Chiamiamolo pure Risotto con il tastasal

Chissà quante critiche, commenti e suggerimenti susciterà questa ricetta!
Il risotto con il tastasal (o italianizzato: tastasale) è una specialità sia Mantovana che Veronese, le ricette quindi sono molte e diverse fra loro perché anche i Comuni delle due Province citate hanno una loro versione.
Il tastasal è carne di maiale macinata aromatizzata e speziata, il composto insomma che si usa per fare il salame.
Dalle nostre parti si trova in vendita nelle salumerie più tradizionali, quelle per intenderci che vendono anche il baccalà (quello salato) e lo stoccafisso (quello essiccato), le olive nei barili, le aringhe e le acciughe sotto sale, la soppressa, tutti quei prodotti insomma di cui si va perdendo memoria.
Dunque, tanto per non litigare con nessuno, diciamo che quella che vi do è la ricetta del MIO risotto con il tastasal, molto apprezzato sia in famiglia che tra gli amici.
Eccolo qua.

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Faccio appassire una piccola cipolla con una noce di burro. Prima che imbiondisca troppo aggiungo 300 gr di tastasal sgranato con una forchetta e lo lascio rosolare.
Sfumo con 1/2 bicchiere di vino bianco. Faccio evaporare.
Aggiungo un trito finissimo di rosmarino, 1/2 cucchiaino di cannella in polvere e porto a cottura.
Verso 400 gr di riso (Carnaroli o Vialone Nano), lascio insaporire rimestando con cura perché i chicchi assorbano il grasso profumato, copro con qualche mestolo di brodo, aggiungendone altro se occorre, fino a cottura ultimata.
Fuori dal fuoco incorporo un’altra noce di burro e abbondante Parmigiano.
Manteco e servo, facendo contenti tutti i commensali.

Il fatto che abbia omesso di salare non è una dimenticanza: il tastasal e il brodo sono salati più che a sufficienza, ma nonostante il sapore intenso del piatto, personalmente aggiungo alla mia porzione una bella macinata di pepe nero.
Se voleste provare questa ricetta ma vi risultasse difficile reperire il tastasal potete tranquillamente sostituirlo con lo stesso peso di salsiccia Trevisana o di luganega spellate e battute a coltello e procedere come ho descritto.

Un nuovo arrosto farcito

Avevo promesso (o minacciato) che prima di Natale avrei proposto altri arrosti conciati per le Feste…!
Eccone dunque uno nuovo, creativo e squisito. Dovete amare però i contrasti di sapore.
Quello di oggi è un classico della cucina del Nord: un filetto di maiale farcito di prugne, un taglio di carne saporito e relativamente economico, che preparato secondo la mia ricetta non ha niente da invidiare alla più pregiata fesa di vitello o al filetto di manzo.

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Per prima cosa, già la sera precedente si lasciano in infusione con 1 bicchierino di Cognac e 1 di Marsala 10-12 prugne secche denocciolate.
La mattina successiva avranno assorbito tutto il liquido alcolico e saranno belle gonfie.
Una per una andranno avvolte in una fogliolina di salvia fresca e poi in 1/2 fettina di pancetta affumicata e tenute al fresco fino al momento di utilizzarle.
Si mettono sul piano di lavoro, sopra un foglio di carta forno, circa altri 200 gr di pancetta affumicata, a fettine sottili, ben accostate fra loro.
Si pratica un taglio profondo nel senso della lunghezza in un filetto di maiale intero di circa 1 chilo.
Si appoggia la carne sulla pancetta, si spalma l’interno del taglio con 1 cucchiaino di senape miscelato con 1 cucchiaino di miele e si riempie con le prugne.
Si accostano i due lembi del taglio e si avvolge il carré nella pancetta aiutandosi con la carta forno.
Si lega con diversi giri di spago da cucina e si fa dorare con olio e burro in una teglia da forno non troppo grande, nella quale l’arrosto ci stia di misura.
Si sfuma con 1/2 bicchiere di vino bianco, si aggiungono 1 grossa cipolla affettata, 2 mele private del torsolo, tagliate in quarti ma non sbucciate, 2 rametti di rosmarino e 2 spicchi d’aglio.
Si bagna con 1 mestolo di brodo e si inforna a 180 gradi per circa 1 ora.
Si gira un paio di volte durante la cottura ed eventualmente si copre con l’alluminio perché la pancetta non si abbrustolisca troppo. Se occorre si aggiunge ancora un po’ di brodo.
A cottura ultimata si toglie l’arrosto, lo si libera dello spago e si lascia leggermente intiepidire prima di affettarlo e disporlo sul piatto da portata.
Nel frattempo si frulla il fondo di cottura e si passa al setaccio per versarlo in salsiera e servirlo a parte.

Provate a completarlo con un’insalata di spinacini, cipollotti freschi, sedano e mele condita semplicemente con aceto balsamico, olio, pepe e sale: gli darà un fresco contrasto croccante molto gradevole.

Reginette con porri, salsiccia e brie

20131208-112321.jpgQuesto è proprio un piatto della festa, dunque buona domenica a tutti!
È ricco, intrigante, pieno di sapore, decisamente ipercalorico. Quindi facciamolo adesso, in un momento in cui ci stiamo più o meno tutti rimpinzando di succulente leccornie, così poi, pentiti, faremo penitenza una volta sola all’inizio dell’anno nuovo. Vi pare una buona idea?
Per la ricetta di oggi ho scelto le reginette (reginelle o mafaldine) perché questa pasta lunga dai bordi ondulati è molto raffinata, anzi si può definire proprio “regale” dato che fu dedicata alla Principessa Mafalda di Savoia ed è adatta sia ai sughi semplici che a quelli più aristocratici.
Questo è caratterizzato da una particolare eleganza e da una rustica armonia di sapori. La scelta poi di servirla al cartoccio rappresenta un divertimento in più.

Si mondano e si affettano due porri e si fanno appassire in un tegame con olio e burro.
Si aggiungono 250 ml di panna da cucina, si sala, si mescola, si mette il coperchio e si cuoce per una decina di minuti. Devono risultare morbidi.
Si spellano, si tagliano a tocchetti e si fanno rosolare in un’altra padella con un’idea di burro 200 gr di salsicce e poi si sfumano con 1/2 bicchiere di vino bianco.
Quando è evaporato si trasferiscono col loro sugo nella casseruola dei porri, si aggiunge abbondante pepe nero e si condiscono 300 gr di reginette lessate al dente.
Si distribuiscono in 4 rettangoli di carta forno, si cospargono con 200 gr di Brie a dadini, 4 cucchiate di parmigiano grattugiato, si chiudono e si infornano a 220 gradi per 5 minuti.
Quando si tolgono i cartocci dal forno, si appoggiano sui piatti individuali e ognuno si apre il suo in tavola.

Ocio al vapore che esce dai cartocci.

Aspettando Babbo Natale

Ci sono tante di quelle cose da fare aspettando Babbo Natale!
Bisogna decidere il menù per il pranzo, fare la lista dei regali ancora da acquistare o cominciare a impacchettare quelli già comprati per esempio alle Fiere o ai Mercatini dell’Antiquariato, scrivere la letterina coi propri desideri, scegliere la tovaglia e le candele, pensare al centro tavola, preparare i segnaposti personalizzati…
Confrontate con altre attività tipiche del periodo (come portare giù dalla soffitta i decori per l’albero, i festoni, gli addobbi e le statuine del Presepe), sembrerebbe che queste non richiedano un grande dispendio di energie, ma secondo me conviene comunque, a metà mattina o a metà pomeriggio, fermarsi un attimo sia per aprire il cassettino giusto del Calendario dell’Avvento, che per sgranocchiare due “Brutti ma buoni” con una tisana, una tazza di tè o un caffettino.

20131207-134702.jpgI Brutti ma buoni sono irresistibili biscottini friabili, leggeri e squisiti che si preparano facilmente e non durano mai a lungo…
Sono anche l’idea giusta per quei famosi doni fai da te che stiamo cercando in molte. Sistemati in una bella scatola di latta, come già suggerito da qualche amica blogger, o in una piccola biscottiera di vetro oppure accompagnati da una di quelle belle tazze da tè Inglesi da collezione, diventano un regalo affettuoso e personalizzato.
Vi dico subito come li faccio io così se vi va avete il tempo di testarli prima di Natale.

Faccio leggermente tostare in forno 250 gr di nocciole spellate e poi le frullo irregolarmente in modo che solo una parte si polverizzi e il resto risulti tritato grossolanamente.
Monto a neve fermissima 5 albumi con 1 pizzico di sale. Un po’ alla volta aggiungo 250 gr di zucchero vanigliato e infine incorporo alla meringa il trito di nocciole.
Mescolo senza che il composto si smonti e servendomi di un cucchiaino ne deposito dei mucchietti sulla placca del forno foderata di carta forno leggermente imburrata, distanziandoli un pochino. Con queste dosi dovrebbero venirvi circa 40 biscottini.
Inforno a 140 gradi per 20-25 minuti finché la superficie risulta appena dorata.

Staccateli solo quando si saranno raffreddati e (se ce la fate) conservateli in un contenitore ermetico o fatene dei graziosi sacchettini con il cellophane e pensate a chi regalarli.

Minestra con le castagne

L’anno scorso, più o meno in questo periodo, ho organizzato una cena con i miei quattro cugini (due maschi e due femmine), mogli e mariti, che nonostante siano quanto di più vicino a dei fratelli io possa immaginare, vedo raramente.
Penso succeda in tutte le famiglie: ognuno ha impegni, interessi, passatempi, svaghi, passioni e preoccupazioni diverse e finisce che tutto questo ci fa prendere nel tempo strade diverse, che ci allontanano.
Comunque, in occasione di quella riunione di famiglia ho preparato una deliziosa vellutata di castagne che mi è tornata in mente mentre frugavo in archivio alla ricerca di altre idee da condividere con voi.
Trovo che servire a cena una vellutata, una zuppa o una minestra sia un’abitudine raffinata e molto gradevole, specialmente d’inverno, per prepararsi ad un secondo ghiotto e succulento, lasciando un po’ di posto anche per il dessert.

20131206-122734.jpgLa mia minestra di castagne la faccio così:

– per prima cosa preparo i “peladei” sbucciando a crudo e poi lessando in acqua salata 600 gr di castagne o marroni con abbondante salvia fresca;
– affetto 1 cipolla bianca e la faccio appassire a fuoco dolcissimo con poco olio, salo appena e se si asciuga troppo in fretta, aggiungo qualche cucchiaiata d’acqua;
– quando è morbida metto nella pentola 150 gr di prosciutto crudo tritato a coltello e lascio insaporire;
– sbuccio 800 gr di patate e le taglio a cubetti, le unisco alla cipolla con gli aghi di 2 rametti di rosmarino e le castagne cotte;
– rimescolo, pepo abbondantemente e copro con 1 litro di brodo vegetale;
– lascio cuocere col coperchio finché le patate risultano tenere (40 minuti circa);
– aggiungo 250 ml di panna da cucina e col frullatore a immersione ottengo una crema;
– la servo caldissima accompagnata da crostini.

È una minestra straordinaria, densa e saporita, perfetta per questa stagione.
È anche assolutamente semplice, se si esclude la preparazione dei peladei che invece è decisamente complicata.
Come dicevo le castagne vanno pelate da crude, liberandole dalla buccia esterna ma lasciando il delicato rivestimento vellutato che avvolge il frutto e andrà rimosso a cottura ultimata.
È un lavoraccio, concordo, al quale si può ovviare utilizzando delle castagne cotte al forno, tipo caldarroste, ma vi verrà a mancare il caratteristico aroma della salvia che impregna i peladei.
Comunque, la vellutata di castagne è una minestra squisita, un po’ antiquata, povera e insieme raffinata, insolita ma di antica tradizione contadina.
L’ho trovata perfetta per una riunione di famiglia.

Siamo nati per soffri(gge)re!

Il proverbio recita: siamo nati per soffrire, ma fortunatamente anche per soffriggere, o ancora meglio per friggere!
Friggere è un’arte che necessita di un’abilità che non tutti possiedono e richiede attenzione, esperienza, colpo d’occhio, misura, entusiasmo, una cucina ben aerata e un fegato in condizioni perfette.
Dovessi stilare l’elenco dei cibi che preferisco, i fritti sarebbero al primo posto, a partire dalle polpette della mia mamma fino alla tempura. Dipendesse da me, friggerei tutto.
Il fritto è secondo me quanto di più buono esista al mondo, ma deve essere perfetto o sarà impresentabile e indigesto.
Un esempio di fritto senza confronti e senza confini è questo: fragrante, leggero, asciutto e squisito.

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Scampi, calamari e verdurine fritti in pastella. Un piatto perfetto.
Ma non chiedetemi di rifarlo! Non adesso che non si possono tenere le finestre aperte a lungo o avrò tutta la casa che odora di fritto, di ghiotto, prelibato, delizioso, fastidioso fritto misto fino a Natale!
C’è una pastella appropriata per ogni tipo di fritto e oggi vorrei parlarvi proprio di come la mia esperienza, dopo tanti tentativi, mi permetta di scegliere sempre la più adatta.

La pastella semplice è quella che uso generalmente per le verdure (carciofi, melanzane, zucchini): 200 gr di farina e 100 ml d’acqua tiepida.
La pastella all’olio è perfetta per la carne bianca a bocconcini (pollo e coniglio): 1 uovo leggermente battuto, 2 cucchiai d’olio, 250 gr di farina, 300 ml acqua tiepida.
La pastella al lievito è adatta al baccalà, ai tranci di pesce in generale, alla frutta e ai fiori di zucca ripieni: 200 gr di farina, 200 ml di acqua tiepida, 2 cucchiai di olio, 1/2 cubetto di lievito di birra e dopo la lievitazione 2 albumi montati a neve.
La tempura è diventata la mia preferita perché è molto versatile, adatta ai funghi, gli anelli di cipolla, i crostacei, le seppie, i calamari: 100 gr di farina, 100 di fecola (o maizena o farina di riso), 100 ml di acqua gassata e 100 ml di birra entrambe gelate.

Questa più che la solita ricetta alla quale vi ho abituati sa più di lezione base di cucina, vero? Ma che dire di quel piatto di fritto della fotografia? Parla da solo!

Quando non sai cosa cucinare, fa’ la Puttanesca

La Puttanesca è un sugo sapido e appetitoso, che si prepara nel tempo che occorre alla pasta per cuocere. Meglio di così!
È una di quelle soluzioni last minute che risolvono una cena improvvisata, proprio come Aglio, olio e peperoncino, la Carbonara, Cacio e pepe, quei sughi insomma che anche se si preparano in poco tempo sono comunque stuzzicanti e goderecci.
Come per molti altri piatti, le ricette sono tante quante le loro varianti.
Facciamo come al solito: io vi dico come la preparo a casa mia e voi magari mi parlate della vostra versione. D’accordo?

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In 4 cucchiai di olio faccio imbiondire 2 spicchi d’aglio schiacciati, li tolgo e metto nella casseruola 1 barattolo di pelati sgocciolati e tagliati grossolanamente a pezzi, aggiusto di sale, pepe e peperoncino e faccio asciugare il sugo a fuoco alto rimestando col cucchiaio di legno.
Aggiungo 2-3 alici a pezzetti, 1 scatoletta media (da 160 gr) di tonno sgocciolato, 1 cucchiaio di capperi sciacquati, 1 decina di olive nere a pezzetti e del prezzemolo tritato.
Appena questi ingredienti aggiunti per ultimi si sono scaldati, il sugo è pronto.

È veramente un sugo che si prepara nel tempo che occorre a cuocere gli spaghetti che andranno generosamente conditi con questo intingolo invitante e piccantino.
Ovviamente anche oggi ho un segreto dello chef da condividere: fuori dal fuoco aggiungete al condimento qualche cucchiaiata di grana grattugiato, che assorbirà la parte più unta della salsa e la legherà perfettamente alla pasta.
Fidatevi. E se non vi fidate… provate!

Un pic nic in casa

Ci sono alcune occasioni in cui anziché il pranzo della domenica classico e consueto, è meglio offrire una specie di pic nic… placè.
Qualche settimana fa, per esempio, le circostanze della riunione di famiglia suggerivano proprio una soluzione di questo tipo.
Eravamo nove persone, di tre generazioni, e tutti ci siamo goduti un pranzo freddo, già servito in tavola: così anche la padrona di casa (che come avrete capito ero io) è potuta restare seduta con gli altri per tutta la durata del pasto.
Ed è stato bellissimo.
L’abbondanza e la qualità del cibo non ne hanno certo risentito ed è stato anzi un modo molto informale e conviviale di pranzare festeggiando un compleanno.
Avevo preparato una grossa pissaladière, una pie di sfoglia (di cui vi ho dato le ricette rispettivamente nei post del 6 luglio e dell’11 giugno), una “pizza” pomodorini e scamorza, una ricca, classica insalata nizzarda e il vitello tonnato, servito con sottoli e sottaceti.
Anche dell’insalata Nizzarda abbiamo più o meno già parlato e la pizza classica la sapete fare di sicuro, quindi non mi resta che descrivere il mio vitel tonnè, come lo chiamava la mia mamma, ritenendo che la denominazione francese giustificasse un piatto non quotidiano, raffinato ed elegante. Il mio papà ne andava pazzo.
Anche per me il vitel tonnè è rimasto un piatto simbolo delle occasioni speciali, dei pranzi di compleanno e dei festeggiamenti in generale.
Ho molte ricette e conosco diversi modi per prepararlo, ma il più antiquato, banale, familiare e soddisfacente è quello di cui vi do la ricetta. Senz’altro il vostro sarà anche più buono, ma il mio parla di casa, di tradizioni e di affetti.

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Si fanno lessare 1200-1400 gr di girello di vitello, privato di tutte le cartilagini, con 1 gambo di sedano, 1/2 cipolla piccola, 1 carota, 1 foglia di alloro, 1 chiodo di garofano, 1 pezzetto di buccia di limone, 1/2 cucchiaino di sale grosso, 1 bicchiere di vino bianco e l’acqua sufficiente a coprire appena la carne.
Ci vorrà un po’ più di 1 ora perché sia cotta a puntino, tenera e morbida.
Si lascia raffreddare nel suo brodo, poi si scola e si mette in frigorifero meglio fino al giorno successivo: per essere tagliata a fette sottili infatti deve essere molto fredda e compatta.
Si prepara nel frattempo la salsa tonnè. Si frullano 2 scatolette piccole di tonno sgocciolato insieme a 1 tazza di maionese, 1 cucchiaiata di capperi sciacquati, 2 acciughette sott’olio, 1 pizzico di pepe bianco e 1/2 bicchiere di liquido di cottura filtrato.
Quest’ultima aggiunta è fondamentale, una sorta di segreto dello chef che infonde un particolare sapore di fondo, non riconoscibile ma avvertibile, alla salsa.
Salsa che deve risultare densa e cremosa (che eventualmente si aggiusta aggiungendo altro liquido o altra maionese, secondo necessità) con la quale si coprono generosamente le fettine di vitello allineate leggermente sormontate su un grande piatto da portata.
Si completa decorando con qualche cappero e servendo a parte carciofini, funghetti e cetriolini. Come una volta.

Ricetta da tener presente anche per le prossime Feste, perché… dai diciamolo in coro: fra poco è veramente Natale!

Radicchio e pancetta: un connubio irresistibile

Che è la stagione del radicchio rosso, nelle sue diverse varietà, l’abbiamo già detto anche il 30 ottobre, quando con burrata e prosciutto era diventato un condimento caldo/freddo perfetto per le mezze penne. E le mezze stagioni.
È inoltre l’ortaggio che utilizzo di più per i miei piatti unici (che riduttivamente chiamo insalate, ma ormai ci capiamo), perché la sua consistenza leggermente croccante e il suo sapore lievemente amarognolo lo rendono l’elemento giusto da abbinare agli altri ingredienti che di volta in volta utilizzo per completare il piatto.
Ma quando fa freddo come ieri, e anche oggi in realtà, più di un’insalata è meglio prepararsi come piatto unico a pranzo qualcosa di caldo ed ecco che il radicchio rosso (in questo caso nella qualità Verona) diventa il protagonista di un involtino speciale e molto saporito.

20131202-115012.jpgSi tagliano a metà dei bei cuori di radicchio lasciando parte della radichetta e come sempre si lavano bene cambiando l’acqua più volte; come diceva mia nonna almeno tre: una per la terra, una per il concime e una per le mani del contadino!
Si asciugano e per facilitare il posizionamento del ripieno, si pratica all’interno un taglio verticale senza arrivare fino alle foglie più esterne.
Si farcisce ogni mezzo cuore con un pezzetto di formaggio Asiago delle dimensioni di un dito, tanto per capirci, aggiungendo 1/2 cucchiaino di pinoli tostati in un padellino antiaderente, sale e pepe.
Si richiude ogni radicchio su se stesso e si avvolge in una fetta di bacon che oltre a dare sapore, terrà insieme il tutto. Non occorre lo stuzzicadenti perché il bacon si sigillerà da solo con il calore.
Si allineano tutti gli involtini in una pirofila, di aggiunge un filo d’olio e si inforna a 200 gradi per 8-10 minuti: la pancetta deve risultare bella rosolata.

Meglio di un’insalata, no?!
Io ho utilizzato l’Asiago, ma è una ricetta squisita anche con il Monte Veronese. In altre zone la scelta potrà cadere sul Caciocavallo, la Fontina, la Provola (magari affumicata) o comunque su un formaggio saporito, che si fonda senza squagliarsi.