Lo sai quanto amo regalarti dei fiori
È troppo tempo che non lo faccio
È mi piace pensare che così tu possa riceverli
Lino
Tratto da “La Cucina Francese e la Cugina Francese ” di Silva Avanzi Rigobello
Capitolo 1 – libiamo ne’ lieti calici (la Traviata di Giuseppe Verdi)
Ai matrimoni piango sempre . Proprio non resisto . A volte ho anche rovinato con lacrime e qualche sommesso ma udibile singhiozzo cerimonie magistralmente orchestrate dai migliori Wedding Planner. Oppure ho reso inguardabili certe foto scattate in chiesa, mandando a farsi friggere servizi fotografici altrimenti perfetti. La commozione dura comunque solo fino al lancio del riso. Dopo mi passa.
E appena ho tra le dita lo stelo della prima flûte di Champagne, o anche di bollicine nazionali , sono già sulla soglia di una lieta euforia.
L’unico matrimonio al quale non ho pianto, è stato il mio . Anzi ,perfino durante la cerimonia ero allegra e sorridente e civettavo un po’.
19 Aprile 1969
Sono stata una delle prime spose dell’era moderna a non arrivare in chiesa in ritardo, a sposarmi in lungo e in bianco, ma senza il velo regolamentare, ad avere un testimone di sesso femminile, a firmare i documenti davanti all’altare e non in sagrestia, per permettere al nostro amico del cuore di cantare per noi l’Ave Maria di Schubert ( non quella di Gounod , ne sono certa) , che non è consentita dalla liturgia ecclesiastica durante la celebrazione delle cerimonie nuziali, a fare una luna di miele incredibilmente romantica a Parigi, nonostante respirassimo ancora la polvere sollevata dal Sessantotto.
La scelta era caduta su Parigi perché secondo noi era – ed è tuttora – la città più eccitante, poetica, appassionata e sentimentale del mondo. Una città intima ed emozionante , nonostante le sue dimensioni.
In realtà anche Venezia ha le stesse caratteristiche, ma per il viaggio di nozze sarebbe stata una meta un po’ troppo “sotto casa”.
Siamo partiti subito dopo il pranzo al Re Teodorico,scelto per il menù molto raffinato, ma soprattutto per il panorama, così sarebbero venute bene anche le foto.
Era la prima volta che visitavo la Francia è anche la prima di molte altre cose.
Dopo la notte nuziale trascorsa in un albergo di Stresa, con vista sul lago Maggiore, con le nostre belle valigie di pelle marrone, regalo di nozze di uno zio testimone, ci siamo avviati per affrontare i 240 chilometri fino al traforo del Frejus, che va da Bardonecchia , in alta Val di Susa, a Modane , nella Savoia Francese.
Adesso un po’ di storia patria.
La realizzazione di questo storico traforo ferroviario , inaugurato il 17 settembre 1871, si è concretizzata grazie alla lungimiranza di grandi personaggi del nostro Risorgimento, del calibro di Carlo Alberto, Vittorio Emanuele II, Cavour, Quintino Sella e Massimo d’Azeglio, oltre ad una schiera di tecnici e di ingegneri Italiani e Francesi, che si servirono di innovative perforatrici automatiche e moderni compressori pneumatici per realizzare quello che all’epoca fu il più lungo tunnel ferroviario del mondo.
Nella mia vita da ragazza in avevo mai viaggiato granché in treno ed ero molto eccitata. Questa nuova emozione aveva in parte mitigato il disagio per un imbarazzante episodio verificatosi la sera precedente. Dato che ve ne ho accennato, se volete vi racconto cosa è successo perché non pensiate si sia trattato di un incidente dovuto a virginale ritrosia.
Dopo essermi struccata ed aver scosso dai capelli gli ultimi chicchi di riso rimasti intrappolati, ritenendo che l’attesa fosse di per sè una specie di afrodisiaco (e lo penso ancora), ho fatto un bagno con dei sali profumati e indossato la camicia acquistata proprio per la prima notte di nozze: di seta color avorio, lunga, appena aderente, con un nastro di raso che metteva in risalto la scollatura. Era uno dei pezzi più belli del corredo, acquistato proprio per quel momento speciale in un negozio di Mantova specializzato in accessori per le spose.
Volendo vedermi per intero, dal momento che l’unico specchio del bagno era quello sopra il lavandino, sono salita in piedi sul bordo sul bordo della vasca, che era proprio di fronte e ci sono scivolata dentro con una gamba… e non l’avevo ancora svuotata.
Ne sono uscita umidiccia e stropicciata e ho dovuto sostituire la camicia da notte, che puntava tutto su un discreto gioco strategico di pizzi ” ti vedo e non ti vedo”, con un malizioso baby doll color albicocca, che intendevo invece riservare a momenti di intimità già collaudata .
Se smettete di ghignare , adesso possiamo tornare alla nostra navetta Bardonecchia/Modane.
Quello che immaginavo di questo tratto del percorso verso Parigi era che, una volta agganciata l’auto al pianale del vagone, ne saremmo scesi per viaggiare comodamente in una elegante carrozza ferroviaria addirittura tipo quelle dell’Orient Express, con sontuosi sedili di velluto verde bottiglia, bordeaux o blu pavone e nappe dorate alle tende dei finestrini.
Invece , siamo dovuti restare seduti dentro la macchina e attraversare al buio i 13.600 metri di storico tunnel intasato di chissà quali miasmi e gas mefitici senza poterci muovere.
Be’,meno male che avevamo ancora un Coupè e non la Spider di qualche anno dopo, sennò sai che esperienza!
Dato che la distanza tra Stresa e Parigi è di circa 850 chilometri avevamo previsto che il nostro secondo pernottamento da coniugati sarebbe stato a Lione, che è circa a metà strada.
Quella di fare le nostre vacanze con calma, senza fretta e senza stress è una filosofia di vita alla quale abbiamo sempre cercato di attenerci in questi primi 45 anni di vita in comune, a volte senza successo, ma sempre con il massimo impegno.
A Lione abbiamo cenato nel ristorante dell’hotel perchè non abbiamo avuto il coraggio di avventurarci nei misteri della cucina locale in una città nota come ” la bonne bouffe”, di cui allora non sapevamo nemmeno che fosse la patria dello chef internazionale Paul Bocuse, l’inventore della Novelle Cuisine. E pensare che quella Lionese è considerata la gastronomia migliore di Francia e i”bouchons” (osterie che prendono il nome dai tappi di sughero delle bottiglie ) della Città Vecchia rallegrano da sempre , con le loro specialità , i pasti dei turisti e degli abitanti del luogo in quello che è conosciuto come il più grande quartiere Rinascimentale d’Europa.
Abbiamo dormito in un letto piccolissimo , poco più che a una piazza e mezza. ,con due rulli imbottiti al posto dei guanciali, che ci hanno impedito di riposare bene per tutta la notte. Da questa esperienza abbiamo comunque imparato che se all’arrivo in hotel chiedevi degli “oreillers “, ottenevi che te li sostituissero con due cuscini normali, mentre per le dimensioni dei letti non c’era niente da fare. Essendo in luna di miele però, questo non rappresentava certo un problema .
Per arrivare da Lione a Parigi, si passa piuttosto vicino a Digione, capitale della Borgogna , oltre che della “moutarde “,la salsa che da noi si chiama senape ( mentre la nostra mostarda di frutta , tipo la Vicentina, la Cremonese , o la Mantovana è tutta un’altra storia).
La distanza è tanto esigua da giustificare una piccola deviazione per una breve visita a questa bellissima città , fondata dai Romani nel 52 a.C. e ricca di eleganti palazzi rinascimentali che ne testimoniano il fastoso passato, con alcuni notevoli esempi di architettura gotica in un curioso intrico di stradine medievali che conducono a piazze signorili piene di fascino, pavimentate come nei secoli scorsi, che sembrano voler raccontare ad ogni angolo storie di assedi e di antiche dinastie.
Di Digione so anche che ha dato i natali a Gustav Eiffel , l’uomo che ideò, oltre alla giarrettiera, come già sapete, l’omonima torre e fu co-ingegnere nella costruzione della Statua della Libertà, due monumenti che sono nell’immaginario collettivo, i simboli di Parigi e di New York nel mondo, ma non é fondamentale ricordarselo.
Importante è piuttosto ricordare quali specialità gastronomiche offre la città ( anche se allora non ci avevamo fatto molto caso ) , come il boeuf bourguignon e la fondue bourguignone , che avendo lo stesso cognome, potrebbero sembrare una coppia di coniugi, il profumato pain d’épice e la Crème de Cassis, indispensabile base per il Kir, l’aperitivo che ha preso il nome dal suo inventore, l’abate Felix Kir .
Dunque, fin qui eravamo arrivati. Non ci restava che percorrere il resto di quel migliaio di chilometri che ci avrebbe portato a Parigi.
250 gr di fegatini di pollo, 1/2 cipolla, 4 uova, 8 belle foglia di lattuga, 40 gr. di burro, 80 ml di olio, 2 cucchiai di aceto di vino rosso, 1 cucchiaino di senape antica, sale e pepe nero appena macinato.
Affetto la cipolla e la metto a bagno in acqua fredda fino al momento di utilizzarla. Sciacquo le foglie di lattuga , le scolo, tolgo la crosta centrale e le asciugo.
Lavo e pulisco molto bene i fegatini e li faccio saltare velocemente nel burro a fuoco vivace, li salo e poi li taglio a fettine.
Cuocio 4 uova pochè, vale a dire in camicia , una alla volta, e le tolgo delicatamente con la schiumarola per non romperle.
Preparo il condimento mescolando con una piccola frusta olio, aceto, senape, sale e pepe e assemblo i piatti.
Dispongo per prima la lattuga, suddivido i fegatini, ci appoggio sopra l’uovo, cospargo con le fettine di cipolla scolate e asciugate e distribuisco il condimento.
Questa è solo una delle varianti di una ricetta rustica, semplice e gustosa, per appetiti robusti.
BOEUF BOURGUIGNON X 6
Circa 1500 gr di polpa magra di manzo, 200 gr di pancetta tesa, 1 litro di vino Borgogna, 200 gr di carote, 200 gr di cipolle, circa 1 litro di brodo, 30 gr di farina, 2 spicchi d’aglio, 3 rametti di timo, 3 di rosmarino, 1 foglia di alloro, 30 gr di maizena , 25 gr. di concentrato di pomodoro, olio, sale e pepe.
300 gr di cipolline ,100 ml di brodo, olio e burro, sale e pepe
500 gr di funghi di Parigi, 1 spicchio d’aglio, prezzemolo, olio, sale e pepe.
Trito grossolanamente la pancetta e la faccio rosolare con l’olio per una decina di minuti , la sgocciolo, la tengo da parte e nel suo grasso faccio scottare a fuoco vivo la polpa di manzo che mi sono fatta tagliare dal macellaio in cubi di circa 5 o 6 cm di lato.
La rigiro continuamente perchè non bruci , ma si rosoli bene da tutti i lati . Quando è dorata la tolgo, la scolo e la tengo da parte con la pancetta.
Trito le cipolle e le carote e le faccio appassire nel grasso rilasciato dalla carne. Dopo circa 10 minuti rimetto manzo e pancetta nel tegame, aggiusto di sale e pepe, cospargo di farina e mescolo per distribuirla.
Inforno senza coperchio a 250 gradi per una decina di minuti e rimescolo una volta dopo i primi 5.
Quando sulla carne si è formata una bella crosticina, la tolgo dal forno, unisco il vino e il brodo nel quale ho fatto sciogliere il concentrato di pomodoro. Il liquido deve coprire del tutto la carne.
Aggiungo l’aglio , il timo , l’alloro e il rosmarino legati insieme, così è più facile eliminarli a fine cottura . Inforno di nuovo a 130 gradi, questa volta coperto e lo faccio cuocere per almeno 3 ore badando che continui a sobbollire leggermente.Trascorso questo tempo, spengo il forno, ma lascio che il boeuf si raffreddi al suo interno.
Finché il manzo cuoce, preparo le cipolline: le pulisco e le faccio rosolare in padella con olio e burro per una decina di minuti e aggiungo il brodo, incoperchio e continuo la cottura finché risultano belle dorate.
Preparo anche i funghetti: li libero dalla terra, li lavo brevemente e li taglio a spicchi. Faccio imbiondire l’aglio nell’olio, lo elimino e faccio saltare i funghi a fuoco vivace, finché si è asciugato tutto il liquido che hanno emesso in cottura.
Dal tegame del manzo elimino l’aglio e il mazzetto guarnito, tolgo la carne con la pinza, aggiungo al fondo di cottura il grasso delle cipolline e dei funghetti e frullo per ottenere una salsa omogenea.
Rimetto nel tegame la carne , le cipolline e i funghi, faccio riprendere il bollore e cuocio ancora qualche minuto per scaldare tutto per bene.
É veramente un piatto squisito, ma non si discosta molto dai nostri brasati, in fondo, solo che è già tagliato e non occorre affettarlo dopo la cottura. Pensateci.
Questa è però una ricetta con molti più passaggi , che da l’impressione quindi di essere più sofisticata ed elaborata delle nostre. Dipende un pò dall’abilità dei Francesi a gettare fumo negli occhi e dalla loro attitudine a considerarsi migliori di tutti .
Vedrete comunque anche più avanti che nella cucina francese è fondamentale per prima cosa rosolare separatamente la carne, toglierla e poi procedere alla cottura degli altri ingredienti nello stesso tegame, cosa che di norma noi non facciamo, ma questo procedimento, questa “sigillatura ” , consente alla carne di conservare all’ interno tutti i suoi succhi senza disperderli nel tegame, facendola risultare così più gustosa.
Onore al merito.
6 pesche mature, circa 1 chilo di gelato alla vaniglia, 250 gr di lamponi, 150 gr.di zucchero a velo, 30 grammi di lamelle di mandorle.
Scotto le pesche in acqua bollente , le scolo e le tuffo in una ciotola di acqua e ghiaccio, poi le taglio a metà, le pelo ed elimino il nocciolo.
Frullo 200 gr.di lamponi con lo zucchero.
Distribuisco il gelato su un piatto , o in coppette, ci adagio sopra le pesche, copro con il coulis di lamponi e decoro con i rimanenti 50 gr. di lamponi interi.
Li cospargo infine con le lamelle di mandorle che ho fatto leggermente tostare in forno.
È’ una ricetta di Auguste Escoffier (creata appositamente per la cantante lirica australiana Nellie Melba che lui ammirava molto ) e per questo merita una menzione , ma francamente non mi pare un’idea così strabiliante.
Tratto da ” La Cucina Francese e la Cugina Francese” di Silva Avanzi Rigobello
Vanto una parentela francese, di cui ho avuto occasione di parlare raccontando altre storie di cibo, viaggi e sentimenti, parentela di cui però ho perso ormai le tracce e anche gli indirizzi.
Il mio “linea de parenté” d’Oltralpe si è ormai diluito nel tempo come una zuppa di cipolle a cui siano stati progressivamente aggiunti troppi mestoli di brodo. Nonostante il lento distacco, resta comunque una pietra miliare nella mia conoscenza del francese e dei francesi.
Le persone care che costituivano il fondamento dei rapporti di parentela e giustificavano i motivi di incontro erano le mitiche cugine Virginia , la mia adorata nonna materna, e quella Giulietta che si era trasferita in Francia col matrimonio, figlie di due sorelle. Da quando non ci sono più, i discendenti “giovani” si sono persi di vista.
Sono le leggi della vita. Quello che è rimasto però è il piacere che sempre provo in territorio francese, un “je ne sais quoi” che mi prende il cuore e il palato, che mi fa rivivere teneri ricordi dì gioventù e divertenti episodi di viaggio nel Sud e nel Nord della Francia oltre a farmi risentire profumi e sapori appena scoperti o ritrovati.
Ancora una volta, da questa sensazioni ho ricavato un libro che, come sempre, non è solo un ricettario, ma soprattutto una serie di racconti e una raccolta di ricordi frutto di una vita alla ricerca della felicità, nelle cose normali e condivise.
Si tratta della mia terza fatica letteraria.
Il primo libro ( I tempi andati e i tempi di cottura ) l’ho scritto per vincere la solitudine dopo la morte di mia madre ed è il più intimo e familiare.
Nel secondo ( U.S.A. e jet ) vi ho raccontato tutto dell’ America che conosciamo noi, con le sue magagne e il suo splendore, ponendo l’accento sulla sua sottovalutata cucina.
Questa volta ho messo insieme alcuni aneddoti relativi ai nostri soggiorni in Francia, che è il Paese straniero che abbiamo visitato in modo più assiduo, dopo gli Stati Uniti.
Nello scegliere questa destinazione per divulgare i ricordi e le ricette correlate, ho tenuto conto sia della grande varietà delle ambiziose proposte culinarie francesi , che dell’importanza della sua storia gastronomica e ho abbinato quasi sempre i racconti alle specialità della Regione visitata.
Ho scelto di sottolineare i capitoli relativi alle avventure in terra di Francia con i titoli delle arie più famose di alcune opere liriche per ricordare il mio papà , appassionato melomane, raffinato gourmet e viaggiatore entusiasta, che mi ha trasmesso l’amore per l’ “art du bon vivre”.
Mi piace usare un vecchio modo di dire di Beppe Grillo , che la cara Affy mi ha riportato alla memoria nel commentare un articolo di Silva sull’ America , per informarvi che da martedì 19 aprile inizierò a pubblicare il terzo libro della vostra amica blogger , tuttora inedito.
Si tratta di una serie di divertenti racconti di ricordi e cucina francese nel quale ritroverete tutta la simpatia e l’ironia di Silva e potrete conoscere nuove sue fantastiche ricette dedicate alle singole regioni di Francia visitate .
Si intitola
“La Cucina Francese e la cugina francese”
Vi anticipo la dedica perché riguarda anche Voi, suoi amici virtuali
” Dedicato alla mia famiglia, che amo in maniera esagerata: non vi avrei voluto per niente al mondo diversi da come siete. E alle persone che mi sono care sia per motivi di parentela che di amicizia : anche voi mi piacete così come siete”
Buona lettura.
Cari amici del blog di Silva,
Con grande piacere vi comunico che, in virtù anche della vostra straordinaria e assidua partecipazione, il blog è stato inserito tra quelli degni di menzione da “Sale e Pepe” uno dei più importanti mensili di cucina .
Nel numero di aprile troverete uno dei centinaia di articoli postati da Silva.
Lei, che negli ultimi anni tanto tempo e impegno ha dedicato ai suoi scritti, ne sarebbe stata felice e orgogliosa.
Sono certo che avrebbe voluto condividere questa soddisfazione.
È per questo che a tutti voi che avete contribuito con la lettura, lo scambio di idee, il confronto, i suggerimenti, va il mio grazie più grande.
Lino
RICORDI E RICETTE
Tratto da ” U.S.A. E JET Ovvero: come sopravvivere ai viaggi fai te in America ”
Mi ero sempre detta: ” Prima o poi viaggerò per l ‘America in lungo e in largo”. In realtà l’ho fatto soprattutto in lungo, sia sulla S.R.I Oregon/California che sulla U.S.I Maine/Florida, strade storiche che percorrono entrambe le Coste degli Stati Uniti da Nord a Sud. E viceversa.
Le mie esplorazioni, anche se non avventurose come quelle del rivalutato Leif Eriksson nel 1000 d. C., si sono spinte sia lungo la Costa Atlantica che lungo la Costa del Pacifico, con qualche modesta penetrazione all’interno ed uno sconfinamento alle Hawaii, ma il mio ” Coast to Coast ” l’ho fatto sempre solo in volo. Non proprio come me l’ero immaginato insomma.
Sebbene gli Inglesi siano considerati i principali colonizzatori dell’America, furono gli Spagnoli i primi ad esplorare la Florida e la California, cioè la parte più meridionale del Paese.
Fu infatti Ponce de Leon che il 2 Aprile del 1513, Domenica delle Palme, scopri l’attuale Florida (The Sunshine State) e la battezzò “Pascua Florida” , in riferimento appunto al periodo Pasquale.
In seguito, proprio lì si dedicò anima e corpo alla ricerca della Fonte dell’Eterna Giovinezza, ma nessun libro di storia racconta se l’abbia mai trovata.
A Disney World c’è ne una riproduzione e io l’ho bevuta l’acqua di quella fontana, ma credetemi, è una bufala : continuo a dimostrare la mia vera età. Forse bisognava farci dentro il bagno.
Il bagno comunque, ma nell’oceano, l’abbiamo fatto qualche giorno dopo a Key West mentre alloggiavamo all’altisonante Casa Marina Beach & Resort Club Waldorf Astoria, l’unico di tutta l’Isola con la spiaggia privata.
Eccezionale premessa, vero? Ma è uno di quegli Hotel di lusso ingannevoli in cui spesso ci siamo imbattuti in America. Infatti ricordava un po’ un Marriot dove abbiamo dormito a Orlando, che aveva una hall da togliere il fiato, ma le stanze dislocate in costruzioni sparse nel parco, del tutto simili come “architettura” ai condomini dell’Agec.
Key West è raggiungibile con la famosissima e scenografica Overseas Highway, spettacolare Autostrada a doppia corsia tra l’Oceano Atlantico e il Golfo del Messico, che attraversa 34 isole e 42 ponti, alcuni dei quali lunghi più di 10 chilometri e corre a cavallo di uno strabiliante mare aperto e cristallino . Credetemi, guidare fra due Oceani, o quasi, non è cosa di tutti giorni e non si dimentica.
La U.S.I. fu costruita lungo un itinerario ferroviario mai completato a causa della famosa crisi del ’29, i cui binari furono spazzati via nel 1935 da un uragano. Alcuni tratti sono ancora tristemente visibili e vagamente inquietanti.
Le Florida Keiys sono la dorsale emersa di una barriera corallina. Si tratta di un arcipelago di isole e isolotti, che inizia circa 15 miglia a Sud di Miami e prosegue per 240 chilometri, estendendosi ad arco verso ovest.
Vi assicuro che offrono alcuni dei più di panorami marini che io ricordi di aver visto. Si guida circondati da cielo e mare e anche se dall’auto non è possibile accorgersene, sotto la superficie il paesaggio marino è ricchissimo di coralli, aragoste e pesci tropicali.
Per vederli da vicino occorre solo fermarsi a bere un drink a Marathon o a Isla Morada.
Key West è l’ultima di queste isole ed convenzionalmente considerata il punto più meridionale degli U.S.A. , come testimonia il pilone nero, rosso e giallo simile ad una boa, che si trova sulla bella spiaggia di South Beach, in fondo a Duval Street.
Risente fortemente dell’influenza Cubana ed è anche estremamente contraddittoria: narcisista, liberale, pacchiana, raffinata e se vogliamo anche un pochino commerciale comunque non più di Firenze o Venezia, ma come upgrade offre una rilassante atmosfera caraibica e uno stile di vita lento e informale tra natura e mare, in attesa degli uragani.
Accanto a bellissime ville coloniali ci sono catapecchie col tetto di lamiera, colorati negozi di souvenir ( i migliori vendono spugne naturali), bar turistico/ storici come lo Sloppy Joe e localini anonimi che propongono vera cucina cubana, ottimi alberghi e motel di dubbia reputazione, boutique che vendono abbigliamento vagamente tropicale, ristoranti anche modesti dove però si mangia benissimo, casette malridotte, con giardinetti invasi dalla vegetazione spontanea.
Per strada si vedono dappertutto banani e palme reali , mi si dice anche galletti in libertà. Quelli non li ricordo, mi sa che ho visto solo i gatti a sei dita che hanno ereditato la casa di Hemingway.
Sull’isola colpisce soprattutto la romantica architettura delle vecchie case color pastello, con i portici di legno abbelliti dai rampicanti fioriti nei cestini appesi alle travi un po’ scrostate, le sedie a dondolo e i divanetti di vimini sotto i pergolati e le staccionate bianche che delimitano piccoli giardini pieni di esuberanti piante tropicali.
A Mallory Square l’incanto dei colori del mare fa da sfondo al famoso tramonto sul Golfo del Messico, che è considerato, a ragione, uno dei più belli al mondo. È un appuntamento a cui non si può mancare, stipati fra improbabili sosia di Hemingway, turisti accaldati e artisti di strada, respirando l’aria piacevolmente salmastra, ma insopportabilmente umida.
E ammirando il “sunset” si bevono rigorosamente Mojito,Daiquiry alla frutta e Cuba Libre, perchè nemmeno all’ora del tramonto si trova sollievo all’asfissiante clima tropicale e all’altissimo tasso di umidità dell’Isola, dovuto alle brevi piogge giornaliere.
Nessuna brezza ristoratrice arriva infatti dal meraviglioso Oceano turchese, tiepido a qualunque ora del giorno, bordato di finissima sabbia bianca da cui ogni tanto spunta una conchiglia conch ( che si pronuncia konk e che è anche il nomignolo dato all’isola), una di quelle che se le accosti all’orecchio senti il rumore del mare. L’unico modo per mitigare il caldo è fare continuamente il bagno, bere intrugli gelati, mangiare frutta tropicale e qualche freschissima fetta di Key Lime Pai.
Visitare Key West è una bella esperienza e la scritta che Cuba è a sole 90 miglia è un concetto molto esotico, molto caribe , che secondo me sottintende: qui finiscono gli Stati Uniti.
Dove invece gli Stati Uniti sono cominciati è nel New England.
L’abbiamo visitato nel 1997, organizzando un bellissimo viaggio che è iniziato con uno sbarco al Logan di Boston, dove ci siamo fermati qualche giorno poer una visita senza fretta , respirando la civile armonia della città moderna e le antiche testimonianze delle origini dell’America.
Qui si passeggia letteralmente nella giovane storia Americana, attraverso anguste stradine lastricate che furono percorse dai primi coloni , costeggiando antiche chiese e piccoli cimiteri, attraversando ampi viali con magnifiche case di mattoni rossi dagli eleganti bow window ed elaborati balconi in ferro battuto, o vagando per il Common, il verdissimo parco cittadino con le barchette a forma di cigno nel laghetto, dove agli albori dell’America pascolava il bestiame.
Lì per la prima volta ho visto con stupore un nutrito gruppo di Cinesi praticare con eleganza, sincronismo e coordinazione il Tai Chi, senza ancora sapere in realtà di che cosa si trattasse esattamente.
Bisogna ammettere che il clima di Boston non è proprio ideale, ma se fa freschetto si può sempre scaldarsi con un’eccellente zuppa di molluschi,la famosa Clam Chowder, a cui far seguire una golosa fetta di torta alla crema, la Boston cream pie, orgoglio della città.Giusto per non parlare solo di storia.
Lasciando il Massachusetts, per raggiungere il Maine si imbocca la Route 1, quella che inizia a Fort Kent, al confine con il Canada, e dopo 3846 chilometri termina proprio a Key West.
Superato il confine statale si incontra Kittery, di cui tutti si dimenticano che è il più antico insediamento della regione, perché adesso è famoso per i numerosissimi outlet che ospita. Magari state pensando che proprio per questa ragione così consumistica e decisamente poco storica, meriti una sosta.
Ma si, se amate lo shopping fermatevi: vale proprio la pena di ritardare di qualche ora la Maine experience che avevate programmato per fare ottimi acquisti a prezzi di fabbrica.
Percorrere la Costa del Maine significa passare da una tranquilla passeggiata a Perkins Cove o lungo il Marginal Way dalle innumerevoli e rilassanti spiagge sabbiose , all’asprezza di desertici paesaggi marini rocciosi, testimoni della potenza delle onde che aggrediscono i massi già erosi dalla forza dell’Oceano e sembrano voler ostentatamente ignorare la presenza dell’uomo nel loro territorio.
Noi, turisti pigri e amanti del massimo comfort, abbiamo scelto di soggiornare nella zona più elegante e accogliente, la meno selvaggia, quella con i classici edifici rivestiti di assicelle di legno che il tempo muta nell’inconfondibile grigio di quasi tutte le” mansion” del New England e le locande famose per le specialità a base di molluschi e crostacei.
Da York a Kennebunkport, dove avevamo prenotato allo storico, Nonantum Resort, ci sono miglia e miglia di bellissime spiagge e si trova anche la più alta concentrazione di Antique shops, di cui abbiamo già parlato.
Cittadine dal fascino un pò retro sono diventate fin dagli inizi del XX secolo colonie di artisti, ricche di gallerie che espongono dipinti di vecchi velieri o baleniere, fornitissimi empori, deliziosi caffè , un certo numero di Riserve naturali e anche Walker’s Point ,che è la residenza estiva dell’ex Presidente George Busch. Posso affermarlo perché mi sono informata dopo averlo visto di persona e da vicino.
Non era Dabliu, ma proprio il vecchio George , il marito della Barbara, quello della Prima Guerra del Golfo, il 41 Presidente degli Stati Uniti per intenderci.Mentre faceva jogging con la guardia del corpo , in tuta grigia e walkman con gli auricolari, si è fermato a prendere non so che accordi con il nostro maitre e ci siamo sorrisi, non perché fosse stato uno dei miei Presidenti preferiti , ma vedendo un anziano che mi pareva di conoscere , mi è venuto naturale. Lo faccio anche qui.
Quando ho incrociato il Presidente Bush era la mattina della partenza per il Vermont. Dopo una colazione a base di pancake ai mirtilli , aspettavamo seduti su stupende Adirondack chairs sotto il portico del Resort , che arrivasse la nuova auto in sostituzione della Lincoln Town Car, di cui la sera prima un sasso ci aveva casualmente danneggiato un finestrino.
Questo inconveniente non ci aveva comunque dissuasi da cenare al Colony , il miglior ristorante della città, dove servono le aragoste fresche ( che in realtà sono astici) più grandi e succulente del New England da intingere in ciotole ipercaloriche di burro fuso, insieme a zuppe di crostacei, patate al forno, insalate profumate all’aglio, , panini di mais, casseruole di granchi e una grande varietà di molluschi in umido, serviti nelle loro conchiglie.E si finisce con pie di mirtilli , crema e gelato.
Molto più che la visita alla’Arcadia Park è questa che definisco un’autentica Maine experience!
MOROS Y CRISTIANOS
specialità della cucina creola
200 gr di fagioli neri secchi, 200 gr di riso parboiled,200 gr di bacon, 200 gr di cipolla,1 spicchio d’aglio, 2 peperoncini verdi dolce, 1/2 cucchiaino di semi di cumino,, 1 cucchiaino di coriandolo secco, peperoncino in scaglie a piacere,pepe nero, sale, 30 gr di burro.
Si mettono a bagno i fagioli ben sciacquati in una pentola con 1 litro di acqua per tutta la notte.
Il giorno successivo si mette la pentola sul fuoco e si fa cuocere coperto per circa un’ora.
Intanto si fa soffriggere il bacon a cubetti , con il burro , si unisce la cipolla tritata con un spicchio di aglio e si fa rosolare.
Si versa il riso sul soffritto, si sala , si aggiungono le spezie e i peperoncini, quelli non troppo piccanti,affettati sottili. Si uniscono i fagioli cotti con tutto il loro liquido e si fa cuocere coperto per altri 15/20 minuti a fiamma bassa rimestando di tanto in tanto.
Quando tutto il liquido è stato assorbito si sgrana il riso con la forchetta prima di servire.
Questo, piatto, tipico della cucina cubana, raffigura due popoli e due culture contrapposte che però convivono, rappresentati dai fagioli neri e dal riso bianco.
KEY LIME PIE
specialità di Key West.
per la crosta: 150 gr di biscotti tipo Digestive frullati, 70 gr di burro fuso, 1 cucchiaino di zucchero.
per il ripieno: 4 tuorli,1 scatola di latte condensato zuccherato, 125 ml di succo di lime,buccia di un lime grattugiato finemente.
Si mescolano con cura biscotti, burro e zucchero e si comprime il composto sul fondo di una tortiera a cerniera imburrata. Si inforna a 180 gradi per 10 minuti.
intanto si incorporano i tuorli al latte condensato e si diluisce con il succo di lime; si unisce la buccia grattugiata, si mescola con cura e si versa nella tortiera sul guscio di biscotti.
Si inforna ancora per 15 minuti, poi si lascia raffreddare e si mette in frigo fino al momento di servire.
La mia ricetta è differente: utilizza gli albumi anziché i tuorli, non passa in forno e si mette in freezer e non in frigo, ma questa viene dal ristorante Nine One Five di Key West e magari lì ne sanno più di me. Entrambe comunque si servono con ciuffi di panna montata leggermente zuccherata.
LOBSTER BISQUE
Specialita’ del Colony
300 gr di polpa di aragosta bollita o cotta al vapore,2 cipollotti, 2 scalogni, 1 spicchio d’aglio, 250 gr di salsa di pomodoro, 1/2 bicchiere di vino bianco, 4 cucchiai di Sherry, 200 ml di panna da cucina, 250 ml d’acqua calda,1 cucchiaio di salsa Worcester, 1 cucchiaino di Tabasco, 1/2 cucchiaino di timo secco, 2 foglie d’alloro, 1 cucchiaino di paprika, 50 gr di burro, sale e pepe, 1 rametto di timo fresco.
Si fanno saltare in padella con il burro scalogni e cipollotti tritati con l’aglio grattugiato. Si sfuma col vino, si aggiungono salsa Worcester, timo e Tabasco, si fa soffriggere ancora 1 o 2 minuti poi si aggiunge lo Sherry. Si uniscono l’acqua, la salsa di pomodoro e l’alloro, si aggiusta di sale e pepe e si insaporisce con la paprika.
Si fa sobbollire per una decina di minuti perché la salsa si addensi leggermente e poi si aggiunge la panna e si completa con la polpa di aragosta tagliata a pezzetti.
Si tiene sul fuoco basso ancora pochi minuti, mescolando, e si serve in piccole ciotole di terracotta cospargendo con foglioline di timo fresco, o se preferite in piatti normali.
Anche di questa ricetta ho una versione diversa, ma non ve la dico: non vorrei inimicarmi proprio lo chef del Colony.
Tratto da ” I tempi andati e i tempi di cottura (con qualche divagazione).”
E chi non è stato a Roma? Ci si va per il Papa , il Colosseo, Porta Portese, i Musei. Ci si va per lavoro, per turismo, in pellegrinaggio, in treno, in auto, in pullman, in aereo, ma ci si va. E ci si torna.
La nostra prima volta è stato nel ’74 per reperire, nell’Archivio della Sede Centrale dell’allora Banco di Roma in Via del Corso, materiale di supporto e approfondimento per la tesi sperimentale di Tecnica Bancaria in cui Lino stava per laurearsi.
Ci siamo rimasti mi pare quattro giorni, naturalmente lavorativi, durante i quali uno faceva ricerche mirate e l’altra shopping selvaggio.
Fare shopping a Roma in quegli anni era come assistere ad uno spettacolo del Circo Americano a Tre Piste: non sapevi da che parte guardare per non perderti nemmeno un’opportunità.
Oggi persino Verona offre un sacco di occasioni per gli acquisti, ma allora non esisteva niente di simile alla profusione di negozi di pelletteria, profumeria, abbigliamento, articoli da regalo, complementi d’arredo e casalinghi in cui perdersi, tutti con prezzi assolutamente ragionevoli, spesso ridicolmente bassi, irresistibili. E tutti in centro, così mi muovevo rigorosamente solo a piedi e di tanto in tanto potevo tornare in hotel, in Via del Tritone quella prima volta, a depositare i pacchi.
A pranzo facevo uno spuntino da sola in uno di quei bar per la pausa degli impiegati, locali che a Verona non erano ancora necessari in quanto qui, anche con una sola ora di intervallo, gli impiegati tornavano tutti a casa a mangiare al volo una pastasciutta, che mamme e più raramente mogli, preparavano con incredibile tempismo.
Direi fino alla metà degli anni ’80, a Roma ci siamo tornati una o due volte l’anno, per lo più per Corsi di Aggiornamento e Riunioni Strategiche straordinarie e io aspettavo sempre con gioia queste occasioni.
Roma era allora una città assolutamente vivibile, sicura e rassicurante, allegra e prevedibile.
Negli anni in cui abbiamo dormito dalle Monache della Domus Aurelia andavo in centro su un autobus affollato di gente caciarona e disponibile, con la battuta pronta e una certa sfrontatezza mai offensiva, che rendeva il tragitto dalle Mura Vaticane a Piazza Venezia un’esperienza colorita e divertente, nonostante la ressa, la lentezza del traffico e qualche strusciata occasionale quasi educata: più un complimento che una sfacciataggine.
Certo, se il capolinea fosse stato ai Parioli anzichè a Prima Valle magari sarebbe stata tutta un’altra storia.
Ancora oggi torniamo di tanto in tanto a Roma, non di frequente come in quegli anni ma sempre molto volentieri, anche se non facciamo più le cose come una volta, quando stavamo separati tutto il giorno per ritrovarci solo la sera per andare a cena.
Adesso visitiamo insieme i Musei, le Chiese, le Piazze – ah le piazze di Roma – e facciamo shopping consapevole, scegliamo Ristoranti consigliati dalle Guide, ci spostiamo quando serve in taxi e ci ripetiamo spesso ” Ti ricordi? “.
Ma non siamo solo noi ad essere cambiati, neanche Roma è più la stessa e paradossalmente è finita con l’assomigliare un po’ a Verona. In entrambe le città ci sono ora i locali che offrono l’Happy Hours e i tramezzini a pranzo, i vuccumprà con le borse taroccate,gli ingorghi anche sulla tangenziale di Verona Nord e non solo sul Grande Raccordo Anulare, i Ristoranti che hanno chiuso e si sono portati via i tuoi ricordi. È un po’ della tua giovinezza.
Roma, comunque, com’era una volta non si potrà mai dimenticarla. C’erano cose a Roma che trovavi solo a Roma.
Nessun’altra città al mondo ti darà mai quelle piccole emozioni che sono destinate a restarti dentro per sempre, quei tesori della memoria nei quali ri riconosci anche a distanza di anni: le azalee di Trinità dei Monti, l’aria dubbiosa in quella foto con la mano nella bocca della Verità , la chitarra e gli stornelli mentre ceni a Trastevere, gli scambi di opinioni coi tassisti, i rigatoni – e non gli spaghetti – alla carbonara, il pizzaiolo egiziano, gli antiquari di Via Giulia, tutti quei chilometri macinati a piedi sulle vestigia delle antiche strade dei Cesari, i pini marittimi in centro fra i ruderi, le colonne abbattute, l’indolente attesa del tramonto sui tetti della terrazza dell’Hotel , sorseggiando l’aperitivo.
E poi il pizzardone, che quando ti sei tolta gli occhiali da sole al tavolino di quel caffè di Piazza Venezia , ti ha fatto uno dei più bei complimenti della tua vita dicendoti: ” Se rimetta l’occhiali sinnò l’arresto. L’occhi sua so’ n’arma ‘mpropria.” ed é tornato a dirigere il traffico.
Ah, i romani de Roma!
POLLO AI PEPERONI
1 pollo tagliato in 8 pezzi,1 bicchiere di vino bianco, 3 peperoni gialli, 300 gr di passata di pomodoro, 1/2 cipolla , circa 1 dl di olio, 4 spicchi d’aglio, abbondante basilico, sale e pepe.
Scaldo il vino ( che naturalmente sarà Frascati, Colli Albani,Marino, Colonna o Est est est. Ma dai scherzavo: va bene anche Soave o Lugana) e ci faccio macerare gli spicchi d’aglio schiacciati per qualche ora. Geniale eh?
Intanto spello i peperoni dopo averli bruciacchiati sul fornello, li taglio a pezzi grossi, elimino semi e filamenti e li cuocio in una padella con poco olio, pepe e sale.
In un altro tegame rosolo i pezzi di pollo a fuoco vivo col resto dell’olio, li rigiro di tanto in tanto e aggiusto di sale e pepe. Dopo circa 20 minuti li tolgo dal tegame e li tengo al caldo.
Nel fondo di cottura faccio imbiondire la cipolla tritata, unisco il vino filtrato e riduco di circa 2/3. Aggiungo la passata di pomodoro, sale e pepe e il basilico spezzettato con le mani.
Faccio restringere il sugo per circa 1/4 d’ora mescolando ogni tanto, poi rimetto il pollo nel tegame, aggiungo i peperoni e lascio sobbollire ancora per una decina di minuti.
Non so fare ne’ i rigatoni con la pajata, ne’ la coda alla vaccinara, quindi vi dovete accontentare del pollo.Abbiate pazienza.
RIGATONI ALLA CARBONARA
500 gr di rigatoni, 150 gr di guanciale, 2 spicchi d’aglio, 3 uova, 100 gr di pecorino romano, 1 ciuffo di prezzemolo ( chi l’avrebbe mai detto, eh?), olio EVO, sale e pepe.
Taglio il guanciale a listarelle e lo faccio soffriggere con poco olio e con l’aglio schiacciato fino a quando non risulterà bello croccante, poi elimino l’aglio.
Intanto sbatto le uova col sale e metà del pecorino. Cuocio i rigatoni al dente, li scolo e li verso nella padella in cui ho rosolato il guanciale, abbasso la fiamma e aggiungo le uova a filo.
Mescolo con cura per qualche secondo, distribuisco la pasta nei piatti individuali e cospargo con il resto del pecorino, il prezzemolo tritato e un’abbondantissima macinata di pepe nero.
Abitualmente la carbonara io non la faccio mica così è nemmeno voi immagino, ma è la vera ricetta di come si mangiava in una Trattoria vicino alla Fontana di Trevi , dove andavamo a cena a piedi, che adesso è diventata un Ristorante Cinese.
Prima che cambiasse gestione ci ho mangiato anche i Maccheroncini alla Cubana e le Pennette alla Vodka, quindi dovevano per forza essere gli anni ’80, se questi piatti erano ancora di moda.
Oggi vi voglio proporre una divertente guida scritta da Silva per ordinare nel migliore dei modi un pranzo in America. Chi affronta per la prima volta l’esperienza la tenga ben presente , contiene pillole di saggezza.!!!
Tratto da
“In America abbiamo mangiato un po’ di tutto e un po’ dappertutto: sandwich Reuben a Central Park , uova alla Benedict al Rockefeller center, polpettone al Grand Canyon, tortellini al Fisherman Wharf, “All you can eat” a Las Vegas, insalata di granchio a Key West, pasticcio di aragosta a Cape Cod, costine di maiale a Orlando, filetto di Angus a Palm Springs , insalata di astice a Santa Monica e miliardi di altri piatti, ma non senza difficoltà.
Non ho mai assaggiato invece il pollo fritto che si mangia nei fast food KFC, di cui i discendenti del Colonnello Sanders tengono segreta la ricetta, però dalla signora Pina Petrella di Fort Lauderdale, americana di seconda generazione, con cui ho volato casualmente affiancata durante un viaggio in Florida, ho ereditato la ricetta del Pan Fried Chicken come lo cucina lei. Diverso dal pollo fritto di mio nonno Vittorio che pure era buonissimo.
Tornando a noi , avete mai provato ad ordinare un pasto negli Stati Uniti?
Gli Americani sono come i computer: seguono precisi schemi fissi e non sono in grado di uscire da nessuno standard prestabilito.
Lasciamo perdere i Fast Food , dove nutrirsi è una faccenda relativamente semplice. Infatti mentre sei in coda, studi i cartelloni e quando arriva il tuo turno sei pronta ad indicare le foto o a fare a voce la tua ordinazione, ma devi essere veloce e non avere ripensamenti altrimenti il personale comincerà a pressarti e chi ti segue nella fila a manifestare irritazione.
Gli Americani non sono un popolo paziente.
Il problema grosso é nei Family Restaurant con il servizio al tavolo ( che sono l’equivalente delle nostre trattorie ) più che nei Ristoranti eleganti, con le tovaglie sui tavoli insomma ( da cui stare alla larga se si ha un budget limitato, ma dove i camerieri sono più indulgenti).
Mangiare in America è come fare un ballo di gruppo: tutti i passi sono obbligati e la coreografia rigorosa.
Dunque funziona così. Entri nel Ristorante e aspetti, qualcuno ti viene a prendere sorridendo e fino a qualche anno fa ti chiedeva: “Fumatori o non Fumatori?” Mentre adesso ti chiede solo in quanti siete. Forse le famiglie Americane hanno l’abitudine di entrare scaglionate o non è richiesto che il personale sappia contare. Ottenuta la risposta, chi ti ha accolto raccoglie tanti menù quanti sono esattamente i membri del tuo gruppo e ti accompagna a un tavolo chiedendoti se ti va bene. Io rispondo sempre di sì, tanto poi lo cambiamo lo stesso.
Quando ti sei accomodato ti viene consegnato e appare la tua cameriera, quella che si occuperà del vostro tavolo per tutta la durata del pasto, presentandosi per nome ( ma non occorre fare altrettanto; se proprio volete mostrarvi cordiali basta un semplice “Hi” ) e riempiendoti per prima cosa un enorme bicchiere di acqua e ghiaccio.
Ora, sia in Florida, che in California o in Nevada le temperature esterne potrebbero far pensare che hai bisogno di rinfrescarti appena entri in un locale , ma se hai viaggiato in un’auto climatizzata fino al parcheggio, e nel locale ci vuole la felpa perché ci saranno 14 gradi, preferiresti magari una bevanda a temperatura ambiente, ma non c’è verso.
I pasti degli Americani sono quasi sempre accompagnati da una bibita gassata ( e il peggio è che quasi dappertutto c’è il free refill).
Qualunque scegliate, sia Coke, Pepsi, Hawaiian Punch, Dottor Pepper, 7Up, Mountain Dew, Sprite è così via, la vostra cameriera, quella che vi ha invitato a chiamarla per nome, ve la servirà gelata. Quindi, per evitare una congestione, il consiglio é di imparare subito a dire “NOAISPLIS” (no ice please ) e di farlo senza risparmiarvi.
Meno male che in alternativa ai pop drink a pranzo si può bere il caffè.
Può sembrare una scelta disgustosa, lo so, ma a me piace. In fondo, lo sapete, dai, che sono il tipo “Why not?” . E poi il caffè Americano non è cattivo come si potrebbe pensare ed é comunque senz’altro meglio dell’espresso con buccia di limone che ti propongono in alternativa. È lungo, leggero e ustionante d’accordo, ma non è niente male ( soprattutto sugar and cream), anzi finisce col diventare proprio un gusto acquisito.
In ogni caso potrete bere anche del té freddo, ma difficilmente birra o vino, a meno che il Ristorante che avete scelto non sia licensed.
Praticamente tutti i menù dei Family Restaurant sono ricchi di foto a colori dei piatti che vengono proposti, quindi potrebbe sembrare relativamente semplice scegliere e poi ordinare. Pia illusione! Adesso vi spiego invece cosa succede.
Ogni portata principale, costituita da pollo, manzo, tacchino o pesce (quasi mai vitello, che viene in pratica proposto unicamente nei ristoranti con la tovaglia) generalmente prevede anche, compresa nel prezzo, una zuppa o un’insalata, che vi verrà servita come antipasto , oltre a due contorni. Categorico.
È questo é il momento della verità: in America non si può fare semplicemente un’ordinazione, bisogna sottoporsi ad un estenuante interrogatorio, essere veloci nelle scelte e pronti con le risposte.
Quindi se alla domanda “Soup or salad?” rispondete mettiamo soup, dovrete poi specificare se volete la Zuppa del giorno, la Zuppa di vongole, la Minestra di verdura o i Tagliolini in brodo. In Inglese.
Se vi era sembrato più semplice cominciare con salad, sarete obbligati a rispondere correttamente alla domanda “Which dressing?” in quanto non è previsto l’uso in tavola dell’oliera, ma vi verrà servita un’insalata mista “vestita”, con uno dei seguenti condimenti: Italian,Blue cheese, Caesar, French o Thousand Islands, a seconda della preferenza che avete espresso.
E abbiamo sistemato solo l’antipasto.
Anche scegliere una semplice bistecca può diventare una nervosa performance di abilità linguistica, perché mentre sarete già stressati dalla scelta di prima, inesorabilmente l’interrogatorio si andrà facendo sempre più serrato. Bisogna decidere il tipo di cottura preferito: al sangue (rear), media (medium) o ben cotta (well done). Senza riprendere fiato dovrete poi subito scegliere fra riso o patate. Rice sarà semplicemente del riso pilaf scondito, che ha la funzione del pane ( che quando c’è, in genere si paga a parte in quanto è considerato un contorno) mentre la scelta potato dà luogo ad un altro ventaglio di alternative : patatine fritte, purè o patata intera al forno condita con un’ulteriore opzione fra burro e panna acida (French Fries,mashed oppure baked potato con butter o sour cream).
A questo punto avete diritto ad un altro contorno, ve lo ricordate? Non crollate proprio adesso e scegliete con sicurezza e rapidità una delle seguenti verdure cotte: cavolfiori, cipolle fritte, funghi,piselli o spinaci (cauliflower, onion rings, mushrooms, pees o spinach).
Non opponete resistenza: sarebbe inutile.
Sapeste quante volte abbiamo provato ad arginare o modificare questa sequenza di imposizioni! Per esempio a volte avrei preferito, che so, i funghi anziché le patate con gli spinaci, ma non c’è stato verso.
Oppure se i bambini non volevano ne’ la minestra, ne’ l’insalata, dovevano scegliere lo stesso un’opzione ,perché è inutile opporsi: la bistecca, il pollo o la cotoletta “comes with ” . Senza discussioni.
Ad un certo punto, pur di farla finita, conviene davvero rinunciare a cercare un accomodamento con la cameriera e scegliere a caso il secondo contorno, quello che non avete intenzione di mangiare. Magari finirà invece col piacervi. Who knows?
Comunque, ci si abitua anche a questo terzo grado e alla fine si diventa abilissimi e ci si diverte pure, ma tenete sempre a mente questo suggerimento: imparate a memoria i fondamentali o sarete sopraffatti e vi toccherà decidere di nutrirvi solo di panini , proprio come Poldo.
Ah, bisogna inoltre ricordare che se pensate di mangiare anche un dolce, dovrete ordinarlo subito, senza aspettare di verificare se a fine pasto ne avrete ancora voglia, perché con l’ordinazione arrivera’ anche il conto: time out, quindi, senza possibili ripensamenti. La vostra cameriera vi avrà infatti raccomandato, mentre stavate ancora ordinando la portata principale, “Leave room for the dessert!”
Nei Ristoranti Americani non ci attarda a tavola come qui da noi per sorseggiare un caffè,un canarino, un amaro o fare il “resentin” chiacchierando tranquillamente. Lì, finito di mangiare, si controlla il conto, si lascia sul tavolo circa il 15 per cento come gratuity ( o tip) per la cameriera e si va a pagare alla Cassa con la Carta di Credito ( chi paga in contanti in America viene guardato con sospetto ) l’importo del check ( o bill) maggiorato delle tasse, che in America sono scorporate da qualsiasi prezzo e la cui percentuale varia da Stato a Stato, anche se lo scarto é minimo.Le tax, alla fine spuntano sempre e tutti i prezzi sono in realtà più alti di quanto scritto sul cartellino.
La prima volta, volendo liberarci al ritorno dei cent accumulati, prima di imbarcarci abbiamo scelto al Duty Free dell’Aereoporto Life Savers, Jelly Beans e Juicy Fruit facendo i conti con molto cura, ma alla Cassa hanno aggiunto le tasse e dunque il prezzo é diventato più alto di quello conteggiato da noi, quindi abbiamo dovuto pagare con una banconota e ci siamo ritrovati con più monetine in tasca di quanto ne avevamo prima dell’acquisto.
Solita figura da provinciali .
POLLO FRITTO DI MRS. PETRELLA
1 pollo tagliato in otto pezzi, 1/2 litro di latticello,1 cucchiaino di sale , 2 spicchi d’aglio tritati,1 cucchiaino di peperoncino in polvere, farina,olio per friggere.
Si tengono in infusione i pezzi di pollo nel latticello per 24 ore, poi si scolano e si condiscono generosamente con sale , aglio e peperoncino.
Si passano quindi nella farina e si scuotono per eliminare l’eccesso .
Si scalda l’olio in una padella che contenga il pollo di misura e si dispongono i pezzi ben ravvicinati.
Dopo una decina di minuti dovrebbero essere dorati dalla parte a contatto con il fondo della padella e allora si girano proseguendo la cottura dall’altro lato per altri dieci minuti.
Si tolgono dalla padella e si fanno sgocciolare su una griglia ( non sulla carta assorbente).
Lo so, ne abbiamo forse già parlato, il latticello non si riesce a trovarlo in commercio. Comunque in questa ricetta può essere sostituito da 150 ml di latte miscelati con 150 ml di yogurt bianco intero, un pizzico di sale e un cucchiaio o due di succo di limone. Non solo è la cosa più semplice , ma non mi viene in mente nient’altro da proporvi come surrogato del latticello. Le proporzioni a volte cambiano, a seconda della ricetta, ma gli ingredienti sono sostanzialmente questi.
La signora Petrella mi manda ancora gli auguri a Natale.
IL POLLO FRITTO DEL NONNO VITTORIO
1 pollo, 1 uovo, 1 bicchiere di latte, pangrattato, farina, sale e pepe, olio per friggere.
Il nonno tagliava con precisione il pollo in 8 pezzi a cui toglieva la pelle, li infarinava, li passava nel l’uovo battuto con il latte e un bel po’ di pepe e poi nel pangrattato.
Ne scuoteva via l’eccesso con delicatezza e li tuffava nell’olio profondo .
Li rigirava bene da tutte le parti con il forchettone , senza pungerli e quando erano belli croccanti li scolava e li appoggiava sulla carta da pane messa doppia.
E li salava solo allora , perché in cottura la carne non cedesse troppo liquido inumidendo la panatura.
Questo é il pollo fritto della mia infanzia, uno dei ricordi di quel nonno testardo, tenerissimo e sfortunato che se n’è andato troppo presto, dopo anni di malattia. “
Oggi è il compleanno di Silva.
Non è più tempo di regali ma di ricordi.
Ne condivido con Voi uno speciale, di cucina.
In una intervista fattale da un sito di ricette le venne richiesto quale era l’ingrediente dal quale non si sarebbe mai potuta separare.
Ecco la sua risposta:
“L’amore: in ciascuno dei miei piatti c’è amore per il cibo e per le persone a cui è destinato”
Buon compleanno Angelo mio
Lino
Tratto da “I tempi andati e i tempi di cottura (con qualche divagazione)”
Parlo un discreto francese ,piuttosto fluente, anche se non conosco o non ricordo tutte le parole che vorrei, ma ricorrendo a tortuose parafrasi e grazie all’accento è all’abilità di stringermi graziosamente nelle spalle, do l’impressione di essere assolutamente padrona della lingua .
Ho ingannato così un’infinità di Svizzeri e di Francesi, in Italia e all’estero.
Ma voglio parlare di Parigi perché non si pensi che quello che ci spinge ad andarci piuttosto frequentemente sia solo il piacere del cibo.
In realtà ci abbiamo mangiato anche male , anzi malissimo come alle Folies Bergère e al Lidò per esempio, mentre al Crazy Horse e al Moulin Rouge per fortuna abbiamo solo bevuto champagne.
D’accordo é vero che le nostre mete sono quasi sempre gastronomiche , ma ci danno comunque l’opportunitá di allargare le nostre conoscenze,oltre che il nostro giro vita. A Parigi abbiamo scovato molti luoghi incantati praticamente dietro l’angolo.
Pensate a dove il lusso e il glamour della famosa Rue de Rivoli si stemperano nel Marais, che sembra un villaggio piuttosto che un quartiere o alla Riva della Senna nei pressi di Notre Dame dove antichi, alti e austeri edifici si appoggiano gli uni agli altri come nottambuli un po’ sbronzi in cerca di un sostegno, o dove l’animazione febbrile di Pigalle diventa uno degli angoli più romantici di Montmartre in Place Suzanne Buisson, coi suoi antiquati lampioni.
Si può dire che a Parigi ci sono una via , o una piazza, per ogni stato d’animo e il segreto per apprezzare appieno questa magica città e cercare di capirla, secondo me , è proprio evitare le sabbie mobili dei monumenti storici che si pensa di dover assolutamente vedere o visitare, ma prendersela con calma, stare seduti in un Bistrot all’aperto – o dietro la vetrina, a seconda della stagione – e osservare perché i marciapiedi parigini sono un vero palcoscenico: si vedranno passare stranieri che consultano la mappa del Metro, anziani signori che si affrettano verso la boulangerie più vicina per uscirne con l’immancabile baguette sotto il braccio, elegantissime signore in tailleur e tacchi alti con i loro minuscoli e vivacissimi cagnolini, innamorati che si baciano dimentichi di tutto il resto.
Parigi é dunque un’affascinante miscellanea – anzi un pot pourri, alla francese – di curiosità, abbandono, passione, indifferenza. Quindi molto più di una serie di cartoline illustrate.
Vi prego, quando ci tornate non limitatevi a fare il giro da “turisti di massa” dei monumenti storici, ma aprite oltre agli occhi, anche la mente e il cuore e lasciate libera la vostra fantasia.
Perfino là Tour Eiffel, che svetta frivola e decadente, vi apparirà in un’ottica diversa, maggiormente umana e popolare se non vi limiterete a relegarla al ruolo del più elevato punto panoramico della città o al retaggio dell’esaltazione della tecnologia di più di un secolo fa, quando fu costruita come simbolo dell’Esposizione Universale del 1889, ma guardandola terrete a mente che il suo progettista è stato anche il geniale inventore della giarrettiera !
CONCHIGLIE SAINT JAQUES AL PERNOD
12 capesante, 1 arancia, 1 limone, 30 gr di burro, 2 cucchiaini di pepe rosa, qualche filo di erba cipollina, 2 cucchiai di Pernod, 1 confezione di panna da cucina, sale e pepe.
Separo i coralli dalle noci e affetto queste ultime , le copro col succo di arancia e di limone, aggiungo sale e pepe e le lascio macerare al fresco per un paio d’ore.
Intanto faccio fondere il burro e rosolo i coralli, li salo, li spruzzo con il Pernod, unisco la panna e faccio restringere il sugo per qualche minuto.
Distribuisco le fettine di noci sui piatti individuali e le irroro con la loro marinata, a fianco suddivido i coralli e li copro con una salsa tiepida, l’erba cipollina tagliuzzata e il pepe rosa pestato grossolanamente.
Per poterlo apprezzare, Vi deve piacere il gusto di anice stellato del Pernod naturalmente, ma è veramente un antipasto raffinatissimo
COULISSE DI FRAGOLE
4 cestini di fragole, 1/2 vasetto di marmellata di lamponi , 100 gr di zucchero, 250 gr di crème fraiche, 2-3 cucchiai di Cognac,120 gr di biscotti al burro salato, 150 gr di panna montata.
Monto con una spatola la crème fraiche (ossia metà mascarpone metà panna, perchè pur essendo citata anche in moltissime delle ricette di Csaba della Zorza e di Nigella Lawson , la crème fraiche non riesco a trovarla in commercio da nessuna parte, come del resto il latticello, altrettanto utilizzato dalle due famose food writers) con il Cognac e 50 gr di zucchero.
Sbricciolo grossolanamente i biscotti. Lavo le fragole, le privo del picciolo e le taglio a metà. Ne prelevò circa 1/4 e le frullo con la marmellata. Unisco questo composto alle fragole tagliate, completo con i rimanenti 50 gr di zucchero e mescolo con cura.
In una bella ciotola di vetro , simile a quella che ho comprato ad Antibes per esempio – ma anche in una pirofila rettangolare e quadrata come quella che usate per il tiramisù per intenderci – alterno strati di coulisse di fragole, biscotti sbriciolati e crema al Cognac.
La sistemo in frigorifero per qualche ora e poi la servo con ciuffetti di panna montata.