Chili con carne

Nel 2000 abbiamo fatto l’ultimo viaggio tutti insieme noi quattro, come quando i figli erano piccoli. Ci siamo fermati prima in Florida e poi siamo andati in Messico, nello Yucatàn.
Da allora si è creata in tre membri della nostra famiglia una seria dipendenza dal Chili con carne, che di tanto in tanto preparo, ma non spesso come vorrei.
Eppure non è un piatto di difficile esecuzione, non è particolarmente costoso, la sua preparazione non porta via neanche troppo tempo e non richiede nemmeno un’abilità particolare.
Meriterebbe di essere cucinato più spesso quindi, accompagnato ovviamente da una pila di tortillas e in più da una serie di ciotole di saporite “guarniciones” che danno colore e fanno allegria in tavola.
Intanto prepariamo un eccellente Chili con carne, caldo, piccante e pieno di profumi speziati e poi pensiamo ai contorni.

20140217-111729.jpgIn una casseruola dal fondo spesso faccio appassire 4 cipolle bianche tritate con 4 cucchiai di olio, poi unisco 2 spicchi d’aglio grattugiati, 2 peperoni rossi privati dei semi e dei filamenti e tagliati a cubetti e 2 peperoncini piccanti freschi affettati sottili.
Rimescolo e cuocio per qualche minuto, aggiungo 1/2 tazza di passata di pomodoro, 3 barattoli di pelati tagliati a pezzi e il loro sugo, 1/2 tazza di ketchup, 1 chilo e 200 grammi di carne macinata di manzo, 2 barattoli di fagioli rossi scolati e sciacquati, 1 busta di spezie per Chili, 1 cucchiaino di cannella, 1 cucchiaino di peperoncino secco, 1 cucchiaio di cacao amaro e 1 tazza d’acqua.
Mescolo e aggiusto di sale e pepe.
Lascio cuocere circa un’ora e mezza col coperchio, tramenando di tanto in tanto.
Il Chili con carne è pronto quando ha assunto l’aspetto del ragù della nonna.

Io lo accompagno con pico de gallo, guacamole, formaggio Edamer (o Provolone) a striscioline, riso al pomodoro, panna acida, passata di fagioli e lattuga a listarelle.
Le buste di Mix per Chili quando posso me le compro negli Stati Uniti, ma si trovano anche qui, nei Supermercati più importanti.
L’aggiunta del cacao sarebbe stato un segreto dello chef, ma mi pareva brutto non condividerlo. Potrebbe sembrare una scelta bizzarra, ma pensateci: la ricetta è Messicana e i Maya non sono stati i primi al mondo ad utilizzare il cacao, perfino come moneta? Quindi assecondiamo questa tradizione!
A questo punto mi pare proprio di avervi detto tutto.
E allora: fiesta!

Il baccalà

La patria Veneta del baccalà è senza discussioni Vicenza.
In città e in provincia ci sono un’infinità di trattorie, osterie, gastronomie da asporto e rinomati ristoranti che propongono la loro versione (tradizionale o mantecata) del baccalà.
Una volta l’ho mangiato perfino come ripieno dei fiori di zucca in un locale elegante del Centro Storico, una domenica che si andava al mercatino dell’Antiquariato di Vicenza, nei dintorni di Piazza dei Signori.
Essendo limitrofi e avendo grosso modo le stesse caratteristiche di città senza affaccio al mare, che nei secoli passati potevano contare quindi maggiormente sui pesci conservati per poterli gustare, anche per noi Veronesi il baccalà è un piatto della cucina tradizionale del territorio.
È inutile insistere per farci riconoscere che il merluzzo, una volta pescato, se fatto essiccare assume la denominazione di stoccafisso, oppure di baccalà se salato e conservato in barile.
Per noi la differenza è ininfluente: è comunque e sempre “el bacalà”!
Il perfetto “bacalà” Veronese dunque, si fa con lo stoccafisso di qualità Ragno, che si può acquistare (già perfettamente ammollato) in quelle poche, stupende rivendite di generi alimentari di vecchia tradizione che ancora resistono in centro storico, quelle dove trovi anche le acciughe sotto sale nelle scatole tonde di latta, le olive in salamoia nei barili e le soppresse appese.

In uno di questi negozi quindi si acquistano quindi 8-900 gr di stoccafisso ammollato e 2 grosse acciughe sotto sale. Si passa dal fruttivendolo e si prendono 250 gr di cipolle bianche e 1 bel ciuffo di prezzemolo. Latte, Parmigiano, farina, olio, sale e pepe in casa ci sono di sicuro e allora facciamo il “bacalà” senza stare tanto a pensarci su.
Questo è il risultato. Naturalmente la polenta “brustolà” non può mancare.

20140121-150042.jpgSi dissalano e si diliscano le acciughe, si tagliano a pezzettini e si fanno sciogliere in un tegame con 4 cucchiai di olio, si aggiungono le cipolle tritate e si fanno appassire dolcemente. Fuori dal fuoco si unisce il prezzemolo tritato.
Nel frattempo si eliminano la pelle e le lische e si tagliano a pezzi i tranci di stoccafisso, si infarinano e si dispongono in un unico strato un un tegame sul cui fondo sono state distribuite alcune cucchiaiate di soffritto.
Si insaporisce con pepe bianco e poco sale e si copre con il resto del soffritto.
Si aggiunge 1/2 litro di latte, un generosissimo giro d’olio e si cosparge con 50 gr di Parmigiano grattugiato.
La cottura, all’inizio a tegame coperto, deve durare un’eternità, vale a dire almeno 3 ore e 1/2 o anche 4, a fuoco dolce, senza mai mescolare, scuotendo semplicemente il tegame perché non si attacchi.

Probabilmente questa è la medesima ricetta del Baccalà alla Vicentina, ma a noi piace pensare che sia la nostra.
Si può anche cuocere in forno, ma io preferisco farlo sul fornello, in un tegame dal fondo pesante: controllo meglio la cottura.
Immancabile sulla tavola una ciotola di radicchio rosso affettato e condito con olio, sale, pepe, aceto balsamico e una generosa cucchiaiata di Parmigiano, Parmigiano con cui volendo si cosparge anche la propria porzione si baccalà.
A Vicenza non lo so, da noi si mangia così.

E vai con le minestre!

Indubbiamente il clima di questi giorni invita alla preparazioni di cibi caldi: zuppe, minestre e vellutate di verdura.
Infatti in quasi tutti i blog di cucina che seguo c’è un gran proliferare di minestroni e affini.
A mangiare a pranzo un’insalata anche d’inverno mi sa che sono rimasta solo io!
Comunque nemmeno io tralascio certo la preparazione dei miei must invernali tradizionali.
La minestra di patate è uno dei più gettonati e graditi in famiglia.
Si tratta di uno dei pochi piatti che cucino utilizzando la pentola a pressione, che di solito snobbo perché non mi da la possibilità di controllare costantemente le preparazioni.
In questo caso invece (e in tutti gli altri che richiedono lunghe cotture senza rischi, come la mia “Pasta e fagioli senza pasta”) trovo che la pentola a pressione aiuti a raggiungere un risultato ottimale in un tempo molto più breve di quello necessario con la cottura tradizionale.
Il risultato è una minestra che ha la consistenza delle vellutate (a cui vengono invece aggiunti anche latte e panna), ma è molto più semplice, familiare, rassicurante.

20140115-102019.jpgSi fanno stufare con 2-3 cucchiai di olio e un pizzico di sale, 2 cipolle bianche affettate a velo, con pazienza infinita. Di tanto in tanto si rimestano con un cucchiaio di legno.
Si aggiunge se occorre un goccino d’acqua per non farle colorire. Io ci metto circa 20 minuti per ottenere delle cipolle perfettamente trasparenti. In questo modo il sapore di fondo non è né forte né acido.
Si tritano grossolanamente 100 gr di speck e si uniscono alle cipolle con gli aghi di 1 bel rametto di rosmarino.
Si mescola e dopo un minuto si aggiungono 4 patate a cubetti e 3/4 di litro di brodo vegetale.
Si chiude la pentola a pressione e dal fischio si fa cuocere 40 minuti.
Si sfiata, si aggiusta di sale e di pepe e si frulla accuratamente col minipimer a immersione.
Il risultato è una zuppa molto densa e profumata.
Si serve nelle ciotole con una piccola aggiunta di listarelle di speck rese croccanti al microonde e qualche fogliolina di timo fresco (ma va bene anche il prezzemolo tritato).

Se non dite niente a nessuno, può passare per la molto più sofisticata Zuppa Parmentier, vanto della cucina Francese.
Quello che faccio per alimentare questa impressione è, anziché servire i soliti crostini fritti nell’olio, usare il burro per dorare da entrambe le parti delle fette di pancarrè tagliate a triangolo e cospargendo solo un lato di grana grattugiato perché si formi una bella crosticina dorata.
Fidatevi, i Francesi in cucina ci sanno proprio fare!

Lo stampo dei Grandi Magazzini Lafayette

“Confesso di essere una di quelle donne che fanno acquisti compulsivi, ma chi non lo è?”
Questa frase apre il VI Capitolo “Shopping a Saint Tropez” del mio libro e spiega una delle mie debolezze, della quale parlo anche nel IX, “Coppapasta e dintorni”.
Da un pezzo ormai, dai miei viaggi soprattutto all’estero, porto a casa stupendi accessori per la cucina, che mi sono resa conto in Italia arrivano con qualche anno di ritardo.
Per un certo periodo quindi sono in vantaggio rispetto alle amiche appassionate e abili in cucina nella presentazione dei miei piatti.
Per esempio, l’ultima volta che siamo stati a Parigi, un paio d’anni fa, ai Grandi Magazzini Lafayette, ho comprato oltre ad un’infinità di profumi, un servizio in melamina fumè per i pranzi freddi in terrazza (un giorno ve ne parlo più approfonditamente, promesso) e uno stampo in silicone di una bellezza e di uno chic, che non ti puoi sbagliare: è francese. È persino color bronzo cangiante!
Quest’anno l’ho usato per dare al mio tradizionale paté di fegato, che a Natale non manca mai tra gli antipasti, una forma e una guarnizione molto sofisticate.

20131228-100154.jpgNel Capitolo “A volte bisogna avere fegato” propongo tre varianti di paté di fegato di vitello, tutte molto valide e, diciamocelo, molto francesi.
Quest’anno anziché accompagnare la più tradizionale delle tre con la concassè di mele o con i fichi secchi, ho decorato questa specie di piccolo castello sulla Loira, in modo più creativo con la mostarda di Cremona, ma solo di ciliegie, con un risultato molto gradevole alla vista e altrettanto al palato.
Una specie di proposta fusion insomma!
Questa presentazione è stupenda anche sul tavolo da buffet dell’ultimo dell’anno e se non siete stati di recente a Parigi, be’ potete utilizzare uno stampo da budino di quelli scanalati e avere lo stesso un successo assicurato.
La ricetta del paté non occorre che ve la dia, vero? Tanto il mio libro c’è l’avete tutti, no?!