Gateau Quatre Quarts

La Torta Quattro Quarti (Gateau Quatre Quarts) è un delizioso dolce bretone, soffice e umido, reso incredibile dal burro salato caratteristico di quella Regione e della confinante Normandia.
Non sono molti, che io ricordi dopo l’unico viaggio fatto nel Nord della Francia, i dolci tipici di quelle parti che non siano a base di mele e aromatizzati col Calvados: questo è diverso, squisito, anche nella versione con le prugne.
Non è elegante come i macarons o gli zouzous, né noto come le crêpes, ma ha questa seducente aria un po’ retrò, che fa pensare al salotto buono, al vino dolce, al tè, ai piattini da dessert filettati d’oro zecchino.
In Bretagna, terra di leggende dove si dice sia nato anche il Mago Merlino, la torta Quattro Quarti rappresenta il perfetto equilibrio tra il mare e la terra: le spiagge e le scogliere, le distese di prati e le città medievali.
È fatta di soli quattro ingredienti perfettamente equilibrati come la natura autentica e la storia antica di questo luogo incantevole e incantato.
Il segreto di questo dolce sta dunque nella perfezione delle proporzioni dei suoi soli quattro ingredienti.

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Prima di tutto si pesano per esempio 4 uova, col guscio. Diciamo che sono circa 250 gr, bene, il loro peso sarà l’unità di misura per gli altri tre ingredienti principali.
Con le fruste elettriche si montano i tuorli con 250 gr di zucchero, quando risultano chiari e spumosi si aggiungono 250 gr di burro sciolto a bagnomaria ormai bello freddo e un po’ per volta 250 gr di farina setacciata con 1/2 bustina di lievito in polvere per dolci.
Si montano quindi a neve i 4 albumi con 1 pizzico di sale e si incorporano delicatamente al composto. Sapete come fare, no? Prima si unisce solo una cucchiaiata di albumi, si mescola con la spatola e poi si aggiunge il resto con delicatezza per non farlo smontare.
Si versa tutto in uno stampo rettangolare ben imburrato, si livella con la spatola e si inforna a 220 gradi per i primi 10 minuti, poi si abbassa a 200 per altri 10 e negli ultimi 25 minuti si porta a 170 gradi.
Così dovrebbe essere perfetto. È importante non cuocere troppo il dolce che deve rimanere molto morbido e piuttosto umido.

Come le crostate, è senz’altro una torta adatta soprattutto a merende e colazioni, ma se volete renderla più sofisticata e servirla come dessert dopo cena, versate nello stampo solo metà del composto, accomodate sopra 250 gr di prugne secche denocciolate e fatte rinvenire per una notte in un piatto coperte a filo con il vostro liquore preferito (qui ci vorrebbe proprio il Calvados) e copritele con la rimanente metà di composto.
I tempi di cottura sono gli stessi e in genere la sorpresa all’interno del dolce è molto gradita.
Personalmente comunque preferisco la più semplice versione originale.

Zuppa di gamberi e fagioli cannellini

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Basta guardare la fotografia ed è facile intuire come questa zuppa raffinata e golosa possa costituire un piatto oltre che di grande effetto, curioso e squisito.
E come quasi tutte le mie ricette, facilmente realizzabile.
Questa zuppa in particolare ci è stata servita a Boston, primo scalo del nostro viaggio nel New England, dove ci siamo fermati qualche giorno per una visita senza fretta, respirando la civile armonia della città moderna e le antiche testimonianze delle origini dell’America.
Qui si passeggia letteralmente nella giovane storia Americana, attraverso anguste stradine lastricate che furono percorse dai primi coloni, costeggiando antiche chiese e piccoli cimiteri, attraversando ampi viali con magnifiche case di mattoni rossi dagli eleganti bow window ed elaborati balconi in ferro battuto, o vagando per il Common, il verdissimo parco cittadino con le barchette a forma di cigno nel laghetto, dove agli albori dell’America pascolava il bestiame.
Boston è una città bellissima, a misura di noi Europei per intenderci, un po’ come San Francisco e ci si mangia in un modo divino.
Lo testimonia questa Zuppa di cannellini e gamberi, per non parlare delle molte altre ricette di crostacei che costituiscono la base della cucina di tutto il New England.

Si comincia pulendo e sgusciando 500 gr di code di gamberi e privandole del filo intestinale praticando un’incisione sul dorso.
Come sempre a me piace mantenere la codina perché è decorativa.
Si fanno imbiondire con qualche cucchiaiata di olio 2 spicchi d’aglio schiacciati e 1 peperoncino che andranno poi eliminati.
Nello stesso tegame si versano 5-6 pomodori pelati sgocciolati e a pezzetti, si salano appena, si pepano generosamente e si fanno restringere a fuoco vivace.
Si aggiungono 2 barattoli di fagioli cannellini ben scolati e si fanno insaporire brevemente prima di unire 750 ml di court bouillon (o anche di brodo vegetale) e poi le code di gambero, che cuoceranno veramente in 1 minuto.
Si completa con un trito di prezzemolo e basilico e si serve, bello ristretto, nelle ciotole piuttosto che nei piatti fondi perché il profumo di questo piatto resti più concentrato.

Come ormai sapete, le code di gambero compaiono spesso nei miei piatti, le adoro. Trovo che abbiano la stessa versatilità del pollo in fondo, ma una maggiore eleganza.
L’aggiunta del peperoncino è una nota personale, non prevista dalla ricetta originale del Massachusetts, ma ci sta benissimo.

Gnocchi di patate allo zafferano con sugo di finferli

Sapete? Ce l’ho ancora il cestino con cui il mio papà e la mia mamma andavano a funghi.
È uno dei tanti oggetti che ho conservato perché mi ricordano l’infanzia e l’adolescenza, le gite in montagna con i miei, i sabati mattina quando si partiva presto per raggiungere ogni volta uno dei posti segreti scoperti nel corso delle escursioni precedenti.
Io non ho mai imparato a riconoscere i funghi mangerecci, anzi raccoglierli mi ha sempre un po’ intimorita, ma mi divertiva molto accomodarli con cura sul fondo del cestino ricoperto di foglie.
E adoravo il modo in cui la mia mamma li preparava, leggermente diverso a seconda della varietà.
Cose successe tanti e tanti anni fa.
Anche oggi i funghi mi piacciono molto, i porcini soprattutto, ma anche i finferli. E i chiodini.
I finferli sono quei funghi che come dicevo nel post di venerdì, a seconda della regione di provenienza assumono nomi diversi non sempre facilmente decifrabili, ma che si riconoscono subito senza problemi perché sono delle trombette gialle con sotto un sacco di lamelle che si riempiono di terriccio e frammenti di foglie.
Sono infatti gli unici funghi che anche i grandi chef consigliano di lavare velocemente sotto l’acqua corrente e non solo di passare con un panno umido, strofinando delicatamente.
Io trovo i finferli eccellenti soprattutto utilizzati in modo non troppo convenzionale, a metà tra la tradizione e la creatività, impiegati per esempio nel ripieno degli arrosti, come venerdì, o nei sughi per condire la pasta, o come oggi, questi gnocchi di patate un po’ speciali.

20141003-010742.jpgGli gnocchi di patate li sapete fare tutti, no?
Questi, che potrebbero essere una specialità della Signora in giallo Jessica Fletcher, non perché siano una ricetta del Maine, ma per il colore di tutti gli ingredienti, si preparano con 1 kg di patate lessate e schiacciate, 300 gr di farina, 1 uovo, 1/2 cucchiaino di zafferano in polvere, noce moscata e 1 pizzico di sale.
Poi, ottenuto un impasto liscio e morbido ma non appiccicoso, si formano i cordoni come al solito, si tagliano a tronchetti di circa 3 cm di lunghezza, si passano sul retro della grattugia e si allineano su un canovaccio.
Il sugo con cui ho condito questi bellissimi gnocchi giallo intenso è un ragù di finferli, profumati e saporiti, facile perché bastano pochi ingredienti e una cottura semplice.
Si fanno imbiondire 1/2 cipolla tritata e 1 spicchio d’aglio grattugiato con 1 cucchiaio d’olio e 1 noce di burro.
Si aggiungono 500 gr di finferli ben nettati e tagliati a pezzetti, si salano, si pepano e si spruzzano di vino bianco. Quando è evaporato si prosegue la cottura aggiungendo 1 mestolino di brodo perché i finferli hanno bisogno di una cottura più lunga per esempio dei porcini, che è sufficiente far saltare pochi minuti.
Si lessano gli gnocchi, si scolano nella padella dei funghi e si fanno insaporire.
Si aggiunge un trito di prezzemolo e si servono passando a parte il parmigiano grattugiato.

Sì, è proprio come pensate: ho comprato un sacco di funghi.
Li ho cucinati tutti e quelli che non ho utilizzato per l’arrosto e gli gnocchi, sono finiti nel freezer.

Son soddisfazioni!

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Nel giro di un fine settimana sono stata premiata due volte con l’One Lovely Blog Award.
Questa seconda nomination la devo alla gentilezza di nicolettafrasca.wordpress.com/ che mi ha inserito in un numero molto ristretto di blogger a suo avviso meritevoli di questo premio con una motivazione che mi ha fatto molto piacere: “per la sua abilità nel rimodernare ricette dai sapori antichi”.
Come dicevo nel titolo, son soddisfazioni! Grazie Nico.
Dato che solo da qualche giorno ho espletato quasi tutte le norme per l’assegnazione dello stesso graditissimo premio, oggi mi limito a gongolare!
Un abbraccio a tutti.

Il mio pollo alla Marengo

Nella storia della mia famiglia ad un certo punto è entrato in qualche modo Napoleone Bonaparte.
Magari un giorno o l’altro vi racconto la storia della prozia Nina, andata in sposa al proprietario della tenuta divenuta Quartier Generale di Napoleone all’epoca della vittoriosa Battaglia di Rivoli Veronese, ma per oggi mi limito a parlarvi di una ricetta storica che ho rivisitato e leggermente modernizzato.
Del Pollo alla Marengo tradizionale si narra che la sua ricetta risalga a questo periodo e più precisamente alla vittoria delle truppe Napoleoniche sugli Austriaci nella battaglia combattuta il 14 giugno 1800 a Marengo, in provincia di Alessandria.
Napoleone non mangiava mai prima delle battaglie, ma dopo una vittoria pretendeva un pasto abbondante e gustoso.
Dunan, il suo chef personale, in questa circostanza a corto di provviste in quanto i carri che trasportavano le vettovaglie erano andati perduti, dovette improvvisare un piatto assai stravagante con gli ingredienti che era riuscito a procurarsi nelle fattorie e nei corsi d’acqua dei dintorni.
Pare che, nonostante le premesse, a Napoleone piacesse moltissimo.
Vediamo se la mia versione semplificata piace anche a voi.

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Si fa dorare in un tegame con poco olio un bel pollo tagliato in 8 pezzi leggermente infarinati.
Si insaporisce con sale e pepe, si sfuma con 1/2 bicchiere di vino rosso e si uniscono 2 spicchi d’aglio schiacciati e 1 scatola di pelati sgocciolati e tagliati a piccoli pezzi.
Si copre il tegame e si lascia sobbollire a fuoco dolce per una quarantina di minuti.
Intanto si liberano dalla terra i gambi di 4 funghi porcini, si affettano e si fanno saltare in padella con olio, sale, pepe e le foglie di 2 rametti di timo, poi si aggiungono nel tegame del pollo.
Si fanno rosolare 300 gr di gamberi (l’ideale sarebbero quelli di fiume) con 1 cucchiaio d’olio, si salano, si pepano, si sgocciolano e si uniscono anche questi al pollo.
Si spruzza con il succo di 1/2 limone e si serve dopo averlo fatto riposare qualche minuto.
Il vero pollo alla Marengo di Napoleoniche tradizioni prevede anche l’aggiunta di un uovo all’occhio di bue a testa appoggiato su un crostone fritto nel burro e questo è molto francese, n’est pas?
Volendo, si può evitare perché il piatto è già sufficientemente ricco così, anche se in questo modo non si rispetta in pieno la ricetta originale.

Ricordo di avervi già proposto l’anno scorso, di ritorno dalla Sardegna, l’abbinamento pollo e gamberi, ma quella era tutta un’altra storia e tutta un’altra ricetta.

Arrosto con i finferli

I Cantharellus cibarius sono ottimi funghi conosciuti con molti nomi diversi, spesso dialettali, a seconda del luogo in cui vengono colti: finferli, galletti, gallinacci, giallini o gialletti, garitule, cantarelli, creste di gallo, addenazzi e via discorrendo.
I miei genitori, che come ho già detto erano appassionati e abili cercatori di funghi, erano particolarmente soddisfatti quando trovavano i finferli, che consideravano più prelibati anche dei porcini.
La mia mamma faceva delle “tasche” di maiale ripiene di finferli che erano una vera delizia. Con la stessa ricetta io faccio invece un arrosto intero, che è più rapido nella preparazione e più facilmente porzionabile, ma non perde nulla di quel caro sapore antico.

20140929-140339.jpgI finferli hanno un’inconfondibile forma a “trombetta” e molte lamelle nella parte inferiore, che rendono necessario lavarli sotto l’acqua corrente per poter eliminare tutti i residui di foglie e di terriccio.
Per questa ricetta, una volta accuratamente mondati, se ne cuociono 300 gr in padella per 15-20 minuti con aglio e scalogno tritati, spruzzati di vino bianco e aggiustati di sale e pepe solo a fine cottura.
Mentre si intiepidiscono, si stendono sul piano di lavoro 8-900 gr di arista di maiale che il solito macellaio compiacente vi avrà aperto, tagliato e battuto in modo da ottenere una grossa bistecca (lo stesso procedimento di cui l’anno scorso abbiamo parlato più volte insomma, qui cambia solo la farcia).
Si copre la carne con 150 gr di speck affettato sottile.
Si incorporano ai funghi ormai freddi 4 cucchiaiate di parmigiano grattugiato e si distribuiscono sullo speck, lasciando libero un bordo di un paio di centimetri.
Si arrotola con cura l’arrosto facendo attenzione a non far uscire il ripieno, si lega col solito spago da cucina e si fa rosolare in tegame con olio, burro, 2 rametti di timo, 1 di rosmarino, 2 foglie di salvia e 2 spicchi d’aglio schiacciati.
Quando ha preso colore da tutti i lati si spruzza di vino, si lascia evaporare, si aggiungono 750 ml di latte caldo e si fa sobbollire dolcemente col coperchio rigirandolo di tanto in tanto.
Ci vorrà circa un’oretta. Se dovesse asciugarsi troppo di può aggiungere altro latte oppure un mestolo di brodo.
Come ho detto in altre occasioni, carni magre come la lonza di maiale o la fesa di tacchino, per restare morbide e sugose, una volta rosolate, necessitano di cotture lunghe e abbondante liquido.
Il sughetto che si forma, filtrato, è il completamento ideale di questi arrosti e invita inevitabilmente alla scarpetta.

Come dicevo, la mia mamma creava una “tasca” tagliando a metà senza arrivare fino in fondo, delle fette spesse di lonza e le farciva con finferli cotti, cubetti di pancetta e parmigiano grattugiato. Cuciva l’apertura col filo incolore e le cuoceva in padella, spruzzate di vino, con il latte, il brodo e tutti gli odori.
Il procedimento è un po’ più lungo, ma il risultato è il medesimo. Spesso accompagnava le tasche con la polenta e questo si può fare anche con l’arrosto.

One Lovely blog Award

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Ci sono di nuovo!
Sono nell’elenco delle Nomination di un altro Premio da aggiungere al mio Palmares.
Questo me l’ha assegnato l’amica Bea (http://viaggiandoconbea.wordpress.com) e ne sono molto felice. Grazie di cuore.
Trovare il nome del proprio blog, che nel mio caso è proprio il mio nome completo da maritata e da ragazza, nell’elenco dei premiati da una grande soddisfazione, diciamocelo.
Sono felice di essere anche stavolta in compagnia di care amiche con le quali ho abituali scambi di commenti, battute, opinioni e suggerimenti. Complimenti anche a voi!
Espletiamo adesso le formalità legate all’assegnazione di questo One Lovely Blog Award.
Come sempre si deve:
– citare il nome della persona che ti ha nominato e il link del suo Blog;
– esporre il logo del Premio;
– elencare le regole del Premio;
– raccontare 7 cose di sé;
– nominare altri 15 blogger.
E come sempre io non mi atterrò all’ultima regola perché mi è troppo difficile scegliere solo 15 blog e soprattutto le 15 persone che ci stanno dietro: vi apprezzo tutti in egual misura nonostante sia onestamente più affezionata ad alcuni rispetto ad altri per vari motivi di affinità.
Ma nonostante ciò, trovo che ognuno di voi sia meritevole di un premio per la dedizione, l’impegno, le capacità, la voglia di mettersi in gioco che dimostrate con i vostri blog, quindi questo One Lovely Blog Award è per tutti voi.
Raccontare 7 cose di me senza essere ripetitiva non è proprio semplicissimo: chi mi legge abitualmente sa che non lesino mai storie, notizie, ricordi e accorgimenti per la riuscita dei piatti che propongo, quindi proprio per restare in tema di blog culinario, forse la cosa più carina è svelare 7 “segreti dello chef”!

1) utilizzo lo zucchero a velo vanigliato per togliere l’acidità alla salsa di pomodoro
2) quando i grassi sul fondo del tegame sono limpidi e trasparenti, la carne è cotta
3) ripasso la carbonara sul fornello per tre secondi
4) nel sugo di tonno aggiungo anche una scatoletta di sgombro sott’olio sgocciolato
5) faccio le gelatine di frutta partendo dalle confetture classiche in commercio
6) impano la crema da friggere con il semolino
7) condisco le macedonie di frutta tropicale con un pizzico di pepe

Con questo pensate di sapere proprio tutto della mia cucina? Seeeeeh!
Ancora un grazie a Bea per la gratificante nomination e a tutti voi per la consueta, affettuosa attenzione.
Felice giornata.

“Uncategorized” dolce coi fichi

Credevo proprio che non ce ne fossero più e invece ieri, inaspettatamente, proprio sul bancone accanto a finferli e porcini, ce n’era una cassettina intera.
Di cosa? Di fichi: piccolini, sodi, alcuni con un accenno di goccia, irresistibili. Tanto che di slancio ne compro davvero tanti perché i fichi li adoro e li mangio anche col prosciutto o lo speck e coi formaggi erborinati, come piatto unico a pranzo e ormai se non faccio il pieno adesso…
Felice, una volta a casa comincio a sbucciarne uno perché un assaggio ci vuole e lo trovo se non proprio cattivo, assolutamente senza sapore.
Do comunque fiducia agli altri nel cestino e ne assaggio un secondo. Niente di che nemmeno questo. Peccato.
Sono troppo pochi per fare la mostarda o la marmellata e non ho liquori a sufficienza per metterli sotto spirito, ma così non vale proprio la pena di mangiarli.
Non ho tempo per fare un dolce da forno quindi se voglio servire un piccolo dessert a pranzo devo farmi venire un’idea. In fretta.
Nella credenza per fortuna ho sempre qualche dolcetto pronto.
Ho scovato una bella pastafrolla tonda, di quelle che vanno messe al centro della tavola, colpite col pugno e servite con un bicchierino di grappa, il tipico fiore all’occhiello della montagna Veronese, quella parte che fu abitata dai Cimbri dal 1200.
La conoscete?
Comunque meno male che ce l’avevo perché mi ha permesso di mettere insieme un dessert niente male, che non saprei se è giusto collocare tra le crostate.

20140927-182905.jpgHo spalmato di crema pasticcera (preparata con 1/2 litro di latte, 4 tuorli, 100 gr di zucchero, 40 gr di farina e 1 pizzico di sale) la base di pastafrolla, sopra ho accomodato i fichi, anche se erano così così, tagliati a spicchi.
Ho sciolto in un pentolino qualche cucchiaiata di confettura di pesche e 1 bicchierino di rum, l’ho passata al setaccio e ho spennellato con attenzione tutta la superficie dei fichi.
Ho finito cospargendo questo dolce improvvisato con una cucchiaiata di mandorle a scaglie tostate.

Nell’insieme il dolce è risultato delizioso e perfino i fichi hanno acquistato sapore grazie alla crema e alla base di eccellente frolla.
Naturalmente chi non abita nei dintorni di Verona, la pasta frolla se la può fare da solo, agli altri suggerisco quella del Forno Bonomi, che non ha eguali.