1/2 litro di vino Moscato, si spegne il fuoco e si aggiungono 5 fogli di gelatina prima ammollati in acqua fredda.
Si mescola e si versa un po’ di questo composto sul fondo di 6 stampini.
Al loro interno si distribuiscono i vari tipi di frutti di bosco e si versa il resto della gelatina che si inserirà negli spazi tra i frutti.
Si conservano in frigo fino al momento di servirli.

Magari lo zucchero con il Moscato che è già dolce, vi sembra troppo abbondante, ma ricordate che i frutti di bosco sono piuttosto asprigni e qui sono al naturale. Secondo me la proporzione è perfetta, ma eventualmente regolatevi secondo il vostro gusto.
Come al solito per sformare questi piccoli aspic senza problemi, occorre immergere per qualche secondo gli stampini in acqua calda prima di capovolgerli.
Si possono anche decorare con un rametto di menta, la mia sul balcone è ancora bella.
Facile, no?

I tortellini di Valeggio

Tutti conoscono i tortellini: una squisita pasta il cui ripieno varia da Regione a Regione.

20140104-094316.jpgQuelli di Valeggio sul Mincio (in provincia di Verona), sono di antichissima origine e si differenziano da tutti gli altri per la loro pasta all’uovo sottilissima che racchiude un ripieno delicato.
Pare si possano far risalire al Milletrecento, quando Giangaleazzo Visconti, Signore di Milano si accampò con le sue truppe sulla sponde del fiume Mincio, emissario del Lago di Garda.
Siccome noi Veronesi siamo dei gran sentimentali (pensate a cosa siamo riusciti a fare con la storia di Romeo e Giulietta!) abbiamo confezionato una leggenda su misura che parla del valoroso Capitano Malco e della bella ninfa del fiume Silvia di cui si era invaghito, che gli avrebbe lasciato come pegno d’amore eterno un fazzoletto giallo di seta teneramente annodato.
Questa non è che una veloce sintesi della loro storia d’amore, ma in fondo il mio è un blog di cucina!
Ogni anno per celebrare questo romantico avvenimento, sul Ponte Visconteo di Valeggio sul Mincio si allestiscono due lunghissime tavolate che possono ospitare fino a 4.000 commensali, dove si possono gustare quelli che vengono chiamati localmente Nodi d’amore, tortellini la cui pasta è sottile come un fazzoletto di seta…
E questa è la storia, anzi la leggenda.
Volendo essere prosaici e pragmatici, questa è invece la ricetta.

Per la sfoglia occorrono 700 gr di farina, 4 uova intere, 1/2 bicchiere d’acqua e 1 pizzico di sale.
Si lavora molto a lungo e poi si fa riposare.
Nel frattempo in un tegame si fa imbiondire 1 cipolla con 2 cucchiai di olio, si uniscono 200 gr di polpa di manzo, 200 gr di filetto di maiale, 200 gr di petto di pollo tritati e 2 fegatini di pollo affettati sottili.
Si sala, si aggiungono gli aghi di 1 rametto di rosmarino, 1 grattata di noce moscata, 1 macinata di pepe, 1-2 chiodi di garofano, si sfuma con 1/2 bicchiere di vino Bardolino e si porta a cottura.
Si lascia raffreddare, si eliminano i chiodi di garofano e poi si frulla il composto con 100 gr di prosciutto crudo a listarelle, 50 gr di pane raffermo grattugiato, 100 gr di Parmigiano e 1 tuorlo. Si fa una palla e si conserva al fresco.
Nel frattempo si tira la pasta assottigliando la sfoglia al massimo. Si può usare il mattarello o la macchinetta, l’importante è che diventi un velo.
Si ritaglia in quadrotti di 4-5 cm di lato. Su ognuno si appoggia una “nocciola” di ripieno e si ripiega la pasta su se stessa ottenendo un triangolo che si sigilla bene premendo i bordi con la punta delle dita. Si uniscono quindi i due angoli estremi intorno alla punta del dito indice, sormontandoli leggermente e si pizzicano alla congiunzione per farli aderire.
Si rivolta all’indietro l’angolo libero e sono pronti.
Ma che ve lo dico a fare?! Siete sicuramente tutti più bravi di me!

I tortellini di Valeggio si mangiano in brodo (meglio se di cappone) o asciutti con burro e salvia e abbondante Parmigiano grattugiato, mai conditi con il ragù di carne o con altri sughi di fantasia perché data la loro delicatezza non si prestano ad essere rimestati.

Crostatine a colazione

Oggi niente di speciale, di stravagante o di regionale: la ricetta è una delle più semplici, quella delle crostate alla marmellata… però mignon. Per la colazione. O per un tè. O per un momento di pausa da prendersi quando se ne ha bisogno.

20140103-113113.jpgOgnuno fa la pasta frolla a modo suo. Credo non esista un’unica ricetta ideale, le varianti sono senz’altro minime, ma ci sono.
Io stessa a seconda della preparazione che ho in mente, la cambio sempre un po’, come dicevo il 19 novembre, quando abbiamo parlato delle frolline di Santa Lucia.

La pastafrolla per queste crostatine la faccio con 220 gr di farina, 80 gr di zucchero, 120 gr di burro, 1 uovo intero, 1 pizzico di sale e la scorza grattugiata di 1 limone.
La impasto velocemente, faccio una palla e la metto in frigo una mezz’oretta. Quando la riprendo, la tiro con il mattarello e ritaglio con un coppapasta 12 dischetti con cui fodero gli stampini da muffin imburrati.
Io preferisco utilizzare anche i pirottini di carta al loro interno perché una volta cotte le crostatine si presentano meglio.
Bucherello il fondo con una forchetta e in ognuna metto 1 cucchiaiata di marmellata. Stavolta ho scelto quella di arance, ma poteva essere anche di limoni.
Rimpasto velocemente i ritagli e con un piccolo taglia biscotti ricavo 12 stelline. Le posiziono sulle crostatine e inforno a 180 gradi per 20 minuti.

Per queste tortine monoporzione ho preferito una marmellata di agrumi, ma sarebbe andata bene anche la confettura di susine Mirabelle o di fichi con le mandorle.
A me piacciono così, con un sapore non proprio solito come quello delle classiche crostate con la confettura di albicocche, ciliegie o pesche, ma è una scelta personale.