A PRANZO IN AMERICA

Oggi vi voglio proporre una divertente guida scritta da Silva per ordinare nel migliore dei modi un pranzo in America. Chi affronta  per la prima volta l’esperienza la tenga ben presente , contiene pillole di saggezza.!!!

Tratto da

  

“In America abbiamo mangiato un po’ di tutto e un po’ dappertutto: sandwich Reuben a Central Park , uova alla Benedict al Rockefeller center, polpettone al Grand Canyon, tortellini al Fisherman Wharf, “All you can eat” a Las Vegas, insalata di granchio a Key West, pasticcio di aragosta a Cape Cod, costine di maiale a Orlando, filetto di Angus a Palm Springs , insalata di astice a Santa Monica e miliardi di altri piatti, ma non senza difficoltà.

Non ho mai assaggiato invece il pollo fritto che si mangia nei fast food KFC, di cui i discendenti del Colonnello Sanders tengono segreta la ricetta, però dalla signora Pina Petrella di Fort Lauderdale, americana di seconda generazione, con cui ho volato casualmente affiancata durante un viaggio in Florida, ho ereditato la ricetta del Pan Fried Chicken come lo cucina lei. Diverso dal pollo fritto di mio nonno Vittorio che pure era buonissimo.

Tornando a noi , avete mai provato ad ordinare un pasto negli Stati Uniti?

Gli Americani sono come i computer: seguono precisi schemi fissi e non sono in grado di uscire da nessuno standard prestabilito.

Lasciamo perdere i Fast Food , dove nutrirsi è una faccenda relativamente semplice. Infatti mentre sei in coda, studi i cartelloni e quando arriva il tuo turno sei pronta ad indicare le foto o a fare a voce la tua ordinazione, ma devi essere veloce e non avere ripensamenti altrimenti il personale comincerà a pressarti e chi ti segue nella fila a manifestare irritazione.

Gli Americani non sono un popolo paziente.

Il problema grosso é nei Family Restaurant con il servizio al tavolo ( che sono l’equivalente delle nostre trattorie ) più che nei Ristoranti eleganti, con le tovaglie sui tavoli insomma ( da cui stare alla larga se si ha un budget limitato, ma dove i camerieri sono più indulgenti).

Mangiare in America è come fare un ballo di gruppo: tutti i passi sono obbligati e la coreografia rigorosa.

Dunque funziona così. Entri nel Ristorante e aspetti, qualcuno ti viene a prendere sorridendo e fino a qualche anno fa ti chiedeva: “Fumatori o non Fumatori?” Mentre adesso ti chiede solo in quanti siete. Forse le famiglie Americane hanno l’abitudine di entrare scaglionate o non è richiesto che il personale sappia contare. Ottenuta la risposta, chi ti ha accolto raccoglie tanti menù quanti sono esattamente i membri del tuo gruppo e ti accompagna a un tavolo chiedendoti se ti va bene. Io rispondo sempre di sì, tanto poi lo cambiamo lo stesso.

Quando ti sei accomodato ti viene consegnato e appare la tua cameriera, quella che si occuperà del vostro tavolo per tutta la durata del pasto, presentandosi per nome ( ma non occorre fare altrettanto; se proprio volete mostrarvi cordiali basta un semplice “Hi” ) e riempiendoti per prima cosa un enorme bicchiere di acqua e ghiaccio.

Ora, sia in Florida, che in California o in Nevada le temperature esterne potrebbero far pensare che hai bisogno di rinfrescarti appena entri in un locale , ma se hai viaggiato in un’auto climatizzata fino al parcheggio, e nel locale ci vuole la felpa perché ci saranno 14 gradi, preferiresti magari una bevanda a temperatura ambiente, ma non c’è verso.

I pasti degli Americani sono quasi sempre accompagnati da una bibita gassata ( e il peggio è che quasi dappertutto c’è il free refill).

Qualunque scegliate, sia Coke, Pepsi, Hawaiian Punch, Dottor Pepper, 7Up, Mountain Dew, Sprite è così via, la vostra cameriera, quella che vi ha invitato a chiamarla per nome, ve la servirà gelata. Quindi, per evitare una congestione, il consiglio é di imparare subito a dire “NOAISPLIS” (no ice please ) e di farlo senza risparmiarvi.

Meno male che in alternativa ai pop drink a pranzo si può bere il caffè.

Può sembrare una scelta disgustosa, lo so, ma a me piace. In fondo, lo sapete, dai, che sono il tipo “Why not?” . E poi il caffè Americano non è cattivo come si potrebbe pensare ed é comunque senz’altro meglio dell’espresso con buccia di limone che ti propongono in alternativa. È lungo, leggero e ustionante d’accordo, ma non è niente male ( soprattutto sugar and cream), anzi finisce col diventare proprio un gusto acquisito.

In ogni caso potrete bere anche del té  freddo, ma difficilmente birra o vino, a meno che il Ristorante che avete scelto non sia licensed. 

Praticamente tutti i menù dei Family Restaurant sono ricchi di foto a colori dei piatti che vengono proposti, quindi potrebbe sembrare relativamente semplice scegliere e poi ordinare. Pia illusione! Adesso vi spiego invece cosa succede.

Ogni portata principale, costituita da pollo, manzo, tacchino o pesce (quasi mai vitello, che viene in pratica proposto unicamente nei ristoranti con la  tovaglia) generalmente prevede anche, compresa nel prezzo, una zuppa o un’insalata, che vi  verrà servita come antipasto , oltre a due contorni. Categorico.

È questo é il momento della verità: in America non si può fare semplicemente un’ordinazione, bisogna sottoporsi ad un estenuante interrogatorio, essere veloci nelle scelte e pronti con le risposte.

Quindi se alla domanda “Soup or salad?” rispondete  mettiamo soup, dovrete poi specificare se volete la Zuppa del giorno, la Zuppa di vongole, la Minestra di verdura o i Tagliolini in brodo. In Inglese.

Se vi era sembrato  più semplice cominciare con salad, sarete obbligati a rispondere correttamente alla domanda “Which dressing?”  in quanto non è previsto l’uso in tavola dell’oliera, ma vi verrà servita un’insalata mista “vestita”, con uno dei seguenti condimenti: Italian,Blue cheese, Caesar, French o Thousand Islands, a seconda della preferenza che avete espresso.

E abbiamo sistemato solo l’antipasto.

Anche scegliere una semplice bistecca può diventare una nervosa performance di abilità linguistica, perché mentre sarete già stressati dalla scelta di prima, inesorabilmente l’interrogatorio si andrà facendo sempre più serrato. Bisogna decidere il tipo di cottura preferito: al sangue (rear), media (medium) o ben cotta (well done). Senza riprendere fiato dovrete poi subito scegliere fra riso o patate. Rice sarà semplicemente del riso pilaf scondito, che ha la funzione del pane ( che quando c’è, in genere si paga a parte in quanto è considerato un contorno) mentre la scelta potato dà luogo ad un altro ventaglio di alternative : patatine fritte, purè o patata intera al forno condita con un’ulteriore opzione fra burro e panna acida (French Fries,mashed oppure baked potato con butter  o sour cream).

A questo punto avete diritto ad un altro contorno, ve lo ricordate? Non crollate proprio adesso e scegliete con sicurezza e rapidità una delle seguenti verdure cotte: cavolfiori, cipolle fritte, funghi,piselli o spinaci (cauliflower,  onion rings, mushrooms, pees o spinach).

Non opponete resistenza: sarebbe inutile.

Sapeste quante volte abbiamo provato ad arginare o modificare questa sequenza di imposizioni! Per esempio a volte avrei preferito, che so, i funghi anziché le patate con gli spinaci, ma non c’è stato verso.

Oppure se i bambini non volevano ne’ la minestra, ne’ l’insalata, dovevano scegliere lo stesso un’opzione ,perché è inutile opporsi: la bistecca, il pollo o la cotoletta “comes with ” . Senza discussioni.

Ad un certo punto, pur di farla finita, conviene davvero rinunciare a cercare un accomodamento con la cameriera e scegliere a caso il secondo contorno, quello che non avete intenzione di mangiare. Magari finirà invece col piacervi. Who knows?

Comunque, ci si abitua anche a questo terzo grado e alla fine si diventa abilissimi e ci si diverte pure, ma tenete  sempre a mente questo suggerimento: imparate a memoria i fondamentali o sarete sopraffatti e vi toccherà decidere di nutrirvi solo di panini , proprio come Poldo.
  

Ah, bisogna inoltre ricordare che se pensate di mangiare anche un dolce, dovrete ordinarlo subito, senza aspettare di verificare se a fine pasto ne avrete ancora voglia, perché con l’ordinazione arrivera’ anche il conto: time out, quindi, senza possibili ripensamenti. La vostra cameriera vi avrà infatti raccomandato, mentre stavate ancora ordinando la portata  principale, “Leave room for the dessert!”

Nei Ristoranti Americani non ci attarda a tavola come qui da noi per sorseggiare un caffè,un canarino, un amaro o fare il “resentin” chiacchierando tranquillamente. Lì, finito di mangiare, si controlla il conto, si lascia sul tavolo circa il 15  per cento come gratuity  ( o tip) per la cameriera e si va a pagare alla Cassa con la Carta di Credito ( chi paga in contanti in America viene guardato con sospetto ) l’importo del check ( o bill) maggiorato delle tasse, che in America sono scorporate da qualsiasi prezzo e la cui percentuale varia da Stato a Stato, anche se lo scarto  é minimo.Le tax, alla fine spuntano sempre e tutti i prezzi sono in realtà più alti di quanto scritto sul cartellino.

La prima volta, volendo liberarci al ritorno dei cent accumulati, prima di imbarcarci abbiamo scelto al Duty Free dell’Aereoporto Life Savers, Jelly Beans e Juicy Fruit facendo i conti con molto cura, ma alla Cassa hanno aggiunto le tasse e dunque il prezzo é diventato più alto di quello conteggiato da noi, quindi abbiamo dovuto pagare con una banconota e ci siamo ritrovati con più monetine in tasca di quanto ne avevamo prima dell’acquisto.

Solita figura da provinciali .

POLLO FRITTO DI MRS. PETRELLA

1 pollo tagliato in otto pezzi, 1/2 litro di latticello,1 cucchiaino di sale , 2 spicchi d’aglio tritati,1 cucchiaino di peperoncino in polvere, farina,olio per friggere.
Si tengono in infusione i pezzi di pollo nel latticello per 24 ore, poi si scolano e si condiscono generosamente con sale , aglio e peperoncino.

Si passano quindi nella farina e si scuotono per eliminare l’eccesso .

Si scalda l’olio in una padella che contenga il pollo di misura e si dispongono i pezzi ben ravvicinati.

Dopo una decina di minuti dovrebbero essere dorati dalla parte a contatto con il fondo della padella e allora si girano proseguendo la cottura dall’altro lato per altri dieci minuti.

Si tolgono dalla padella e si fanno sgocciolare su una griglia ( non sulla carta assorbente).

Lo so, ne abbiamo forse già parlato, il latticello non si riesce a trovarlo in commercio. Comunque in questa ricetta può essere sostituito da 150 ml di latte miscelati con 150 ml di yogurt bianco intero, un  pizzico di sale e un cucchiaio o due di succo di limone. Non solo è la cosa più semplice , ma non mi viene in mente nient’altro da proporvi come surrogato del latticello. Le proporzioni a volte cambiano, a seconda della ricetta, ma gli ingredienti sono sostanzialmente questi.

La signora Petrella mi manda ancora gli auguri  a Natale.

IL POLLO FRITTO DEL NONNO VITTORIO

1 pollo,  1 uovo, 1 bicchiere di latte, pangrattato, farina, sale e pepe, olio per friggere.
Il nonno tagliava con precisione il pollo in 8 pezzi a cui toglieva la pelle, li infarinava, li passava nel l’uovo battuto con il latte e un bel po’ di pepe e poi nel pangrattato.

Ne scuoteva via l’eccesso con delicatezza e li tuffava nell’olio profondo .

Li rigirava bene da tutte le parti con il forchettone , senza pungerli e quando erano belli croccanti li scolava  e li appoggiava sulla carta da pane messa doppia.

E li salava solo allora , perché in cottura la carne non cedesse troppo liquido inumidendo la panatura.
Questo é il pollo fritto della mia infanzia, uno dei ricordi di quel nonno testardo, tenerissimo e sfortunato che se n’è  andato troppo presto, dopo anni di malattia.  “

Il segreto dello chef

Oggi è il compleanno di Silva.

Non è più tempo di regali ma di ricordi.

Ne condivido con Voi uno speciale, di cucina.

In una intervista fattale da un sito di ricette  le venne richiesto quale era l’ingrediente dal quale non si sarebbe mai potuta separare.

Ecco la sua risposta:

“L’amore: in ciascuno dei miei piatti c’è amore per il cibo e per le persone a cui è destinato”

  

Buon compleanno Angelo mio

Lino

RICETTE PARIGINE

Tratto da “I tempi andati e i tempi di cottura (con qualche divagazione)”

Parlo un discreto francese ,piuttosto fluente, anche se non conosco o non ricordo tutte le parole che vorrei, ma ricorrendo a tortuose parafrasi e grazie all’accento è all’abilità di stringermi graziosamente nelle spalle, do l’impressione di essere assolutamente padrona della lingua .

Ho ingannato così un’infinità di Svizzeri e di Francesi, in Italia e all’estero.

Ma voglio parlare di Parigi perché non si pensi che quello che ci spinge ad andarci piuttosto frequentemente sia solo il piacere del cibo.

In realtà ci abbiamo mangiato anche male , anzi malissimo come alle Folies Bergère e al Lidò per esempio, mentre al Crazy Horse e al Moulin Rouge per fortuna abbiamo solo bevuto champagne.

D’accordo é vero che le nostre mete sono quasi sempre gastronomiche , ma ci danno comunque l’opportunitá di allargare le nostre conoscenze,oltre che il nostro giro vita. A Parigi abbiamo scovato molti luoghi incantati praticamente dietro l’angolo.

Pensate a dove il lusso e il glamour della famosa  Rue de Rivoli si stemperano nel Marais, che sembra un villaggio piuttosto che un quartiere o alla Riva della Senna  nei pressi di Notre Dame dove antichi, alti e austeri edifici si appoggiano gli uni agli altri come nottambuli un po’  sbronzi in cerca di un sostegno, o dove l’animazione febbrile di Pigalle diventa uno degli angoli più romantici di Montmartre in Place Suzanne Buisson, coi suoi antiquati lampioni.

Si può dire che a Parigi ci sono una via , o una piazza, per ogni stato d’animo e il segreto per apprezzare appieno questa magica città e cercare di capirla, secondo me , è proprio evitare le sabbie mobili dei monumenti storici  che si pensa di dover assolutamente vedere o visitare, ma prendersela con calma, stare seduti in un Bistrot all’aperto – o dietro la vetrina, a seconda della stagione – e osservare perché i marciapiedi parigini sono un vero palcoscenico: si vedranno passare stranieri che consultano la mappa del Metro, anziani signori che si affrettano verso la boulangerie più vicina per uscirne con l’immancabile baguette sotto il braccio, elegantissime signore in tailleur e tacchi alti con i loro minuscoli e vivacissimi cagnolini, innamorati che si baciano dimentichi di tutto il resto.

Parigi é dunque un’affascinante miscellanea – anzi un pot pourri, alla francese – di curiosità, abbandono, passione, indifferenza. Quindi molto più di una serie di cartoline illustrate.

Vi prego, quando ci tornate non limitatevi a fare il giro da “turisti di massa” dei monumenti storici, ma aprite oltre agli occhi, anche la mente e il cuore e lasciate libera la vostra fantasia.

Perfino là Tour Eiffel, che svetta frivola e decadente, vi apparirà in un’ottica diversa, maggiormente umana e popolare se non vi limiterete a relegarla al ruolo del più elevato punto panoramico della città o al retaggio dell’esaltazione della tecnologia di più di un secolo fa, quando fu costruita come simbolo dell’Esposizione Universale del 1889, ma guardandola terrete a mente che il suo progettista è stato anche il geniale inventore della giarrettiera !

  

CONCHIGLIE SAINT JAQUES AL PERNOD

12 capesante, 1 arancia, 1 limone, 30 gr di burro, 2 cucchiaini di pepe rosa, qualche filo di erba cipollina, 2 cucchiai di Pernod, 1 confezione di panna da cucina, sale e pepe.
Separo i coralli  dalle noci e affetto queste ultime , le copro col succo di arancia e di limone, aggiungo sale e pepe e le lascio macerare al fresco per un paio d’ore.

Intanto faccio fondere il burro e rosolo i coralli, li salo, li spruzzo con il Pernod, unisco la panna e faccio restringere il sugo per qualche minuto.

Distribuisco le fettine di noci sui piatti individuali e le irroro con la loro marinata, a fianco suddivido i coralli e li copro con una salsa tiepida, l’erba cipollina tagliuzzata e il pepe rosa pestato grossolanamente.
Per poterlo apprezzare, Vi deve piacere il gusto di anice stellato del Pernod naturalmente, ma è veramente un antipasto raffinatissimo

COULISSE DI FRAGOLE

4 cestini di fragole, 1/2 vasetto di marmellata di lamponi , 100 gr di zucchero, 250 gr di crème fraiche, 2-3 cucchiai di Cognac,120 gr di biscotti al burro salato,  150 gr di panna montata.

Monto con una spatola la crème fraiche (ossia metà mascarpone metà panna, perchè pur essendo citata anche in moltissime delle ricette di Csaba della Zorza e di Nigella Lawson , la crème fraiche non riesco a trovarla in commercio da nessuna parte, come del resto il latticello, altrettanto utilizzato dalle due famose food  writers) con il Cognac e 50 gr di zucchero.

Sbricciolo grossolanamente i biscotti. Lavo le fragole, le privo del picciolo e le taglio a metà. Ne prelevò circa 1/4 e le frullo con la marmellata. Unisco questo composto alle fragole tagliate, completo con i rimanenti 50 gr di zucchero e mescolo con cura. 

In una bella ciotola di vetro , simile a quella che ho comprato ad Antibes per esempio – ma anche in una pirofila rettangolare e quadrata come quella che usate per il tiramisù per intenderci – alterno strati di coulisse di fragole, biscotti sbriciolati e crema al Cognac.

La sistemo in frigorifero per qualche ora e poi  la servo con ciuffetti di panna montata.

Shopping  and food

Tratto da “U.S.A. E  JET” ovvero: Come sopravvivere ai viaggi fai da te in America

Come as you are (l’abito non fa il monaco )

Gli Americani sono molto disinvolti per quanto riguarda l’abbigliamento. Questo solo durante il giorno, perché la sera e nelle occasioni formali sono impeccabili. Questo atteggiamento non è comunque univoco e cambia sostanzialmente da luogo a luogo.

A Manhattan, per esempio, le impiegate degli uffici e le commesse di negozi e Grandi Magazzini indossano tailleur e collant anche in piena estate quando temperature infernali fanno sciogliere l ‘asfalto dei marciapiedi intrappolando i tacchi degli Chanel. Lo stesso aplomb si riscontra anche nell’abbigliamento della popolazione maschile del Financial District, con le debite differenziazioni sessuali relative a collant e sandali.

A Miami, al contrario, è raro incontrare qualcuno che indossi le calze. O una camicia in tinta unita.

In piccole località costiere della California come Carlsbad o Pacific Grove, al mattino puoi incrociare sorridenti signore in tuta e bigodini che fanno jogging o spingono un carrello di Albertsons e la sera quasi non riconoscerle mentre cenano ad un tavolo accanto al tuo al Daily News Café o da Toasties, tanto sono truccate, abbigliate ed accessoriate.

Il più delle volte indossano abiti o completi raffinati ed eleganti ma non necessariamente firmati.

Gli accompagnatori sono in genere piu informali: non indossano quai mai la cravatta. Ma nemmeno i jeans.

Credo sappiate tutti quanto poco consideri fondamentale lo shopping griffato. Per me la qualità della vita prescinde dalla Firma di ciò che si indossa , ma è piuttosto un insieme di piccoli piaceri godibili, come la scelta di indulgere alle gioie del gusto, di viaggiare comodamente, di alloggiare in alberghi accoglienti e confortevoli, meglio se si trovano in località panoramiche e rilassanti, e di togliersi qualche capriccio anche rinnovando il proprio guardaroba, ma senza stress. Trovo che siano scelte molto meno appariscenti, ma decisamente più gratificanti, dell’acquisto di una borsa firmata assolutamente riconoscibile, per esempio.

Insomma preferisco essere che apparire.

Se messa di fronte ad un’opzione ,scelgo sempre il modello più alto della categoria inferiore, piuttosto che il modello più basso della categoria superiore. In questo modo si tratta comunque del top di gamma . Pensateci.

Non dovendo scegliere, probabilmente prenderei il massimo di tutto ,perché,come dice Lupo Alberto: ” La vita è bella, ma é meglio la bella vita”.

Per chiudere l’argomento , vi confermo che l’America è il posto giusto per concretizzare il compromesso di fare acquisti da boutique a prezzi da discount.

Negli Outlet, che altro non sono che gli spacci aziendali delle Griffe più note, fare acquisti è assolutamente conveniente e spesso perfino terapeutico, anche se raramente rilassante.

Per me gli Outlet non sono il massimo, mentre adoro i Grandi Magazzini come Macy’s, Nordstrom, JCPenny, Sacks, Bloomingdales, Sears, Neiman Marcus, Bergdorf  Goodman, dove le commesse si fanno in quattro per accontentarti e si possono fare dei veri affari, in quanto ci sono saldi e svendite in qualunque periodo dell’anno, che consentono di comprare abiti e accessori molto interessanti con sconti pazzeschi.

E vogliamo parlare delle Food Court al loro interno? Sono sempre una garanzia di potersi procurare un pasto più che dignitoso.

Durante le esplorazioni di Manhattan invece, quasi sempre per pranzo ci siamo sfamati con i sandwich acquistati nei Deli ( contrazione di Delikatessen), dove si possono sia personalizzare le richieste  che affidarsi ai suggerimenti del locale, in entrambi i casi si tratta di un pasto insolito, appetitoso, divertente ed economico.

All’inizio ci siamo fatti guidare dalle proposte standard del menù, ma poi abbiamo imparato a spaziare liberi e felici fra maionese e fantasia è ormai non ci  ferma più nessuno.

Ci siamo divertiti a comprare golosi sandwich “to go” da mangiare su una panchina di Central Park, dove non ci siamo però addentrati troppo, piuttosto che consumarli seduti scomodamente nella immancabile saletta adiacente al locale. I Deli sono in pratica delle paninoteche, spesso a conduzione familiare che costituiscono un’eccellente alternativa a McDonald’s   e  Burger King, al confronto decisamente più unti e calorici.

Nei Mall ,  dicevamo, ci sono delle aree circoscritte, destinate a rifocillarsi, dove si puó prendere anche solo una tazza di caffè, che durerà almeno mezz’ora, oppure un dolce o un gelato, fare uno spuntino o un pasto completo, tradizionale o etnico, e riposarsi.

Il primo Centro Commerciale del Veneto è stato Le Piramidi di Torri di Quartesolo. Ve lo ricordavate?

I Mall sono spazi enormi che generalmente si sviluppano su un unico piano. Hanno parcheggi sterminati e necessitano di una mappa per essere visitati, ma anche così  si corre a volte il rischio di non riuscire ad orientarsi e di perdersi, come è successo al Plaza Camino Real. Che è il Mall dove non riuscivamo a trovare i jeans perché chiedevamo i Levi’s, così come si scrive, mentre in America devi chiedere i “livais” o nessun commesso capirà cosa stai cercando. Sfiancante.

Una tale fatica merita una sosta, tipo pausa pranzo.

Statisticamenteil pasto più comune che si consuma in una Food Court è l’hamburger con le patatine fritte. Oppure la pizza, che è ormai entrata a far parte del DNA degli Americani, i quali si sono perfino convinti che sia una loro invenzione. Vi confido una mia scoperta: ordinano soprattutto quella con i ” pepperoni”, ( che è il salamino piccante, mentre i peperoni si chiamano “peppers” ) è praticamente quasi nessuno sceglie di aggiungere le acciughe.

In compenso gli Americani ci attribuiscono la paternità degli “Spagetti with meat balls e dei Macaroni and cheese”, che nessun Italiano in realtà cucina abitualmente.

Ma certo che lo so che esistono delle ricette che prevedono le polpettine di carne nel ripieno dei timballi di pasta o riso, ci mancherebbe altro! Ma qui si parla di un’alternativa al ragù , che gli Americani non conoscono. E qualche volta anch’io , per finire i rimasugli di formaggio rimasti nel frigo, faccio le penne ai tre, quattro o cinque formaggi, ma gli Americani pensano che siano per noi una specie di piatto nazionale. Hanno le loro convinzioni. In Piazza Erbe avevamo un vicino, Daniel, di Seattle (col quale ho continuato a fare esercizio di Non-Inglese) che pretendeva di fare le Lasagne alla Bolognese con mozzarella, pommarola e aglio a fettine, convinto che fossero l’originale Pasta “Baloni stail” (esatta pronuncia di “Bologna stile”).

Comunque una cosa c’è, che ho imparato dagli Americani: a mangiare la pizza con le mani senza sporcarmi. È’ stato da Pizza Hut nel 1985. O forse da Sbarro nel 1991.

Poco importa , quello che conta è che volevo sapeste quanto mi piace guardare la gente: c’è sempre qualcosa da imparare e anche da imparare ed evitare, se si osserva con attenzione il prossimo.

E vi assicuro che si tratta di puro interesse, non di curiosità.

Gli Americani non stanno a tavola come noi e non mettono neanche i gomiti sul tavolo. Quando usano una sola posata, tipo per una minestra o un’insalata , mangiano “all’inglese”: cioè con la mano sinistra appoggiata in grembo sul tovagliolo .

Quando devono tagliare il cibo invece , iniziano una vera e propria coreografia : impugnano il coltello con la destra e la forchetta con la sinistra – e questo lo facciamo anche noi Europei  – tagliano, mettiamo , un bocconcino  di bistecca tenendolo fermo con la forchetta  – e anche qui tutto regolare- quindi appoggiano il coltello sul bordo del piatto, passano la forchetta nella mano destra e la portano alla bocca – e qui vi voglio- poi la ripassano nella mano sinistra, raccolgono il coltello con la destra e ricominciano. In pratica , a meno che non siano mancini,  non portano mai la forchetta alla bocca con la mano sinistra. È bello da vedere, perché i movimenti sono fluidi e aggraziati, una specie di Thai Chi da tavola.

Naturalmente parliamo di normali pasti in casa o al ristorante, non seduti al tavolino di un Food Court, su una panchina di un parco cittadino, o in piedi accanto al baracchino degli hot dog , dove in pratica tutto quello che occorre è una manciata di tovagliolini di carta.

Secondo me comunque , nonostante le statistiche, la cosa più invitante da mangiare a pranzo durante un’intensa sessione  di shopping in un Mall è un’insalata.

È fresca, non appesantisce e si consuma velocemente.

Inoltre, quelle che in America chiamano insalate, sono il fiore all’occhiello della ristorazione veloce e informale.

Non si tratta di semplici  ciotole di ortaggi misti, ma di intriganti e generose combinazioni di ingredienti golosi.

Scegliete liberamente quella che vi ispira di più- generalmente sono tutte esposte in bella vista – e consumatela accompagnata magari da un tè freddo , circondate dai vostri acquisti, dando ogni tanto una sbirciatina dentro i sacchetti per gioire intimamente di quanto avete comprato. Insomma questo è quello che farei io. Cioè,  che faccio io, perché i negozi Americani sono il massimo per l’autostima di chiunque.

Anche in America esistono negozi specializzati in taglie forti, che però ti propongono dei veri abiti da donna e non , come da noi, degli informi camicioni tipo quelli della Mami di Via col Vento o dei pantaloni tagliati come i Pigiami Palazzo degli anni 70, imbarazzanti indumenti spesso in tessuto leopardato o mimetico, quasi sempre coi lustrini, che fanno pensare che al momento dell’acquisto fossi indecisa fra il look da Desert Storm o da serata in balera di periferia  e che ti fanno sembrare incinta anche se, oltre che un po’ over size, sei anche over sixty.

In America puoi acquistare invece dei veri calzoni, delle camicette, dei completi e degli abiti che non sono semplicemente un po’ abbondanti , ma tagliati in modo da farti sembrare e sentire comunque una donna , quasi come quando compravi ancora la lingerie da Victoria’s Secret.
  

INSALATA  DI  POLLO

Una delle tante versioni

400 gr di petto di pollo cotto, 30 gr di mandorle a lamelle, 1 cucchiaino di senape , 4 cucchiai di maionese,2 cucchiai di panna da cucina, 1/2 limone, sale e pepe, 1/2 cespo di lattuga.

Si sistemano sul piatto di portata le foglie di lattuga spezzettate con le mani. Sopra si dispone il pollo affettato, si sala e si pepa, poi si prepara il condimento  mescolando insieme la maionese, la panna, la senape, la buccia grattugiata e il succo di limone, ci si cosparge il pollo e si distribuiscono sopra le mandorle prima leggermente tostate.

INSALATA DI SPINACI
Ricetta New Age Angelena

  

500 gr di spinaci freschi, 250 gr di formaggio di capra (chevre) , 3 fette di bacon, 1 tuorlo,1 cucchiaio di vino rosso, 1 cucchiaino di senape, 1 cucchiaino di prezzemolo, 150 ml di olio extravergine, sale e pepe .(Volendo si possono aggiungere pomodoro e noci sgusciate)

Si fa macerare in frigo per tutta la notte il formaggio tagliato in quattro dischi con 100 ml di olio e le foglioline di timo.

Si lavano e si asciugano le foglie degli spinaci.

Si prepara una salsa morbida, tipo maionese, sbattendo con la frusta il tuorlo, il prezzemolo, l’aceto, la senape e l’olio rimasto, si sala e si pepa abbondantemente. Si versa sugli spinaci e si mescola con delicatezza.

Si scalda in padella a fuoco medio l’olio filtrato della marinata, si fanno scaldare i dischi di chevre giusto 30 secondi per parte, si dispongono sull’insalata di spinaci e si cospargono infine con le fette di bacon, fritte fino a diventare croccanti e poi sbriciolate.
È un’insalata molto chic, che riesce sempre bene, a patto che le foglie degli spinaci siano piccole  e tenerissime.

MACARONI AND CHEESE
  

300 gr di pasta tipo cellentani, 200 gr di formaggio provolone piccante grattugiato, 100 gr di emmental grattugiato, 1/2  cucchiaino di senape in polvere, 1/2 cucchiaino di peperoncino in polvere, 1/2 litro di besciamella, 4 cucchiai di pangrattato, 1/2 cucchiaino di paprika , 25 gr di burro.
Si lessa la pasta e si scola al dente. Si aggiungono alla besciamella il provolone grattugiato, la senape e il peperoncino in polvere, si rende il composto omogeneo e si condiscono i “macaroni” che poi si versano in una pirofila imburrata.

Con l’emmental, il pangrattato e la paprika si prepara un composto che si sparge sulla pasta.

Si completa con il burro a fiocchetti e si informa per 25/30 minuti a 180 gradi .La superficie deve assumere un bel colore dorato e sobbollire leggermente.
Gli Americani utilizzano il formaggio Cheddar e non il provolone. Volendo un sapore un po’ meno forte, e un’analoga sfumatura di colore, si può scegliere anche il Gouda Olandese a pasta gialla , che è reperibile anche al Supermercato.

Si dice che la prima realizzazione di questa ricetta sia da attribuire ad uno dei Padri fondatori degli Stati Uniti Thomas Jefferson. Ma pare che gli Americani siano convinti che si tratti di un’invenzione della Kraft.

Infatti quasi nessuno, che io sappia, fa in casa questa ricetta dal sapore, in un certo senso, storico e che è piuttosto buona. Gustosa e appena un po’ piccante.

SAN VALENTINO

A Silva

Per noi questo era un giorno speciale

Ricordi?

Un bacio appena svegli

Uno splendido mazzo di fiori per te

Una cena d’incanto  per  me

Poi ancora una notte abbracciati 

 

Buon San Valentino amore mio.

Lino

Un viaggio indimenticabile

Da “I tempi andati e i tempi di cottura (con qualche divagazione)”.

La Polinesia Francese.

Come ho già detto , ormai sono sposata da 40 anni sempre con lo stesso uomo e nella prima metà di questo lungo e felice periodo di convivenza e connivenza, ci eravamo ripromessi di festeggiare le Nozze d’argento con un viaggio in Polinesia.

Ci siamo riusciti nel 1992, un po’ prima di quella importante scadenza, grazie ad una serie di fortunate circostanze legate alla mia professione di allora, che ci hanno consentito di fare un viaggio al di sopra delle nostre aspettative e anche del nostro budget.

Si è trattato di una crociera a 5 Stelle su un veliero altamente tecnologico, il Wind Song (e già il nome faceva sognare, o no?) che partendo da Papetee ci ha portato a Huahiné, Raiatea, Bora Bora e Moorea.
  

I vantaggi : in crociera disfi le valigie una volta sola pur spostandoti ogni giorno. Inoltre ti organizzano escursioni in piroga per raggiungere una piccola isola e risalire il corso di un fiume fra le mangrovie, grigliate con champagne sulla spiaggia più bianca del mondo di un Motu della Barriera Corallina , dove la conchiglia più piccola era grande come una tazza da tè, mezza giornata di osservazione della fauna marina a bordo di una barca dal fondo di vetro, la partecipazione ad un pasto degli squali (e per un attimo  abbiamo anche temuto di essere noi il pasto, ma ci é andata bene) e la visita a  villaggi di coltivatori  di orchidee e di vaniglia nelle isole maggiori, inoltre intensa attività balneare sulle spiagge vicine all’approdo  e water sport tipo banana Boat e parasailing.
Inoltre, tutte le sere cena formale, intrattenimento con bellissime danzatrici di tamurè, incontri con giovani tahitiane che ti insegnavano venticinque modi diversi di indossare il pareo, tutti dimenticati, discoteca ,casinò o piano bar.

Gli svantaggi: da Verona a Tahiti ci sono volute 36 ore di viaggio; a mio marito viene la nausea anche solo guardando l’oblò della lavatrice, le creme solari con indice di protezione 30 fanno giusto ridere e febbraio nel Pacifico Meridionale  è ancora Stagione delle piogge.

Era tale comunque l’entusiasmo per questa fantastica opportunità, che abbiamo superato tutto , anche le difficoltà di riprenderci dal volo charter, di adattarci al rollio della nave, di rassegnarci alla pioggia torrenziale del primo giorno, che ha riempito le piroghe, e al mal di mare sempre in agguato. A bordo,comunque, appoggiate su mensole e tavolinetti c’erano ciotole di pillole contro la nausea da cui servirsi liberamente, per evitare i disagi della navigazione……anche quando si era alla fonda.

A raccontarla così,sembra un inferno, lo so , ma invece è stata veramente una vacanza indimenticabile: pensate solo alla prima parte del racconto.

Per farla breve, le difficoltà climatiche si sono esaurite già il secondo giorno di navigazione, non appena gli alisei hanno sostituito i monsoni e le escursioni giornaliere sulle isole e gli atolli si aprivano su orizzonti inimmaginabili.

I pesci, perfino gli squali, si lasciavano avvicinare con un’indifferenza stupefacente, forse dettata ormai dall’abitudine alla curiosità degli umani.

Le palme si incurvavano con estrema eleganza su spiagge dorate o bianchissime, veramente da sogno. E ti pareva proprio di viverlo in sogno, dai vividi colori abbacinanti della sabbia, dal cielo azzurro e dell’oceano turchese, verde e blu.

  

Sarebbero bastate a nutrirti le sensazioni e le emozioni che solo il clima, la vegetazione e i profumi delle isole sub-tropicali possono regalarti, ma a bordo c’era comunque uno chef Francese molto dotato, versatile e capace.

A mio marito credo che l’impressione di sognare venisse soprattutto dalla quantità , ai limiti del sovradosaggio, di Dramamina che ingurgitava, incoraggiato comunque e assistito dal Medico di bordo, un Inglese ricco di humour che ricordava uno di quegli Ufficiali delle Colonie dell’Impero Britannico del 1800 che si vedono nei film.

E  solo quando si è svegliato, al ritorno, Lino si è reso conto di avere i polpacci e le scapole bruciati dall’esagerata permanenza a pelo d’acqua praticando snorkeling come se quello fosse l’unico scopo della sua vita, che allo scalo di Parigi non avevano caricato i nostri bagagli sull’aereo per Linate e che a Milano pioveva. Proprio come il primo giorno a Tahiti.

Dalla Polinesia ho portato alcune perle nere veramente notevoli, il ricordo di persone deliziose frequentate in un clima molto più rilassato di quello della Fiera dell’Orologeria di Ginevra, bellissimi parei  che uso tutt’ora in casa  per far fronte a certe  afose giornate estive, annodati con grazia ma poca fantasia, o trasformati nel mantello del Conte Dracula  quando voglio divertire mio marito alla fine di una giornata particolarmente pesante di Borsa in flessione .

Ahimè nessuna ricetta , ma se trovate voi da qualche parte i tipici prodotti esotici locali come i leggendari frutti dell’albero del pane o i tuberi di taro, tarna e ufi,  chiamatemi . 

Qualcosa inventeremo.

“Che mangino brioches”

Che Maria Antonietta l’abbia detto o no, poco importa, era per introdurre l’argomento Parigi.

Ditemi, siete stati almeno una volta a Parigi? Sì dai, ne sono sicura. E come lasciarsela scappare? È un mito, un compendio di grandeur, chic, spocchia, sfarzo, storia, arte, moda, musica e grande cucina.

Con la valle della Loira è stata la meta della nostra Luna di miele e forse questo basterebbe a spiegare perché ci torniamo sempre tanto volentieri, sempre molto motivati .

Parigi procura sensazioni e offre occasioni molto varie, tutte da cogliere, che non si scordano facilmente.

In viaggio di nozze ci siamo andati in auto, con un Coupé della Fiat: due ansiosi, emozionati ventenni pieni d’amore e di romantico entusiasmo. Alloggiavamo dalle parti del Bois de Boulogne, in un piccolo, intimo Hotel col garage dove abbiamo lasciato l’auto per muoverci a piedi e in metropolitana. Dormivamo in una stanza minuscola con vista sui tetti e facevamo colazione in camera con café  au lait, croissant caldi e sempre un fiore fresco in un vasetto.

Forse per noi allora questo era il pasto più normale della giornata! Ma lo sapete che abbiamo perfino mangiato più volte nel ristorante vagamente italiano di Charles  Aznavour “La Mamma” per cercare un sapore riconoscibile?!

Quanto abbiamo camminato quel l’aprile del ’69 a Parigi: credo che in una settimana ci siamo fatti almeno 1000 chilometri a piedi! O almeno questa è l’impressione che abbiamo, anche a distanza di più di quarant’anni.

Abbiamo tralasciato le visite più convenzionali ai Musei e ai monumenti muovendoci senza mappe o guide, tuffandosi nella realtà dei diversi quartieri, con i loro aspetti sorprendentemente diversi e affascinanti, per respirare la vera aria di Parigi. Una grande esperienza devo dire.

Alcuni anni dopo, più maturi, più saggi e con un palato più raffinato, ci siamo resi conto di quanto fosse lacunoso da un punto di vista culturale, gastronomico e anche turistico quel nostro primo viaggio e siamo tornati , muniti di cartine, orari dei negozi e dei Musei, indirizzi utili e consigli pratici.

Siamo tornati in aereo, con le Samsonite e la prenotazione all’Hotel di Louvre: posizione eccellente, mobili d’epoca e stanza piccolissima che vibrava ogni volta che passava il Metrò e si affacciava su un trafficatissimo incrocio stradale.

Una sistemazione più lussuosa, ma decisamente meno romantica di quella della prima volta, no? Comunque in questa seconda occasione e nelle successive abbiamo fatto tutto per bene, come ci si aspettava. E anche di più.

Non starò a tediarvi con l’elenco dei Musei e dei monumenti storici  da non perdere, tanto, come si diceva, a Parigi ci siete stati anche voi e quindi sapete di cosa sto parlando, ma sono qui per ricordarvi che per i Francesi il cibo è una faccenda seria e si comportano di conseguenza.

Vi darò dunque alcune dritte perchè quando tornerete nella Ville Lumière possiate adeguatamente rifocillarvi a pranzo, magari al volo con ” le play du Jour”  in un Café o con più soddisfazione a cena in un Bistrot o in una Brasserie, senza commettere gli errori  della nostra prima volta.

  
A Parigi si può mangiare bene quasi ovunque , ma è buona regola ricordare che, come dappertutto, i Ristoranti migliori sono quelli frequentati dai locali.

Come riconoscere i Parigini, vi chiederete. Ma dall’accento, parbleu! E qui ci vogliono orecchio e una parentela adeguata, ma questo ve lo racconto un’altra volta.

I Francesi prendono molto sul serio anche l’aperitivo, quindi prima di ordinare, concedetevi un Pastis o un Kir, meglio forse un Kir Royal e godetevelo mentre consultate il menu, ponderando le scelte con tutta calma e poi aspettando di essere serviti.

Se siete nella zona del Marais, fermatevi a “La Guirlande de Julie” e pranzate sotto i portici di Place des Vosges, se il tempo lo permette. Poi a cena andate nella più antica Brasserie di Parigi, “Bofinger”, dalle parti della Bastiglia, che è anche una delle più belle.

Durante la visita al Louvre, riservate un tavolo all’omonimo Ristorante, anzi a “Le Grand Louvre” , e non so se il nome dipenda dalla mania gallica di grandezza e se esista anche “Le Petit Louvre”, ma non credo.Sia come sia, non mi era mai capitato di trovare un ristorante di questo livello in un Museo.

Nel Quartiere Latino evitate la condiscendente e costosissima cucina della “Tour d’ Argent”, ma sempre sullo stesso Quai, di fronte a Notre Dame, godetevi una parentesi da “Campagne et Provence”. Non resterete delusi né impoveriti.

Sulla Tour Eiffel ho cenato una volta al “Jules Verne”: panorama fantastico, atmosfera soft estremamente elegante, ma è da riservare a un evento particolare, mi capite? 

In zona, i borghesi locali come Guy che abitava in Avenue de Suffren, non lontano dall’École Militaire, mangiano piuttosto al “Bistrot de Breteuil” nell’omonima piazza, che non è proprio vicinissima alla Tour Eiffel, ma offre cibo di buona qualità e piatti inconsueti. Direi che è da provare.

La domenica, quando andate in treno al Marché aux Puches di Saint Ouen, scendendo alla fermata Porte de Glignancourt, non aspettatevi di fare grandi affari. È saggio ricordare infatti che se spesso alcuni venditori non hanno idea del valore di certi oggetti, magari non ce l’avete nemmeno voi, quindi limitatevi    al puro piacere di curiosare. Se ci riuscite.

Poi pranzate da “Luisette” dove i piatti sono accompagnati dal suono di una fisarmonica che infonde un vago senso di malinconia a tutto il locale. È molto pittoresco e fa molto vieux Paris.

Se amate crostacei e molluschi come capesante (ossia conchiglie Saint Jaques), cozze, ostriche e via discorrendo, deviate appena dagli Champs Elysée e da “Sebillon” vi aspettano grandi sorprese a prezzi piuttosto ragionevoli.

Nel Quartiere dell’Opéra e quindi dello shopping più irresistibile, non lasciatevi abbruttire da un vero pranzo o non vi resteranno più energie per continuare il vostro giro di acquisti, anche se la choucoutre genuinamente Alsaziana del “Café Runtz” potrebbe costituire una vera tentazione, piuttosto prevedete una sosta ristoratrice alla “Ferme  St.Hubert”, che con le sue insuperabili fodues rappresenta una piacevole alternativa nella ristorazione parigina.

È ora che la pianti , vero? So che sembro stipendiata dalla Guida Michelin, ma volevo farvi partecipare, come al solito, alle mie scoperte culinarie, stavolta del capoluogo di uno degli otto Dipartimenti dell’Ile-de-France: Paris!

KIR ROYAL

(Per cominciare con stile)

1 parte di Crème de Cassis, 2 parti di Champagne

C’est tout!

VELLUTATA  DI FORMAGGIO

1 litro di brodo di pollo, 80 gr di burro,150 gr di panna , 2 cucchiai di farina, 200 gr di Gruyère,1/2 cucchiaino di paprica dolce, sale e pepe
Preparo un roux con burro e farina, aggiungo il brodo bollente e la panna  e cuocio finché il preparato diventa abbastanza denso da velare il dorso del cucchiaio. Regolo di sale e a questo punto aggiungo il Gruyère a julienne o grattugiato con la paprica. Proseguo la cottura mescolando fino al completo scioglimento del formaggio senza che arrivi mai a bollore.

Servo la vellutata in tegamini di coccio accompagnata dai crostini alle erbe o al tartufo, proprio come fanno a Parigi.

CROSTINI ALLE ERBE

1 confezione di pasta sfoglia rettangolare, 1 tuorlo, 1 spicchio d’aglio,150 gr di Gruyère grattugiato, timo,rosmarino,salvia,prezzemolo,basilico e maggiorana, 20 gr di burro, fleur de sel. 
Frullo insieme tutte le erbe, nelle stesse proporzioni e prelevo circa 2 cucchiai di trito (il resto lo conservo in un vasetto a chiusura ermetica, coperto d’olio, per qualche preparazione futura), aggiungo lo spicchio d’aglio ridotto a crema e il Gruyère (ci stanno bene anche il pecorino o il parmigiano, ma é una scelta molto meno francese) e mescolo.

Stendo la sfoglia e la spennello col tuorlo, poi distribuisco la miscela di erbe e formaggio e la arrotolo aiutandomi con la carta della confezione. La taglio a rondelle spesse circa 1 cm che sistemo sulla placca del forno coperta di stagnola, ben distanziate.

Le spennello di burro fuso e le cospargo di fleur de del (al supermercato lo trovate,tranquilli, anche se il mio l’ho comprato in Costa Azzurra, lo confesso) e le inforno a 200 gradi soltanto per 3, 4 minuti. Mi raccomando non distraetevi!

Con lo stesso procedimento preparo anche dei deliziosi crostini al tartufo, molto sofisticati. Sostituisco semplicemente il composto di erbe e Gruyère con 2 o 3 piccoli tartufi frullati con una puntina di pasta d’acciughe, molto burro e un pizzico di pepe.

FRICASSEA DI VITELLO

  

800 gr di spezzatino di vitello, 1 cipolla, 1 carota, 1 gambo di sedano, 1 spicchio d’aglio, 1 porro, 1 bouquet garni e qualche chiodo di garofano, 1 bicchiere di vino bianco, 1 cucchiaio di farina,200 ml di brodo, 1 confezione di panna da cucina , 2 tuorli, il succo di 1/2 limone, 50 gr di burro, 200 gr di funghi coltivati, 10-12 cipolline , sale ,pepe,noce moscata.

Mi assicuro che i cubetti di carne siano il più possibile delle stesse dimensioni ed eventualmente li rifilo con un coltello ben affilato, poi li sistemo in un tegame con la cipolla intera steccata con i chiodi di garofano, il sedano, il porro e la carota a pezzi. Li copro con il brodo ( che puó essere anche di dado,va bene) e il vino, aggiungo l’aglio e il mazzetto aromatico (bouquet garni) composto di prezzemolo, timo e alloro. Condisco con abbondante pepe bianco.

Porto a bollore, schiumo un paio di volte e cuocio a fuoco moderato col coperchio per circa 1 ora e 1/2. Quando la carne è tenera la tolgo e la tengo al caldo. filtro il brodo, lo rimetto sul fuoco, aggiungo le cipolline sbucciate e i funghetti puliti, che faccio andare ancora per 15 minuti circa (senza coperchio così si restringe un pó ). Aggiusto di sale.

Rimetto la carne nel tegame e la scaldo nuovamente. Intanto batto energicamente i tuorli col succo di limone, la farina, il sale e la noce moscata, aggiungo la panna e verso questa emulsione a filo sulla carne . Mescolo delicatamente e faccio addensare. Infine, fuori dal fuoco incorporo il burro a pezzetti.

La salsa di questi bocconcini delicati ma saporitissimi deve risultare fluida e ben legata.

La prima volta , la fricassea di vitello l’ho assaggiata a casa della Fanou, che l’aveva preparata per il suocero, ma quella proposta nel menù del Bateu Mouche che discende la Senna all’ora di cena mi è parsa molto più gustosa.

Per una variante esotica e vagamente etnica , mi piace servirla con del riso Basmati profumato con succo e buccia di limone,uvette, pinoli e semi di cardamomo .

Cosī magari qualche ospite snob o un nostalgico filo- gollista potranno pensare che si tratti di un piatto originario della Francia Coloniale e gradirlo maggiormente!
 

Il tempo delle mele

Tratto da “I tempi andati e i tempi di cottura (con qualche divagazione)

“Dreams are my reality” cantava Richard Sounders come colonna sonora di quel “tempo delle mele” che era un periodo ben definito e irripetibile nella vita degli adolescenti. E anche degli adulti.

Oggi praticamente il tempo delle mele non finisce mai.Anche da mio fruttivendolo le trovi tutto l’anno e di tutte le varietà contemporaneamente.

Voi la fate la torta di mele o vi piacciono dolci più sofisticati?. Io abitualmente la faccio di tre tipi e ne saprei fare anche una quarta e una quinta, ma non vorrei parlarne per non sembrare megalomane. Comunque se non ci credete, vi cito queste ultime anche se le faccio veramente di rado: la francesissima Tarte Tatin e la Torta di mele e pane , che mi ha insegnato la mamma di Marco Franceschetti di Cavaion.

E poi ci sarebbero anche le frittelle di mele, le mele al forno,le mele cotte con la buccia di limone e quelle affettate e fatte seccare per le decorazioni natalizie insieme alle fette di arancia .

Insomma con le mele non si finisce mai, vero?

Credo che la mela sia un frutto polifunzionale, il più eclettico che io conosca.Arrivo a capire come Eva non abbia resistito alla tentazione pur essendo una privilegiata mica da ridere,nonostante il matrimonio col primo venuto. Pensate, viveva in Paradiso e non ha saputo farselo bastare.

Personalmente ritengo inoltre la mela un frutto decisamente sexy, per via della buccia lucida e levigata, o a volte deliziosamente ruvidina, la sua forma tondeggiante, senza spigoli,col picciolo che spunta da una piccola depressione, non come quello delle pere che svetta invece un po’ insolente, il suono deciso quando si addenta, quel  rivoletto di succo un po’ asprigno che a volte cola sulle labbra.

La sa lunga al riguardo mio figlio Simone, che fino a che la Gloria non l’ha iniziato al piacere prima sconosciuto di assaggiare altri frutti, si era cibato unicamente di mele, diventando un vero esperto di sapori, consistenze e profumi con una predilezione per le Granny Smith, che oggi ignora.

E sapeste quante altre cose ha imparato a mangiare con gusto ! Ah potenza dell’amore. In questo mi ricorda un po’ il padre. Da lui inoltre ha imparato anche a ballare l’inno Tedesco. Chiedeteglielo se non ci credete.

Il mio famoso marito è un grande estimatore delle mie torte di mele. Ma anche delle mie crostate. E dei miei dolci al cucchiaio. E dei miei semifreddi ad essere onesti. Insomma di tutti i dolci in generale perché è un grandissimo goloso. È lui che ha insegnato alla Lisa come ripulire le pentole del budino .

Prima vi dicevo che generalmente sono tre i tipi di dolci con le mele che faccio più di frequente e la mia favorita è quella più tradizionale, ma la faccio meno spesso delle altre perchè Lino preferisce lo Strudel o la Apple Pie.

È un peccato, perché oltre ad essere molto buona ha il gusto, la semplicità e il profumo delle cose di una volta, quelle che si stanno perdendo, che finiranno col non interessare più a nessuno se non a me , per esempio proprio le torte che si facevano solo d’inverno perché l’unico forno della casa era quello della cucina economica.

Io non me le voglio dimenticare queste cose. Fanno parte della mia, della nostra vita di figli del dopoguerra, intendo la seconda guerra mondiale, nati in famiglie appena agiate, cresciuti in appartamenti dove le camere da letto si riscaldavano con le stufette elettriche, ci si asciugava i capelli in cucina e si faceva economia credo un po’ per principio.

No, sono d’accordo non erano bei tempi, ma sono stati i miei tempi e li tengo nel cuore e nella memoria, pur adorando le novità e i cambiamenti.

Lo sapete, no, che non butto via niente.

Tornando a bomba,due precisazioni: la pasta per lo Strudel la tiro rigorosamente col mattarello fino ad ottenere una sfoglia tonda di almeno 45 cm di diametro, sottilissima ed elastica ,utilizzando un solo uovo, mentre la Apple Pie la faccio proprio come quella di Nonna Papera,sapete, quella che poi mette a raffreddare sul davanzale della cucina per la gioia dell’orso Onofrio. Oh boy!

Certo sono torte decisamente più adatte ad un té pomeridiano , ma se non volete rinunciare al dolce di mele come chiusura di una cena formale , fate dei timballini individuali , che sono molto più eleganti di una torta da affettare in tavola e spolverizzateli di zucchero vanigliato al momento di servirli.

Mai provato?

E allora buttatevi: sarà il vostro personale tim-ballo delle debuttanti!

Torta di mele “old fashion”

  

1 kg di mele Golden,200 gr di farina, 100 più 50 di zucchero, 2 uova intere, 1 bicchiere di latte, 1 bustina di lievito per dolci, 50 gr di uvette, 1 bicchierino di grappa, 1 pizzico di sale.
Sciacquo bene le uvette e le metto a bagno nella grappa tiepida.Sbuccio le mele e le taglio a cubetti. Mescolo insieme la farina , i primi 100 gr di zucchero, le uova leggermente battute, il sale, il latte, il lievito, le uvette con tutta la grappa e il burro che ho fatto sciogliere in forno nella tortiera così è già pronta, mescolo e aggiungo le mele.

Verso il composto nella tortiera, lo livello e spargo sopra il rimanente zucchero. Inforno a 180 gradi per circa un’ora. Non c’è altro, ma è di un buono!!

Apple pie

  

Per la pasta.  : 220 gr di farina,1 cucchiaino da caffè di sale fino, 140 gr di margarina ( potete usare il burro ma peggio per voi) 1 dl circa di acqua molto fredda

Per il ripieno: 6 mele Granny Smith, 150gr di zucchero,2 cucchiai di farina, 30 gr di burro fuso ( non di margarina eh) 1 cucchiaino da té di cannella in polvere.
Preparo la pasta tagliando a pezzetti la margarina ben fredda nella farina, aggiungo il sale e l’acqua, impasto velocemente con la punta delle dita, faccio una palla e la metto in frigo avvolta nella pellicola.

Intanto sbuccio e affetto le mele piuttosto sottili e le mescolo a farina ,zucchero, burro fuso e cannella.

Riprendo la pasta, la divido in due e ne stendo metà col mattarello, la piego in quattro per non romperla mentre la sollevo e la trasferisco nella tortiera imburrata e infarinata, bucherello il fondo e la riempio con il composto di mele. Stendo l’altra metà, piego anche questa in quattro e copro la tortiera premendo bene i bordi per far aderire i due dischi di pasta, taglio l’eccedenza e decoro il bordo con i rebbi di una forchetta.

Questo gesto serve anche a sigillare il ripieno all’interno del guscio di pasta.

Pratico dei tagli asimmetrici sulla superficie per far uscire il vapore durante la cottura e spennello con una miscela di latte e uovo sbattuto.

Inforno a 180 gradi per circa un’ora.

Va servita a fette, tiepida, con una pallina di gelato alla vaniglia. Questa versione si chiama negli U.S.A. ” à la mode”: francesismo americano!

PRANZO A RODEO DRIVE

Silva era una donna eccezionale. E non lo dico perchè ne ero e sono profondamente innamorato ma perché nella sua vita ha fatto moltissime cose , e tutte nel migliore dei modi.

Non parlo dei ruoli  di amica, fidanzata, moglie, amante, mamma, nonna , nei quali ha reso la mia vita completa e bellissima ma nelle attività lavorative delle quali si è occupata. L’ultima è stata la creazione e gestione di un prestigioso negozio nel centro di Verona che con la sua consueta fantasia ha chiamato “Gioielli e Tentazioni” . In breve lo ha trasformato in una delle gioiellerie più chic del centro con vetrine leggendarie per la bellezza  e l’accostamento degli oggetti ,rinomata e frequentata  per la cortesia e gentilezza riservata alla clientela e per il gusto raffinato delle proposte di vendita .Fino al 1999 è stato il suo regno..

  

In questo racconto , la memoria  della sua esperienza commerciale si fonde con i sogni e con la descrizione e il consiglio di acquisto di oggetti particolari,profumi esclusivi,  gioielli  preziosi , tutto sempre tipicamente di Beverly Hills

Senza dimenticare, alla fine ,le solite gustose ricette.

RINGS AND THINGS
(La filiale americana di Gioielli e Tentazioni)

Se a suo tempo avessi aperto una gioielleria anche in America, con tutta probabilità  l’avrei chiamata Rings and things.

Non avrei potuto farlo a Cavaion naturalmente, dove come minimo sarebbe diventata Rin Tin Tin. Perfino l’allora Sindaco Giacomelli confondeva il mio splendido Gioielli e Tentazioni  con Sorrisi e Canzoni.

Se ,in particolare, l’avessi aperto a Rodeo Drive, il nome sarebbe stato quasi certamente Rodeo d’or, che si legge come Rodeo door (cioè “La porta su Rodeo”, sottinteso Drive) e che trovo essere un trade Mark molto intrigante, soprattutto se accompagnato da una porta d’ingresso antica , dall’aspetto insolito e lussuoso,adatta agli standard locali.

Che io sappia, l’unica vera conquista culturale Californiana è poter voltare a destra agli incroci anche col semaforo rosso……non mi viene in mente altro, quindi sono convinta che l’apparizione di un autentico antico portoncino italiano dell’Ottocento, sobriamente blindato all’interno e inserito in una lastra di cristallo anti sfondamento,avrebbe suscitato un certo interesse commerciale, ma soprattutto culturale.

Sarebbe stato inutile andare più indietro nei secoli nella ricerca della porta, tanto mi  sa che in pochi laggiù avrebbero colto la differenza tra Luigi Filippo e Luigi XV.

Secondo me il target di clienti che si dedica regolarmente allo shopping a Beverly Hills e ci abita, o al limite ci viene apposta da Bel Air, avrebbe molto gradito il mix di proposte gioielli/piccolo antiquariato che avevo in mente.

Eh sì, ci ho fantasticato su un bel po’ quasi vent’anni fa, ma siccome ho più immaginazione che coraggio ( leggi : più idee che quattrini per realizzarle) è finita che non ne ho fatto niente.

Eppure come mi sarebbe piaciuto per esempio, proporre anche in America quegli inconfondibili gioielli miniati, che sempre venduto con tanto successo anche ai turisti Americani in visita a Verona , quelle bellissime miniature realizzate a mano su oro che sono tutti pezzi unici.

In questo modo non avrei dovuto temere la concorrenza di Tiffany, Bulgari, Cartier, VanCleef & Arples e Harry Winston. In alternativa ai loro gioielli principeschi , i miei sarebbero stati oggetto di nicchia divertenti ma costosi: un connubio perfetto per i ricconi.

Avrei messo nelle vetrine anche alcuni di quei braccialetti con i charms, rigorosamente Made in Italy, che raccontavano ognuno  una storia diversa, personalizzati per ciascuna cliente, quelli con alcune parti mobili per cui le porte delle casette si aprivano, alle automobiline giravano le ruote, si abbassava il ponte levatoio dei castelli, si muovevano le lancette degli orologi e così via . Ve li ricordate? No? Peccato, perché erano proprio speciali e molto chic.

Accanto ai gioielli ci sarebbero stati bene piccoli oggetti di antiquariato di provenienza italiana o al limite inglese o francese, non di alta epoca, ma di effetto e di impatto immediato: quelli insomma che costituivano le mie “tentazioni”.

Sogni, sogni,sogni: fantasie irrealizzabili, divertimenti privati immaginati tanto per passare il tempo, progettando l’impossibile.

Sono sempre dell’opinione comunque che anche una semplice botteghetta  di bric-à – brac farebbe la sua ottima in America. Posso dirlo con sicurezza perché li ho visti i loro negozi di Antiques, sia in California, che nel New England e persino in Florida.

Ci ho fatto anche qualche acquisto, ma solo perché-  come Oscar Wilde- so resistere a tutto ma non alle tentazioni.

Dunque , questi negozi di anticaglie ( non certo di antichità) espongono alla rinfusa una gran quantità di deliziose cianfrusaglie e siccome in genere hanno l’aria condizionata, se siete accaldati, fatevi un giro all’interno.

Troverete vecchie bandiere,bottoni, cuscini,tortiere,dagherrotipi,bambole di pezza,bicchieri spaiati,gioielli indiani coi turchesi,quinta,originali addobbi per l’albero di Natale,copertine illustrate da Norman Rockwell,piatti commemorativi,scatole di latta,anatre di legno,carpet bag, piccole zagare per il burro, boccali raffiguranti le avventure dei Supereroi, vecchie pubblicità della Coca, riproduzioni della lanterna di Paul Revere,libri di ricette degli anni 60, tre di legno usati e molto di più.

Magari non si tratta proprio di pezzi di antiquariato, ma nella giovane America vengono considerati più che oggetti di modernariato.

Un’altra cosa che trovo irresistibile in America è comprare profumi, perché ne trovo alcuni che non vengono esportati in Europa, quindi, se li comprate anche voi, ve ne andrete in giro spargendo un alone aromatico di essenze assolutamente diverso dalle solite combinazioni, che vi renderà uniche e speciali agli occhi, ma più che altro al naso, di chi incontrerete.

Fino agli anni 80 l’incontrastata egemonia del mercato dei profumi era in mano ai francesi, che ne avevano fatto un grande business internazionale.

E’ stato verso la metà del decennio, al culmine dell’edonismo Reaganiano, che è iniziato il boom della produzione Americana in questo settore della cosmesi.

“Giorgio Of Beverly Hills”  e “Charlie” di Revlon erano già presenti in Italia da un bel po’, ma gli anni 80 sono stati il momento magico di “Beautiful” di Ester Lauder, di “Sun flower” di Elisabeht Arden e perfino di “Sweet honesty” di Avon . E io c’ero!.

Nella  città dei sogni e dei sognatori , percorrendo con un senso di curiosità reverenziale l’equivalente angeleno di Faubourg-St-Honorè o via Montenapoleone, si ha quasi subito la sensazione  di esserci  già stati, di aver già visto tutto, merito forse della Julia Roberts di Pretty Woman.

Lo dico sempre: Los Angeles é una città che mi toglie il fiato e non mi interessa se si tratta di vera emozione o di esagerata concentrazione di monossido di carbonio, la adoro.

Sotto un cielo incredibilmente perfetto, di un azzurro intenso così raro a Los Angeles ( che ricorda un po’ il turchese degli infissi di Santorini per intenderci) , circondata da abbronzature permanenti, seni rifatti e denti incapsulati, passando accanto a limousine e auto fuori serie accostate a marciapiedi, quella prima volta è stato fantastico entrare negli esclusivi negozi di Rodeo Drive per acquistare almeno un profumo.

Ho cominciato nel 1985 da Fred Haiman, con il famoso ” 237″ , che altro non è se non il numero civico della storica boutique (dove adesso però c’è Louisiana Vuitton, che ne ha comprato ,o affittato, lo spazio) e in seguito sono passata al più sofisticato “Touch with love”.

I profumi di Fred adesso si trovano dappertutto, grazie alla grande distribuzione. Per me hanno quindi perso gran parte del loro fascino. Mi piacciono sempre, ma mi divertono meno perché  non sono più così esclusivi.

Quando sono entrata per la prima volta da Bijan, che è considerata la boutique più cara del mondo , mi hanno offerto una Perrier con una fetta di lime. A chi fa acquisti importanti offrono probabilmente dello champagne . Non ci si poteva sbagliare su quale fosse il negozio, perché lì davanti c’era sempre parcheggiata la Bugatti  Veyrondel proprietario Bijan Pakzad. Il suo ” Bijan di Bijan ” con l’inconfondibile tappo bianco che sembra una ciambella mal riuscita, caratteristico più del flacone , è stato per anni  il mio profumo preferito.

“Carolina Herrera” dell’omonima stilista Venezuelana è stata un’altra mia scoperta degli anni 90, ma adesso i suoi profumi li puoi comprare anche online e non vale quindi più la pena di pensarci , perché ormai non sono così speciali come in quegli anni , anche se restano sempre fragranze molto eleganti.

Oggi, senza allontanarsi da Beverly Hills, molti profumi, anche quelli poco conosciuti ma senz’altro notevoli ( e non solo), si possono trovare nel lussuoso The Rodeo Collection per esempio, dove conviene anche pranzare con un bagel al salmone o un classico Club sandwich.

Quando invece si è moderatamente affamati e si vuole avere un trattamento da VIP, si può’ senz’altro scegliere di provare il Ristorante di uno dei grandi Alberghi. A mezzogiorno i prezzi sono ragionevoli, il servizio impeccabile  e i camerieri sono quasi tutti aspiranti attori. Il che  non guasta, da un punto di vista puramente estetico.

Se non volete sforare di troppo il budget, scegliete una di quelle famose  insalate che più o meno sono le stesse in tutti gli States, o un piatto unico  a base di riso, sempre molto abbondante.

Vedrete che il prezzo non supererà quello del calice di Chardonnay o di Chablis che non avete resistito alla tentazione di ordinare. Ma in fondo si era detto “trattamento da VIP”, no?

A noi una volta al ristorante  del Beverly Wilshire hanno dato  addirittura  un tavolo vicino alla vetrata che da sul l’esterno, sul  crocevia di Rodeo Drive con Wilshire Boulevard, probabilmente per  i sacchetti che avevamo con noi venivano tutti dai negozi del Golden Triangle. Ma c’è lo siamo fatto cambiare.

Perché  era al sole o perché l’aria condizionata era troppo alta, non me lo ricordo, ma ci siamo spostati nel patio interno, con i nostri prestigiosi pacchetti è quella riconoscibile aria di borghese eleganza Europea che tanto piace ai Californiani.

Devo dire in tutta onestà che non era niente male neanche lì fuori, con le palme in vaso e i gelsomini tappezzanti , ma mi sono giocata la possibilità di guardare da vicino le Star di passaggio e di farmi vedere da loro. Dovrò tornarci.

Alla fine della giornata della giornata che avrete deciso di dedicare alla conoscenza , o all’approfondimento , di questa zona di L.A. , prima di riprendere la macchina per allontanarvi dal lusso leggendario del quartiere, dove come tutti gli umani , avete fatto più jogging che shopping , ricordatevi di allungare la passeggiata fino all’acciottolato italiano di Two Rodeo, un’aggiunta relativamente recente alla mitica omonima strada.

Questa via ha un’ambientazione che gli Americani insistono a trovare molto Europea, forse perché c’è anche la boutique di Ferre’ .

A me francamente ricorda di più la New Orleans Square di Disneyland . Stessi lampioni.

Dicevo, se l’aver solo guardato le vetrine anziché curiosare all’interno delle leggendarie boutique di Rodeo Drive ( dove si può anche entrare tranquillamente senza obbligo di acquisto un po’ come si fa da noi nei Grandi Magazzini) , vi ha particolarmente affaticato e accaldato, prima di lasciare Two Rodeo, fermatevi da Tiffany.

L’ingresso è libero, i commessi sono tutti eleganti e gentilissimi, troverete veri oggetti di culto in argento a prezzi quasi convenienti e in più tengono l’aria condizionata a palla.

BAGEL AL SALMONE
Ciambelle  kosher per un pranzo veloce

400 gr di farina, 1/4 di litro di latte fresco,50 gr di burro, 1 cubetto di lievito di birra, 1 cucchiaino di sale, 1 cucchiaino di zucchero, 1 uovo intero separato

Per la farcitura : 200 gr di salmone affumicato,200 gr di formaggio fresco,aneto o finocchietto,cipolla tritata,pepe nero macinato, poco succo di limone
Si fa sciogliere il burro nel latte scaldato con lo zucchero, si fa intiepidire e si unisce il lievito sbriciolato. Lo si lascia schiumare leggermente in superficie, quindi si aggiunge l’albume montato a neve. Si unisce gradualmente la farina, poi il sale e si mescola fino ad ottenere un impasto morbido e senza grumi che si lascerà lievitare coperto e al caldo per circa un’ora.

Quando è aumentato due volte di volume, si lavora brevemente e si suddivide in 12 pezzi . Si formano delle palline usando il manico di un cucchiaio di legno si pratica un foro nel mezzo e si allarga facendole ruotare perché assumano l’aspetto di ciambelle.

Si coprono con un tovagliolo e si lasciano lievitare ancora 10/15 minuti.

Si porta a ebollizione abbondante acqua in una pentola capiente , si tuffano poche alla volta e si tolgono dopo 2 minuti con una schiumarola o un ragno.

Si sgocciolano bene e si dispongono su una teglia foderata di carta forno.

Si sbatte il tuorlo con due cucchiai d’acqua e si spennellano.

Si infornano a 180 gradi per 20 minuti e una volta raffreddati, si tagliano a metà e si farciscono con il formaggio fresco (  che può essere Philadelphia, ma anche mascarpone o ricotta ) ,qualche fettina di salmone e si completano con il finocchietto o l’aneto e, se piace, con poca cipolla. Si spolverizza con il pepe e,volendo, si può aggiungere qualche goccia di limone.

Spuntino raffinato e saporito. Molto chic. Decisamente adatto a Beverly Hills.

CREAMED SCALLOPS
Capesante alla panna

12 grosse Capesante, 250 gr di funghi coltivati, 1 piccolo peperone rosso, 2 cipollotti freschi ,1 gambo di sedano, 50 gr di burro, 200 ml di panna da cucina, Tabasco, 1 mazzetto di prezzemolo, sale e pepe bianco, 2 tazze di riso bollito
Si affettano molto finemente i cipollotti e il sedano a cui si sono tolti i filamenti, si taglia a striscioline sottili il peperone privato dei semi, si affettano anche i funghi e si fanno saltare tutte le verdure nel burro.Si prosegue la cottura per una decina di minuti mescolando di tanto in tanto, si condisce con sale e pepe, si aggiungono la panna e poche gocce di Tabasco.

Si lascia sobbollire piano ancora per qualche minuto.

Si lavano e si asciugano le Capesante, si dividono in due in senso  orizzontale  e si fanno insaporire nel tegame con le verdure, per non più di cinque minuti, a fiamma bassa.

Si versa la preparazione sul riso lessato e scolato e si cosparge di prezzemolo.

Gli americani  utilizzano solo le ” noci ” delle Capesante e non cucinano mai il “corallo”.Io pero’ ce lo metto perché per me così è una prelibatezza.

Le Capesante o coquille Saint-Jacques sono dette anche Pettini di mare  .In America quelle pescate nell’Atlantico si chiamano Sea o Bay scallop, mentre quelle del Pacifico pragmaticamente solo Pacific scallop.

CLUB SANDWICH
Il più famoso sandwich d’America 

3 fette di pancarrè tostato da ambo i lati, 4 fette sottili di tacchino arrosto, 2 cucchiai di maionese,3 piccole foglie di lattuga, 4 fette sottili di pomodoro , 4 fette di bacon croccante
Si spalma di maionese una fetta di pane , si copre con la lattuga e ci si mette sopra il tacchino .Si copre con un’altra fetta di pane spalmata di maionese su ambo i lati e si dispongono sopra pomodoro e bacon .Si completa con la terza fetta di pane anche questa spalmata di maionese, ma solo sul lato a contatto con il bacon.Si taglia in quattro diagonalmente ed ogni triangolo si infilza con uno stuzzicadenti decorativo.

Variante della famiglia Avanzi: noi ci mettiamo anche una fetta sottile di formaggio Emmenthal e uniamo alla maionese un cucchiaino di senape tipo Digione e poi lo ripassiamo sulla  piastra o nel tostapane perché si sciolga il formaggio.

Non ditelo agli Americani però,non capirebbero perché abbiamo introdotto questa variante.

Ah, non lasciatevi sfuggire neanche la confidenza sull’utilizzo del corallo delle Capesante, mi raccomando.

COPPAPASTA  E  DINTORNI

Da “I tempi andati e i tempi di cottura (con qualche divagazione)”

Parafrasando il vecchio detto caro a mia nonna (che era piccolina e molto modesta)  “Altezza è mezza bellezza” si può affermare che ” Coltelo è mezzo fornello” , nel senso che con gli strumenti adatti  è molto più facile ottenere buoni risultati.

Possiedo molti attrezzi per gli usi più svariati e diversi e mi sento di raccomandare di non avere il braccino corto quando si tratta di fare acquisti per la cucina .

Ad esempio, se il coltello è ” giusto” si dimezza la fatica di affettare, sminuzzare, incidere, rifilare, sfilettare e se ben affilato- e deve esserlo- in caso di incidente sul lavoro, la ferita al dito si rimarginerà molto in fretta perché il taglio sarà netto, senza sbavature. Non occorre che questo lo sperimentiate di persona, fidatevi e basta.

Naturalmente in cucina i coltelli non sono tutto. Tralascio volutamente di dilungarmi sui tegami,pentole,padelle,casseruole,pirofile,tortiere e via discorrendo perché ce li avete di sicuro e vi rubo qualche minuto per parlare di quegli accessori  non necessari che magicamente diventano indispensabili quando  si offre una cena non tradizionale.

Siete di quelli che si limitano al menù standard all’italiana: salumi misti,lasagne, arrosto e macedonia? Allora passate oltre perchè quello che sto per scrivere non vi interessa, ma se siete gastronomi curiosi, fantasiosi e con la voglia di stupire, prendete nota e poi fiondatevi in un bel negozio di casalinghi o anche in un grande magazzino ben fornito, fa lo stesso, basta che ci andiate.

Posso sembrare un po’ esagerata ma ho comprato per due volte ad Antibes una ciotola di cristallo ( la prima si era rotta) per servire la zuppa inglese e le sue varianti, a Parigi degli stampi per la bavarese di pomodoro da servire con la burrata,  a Carpi un mortaio col beccuccio, a Montecatini un contenitore multiplo per le spezie, a San Diego una tortiera di porcellana col coperchio  a forma di Cherry Pie, a Monaco di Baviera un barattolo bianco e blu con su scritta l’indicazione del contenuto, ma siccome non so il tedesco, lo uso per il sale grosso.

  

La mia idea di Paradiso è possedere un’infinità di coppapasta di due o tre misure diverse. Una follia, lo so, perché tra l’altro sono difficilissimi da riporre, si ribellano in modo subdolo se cerchi di impilarli e costicchiano pure.Sapeste però come si presentano sui piatti i paté rustici o che so , le pere caramellate col Roquefort , se usate i coppapasta!

Volete sapere qual’è l’alternativa ”  fai da te” più economica? Utilizzare le scatolette usate di tonno sott’olio ( o al naturale se siete a dieta …eh, eh!) aprendole sopra e sotto e lavandole bene , ma attenzione: i bordi delle scatolette del tonno sono terribili, sempre in agguato e provocano dei danni molto seri, quindi é meglio se vi comprate i coppapasta o ve li fate regalare a Natale, ignorando quello che ho detto : era un suggerimento del piffero.

Poi secondo me bisogna avere tante, ma proprio tante  formine piccole da crostatine e tartellette e altrettanti stampini da soufflè non per fare dei veri soufflè, che non riescono mai come dovrebbero , ma per i budini di parmigiano o i timballi i di verdura e soprattutto le quiche, che presentate in mono-porzione, pur avendo le stesse caratteristiche organolettiche, diventano molto chic e non fanno picnic di Pasquetta.

E che dire degli stampini per i biscotti ? Credo di possederne una settantina: solo i soggetti natalizi devono essere almeno 25 e basterebbero appena a realizzare il Calendario dell’ Avvento di gingerbread, se mai volessi farlo.

Infine non possono mancare , in genere nel cassetto subito sotto quello delle posate, la grattugina per la noce moscata, quella appena più grande per le bucce degli agrumi, il rigalimoni per la Key lime pie , gli affetta tartufi ad archetto e a mandolina, la rotella per tagliare la sfoglia a rombi è così via.

Lascio alla vostra fantasia adesso la scelta di altri utili o futili attrezzi da cucina e se volete magari ne riparliamo , così se scopro che mi manca ancora qualcosa e  corro subito ai ripari.

Un’altra cosa che mi sento di consigliare è di mettere insieme tanti bicchieri a stelo di cristallo provenienti, perché no, anche da servizi scompagnati e farne buon uso , perfino in occasione di una cena elegante.

In casa tutti abbiamo dei bei servizi di bicchieri a cui manca qualche pezzo, andato rotto nel tempo, ebbene diamogli un’altra opportunità di rendersi utili mescolandoli ad altri calici, flûte,coppe di champagne , bicchierini da amaro, da rosolio o da aperitivo: si trasformeranno in eleganti contenitori per quegli antipasti che si ispirano un po’ ai finger food o per il cocktail di scampi , o per divertenti dessert a base di crema pasticciera, o per salsine di accompagnamento  destinate a carni o pesce, etc,etc.

Se non avete ereditato vecchi servizi incompleti , se i vostri sono fortunatamente integri e li utilizzate quindi correttamente, se nessuna amica o parente intende separarsi dai suoi rimasugli, tranquilli, ci sono sempre i Mercatini dell’antiquariato, che sono una fonte inesauribile di idee e anche di bellissimi calici spaiati.

Bavarese di pomodoro

1 kg di pomodori da sugo, 200 ml di panna da montare,1/2 bicchiere di latte, 1 uovo  più 1 tuorlo, 2 spicchi d’aglio, 10 gr di gelatina in fogli, 1 cucchiaino di zucchero ,qualche foglia di basilico,sale e pepe, olio EVO.
Faccio imbiondire l’aglio in 4 cucchiai d’olio, lo elimino e aggiungo nel tegame i pomodori che ho spellato, privato dei semi e tritato grossolanamente, aggiusto di sale e pepe, unisco lo zucchero e faccio consumare, ci vorrà una ventina di minuti. Poi lascio intiepidire, frullo,unisco l’uovo, il tuorlo e il latte, frullo nuovamente e rimetto sul fuoco bassissimo per far addensare il composto, mescolando continuamente con la frusta.

Quando ha assunto un aspetto cremoso lo tolgo dal fuoco e incorporo la gelatina ammollata e strizzata. Faccio raffreddare completamente.

Monto la panna, la aggiungo con qualche foglia di basilico al composto di pomodoro, poi lo verso in uno stampo da bavarese col foro centrale.

Faccio rassodare in frigorifero anche per tutta la notte. 

Al momento di servire questa bavarese, immergo lo stampo pochi secondi in acqua calda e la capovolgo sul piatto di portata.

Il foro centrale è adattissimo ad ospitare una bella burrata sfilacciata con le mani, oppure delle ciliegine di mozzarella.

Budini di parmigiano

1/2 litro di latte,2 cucchiai di farina,2 uova intere separate,4 cucchiai colmi di parmigiano grattugiato, 1 generosa grattugiata di noce moscata, 1 pizzico di sale, burro per gli stampi.
Porto il latte ad ebollizione ed intanto aggiunto ai tuorli, mescolando con cura, la farina, il formaggio, la noce moscata è un pizzico di sale, poi poco alla volta anche il latte e rimetto il composto sul fuoco.

Cuocio a fiamma bassissima per cinque minuti, mescolando energicamente. Lascio raffreddare e intanto monto gli albumi a neve che aggiungo a cucchiaiate al composto, senza smontarli.

Riempio fino a 3/4 degli stampini da souffle di porcellana, appena imburrati e inforno a 180 gradi  per una mezz’oretta , poi li sforno e li lascio raffreddare prima di metterli in frigo, non dimenticate che sono dei “budini”.

Volendo proporre un contrasto che trovo interessante,  vi suggerisco di accompagnarli con qualcosa di tiepido come una dadolata di speck rosolato in pochissimo burro o dei funghi trifolati.

Filetto di maiale in crosta

  

600 gr di filetto di maiale, 400 gr di polpa di maiale macinata, 300 gr di funghi champignon, 1 confezione di pasta sfoglia pronta, aglio e rosmarino, olio e burro, sale e pepe, prezzemolo tritato, qualche cucchiaiata di latte.

Metto 1/2 bicchiere di olio, EVO naturalmente, in una casseruola con 2 spicchi d’aglio è un rametto di rosmarino, adagio sopra il filetto intero, che ci deve stare proprio di misura e lo faccio rosolare a fuoco vivo su tutti i lati.Salo e pepo generosamente, abbasso la fiamma, in coperchio e continuò la cottura per altri 15 minuti circa.

Lo tolgo dalla casseruola e lo lascio raffreddare.Intanto faccio trifolare i funghi nel burro con aglio, pepe, sale e prezzemolo.A. Fine cottura unisco il macinato e mescolo bene .

Imburro uno stampo da plum cake, lo fodero di carta da forno anch’essa imburrata, accomoo sul fondo circa 1/3 del l’impasto di funghi e macinato, sopra appoggio il filetto sgocciolato, conservando il sugo e copro con il restante impasto riempendo anche i lati dello stampo. Copro con un foglio di alluminio e inforno a 160 gradi per circa 1 ora.

Lo sformo solo quando si è raffreddato e tengo da parte anche il sugo che si è formato sul fondo dello stampo.

Stendo la sfoglia e ci passo sopra la rotella per tagliare  la pasta a rombi, la allargo delicatamente e ci avvolgo il filetto “bardato” di macinato e funghi.

La appoggio su una teglia coperta di carta da forno imburrata, la spennello con il latte e inforno nuovamente a 180 gradi per mezz’ora:  la sfoglia deve risultare bella dorata.

Sforno, aspetto 5 minuti e intanto unisco i due sughi ottenuti dalla cottura delle carni, li filtro con un colino fine, li scaldo aggiungendo un altro pezzetto di burro e servo a parte in salsiera.

Naturalmente porto in tavola il filetto intero e lo affetto davanti agli ospiti, perché il suo bello è proprio mostrarlo con la delicata e friabile crosta a losanghe intatta.

Tutto ‘sto lavoro-perché è veramente un piatto laborioso, con tanti passaggi e tre diverse cotture- solo per poter utilizzare il famoso strumento che taglia la pasta a losanghe!

Comunque se l’apparecchietto non ce l’avete, potete tagliare la sfoglia a striscioline con la rotellina per i ravioli e incrociarle sul l’arrosto come fate con le crostate.

Se non avete neanche la rotella dentellata, usate un coltello ben affilato.

I vostri coltelli tagliano poco ? Beh allora andate  a farvi  friggere!