Spaghettoni integrali col tonno

Da un po’ stiamo mangiando spesso la pasta integrale, nel tentativo di trarre vantaggio dai benefici che pare questo alimento garantisca: dona un senso di sazietà maggiore, rallenta l’assimilazione dei grassi e degli zuccheri ed è quindi indicata per il controllo del peso. Inoltre contiene vitamina E, antiossidante e anti-age e vitamine del gruppo B.
E non è neanche cattiva come ci si aspetterebbe da qualcosa che fa così bene…
Inoltre ha talmente tante proprietà e contiene una tale infinità di garanzie per una vita sana ed equilibrata, che pare impossibile che un pacco da mezzo chilo non pesi più di quelli di pasta normale.
Quindi per cercare di non vanificare i vantaggi che derivano dal consumo delle fibre e di tutto il resto contenuto nella pasta integrale, cerco di condirla con sughi che rispettino le sue caratteristiche.
A volte il risultato visivo non è granché soddisfacente. Per esempio questo sugo di tonno ha finito con l’avere la stessa sfumatura di beige della pasta, ma era comunque molto profumato e molto saporito e magari soddisfa anche i patiti del “tono su tono”.

20150226-005951.jpgFaccio imbiondire in poco olio 2 spicchi d’aglio schiacciati e 1 cipolla bianca tritata. Unisco 4 alici sott’olio spezzettate e le faccio sciogliere a fuoco basso.
Aggiungo 1 foglia di alloro e il contenuto sgocciolato di 2 scatolette medie di tonno al naturale.
Insaporisco con una macinata di pepe, il succo di 1/2 limone e qualche pezzetto di scorza.
Cuocio per una decina di minuti mantenendo il fuoco piuttosto allegro e mescolando spesso.
Elimino l’aglio, l’alloro, le scorzette e aggiusto eventualmente di sale.
Condisco 150 gr di spaghettoni integrali aggiungendo un filo d’olio crudo e spolverizzando di pepe appena macinato.

Se si passa sopra alla monocromaticità del piatto, il piatto stesso garantisce un sapore intenso e gradevolissimo che soddisferà anche i palati più scettici… come il mio.

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8 marzo

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Buona domenica a tutte le amiche che mi seguono e un pensiero speciale alle donne meno fortunate di noi.

Dal Capitolo 3 di U.S.A. e Jet

20150306-190339.jpgNel 1987 ci siamo divertiti a posare per questa foto sulla spiaggia di Santa Monica, ma a Los Angeles succede anche altro…

“A noi è capitato due volte di smarrirci nel Downtown di Los Angeles dopo il tramonto e di ritrovarci in mezzo a tossici e homeless radunati intorno a grossi bidoni che fungevano da bracieri, con accanto un carrello del supermercato contenente tutti i loro beni terreni.
La prima volta, nel 1987, pareva proprio un film di Tim Burton: in cinque su una station wagon Oldsmobile, seguiti dai restanti otto del gruppo in un minivan della Ford, vedevamo sopra le nostre teste i cavalcavia che avrebbero dovuto riportarci sulla Interstate I-405, ma che non riuscivamo ad imboccare. I guidatori erano piuttosto allarmati, i bambini nervosi, le mogli ammutolite, la nonna soprattutto preoccupata per i souvenir degli Universal Studios. Impossibile fermarsi a chiedere indicazioni per non rischiare che durante la sosta ci smontassero i cerchioni, ci obbligassero a consegnargli gli Swatch e ci offrissero di condividere uno spinello, rischiando che si offendessero se rifiutavi.
La seconda volta, diciotto anni dopo, ci siamo smarriti più o meno nella stessa area, ma con più disinvoltura: eravamo solo noi due, quindi non sentendoci responsabili nei confronti di nessun altro, siamo passati e ripassati attraverso la jungla metropolitana degli emarginati fingendo noncuranza, fino a quando non ci siamo casualmente immessi nel Wilshire Boulevard, che ci ha miracolosamente portati fuori dalla zona a rischio. Ricordate sempre che quei pazzeschi incroci a doppio quadrifoglio che vediamo nei film ambientati a L.A. non sono degli effetti speciali!”

20150307-002706.jpg(Foto presa dal Web)
Questo è un assaggio del capitolo 3 (EI VI EI EN ZI AI – lo spelling del nostro cognome) del mio nuovo libro.
28 anni fa, come si vede nella foto, anch’io sfoggiavo un fisico da bagnina di Bay Watch e mio marito sembrava Magnum P.I.
Come diceva Sordi: a noi ci ha rovinato ‘a guera!

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Ciabatta rustica con sgombro e caprino

Oggi l’intenzione era quella di preparare una Tuna Salad (post Insalata di tonno al formaggio del 16/07/14 e post Insalata di tonno del 27/09/14), ma mentre prendevo il tonno nel cassetto grande come la caverna dei 40 ladroni di Ali Babà dove tengo lo scatolame, ho trovato una scatoletta di sgombro sott’olio e ho cambiato idea.
In cucina non ci si deve mai fossilizzare, ma sperimentare, rinnovarsi, ricordare.
Circa mille anni fa preparavo spesso questo panino, che poi è stato dimenticato. Oggi però è diventato il protagonista del mio pranzo veloce.

20150222-165519.jpgOccorre un trancio abbondante di ciabatta croccantissima.
Si taglia a metà (per imbottirla) e si spalma sulla parte inferiore circa 1/2 cilindretto di formaggio caprino fresco. Se preferite un sapore più delicato potete usare anche quello di latte vaccino.
Si sgocciola lo sgombro e si spezzettano con la forchetta i filetti più grandi, si appoggia sul caprino e si completa con qualche rametto di rucola (che si può sostituire anche con alcune foglie di valeriana o degli spinacini teneri se la rucola non vi piace), 2-3 fette di pomodoro, poca cipolla tagliata a velo e si copre con l’altra metà del pane.

La ricetta è tutta qui. Non è particolarmente originale, ma è sfiziosa, fresca e dal sapore deciso.
A me piace ancora molto, adesso che l’ho riscoperta e trovo che soddisfi la voglia di un panino robusto, insolito e goloso.

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U.S.A. e jet ovvero: Come sopravvivere ai viaggi fai da te in America

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Con immenso piacere e una punta di orgoglio, dopo tanto tempo che ne parlo, vi comunico che da ieri il mio secondo libro: “U.S.A. e jet ovvero: Come sopravvivere ai viaggi fai da te in America” è disponibile in diversi Store online.
Come il precedente “I tempi andati e i tempi di cottura (con qualche divagazione)” alterna episodi legati ai miei ricordi a ricette gustose e invitanti della poco conosciuta e apprezzata cucina americana.
Credo di aver saputo trasformare ogni episodio in un’avventura, quella che ho vissuto personalmente di volta in volta, con spassosi commenti, consigli utili, incredibili rivelazioni, emozioni infinite.
Scoprirete perché conosco l’Inglese piuttosto bene ma non so parlarlo, cosa mangiare a Las Vegas oltre a giocare alle Slot Machine, come guidare sulle Freeway a 6 corsie, cosa comprare a Rodeo Drive senza sforare il limite della carta di credito, perché la Pan Am è fallita, come si ordina un pasto al ristorante…
Non vi dico altro o vi rovinerei la sorpresa, ma se avete in programma un viaggio negli States non partite senza aver prima letto il mio libro, che contiene anche una sessantina di inaspettatamente gustose ricette, facili da rifare a casa.
Se negli Stati Uniti ci siete stati, potrete confrontare le vostre esperienze con le mie e divertirvi nel sentirmi raccontare a modo mio avventure che avete vissuto anche voi… senza accorgervene!
Più avanti vi preciserò anche i negozi in cui si potrà prenotare il volume senza ricorrere all’acquisto online, ma ho visto che alcuni Store lo propongono già con uno sconto. Conviene approfittarne.
Buona lettura e divertitevi!
Anzi: enjoy!

Salsa tartara e analogie bizzarre

Oggi il post lo faccio un po’ a modo mio, parlando di salsa tartara… ma partendo da lontano. Vi sta bene?
Vi mostro cosa ho trovato ieri sera sfogliando le foto di viaggio di alcuni anni fa.
A volte ho l’impressione di avere dei déjà vu, ma ci sono alcuni luoghi lontani che presentano strane e insospettabili analogie.
Vi faccio l’esempio di due località che distano tra loro più di 9.000 chilometri. Chi lo direbbe mai osservando queste due foto?
L’architettura delle costruzioni è molto simile, l’odore del mare è lo stesso, l’eleganza rilassata dell’ambiente in generale non differisce da un luogo all’altro. Eppure si tratta di due continenti diversi.

Questo è un hotel di Deauville, in Normandia, che si affaccia sulla Manica.

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Questo invece è un residence di Carlsbad, in California, che si affaccia sul Pacifico.

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Bizzarro, vero? E anche divertente.
E tra le vecchie foto dei viaggi fatti in Francia e negli Stati Uniti ho trovato altre analogie anche per quanto riguarda il cibo, che è l’argomento del mio Blog.

Ecco gli astici da asporto Bretoni.

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E quelli di Cape Ann nel Maine.

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Gli astici si acquistano in entrambe le località (e in molte altre naturalmente) semplicemente bolliti. Ti vengono consegnati tagliati a pezzi, già privati del carapace, in vaschette di cartone o in contenitori di plastica, in Francia con accanto una cucchiaiata di maionese all’aglio, negli Stati Uniti con una ciotolina di burro all’aglio, ma sempre accompagnati anche dalla salsa tartara.
Si possono gustare seduti su una panchina di fronte al mare, oppure ai minuscoli tavolini che spesso si trovano davanti alle rivendite o portarseli a casa, se si ha una casa in quelle località, anche in affitto temporaneo.
Tanto per ricordare che questo è, come dicevo, un blog gastronomico, brevemente vi dico come faccio la mia salsa tartara, mentre voi pensate a lessare gli astici…

Si fanno rassodare 3 uova, si prelevano i tuorli e si lavorano con una spatola insieme a 1 cucchiaio di succo di limone e 1 pizzico di sale.
A questo composto cremoso si aggiungono 2 tuorli crudi e si monta la salsa con le fruste elettriche unendo goccia a goccia 100 ml di olio di oliva delicato, come quello del Garda per esempio, e 100 ml di olio di arachidi, di mais o di girasole.
Quando la salsa ha raggiunto una consistenza densa e soda si incorpora un trito di prezzemolo, dragoncello, cetriolini e capperi sott’aceto, circa una cucchiaiata. Si insaporisce con 1 pizzico di pepe e si mescola delicatamente.
La salsa tartara è pronta.

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Si può conservarla in frigo 2-3 giorni, non di più.
Oltre che con gli astici bolliti ricordo che è eccezionale anche con i filetti di pesce impanato e fritto e con le polpette di granchio (crab cakes).

Pere caramellate al Roquefort

La ricetta di oggi in realtà non è quella di un vero antipasto, ma io trovo divertente servirla anche prima di cena insieme ad altri assaggi insoliti e saporiti, giusto per offrire qualcosa si diverso.
Comunque è una preparazione che si presta soprattutto ad essere portata in tavola come dessert a fine pasto, essendo un compendio di formaggio, frutta e dolce.
Mi riferisco alle pere caramellate al Roquefort, cavallo di battaglia di molte nostre cene conviviali.

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Lavo molto bene 4 pere Kaiser, che devono essere mature ma sode, e senza sbucciarle le taglio a fette.
Faccio fondere 30 gr di burro in una padella piuttosto larga e ci faccio stare le pere in un unico strato, le spolverizzo di zucchero di canna, verso 1 bicchierino di Marsala e le faccio caramellare girandole una sola volta.
Le tolgo dal fuoco e le sistemo su un piatto da portata, sopra distribuisco i gherigli di qualche noce, le foglioline di 1 rametto di timo e 250 gr di formaggio Roquefort spezzettato irregolarmente.
Le copro con il caramello e le servo tiepide o anche a temperatura ambiente.

Ecco qua. Voi come le considerereste queste pere: un antipasto o un dessert?

Polenta e renga

Finiti i festeggiamenti di ieri, rimettiamoci al lavoro condividendo una squisita ricetta Veronese tradizionale della Quaresima.
Parona è una frazione di Verona affacciata sull’Adige che ha rivestito nei secoli scorsi una grande rilevanza in quanto importante porto doganale per le merci in arrivo per via fluviale dal Nord Europa.
Ancora all’epoca del baratto, grazie al pagamento “in natura” dei barcaioli che sostavano nelle locande e osterie di Parona, l’aringa è approdata sulle rive del nostro Adige.
Il Mercoledì delle Ceneri qui tradizionalmente di festeggia il primo giorno di Quaresima con la preparazione e la vendita in piazza di un piatto eccellente e antico: l’aringa affumicata accompagnata dalla polenta.
Ci sono molte ricette per preparare “la renga” che è uno dei fondamenti della cucina povera Veronese.
Una delle migliori che abbia mai mangiato è quella che fa il nostro amico Franco, che abitando a Parona ha sempre la felice idea di invitare un gruppo di amici a festeggiare in taverna l’inizio della Quaresima preparando personalmente questo piatto squisito.

20150226-174755.jpgCi sono due modi per cuocere le aringhe affumicate, che si acquistano intere oppure a filetti sotto vuoto, decisamente molto più pratici, nei negozi che vendono il baccalà, le alici salate, le olive, i capperi sotto sale.
Il metodo più antico prevedeva la cottura delle aringhe sulla graticola posta sulle braci, ma oggi cucinarle può essere più semplice.
La ricetta di Franco, alla quale vi suggerisco di attenervi se intendere provare questo piatto straordinario, è la seguente, passo passo.
Dopo aver privato le aringhe della testa e della coda, si spellano e si fanno bollire 2-3 minuti in abbondante acqua e latte in parti uguali per togliere la troppa salinità.
Si scolano, si diliscano con cura e si spezzettano.
Si accomodano in un contenitore con il coperchio e si condiscono con abbondantissimo olio, prezzemolo tritato, aglio a fettine, capperi sott’aceto e (facoltativo) alcune falde di peperone rosso e giallo scottati sulla griglia e tagliati a striscioline.
Naturalmente più tempo si lasceranno le aringhe a macerare con questi ingredienti, più saporito risulterà il piatto.

È ovvio che “la renga” oltre che tradizionalmente il Primo di Quaresima è una specialità che si può gustare con soddisfazione durante tutto l’arco dell’anno, basta avere la pazienza di prepararla
È un piatto rustico e antico pieno di sapore, stuzzicante e deliziosamente sapido.
La indispensabile polenta che lo accompagna può essere morbida o “brustolà”, cioè passata sulla griglia, dipende dalle vostre preferenze.

Grazie di cuore

Un grazie di cuore collettivo a tutti voi che con un pensiero affettuoso, un like, un commento amichevole, oggi con i vostri auguri di buon compleanno avete fatto festa con me e condiviso la gioia di questa bella domenica.
Spegnendo la candelina della mia fetta di torta Sacher ho formulato un desiderio che vale anche per tutti voi amici di blog.
Vi voglio bene.

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Una domenica speciale

Oggi è il mio compleanno!
Compio 68 anni, molti più di quanti mi piacerebbe ricordare, ma questi ho e questi mi godo con tutto quello che si portano dietro di ricordi, gioie, amarezze, gratificazioni, sofferenze, speranze, timori, progetti, amore e soddisfazioni.
Per festeggiare, oggi mi prendo una vacanza dalla cucina e vi tengo compagnia sottoponendovi un indovinello nel quale i protagonisti sono i miei due adorati gatti.

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Perché il mio gatto Mickey si chiama come Mickey Rooney?

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Perché ha la stessa faccetta simpatica e i “capelli” rossi!

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E perché il mio gatto George si chiama come George Clooney?

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Perché ha lo stesso sguardo intenso e i “capelli” grigi!

Felice domenica a tutti quanti: la mia sarà senz’altro speciale grazie soprattutto alla mia straordinaria famiglia.