UNA ZUPPA ECCEZIONALE

Tratto da “La Cucina Francese e la Cugina Francese” di Silva Avanzi Rigobello


Abbiamo viaggiato tanto e ci sono cittá che non si possono scordare, mai, per mille motivi.
Alcune si amano incondizionamente, da altre si resta affascinati, colpiti, rapiti.

Silva diceva che Parigi era tra le sue preferite, perchè era una  città speciale, forte, per spiriti liberi, voluttuosa, seducente, a volte dispettosa e provocatoria, ma cosi avvincente che, una volta coltane l’essenza, ti legava per la vita.

Questo amore,condiviso, ci faceva scordare il caos del suo traffico, i problemi di recupero bagagli nel suo aereoporto, l’atteggiamento di superiorità un po’ spocchiosa dei suoi abitanti.

Ci portava , felici ed entusiasti, alla scoperta di avventure gastronomiche e di luoghi bellissimi e incantati.

Abbiamo gustato il foie gras, la chocoutre alsaziana, il roti de porc aux apricot,la  millefoglie di gamberi con mousse di spinaci e la soupe à l’ognon in bistrot dal pavimento a mosaico con !e sedie thonet e il bancone di zinco , col menù   sulle ” ardoise” fuori dalle porte di ingresso.

Abbiamo visto Montmartre, Notre Dame,i lungo Senna.

Abbiamo percorso,  tenendoci per mano, i boulevards, ammirato il mercatl dei fiori e degli uccelli ricordando le poesie di Prevert, abbiamo….abbiamo…abbiamo…

Una sera di aprile, in viaggio di  nozze, Silva mi ha coinvolto in una esperienza culinaria nuova, mai provata prima, che poi nel tempo ha ovviamente riproposto ai suoi ospiti e amici.

Ve la regalo


Bisque aux torteaux

Cap 9


4 grossi gamberi rossi interi, 3 scatole di polpa di granchio, 2 confezioni di panna da cucina, 1/2 litro di vino, 1 bicchierino di  Cognac, 125 gr di burro, 50 gr di farina, 2 uova, 2 carote, 3 cipolle, 1 costa di sedano, 1 spicchio di aglio, 2 rametti di timo, 1 foglia di alloro, 1 ciuffo di prezzemolo, 2 chiodi di garofano, sale e pepe.


Sguscio i gamberi e li metto da parte. Conservo teste e carapaci.

Preparo un court bouillon con 1 cipolla steccata con i chiodi di garofano, l’alloro, le carote, il sedano, il timo, il prezzemolo, il vino e circa 1 litro d’acqua. Lascio sobbollire per una ventina di minuti.

Intanto faccio appassire l’aglio grattugiato e l’altra cipolla tritata in 50 gr di burro, aggiungo i carapaci e le teste dei gamberi triturate, li faccio tostare, li sfumo con il Cognac, e li rosolo schiacciandoli con un mestolo di legno.

Li frullo e passo il colino ottenendo un sugo denso e saporito.

Faccio soffriggere il rimanente burro in una casseruola, unisco la farina e la faccio imbiondire mescolando continuamente.

Unisco poco alla volta il court bouillon filtrato {circa 1 litro) e lascio cuocere brevemente. Unisco il sugo di gamberi, i gamberi sgusciati tagliati a pezzettini, la polpa di granchio scolata e il prezzemolo tritato.

In una ciotola diluisco con la panna tiepida i due tuorli, poi li verso nella zuppa con sale e pepe, faccio leggermente addensare e servo con dei crostini fi pane di segale fritti.

È una zuppa eccezionale, senza discussioni, che vi farà fare veramente un figurone. Ci vogliono un pó di tempo e di pazienza, oltre a una certa abilità ,  ma sarete ripagati. JE JURE.




Petti di pollo in salsa Mireille

Tratto da ” La Cucina Francese e la Cugina Francese” di Silva Avanzi Rigobello

Della Provenza Silva adorava i ”  villages perchés” , borghi fortificati arroccati sulle colline, cinti da mura imponenti, ricchi di scalinate, fontane  e romantici passaggi a volta.

Grasse con i suoi profumi, Biot con i bellissimi oggetti in vetro soffiato dai colori incredibili, vivaci e luminosi come i tramonti, il mare, i campi coltivati, e poi Saint Paul de Vence, il piú incantevole e suggestivo, dove persino il selciato è di una bellezza rara con i ciotoli arrotondati che formano il disegno di mille corolle di fiori.

Qui, fuori le mura, si trova una delle locande dal fascino senza tempo che ha ospitato. Picasso, Matisse, Utrillo, Miró, Chagall.
In un giardino di grande charme abbiamo gustato terrina di caviale, casseruola di lumache, filetti di manzo al vino e soufflè al Grand Marnier e torta di mandorle.

Il giorno dopo  abbiamo visto gli anziani del paese che giocavano a  ” petanque”, abbiamo passeggiato tra viuzze romantiche e piene di colori e in un  piccolo locale dall’atmosfera fatata Silva ha assaggiato un piatto particolare, semplice ma sfizioso, che poi mi ha riproposto a casa, una sera di autunno su una tovaglia provenzale fiorita con l’amore che solo lei poteva darmi.

Blanc de Volaille miréille

1 petto di pollo intero,4 pomodori maturi, 100 gr di olive denocciolate, 1 peperone verde, 2 cipolle, 2 scalogni, 2 spicchi d’aglio, 1 bicchiere di vino bianco, prezzemolo, 50 gr di burro, sale e pepe


Ricavo dal petto di pollo 8 scaloppine e le faccio dorare nel burro, le salo, le pepo, le tolgo dal tegame e le tengo al caldo.

Nello stesso tegame faccio stufare la cipolla e lo scalogno tritati con il peperone a cubetti piccolissimi. Aggiungo il pomodoro spellato, privato dei semi e tagliato a filetti, le olive, l’aglio grattugiato e il vino.

Faccio restringere la salsa a fuoco dolce per circa 20 minuti mescolando ogni tanto.

Rimetto il pollo nel tegame, lo faccio insaporire, lo cospargo con un trito di prezzemolo e lo servo caldissimo.




Tvb

Lino


BRANZINO IN SALSA DI CARCIOFI

Tratto da “La Cucina Francese e la Cugina Francese” di Silva Avanzi Rigobello



Silva amava la Costa Azzurra, i suoi colori, gli odori, i sapori.

Di molte vacanze ho i ricordi piú intensi: le lunghe ore ad abbronzarci al sole in riva al mare, il più blu mai visto, i pranzi e le cene ” pieds dans l’eau” nei ristoranti sulla spiaggia, le gite nei borghi in collina, le ore incantate a parlare della nostra vita.

C’era un piccolo locale a Juan Les Pins ,sul mare, chiamato” les Paradis”, dove molte sere abbiamo visto calare il sole tenendoci per mano e gustando piatti deliziosi.

Uno di questi era 


LOUP A LA BARIGOULE

Cap. 8   Silva scrive:

4 filetti di branzino,6 fondi di carciofo, 1 cipolla, 1 carota, 3 spicchi d’aglio, 1 dl di vino bianco, 1 rametto di timo, 1 foglia di alloro,olio sale e pepe

Taglio in 4 i fondi di carciofo. Faccio appassire con qualche cucchiaiata di olio la carota e la cipolla, poi unisco i carciofi, l’alloro , il timo, 2 spicchi d’aglio,sale , pepe e il vino.

Faccio cuocere coperto per circa 15 minuti, poi frullo.

Intanto trito basilico, prezzemolo e l’ultimo spicchio d’aglio.
Cuocio in forno o a vapore i filetti di branzino, li impiatto, li copro con la salsa di carciofi e li cospargo con il trito provenzale.



Sapeste quanto mi mancherà questo piatto delizioso! Mi toccherà  farlo più spesso a casa,per non perdere il sapore e il ricordo.

Di me ormai sapete un sacco di cose, quindi anche come mi sia insopportabile l’idea  che finiscano.



Tvb 

Lino

 LA CUCINA FRANCESE – Tapenade, Soupe au pistou, Pistou (pesto provenzale)

Tratto da ” La Cucina Francese e La Cugina Francese” di Silva Avanzi Rigobello

Capitolo 7 – Vi ravviso, o luoghi ameni ( La Sonnambula di Vincenzo Bellini)

Avevamo timidamente cominciato a fare qualche puntata in Costa Azzurra già il secondo anno di matrimonio, quando siamo andati in ferie a Porto Maurizio, l’altra metà di Imperia, quella balneare, dove mio marito andava in vacanza da adolescente.

Ci siamo ripassati casualmente nei pressi proprio qualche anno fa, quando dovevamo decidere se Alassio sarebbe potuta essere una località interessante dove passare le vacanze e pensate, abbiamo scovato per caso un mercatino dell’antiquariato perfino a Bordighera..

Già che eravamo così vicini a Porto Maurizio, siamo tornati a rivedere la spiaggia, il campo da pallanuoto delimitato dal muraglione del porto, l’albergo dove alloggiavamo e la stradina in discesa per arrivare alla spiaggia, dove ora hanno montato degli ascensori con le pareti di cristallo come a Monte Carlo.

Certo che sono comodi quando si torna su dalla spiaggia, infiacchiti da una mattinata di sole, stanchi dalle rinfrescanti nuotate nel Mar Ligure, non proprio cristallino, trasportando una borsa di paglia appesantita da libri, giornali, solari,costumi bagnati, teli di spugna umidi e pieni di sabbia.

Ma sono cose alle quali facciamo caso adesso , allora invece, nel 1970, affrontavamo quella ripida salita carichi come muli, ma di buon passo, affamati e sempre allegri, tenendoci per mano.

Appena lasciata Oneglia, procedendo verso Occidente, siamo entrati dunque a Porto Maurizio e rivedendo quei luoghi, mi sono ricordato tutto subito ( d’accordo: come al solito).

Ho ritrovato senza sforzo la deviazione per il porto, dove passeggiavamo la sera, mangiavamo un gelato e guardando le barche dei pescatori sognavamo di comprarci un gozzo di legno da portarci sul Lago di Garda per passare le domeniche “bordesando”.

E le sere in cui giocavamo a fingere di voler emulare Braccio di Ferro, giocavamo alla roulette .

Andavamo qualche volta al Casino di San Remo, ma più spesso al leggendario Casinó Municipale di Monte Carlo , anche se era più distante. Adoravamo la sontuosa eleganza del sofisticato ambiente Bella Epoque ( creato dal stesso architetto che ha ideato l’Opèra di Parigi), i soffitti affrescati con maliziosi e opulenti nudi di donna, il sommesso mormorio delle conversazioni, l’inconfondibile suono della pallina, i maestosi lampadari dei Salons Europèens dove ai tavoli della roulette si vincono e si perdono fortune, o si gioca solo l’equivalente di una serata in discoteca.

E sebbene parcheggiassimo il nostro modesto Coupè accanto ai Jaguar, Ferrari, Lamborghini e Maserati, ci sentivamo dei gran fighi.

Sono ricordi di cosi tanti anni fa da sembrare anacronistici e pensare che sono del secolo scorso mette anche un pó di malinconia.

Porto Maurizio era un buon punto di partenza per visitare la Costa Azzurra, ma in realtà siamo andati solo a Nizza e a Cannes, oltre che a Monaco.

In albergo ci davano il cestino con il pranzo e abbiamo consumato il picnic una volta su una panchina del lungomare di Nizza, sotto le palme, e la seconda lungo la Moyenne Corniche, in un giardino nei pressi di Èze, godendoci il panorama.

Anche questo faceva parte del modo di andare in vacanza di quegli anni. Anni giovani,semplici,allegri,curiosi,aperti alle novità, fatti per scoprire luoghi sconosciuti,profumi e sapori dolci e stimolanti.

Ma perchè abbiamo lasciato passare cosi tanto tempo prima di tornare in Costa Azzurra?

E pensare    chre    è talmente bella,elegante,esotica,luminosa, e in fondoanchecosi a portata di mano, che è un vero peccato non approfittarne, come invece hanno fatto grandissimi artisti tipo quei furbacchioni diChagal, Matisse,Renoir, Picasso,Van Gogh, Signac e Dufy, per esempio, che avendo scelto di viverci
Si sono appropriati dei suoi inimitabili colori eli hanno riprodotti nei loro capolavori.

Cézane e Fragonard, che in Provenza sono nati, invece erano dei predestinati.

Ricordo che allora, quando passavamo il confine a Mentone per arrivare a Nizza, a Cannes o a Monaco, dovevamo mostrare le Carte d’Identità ai doganieri, all’andata e al ritorno. Oggi basta munirsi di monete da gettare nei cestini automatici dei caselli autostradali e si puó percorrere tutta la Riviera francese e arrivare, volendo, fino a Perpignan senza che nessuno ti chieda piú “Rien à déclarer?”

Gli ultimi disadorni chilometri della provincia di Imperia,punteggiati dalle serre,si trasformano in panorama non appena si passa il confine, ormai del tutto vortuale.

Sembra incredibile assistere ad un cambiamento cosi radicale, ma questo ai francesi dobbiamo riconoscerlo:  ci sanno proprio fare.

Mentone, distante da  Ventimiglia poco piú di venti chilometri ( e non venti miglia), si puó considerare la periferia di Nizza, perché è una città totalmente diversa  dalle nostre, anche se molti abitanti parlano il dialetto ligure, ma l’atmosfera, i colori, il mercato coperto e gli stupendi giardini, la collocano inequivocabilmente in Francia.

A Nizza abbiamo passeggiato sulla “Promenade des Anglais”, celebre lungomare con molte ville Belle Époque, che fa pensare ad un’autostrada sia per la sua lunghezza che per l’intensitá del traffico e ci siamo fermati ad ammirare la magnifica architettura dell’Hotel Negresco dando unasbirciatina all’immenso salone dove é appeso un lampadario di Baccarat che fu disegnato per lo Zar.

Abbiamo bevuto due caffé espressi, quasi decenti, inCours Saleya, al mercato dei fiori e degli ortaggi e abbiamo comprato un sacco di vasetti di paté di olive,senape rustica, acciughe sott’olio e trecce d’aglio intrecciate, da portare a casa.

Cannes ci era parsa già allora piú raffinata, con negozi e ristoranti piú esclusivi rispetto a Nizza e perfino dal lungomare, il “Boulevard de la Croisette”, si godeva una vista sul golfo che chissà perchè aveva un’aria maggiormente sofisticata. Anche il lussuoso ” Marché Forville”  offriva prodotti locali freschi, ma le teste d’aglio sembravano intrecciate con piú grazia, Abbiamo comprato solo dei mazzetti profumatissimi di maggiorana e origano che durante il viaggio di ritorno hanno peró perso quasi tutte le foglioline.

Per adeguarci all’ ambiente abbiamo bevuto due café crème, che decisamente facevano piú atmosfera “Cotè d’Azur” degli espressi di Nizza.

Se si escludono le puntate serali al Casinó, durante quella vacanza ci siamo fermati a visitare il principato di Monaco solo una volta, soprattutto per assistere alla cerimonia del cambio della guardia, che si tiene tutti i giorni a mezzogiorno meno cinque.

Siamo arrivati in anticipo in cima a “La Rocher”, nello spiazzo alberato di fronte al palazzo dei Grimaldi, massiccio maniero color zabaione che allora ospitava ancora la consorte straniera del Principe Ranieri, con il suo alone di algida bellezza, classe innata, ricercata eleganza, innegabile raffinatezza, e garbo squisito, la cui love story infiamma ancora i cuori dei piú romantici.

Avrete senz’altro riconosciuto Carla Bruni, vero? Ma no, dai, scherzavo: era Grace Kelly ,ovviamente.

Prevedendo  una grande affluenza di  pubblico, se molti altri turisti come noi si fossero lasciati sedurre dalla magia di questa Città-Stato così glamour, insolita e circondata da un alone di romantica decadenza, alle 11 eravamo già in postazione, in attesa della banda e dei carabinieri monegaschi.

Eravamo gli unici, ma pensavamo che presto saremmo stati raggiunti da altri curiosi.

Nell’ora successiva non è  successo niente. Scoraggiati, accaldati e delusi, pensando che la cerimonia fosse stata per qualche motivo rinviata o soppressa, ci siamo allontanati dal Palais du Prince scendendo ripide scalinate tra muri di mattoni.

Solo una volta lasciato Monte Carlo abbiamo realizzato che nel più piccolo Stato del Mondo dopo il Vaticano non era in vigore l’ora legale e quindi ci eravamo presentati con oltre un’ora di anticipo sull’orario stabilito per il cambio della guardia.

Non ci siamo più tornati e non l’abbiamo raccontato a nessuno per il timore di essere derisi.

TAPENADE

300 gr di tonno sott’olio,100 gr di filetti d’acciughe sott’olio, 200 gr di olive nere, 50 gr di capperi sott’aceto, 1 spicchio d’aglio,il succo di mezzo limone, 200 ml di olio.
Tolgo i noccioli alle olive e le frullo con le acciughe, i capperi e l’aglio incorporando un pò alla volta l’olio e il succo di limone.

Scolo il tonno, lo sbriciolo e lo aggiungo all’impasto

Si serve come antipasto con pomodori e uova sode.

SOUPE AU PISTOU

200 gr di fagioli cannellini sgranati, 200 gr di fagioli borlotti sgranati, 200 gr di fagiolini, 400 gr di patate, 400 gr di zucchine, 3 pomodori, 1 carota, 80 gr di prosciutto crudo, sale e pepe , 100 gr di pasta
Metto in pentola entrambi i tipi di fagioli, li copro completamente d’acqua e li faccio sobbollire dolcemente per almeno 1 ora.

Sbuccio le patate e le taglio a cubetti, tuffo i pomodori in acqua bollente,li spello e li taglio a filetti, affetto la carota e le zucchine, trito il prosciutto e metto  tutto nella pentola dei fagioli.

Aggiusto di sale e pepe, mescolo e faccio cuocere altri 3/4 d’ora a fuoco basso rimestanto ogni tanto. Unisco 100gr di pasta corta e porto a cottura. Fuori dal gioco aggiungo il pistou, che è un pesto provenzale, ma ha origini genovesi.

PISTOU

2 spicchi d’aglio, 1 mazzetto di basilico, 2 pomodori maturi sbucciati, privati dei semi e tagliati a cubetti, 30 gr di gruyère, 30 gr di parmigiano, 1/2 bicchiere d’olio, sale e pepe

Frullo tutto assieme e lo aggiungo alla zuppa.

ESPERIENZE DI VIAGGIO E DI CUCINA A ORLANDO U.S.A

Tratto da “U.S.A  E JET  ovvero: Come sopravvivere ai viaggi fai da te in America” di Silva Avanzi Rigobello.

Le prime volte andavamo quasi sempre in America con almeno un’altra famiglia di amici ; un po’ per sicurezza, in caso si fosse incorsi in qualche banale imprevisto o per un eventuale cambio alla guida e un po’ perché pensavamo che durante i lunghi tragitti in auto i nostri figli non si sarebbero annoiati viaggiando con altri bambini.

Infatti gli spostamenti, soprattutto in California e in Nevada , più che in altri Stati, sembrano interminabili. La prima volta li avevamo davvero  sottovalutati .

Uni dei problemi era stato il leggendario limite di velocità in Autostrada di 55 miglia orarie  (circa 80 km) imposto dalla crisi petrolifera degli anni Settanta, con l’intento di ridurre il consumo di benzina e che fu abolito solo verso la metà degli anni novanta.Adesso si può viaggiare quasi dappertutto a 65/75 miglia orarie e va molto meglio.

Comunque, nel programmare il nostro terzo viaggio negli U.S.A. nella primavera del 1989, ci sentivamo molto sicuri di noi, tanto da decidere di partire da soli.  Ai bambini avevamo fatto una sorpresona.

Quello che non sapevano era che per le vacanze Pasquali non saremmo andati per la prima volta in Sardegna, come gli avevamo fatto credere, ma per la prima volta a Orlando, che è nella Orange County della Florida, la cui targa sulle auto è OCo, mentre OC è la targa della Orange County della California.

Quello che non sapevamo noi era che il viaggio sarebbe cominciato con qualche inconveniente.

Per la prima volta, accogliendo il pessimo suggerimento della nostra abituale Agenzia Viaggi, avremmo volato Pan Am anzichè Air France come in precedenza. Però appena arrivati alla Malpensa ci fu comunicato che il nostro volo era in overbooking e che saremmo partiti solo nel pomeriggio, perdendo così la coincidenza al JFK con il volo per Orlando.

Una volta a New York , la Compagnia Aerea ci ha offerto il pernottamento al Ramada e la cena, ma avevamo comunque sprecato uno dei giorni che avremmo destinato ai Parchi Disney, l’obiettivo principale del nostro viaggio.

Di conseguenza abbiamo dovuto anche cambiare telefonicamente la prenotazione all’Howard Johnson di International Drive e non senza difficoltà. Ho fatto non so quante volte lo spelling del nostro cognome prima di ottenere che fosse modificata. Non smettevo di discutere a rotazione con la Direzione e la Reception , che si palleggiavano la decisione circa il rimborso della notte non usufruita  e l’orario in cui saremmo dovuti arrivare il giorno successivo, per trovare la stanza libera.

Il viaggio insomma non era cominciato granché bene per colpa della Pan Am, la compagnia aerea che pur essendo stata una leggenda  dell’Aviazione Americana, è fallita nel 1991….

Si dice che il suo crollo sia stato determinato da una combinazione di cattiva gestione Aziendale, mancanza di interesse da parte del Governo nel proteggere il suo principale Vettore Internazionale e una sorta di regolamentazione molto simile alla Legge di Murphy. Ma forse non sono solo questi i motivi….

Il presidente John Fitzgerald Kennedy è ricordato per molte cose : Marilyn Monroe, la Baia dei Porci, l’omonimia con l’Aereoporto di New York, il Vietnam, Dallas e gli aforismi.

Il mio preferito è “Perdona i tuoi nemici, ma non dimenticare mai i loro nomi”.

Ed è quello che ho fatto anch’io con la Pan Am . Magia bianca. 

Orlando si è rivelata una città fantastica , proprio come ce l’eravamo immaginata. A differenza di Los Angeles, lì non sei distratto dalle vicinanza dell’Oceano e dei deserti, dalle Freeway esageratamente trafficate, dalla Walk of Fame e da Malibu e quindi ti puoi concentrare sui parchi a tema è goderteli come un bambino, se sei quel tipo di persona. Noi lo siamo. Ma lo sapevate già.

L’MCO è un  aeroporto bellissimo. Quando si sbarca a Orlando, non ci si reca al Baggage Claim attraverso interminabili e asettici corridoi blindati, ma si sale subito su una Monorail che attraversa palmeti, laghi pieni di ninfee dove nidificano i fenicotteri e bayou fitti di mangrovie da cui pende il muschio spagnolo. Il bagaglio si ritira alla fine della corsa e una volta passati indenni  attraverso le maglie dell’Immigration, si può raggiungere l’atrio dell’Aereoporto, dove vistosi cartelli indicano i banchi delle Società di Autonoleggio.

È qui comincia il tira e molla con l’impiegato di turno.Per prima cosa, con il pretesto di non avere a disposizione il tipo di auto che hai prenotato e pagato dall’Italia, ti verrà offerta una vettura di categoria superiore, con un incremento di spesa a volte anche modesto, ma assolutamente ingiustificato. Ti saranno inoltre proposte un’infinità di assicurazioni aggiuntive, sempre con  un sovrapprezzo, oltre al navigatore satellitare, il telefono vivavoce e la possibilità di scegliere se partire con il pieno di benzina e riconsegnare l’auto col serbatoio vuoto oppure no. 

Questa sorridente insistenza dipende dal fatto che gli impiegati ricevono una provvigione sui contratti che stipulano e quindi ci provano sempre. Tenete duro, nonostante l’appannamento da jet-lag e rifiutate tutto. L’unica a volta che abbiamo acconsentito con entusiasmo ad una proposta di sostituzione dell’auto prenotata è stato alle Hawaii, dove ci hanno offerto senza sovrapprezzo una lussuosissima Cadillac Eldorado: è quando ci ricapitava un’occasione così? Comunque,alla fine di questa manfrina burocratica, vi verranno finalmente consegnate la copia firmata del vostro sudato contratto , un’utilissima piantina della città e dei dintorni ed un appunto scritto a mano con le coordinate per raggiungere la macchina , che troverete con la chiave inserita. 

A Orlando il parcheggio delle auto a noleggio di tutte le Società è proprio di fronte al Terminal degli arrivi e si raggiunge attraverso un comune passaggio pedonale (megli tenerl0 a mente), mentre in altre città si prende la navetta. Si tratta praticamente di una sorta di self service dove si potrà semplicemente  scegliere l’auto del modello è colore preferiti, nell’area della categoria concordata e partire. 

Delle cinque volte che siamo andati a Orlando, solo una abbiamo dormito a Kissimmee e quattro in un hotel di International Drive. Prenotando in quest’ultima zona si possono trascorrere tutte le serate della settimana  alla scoperta delle attrazioni di questa strada lunghissima. Ci sono il McDonald’s più grande dl mondo , le bizzarrie del Ripley’s Belive it or not e l’edificio capovolto che ospita lo stravagante Wonder Works, il Wet ‘n Wild che è restrittivo chiamare piscina, il banchetto medievale animato del king Henry’s Feast, The Pirate’s Dinner Theatre dove si cena su un galeone circondati e serviti da corsari e the Mercado, con le sue boutique e i ristoranti tipici, come The Butcher Shop, in cui scegli personalmente il tuo taglio di carne , dal più piccolo che è il filet mignon da 8 once alla sterminata costata da 30 once, che puoi arrostire da solo, il Texano Austi’s dove le braci per il barbecue sono di legno di hickory e mesquite e The Crab House, che propone immensi vassoi di frutti di mare in diverse varianti e combinazioni.

Inoltre, essendo la zona prettamente turistica è molto animata e assolutamente sicura e divertente, addirittura idilliaca. Ci si sente subito a proprio agio, ma per poter continuare ad essere rilassati é meglio non allontanarsi troppo. In ogni paese del Mondo, e quindi anche negli Stati Uniti, esistono quartieri che il buon senso invita a non frequentare.

Non è detto tuttavia che ogni volta che ci si passa si finisca col diventare sistematicamente oggetto della criminalità urbana. Vediamo di evitare gli isterismi per favore…ma comunque anche quei luoghi mai citati sulle Guide, se si può .

A noi è capitato due volte di smarrirci nel Downtown di Los Angeles dopo il tramonto e di ritrovarci in mezzo a tossici  e homeless radunati intorno a grossi bidoni che fungevano da bracieri, con accanto un carrello del supermercato contenente tutti i loro beni terreni.

La prima volta, nel 1987, pareva proprio un film di Tim Burton: in cinque su una station wagon Oldsmobile, seguiti dai restanti otto del gruppo in un minivan  della Ford, vedevamo sopra le nostre teste i cavalcavia che avrebbero dovuto riportarci sulla Interstate I-405, ma che non riuscivamo ad imboccare. I guidatori erano piuttosto allarmati, i bambini nervosi, le mogli ammutolite, la nonna soprattutto preoccupata per i souvenir degli Universal Studios. Impossibile fermarsi a chiedere indicazioni per non rischiare che durante la sosta ci smontassero i cerchioni, ci obbligassero a consegnargli gli Swatch e ci offrissero di condividere uno spinello, rischiando che si offendessero se rifiutavi.

La seconda volta, diciotto anni dopo, ci siamo smarriti più o meno nella stessa area, ma con più disinvoltura: eravamo solo noi due, quindi non sentendoci responsabili  nei confronti di nessun altro, siamo passati e ripassati attraverso la jungla metropolitana degli emarginati fingendo noncuranza, fino a quando non ci siamo casualmente immessi nel Wilshire Boulevard, che ci ha miracolosamente portati fuori dalla zona a rischio. Ricordate sempre che quei pazzeschi incroci a doppio quadrifoglio che vediamo nei film ambientati a L.A. non sono degli effetti speciali!

A Orlando non ci é mai successo. O meglio, ad essere sinceri, una sera ci siamo persi anche a Orlando(tornando dal Downtown), ma in una zona  industriale che a quell’ora, con le fabbriche chiuse, era assolutamente deserta e perciò sicurissima . Abbiamo girato  a vuoto per un bel po’, ma poi siamo riusciti a raggiungere l’Orange Blossom Trail, che ci avrebbe praticamente riportati in hotel in quattro e quattr’otto….se non l’avessimo imboccato nel senso opposto. Abbiamo dovuto percorrere non so più quante miglia per poter effettuare l’invenzione di marcia su una rampa di uscita autorizzata, ma piccole disavventure come questa, le abbiamo sempre prese come folkloristiche esperienze di viaggio.

Di Orlando  ricordiamo (chi più ,chi meno) con sorridente tenerezza e un velo di malinconia: gli acquazzoni improvvisi, gli impermeabili gialli, il caldo tropicale, la volta della vetrata uscita dai cardini nella camera dei ragazzi, la spensierata vicinanza dei personaggi Disney, il bagno in piscina con la mia mamma al ritorno da Epcot, i piatti pantagruelici di Sizzler,che assomiglia un po’ a Denny’s ma in più offre un salad bar notevole, le ” ultimate ” colazioni di Perkins, che mio marito digeriva con difficoltà dando la colpa alla troppa spremuta di arancia…, le costate , i filetti e le costine ai ferri di Charley’s, Darryl’s e Damon’s, dove il barbeque detta legge e i leggendari combo di gamberi e aragoste di Red Lobster. É stato a Orlando che ho mangiato per la prima volta il Pane all’aglio, il Prime Rib, le Crab Cakes, la Cobb Salad, le Seafood Linguine e la Key lime Pie

La volta del volo con la Pan Am, prima di rientrare in Italia, era in programma che passassimo gli ultimi tre giorni a New York per un po’ di shopping e per scrollarci di dosso la polverina magica di Peter Pan. Una full immersion nelle mondane ed eleganti vie di Manhattan era quello che ci voleva per riprendere contatto con la realtà e tornare a vestirci, a pensare e a muoverci in modo urbano.

Quindi, la Domenica di Pasqua , tutti eleganti, siamo andati alla Messa officiata dal Cardinale John O’Connor nella cattedrale di San Patrizio sulla Fifth Avenue, a due passi dal Rockfeller Center e poi proprio sotto la statua di Prometeo, dove d’inverno pattinano sul ghiaccio e la Vigilia di Natale accendono le luci di un immenso abete, al celebre American Festival Café abbiamo sperimentato il nostro primo brunch, accompagnato da un mediocre Champagne della Napa Valley.
PANE ALL’AGLIO

Di Sizzler

1 filone di pane , 100 gr di burro, 2 spicchi d’aglio,  4 cucchiai di parmigiano grattugiato, 1 cucchiaino di origano, 1 cucchiaino di prezzemolo tritato
Si pela l’aglio, lo si priva del germoglio interno e lo si riduce a crema. Si fa fondere il burro a fiamma bassa , fuori dal fuoco si aggiungono l’aglio, l’origano, il prezzemolo e il parmigiano. Si taglia il pane a fette, si ricompone il filone sulla placca del forno e si cosparge col burro fuso aromatizzato, facendolo colare negli spazi fra le fette.Si inforna sotto il grill fino a che sarà ben dorato.

Il pane all’aglio é fantastico, profumato, caldo, croccante. Vi consiglio però di non mangiarlo se poi avete in previsione un incontro galante, a meno che non lo condividiate con il vostro partner.

Quelli bravi possono farsi in casa del pane soffice a cassetta;  io compro una forma grande di quello che una volta si chiamava ” pane piuma” .Lo trovo lo stesso  paradisiaco.
COBB SALAD

Del Brown Derby

1/2 cespo di lattuga tagliata a listarelle , 1/2 cespo di insalata gentile tagliata finemente, 1/2 cespo di insalata iceberg tagliata finemente, 1/2 cespo di insalata romana tagliata a listarelle, 2 pomodori sbucciati , privati dei semi e tagliati a dadini, 2 petti di pollo grigliati e tritati ,  6 fette di bacon croccante tritate , 1 avocado tagliato a cubetti di circa 1 cm, 3 uova sode schiacciate con una forchetta , 2 cucchiai di erba cipollina tritata, 200 gr di blue cheese ( o gorgonzola piccante), una vinaigrette classica.

Si riuniscono tutte le verdure in un’insalatiera. sopra si distribuiscono i frammenti di pancetta e il pollo tritato, si dispongono i cubetti di avocado tutto intorno, verso il bordo. Si guarnisce l’insalata spargendo sopra le uova, l’erba cipollina e il formaggio a pezzetti. Si distribuisce il condimento, ma si mescola solo dopo averla portata in tavola per non sciupare l’effetto cromatico.
Questa è una di quelle ricette che si fa prima a farle che ad elencarne gli ingredienti. Valeva la pena che ne parlassi però perché il Brown Derby è lo storico locale dove,per esempio, Clark Gable ha chiesto la mano di Carole Lombard e dove Marylin Monroe ha conosciuto Joe Di Maggio, che poi ha sposato. Ci trovo quel tocco di antiquato romanticismo hollywoodiano che fa bene al cuore, nonostante i successivi divorzi dei personaggi citati.

Devo precisare che l’insalata Cobb ( dal nome di uno dei proprietari) si mangia,  oltre che nel Ristorante icona della Golden Age di Hollywood, anche nell’esatta  replica dell’originale, all’MGM di Lake Buena Vista. Ottima anche lì. L’ho ordinata di nuovo nel 2000.

SEAFOOD LINGUINE ( si legge linguini)

Del Red Lobster 

1/2 chilo di vongole veraci, 4 cucchiai di olio, 3 cucchiai di burro, 2 spicchi d’aglio grattugiati, 2/3 scalogni affettati sottili, 1 ciuffo di prezzemolo tritato, 1 bicchiere scarso di vino bianco secco, 450 gr di linguine cotte al dente, 1 peperoncino piccante   privato dei semi e tagliato a pezzettini, sale e pepe.

Si fanno aprire le vongole nel solito modo, si sgusciano e si tengono da parte. Si scaldano in una padella larga l’olio e il burro e si fanno dorare a fuoco basso l’aglio e lo scalogno, si aggiungono il vino, il liquido delle vongole filtrato e metà del prezzemolo. 

Si porta a ebollizione , si aggiusta eventualmente di sale e si lascia sobbollire per 15 minuti. Si uniscono i molluschi e si fanno cuocere per circa 5 minuti poi si versa nella padella la pasta scolata al dente e si mescola con cura. Si serve cosparsa di prezzemolo, peperoncino e pepe nero appena macinato.
Ok, in pratica non sono altro che spaghetti con le vongole, ma assaggiateli almeno, prima di  protestare . La ricetta non è esattamente quella che conoscete già , dai,  non bluffate!

LA CUCINA FRANCESE- Galette des Rois, daurade dulgéré, gelatina di pesche, paté maison.

Tratto da “La Cucina Francese e la Cugina Francese” di Silva Avanzi Rigobello.

Capitolo 6 –  Siam giunti , ecco la torre ( Il Trovatore di G. Verdi)

Quando siamo andati ad abitare in campagna , all’inizio non è stato facile legare con i locali , che guardavano sempre con diffidenza , quando non si trattava di circospezione , chi entrava nel loro piccolo mondo ristretto e limitato  di conoscenze di secoli e parentele strette. Potevano però accadere anche cose inconcepibili per chi vive in città , vi faccio un esempio: tornando da Verona , passavamo sempre davanti ad un’abitazione che accanto al cancello d’ingresso aveva uno stupendo cespuglio di dalie viola. Erano fiori di un colore magnifico, che non avevamo mai visto, nemmeno nei vivai.

Un giorno ne parlavo con una vicina che ammirava le aiuole di mio marito e la sua abilità nel coltivare cespugli e bulbi da fiore, rammaricandomi di non avere tra le nostre anche alcune dalie di quella straordinaria tonalità , viste nella frazione limitrofa. Mi ha chiesto precisazioni circa la posizione della casa abbellita dal cespuglio di cui stavamo parlando ed é finita lì.

Dopo qualche giorno si é presentato un omino con un pacchetto di carta da giornale tra le mani. Era lo zio della nostra vicina ( nonchè proprietario delle dalie viola) , che ci aveva portato qualche rizoma, dato che la nipote gli aveva detto che ci piacevano tanto.

E non ha neanche voluto che gli offrissimo il caffè .

Sono cose che succedono solo in campagna.

Comunque ,l’atteggiamento in generale cauto e guardingo dei nostri compaesani induceva anche noi forestieri a radunarci in circoli piuttosto ristretti e a volte decisamente snob,  inutile negarlo.

Ci si trovava spesso a casa di una coppia che abitava nella parte bassa del paese, il più delle volte con la presenza del sindaco, del parroco e del maresciallo dei carabinieri ed essendo la padrona di casa francese serviva principalmente grandi insalate e poi un dessert, tipo la Galette des Rois.Cene a tema, per carnevale o altre feste.

Verosimilmente nella città della Lorena di cui era originaria i rapporti di buon vicinato funzionavano così , ma a me sembravano a volte le gag di certi vecchi film di Louis de Funès.

Comunque , dopo qualche anno di frequentazioni, suo fratello ci invitò  a Parigi, ospiti nella sua casa.

Abitava in un imponente palazzo di una elegante Avenue , quella che separa il 7mo dal 15mo arrondissement e  proprio appena dietro l’angolo c’era la Tour Eiffel , il primo monumento di Parigi che ci dava il buongiorno ogni mattina .

In quell’occasione abbiamo avuto modo di conoscere una Parigi  classica e divertente ma anche intima e familiare.

Erano quindici anni che non tornavamo a Parigi e questa è stata senza dubbio un’esperienza ben diversa da quella vissuta in luna di miele . Sono andata a fare la spesa nel sofisticato mercato rionale di Rue Cler , comprando marmellate, frutta e verdura , formaggi , filetti di manzo, costolette di maiale, fiori e baguette perchè si faceva colazione e generalmente si pranzava a casa, mentre il pomeriggio noi signore abbiamo fatto acquisti in deliziosi negozi poco conosciuti di tessuti, filati, e passamanerie, siamo entrate in piccole “epicerie” che vendevano salse e mostarde, ci siamo provate in eleganti boutique mantelle di mohair per poterne copiare il modello e nelle profumerie ci siamo fatte regalare i campioni mignon dei profumi francesi  per le collezioni delle nostre figlie.

 

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Siamo rimasti da loro tre giorni, ma il quarto siamo ripartiti, per il timore che anche in Francia ospiti e poisson si comportassero come in Italia.

Una sera ci hanno offerto la cena di tre portate al Lido, dove in quel periodo  era in cartellone ” Panache” e mi sono portata via il menù per ricordo, mentre mio marito si sarebbe portato via volentieri una delle 42 Bluebell, ma come dargli torto?

Ci hanno anche accompagnato a curiosare fra gli oggetti antichi del Village Saint Paul, nella zona del Marais, più elegante e raffinato rispetto al famoso, chiassoso , vasto Marché aux Puces di Saint Ouen , che avevamo visitato anche in viaggio di nozze, senza fare peró acquisti degni di nota . In quell’occasione abbiamo pranzato sotto i portici di Place des Vosges, ma  é stato al Village Suisse proprio sotto casa loro, che abbiamo comprato una coppia di eleganti alari di ferro battuto per uno dei camini della casa di campagna .

Per portarli in Italia , anzichè metterli nella valigia, che avrebbe di certo superato il peso, abbiamo pensato di utilizzare una borsa di tela blu che doveva contenere la biancheria sporca e trasportarli con noi in cabina, come bagaglio a mano. Ci era sembrata la soluzione più semplice . Come ci sbagliavamo!

Al Charles de Gaulle , quando la borsa è passata ai raggi x, l’addetto ai controlli ha fatto scattare l’allarme ed è accorsa la Polizia Aereoportuale con i giubbotti antiproiettile elle armi spianate .

Tenendoci sotto tiro, i gendarmi i hanno fatto aprire la borsa incriminata aspettandosi di trovarci dentro due mitra! Ci avevano presi per due dirottatori.

In effetti l’immagine sullo schermo poteva ingannare chiunque: i nostri bellissimi alari antichi , annidati fra calzini, pigiami, mutande e camicie , sembravano proprio due Kalashnikov.

Credo che i nostri figli fino ad oggi non sapessero niente di questo episodio. Non glielo abbiamo mai raccontato perché altrimenti si sarebbero preoccupati ogni volta che avremmo viaggiato da soli.

Scusate ragazzi. Per giustificare la nostra omissione , a questo punto ci starebbe bene la citazione di un proverbio francese simile al nostro “0cchio non vede, cuore non duole” ma non lo conosco.

GALETTE DES ROIS

2 dischi di pasta sfoglia, 50 gr di burro morbido, 2 uova, 1 bicchierino di rum, 100 gr di zucchero, 100 gr di farina di mandorle, 1 cucchiaio di estratto di vaniglia, 1 pizzico di sale .
Sbatto il burro con lo zucchero, poi unisco 1 tuorlo, la vaniglia, il rum e aggiungo la farina di mandorle. Alla fine incorporo 2 albumi montati a neve con il sale, mescolando dal basso in alto perché non smonti.

Verso il composto in una teglia foderata con il disco di pasta sfoglia.

Spennello il bordo con l’altro tuorlo, sbattuto con un cucchiaio d’acqua , e copro con il secondo disco di pasta sigillando con i rebbi di una forchetta.

Partendo dal centro, in cui pratico un piccolo foro, con la punta di un coltello traccio  una raggiera sulla pasta e inforno a 200 gradi per 30 minuti.
I francesi, che preparano questo dolce tradizionalmente per l’Epifania, inseriscono una monetina o un piccolo oggetto di ceramica  nell’impasto. Dato che la torta si serve a fette chi sarà così fortunato da trovare la “fève” nella sua , sarà  il re o la regina per il resto della serata, quelli sfortunati l’indomani andranno dal dentista.

 

DAURADE DULGÉRÉ

 

8 filetti di orata, 100 gr di burro, 2 scalogni, 1/2 cipolla, 200 ml di vino bianco frizzante, 80 ml di panna da cucina, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato, 500 ml di passata di pomodoro, 1 decina di foglie di basilico, 1/2 cucchiaino di zucchero, sale e pepe.
Preparo una riduzione bella densa con la passata di pomodoro, lo zucchero, il basilico tritato e una presa di sale , cuocendo tutto per almeno 20 minuti. Unisco la panna e faccio cuocere altri 5 minuti. Fuori dal fuoco incorporo il burro a pezzetti e tengo al caldo.

Trito insieme scalogni e cipolla e li sistemo sul fondo di una pirofila imburrata, ci adagio sopra i filetti di pesce dalla parte della pelle , salo appena e pepo con abbondanza. Inforno a 200 gradi coperto con carta da forno imburrata per 15 minuti. Una volta cotti, sollevo con una spatola i filetti, li appoggio sui piatti  e copro con la salsa.
Questa ricetta è così semplice che se non fosse per la panna non sembrerebbe nemmeno francese , vero?  Invece era nel menù del Lido.

GELATINA DI PESCHE

4 pesche a pasta gialla , 50 gr di zucchero, 1 bicchierino di Cognac, 1/2 limone, 3 fogli di gelatina.
Sbuccio le pesche , le affetto e le frullo con lo zucchero e il succo di limone. sciolgo la gelatina, precedentemente ammollata  in acqua fredda , nel Cognac appena scaldato e la unisco al rullato di pesche.

Verso il composto in una ( o più ) vaschette di quelle per fare i cubetti di ghiaccio e metto in frigorifero fino al momento di servire.

Questo NON è un dolcetto da fine pasto, ma una gelatina da servire come accompagnamento ad una terrine di foie gras o anche ad un semplice Paté di fegato, come quelli che faccio a Natale.

Vi do un suggerimento molto carino, uno dei soliti ” segreti dello chef ” che chi mi conosce sa che finisco con lo svelare a tutt’Italia: quando ho distribuito la gelatina non ancora rappresa nelle vaschette del ghiaccio, inserisco in ogni cubetto una bella fogliolina intera di basilico  o di menta fresca. É senz’altro un’aggiunta molto chic. E non è neppur e francese, ma tutta mia ! Come mia è la versione piuttosto semplice del paté di fegatini che segue è che potrebbe passare per una ricetta francese.

Provateci, garantisco che non  se ne accorgerà nessuno.

 

PATÉ  MAISON

 

 

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400 gr di fegatini di pollo, 200 gr di cipolle bianche, 200 gr di burro, 1 bicchiere di Recioto di Soave bianco, 2 pezzetti di buccia di limone, 2 foglie di Salvia , 2 foglie di alloro, sale e pepe.

Trito le cipolle  e le faccio appassire con 100 gr di burro a fuoco dolcissimo, con la salvia e l’alloro, senza farle colorire, aggiungendo eventualmente qualche cucchiaiata d’acqua.

Taglio a pezzetti i fegatini, privati del grasso e del fiele e sciacquati. Li aggiungo alle cipolle, unisco la buccia di limone, sfumo col Recioto e porto a cottura fuoco basso.

Lascio intiepidire e regolo di pepe ( meglio bianco) e sale. Elimino le foglie aromatiche e frullo unendo il resto del burro fuso . Sistemo il composto in uno stampo e lo conservo in frigo.
I francesi sono convinti che il paté sia una loro invenzione, ma in realtà era conosciuto già dagli Egiziani e anche dagli antichi Romani, che li accompagnavano con fichi secchi e miele. Come me!

A Natale il paté non manca mai sulla nostra tavola. tuttavia devo riconoscere che in Francia se ne fa un uso veramente intensivo.

LA CUCINA FRANCESE -carbonada di filetto, arrosto di girello, filetto di vitello alle spugnole, fleurs de courgette farcis.

Tratto da “La Cucina Francese e la Cugina Francese” di Silva Avanzi Rigobello

Capitolo 5 – Là ci darem la mano (Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart )

Sono stata una gioielliera per 15 anni, durante i quali mi sono occupata della gestione del personale, dell’allestimento delle vetrine, delle pubbliche relazioni, delle vendite e anche degli acquisti. Naturalmente .

L’esposizione delle eccellenze svizzere, in fatto di orologi, si teneva unicamente al Salone dell’Alta Orologeria di Ginevra, in aprile, e per gli acquisti mi facevo accompagnare da mio marito.

I primi anni non era ancora stato completato il raccordo autostradale della Valle d’Aosta fino al tunnel  del Monte Bianco, quindi dovendo attraversare “Augusta Pretoria” , ci fermavamo a pranzo nel centro storico di questa colonia militare fondata dai Romani nel 25 a.C. E considerata la Roma delle Alpi, per i numerosi monumenti augustei ancora presenti .

Per qualche anno abbiamo assaggiato le specialità di una eccellente cucina semplice e rustica, spesso a base di polenta, tipica della Valle d’Aosta.

Da quando però, mi pare nel ’94, é stato aperto l’ultimo tratto di Autostrada, si tirava dritto per arrivare  prima a destinazione ahimè, non più pranzi da veri “gourmet”0 “gourmand” all’Hostellerie du Cheval Blanc, ma veloci soste in Autogrill, per nutrirci con banali panini Camogli, Capri o Fattoria che in comune coi piatti Valdostani non avevano nemmeno la fontina.

Courmayeur, sul versante italiano, gode di un clima più mite rispetto a Chamonix, dalla parte opposta del traforo, grazie all’effetto barriera dovuto al Monte Bianco . Infatti, mentre spesso in Italia, si avvertiva già un certo lontano sentore di primavera, nonostante le cime dei monti ancora abbondantemente imbiancate, sui prati del versante francese, ai piedi del ghiacciaio dei Bossons, c’erano sempre grandi chiazze di neve sporca e indurita.

Quel breve tratto di territorio francese era piuttosto triste, cupo, con modeste fattorie sullo sfondo di campi ancora a riposo. Lo attraversavamo senza guardarci intorno, senza godere del panorama dei monti circostanti: era un po’ come percorrere la Palude della Tristezza di “Never ending Story”. In tanti anni, credo di non aver mai visto il sole  in quel tratto del percorso verso Ginevra, che invece si faceva prepotentemente strada fra le nuvole non appena ci si avvicinava al confine e si alzava la sbarra della Dogana Svizzera.

Con questo ho finito quello che avevo da dire sulla Francia in relazione ai viaggi fatti in direzione Ginevra.

Comunque, se considerate che in Valle d’Aosta si parla il Patois Valdotein, che é un dialetto di origine francese e che Ginevra è una città francofona, be’ mi perdonerete se desidero parlarvi anche di questa ripetuta esperienza, dal sapore in fondo lievemente francese.

La Società che commercializzava i marchi di orologi di cui parlavo prima, ci ospitava per due notti in prestigiosi hotel a 5 stelle affacciati sul Lago  Lemano , ci invitava a cena in ristoranti stellati, organizzava vivaci serate in locali di tendenza è feste multietniche , anche danzanti.

Abbiamo dormito sia nei letti king size del Grand Hotel Kempinski, che si trova in posizione privilegiata di fronte al Jet d’Eau, la fontana sul lago con uno spruzzo alto 140 metri, diventata il simbolo della città, che allo storico Hotel de la Paix, elegante e tradizionale, che ha ospitato anche la Principessa Sissi, con una stupenda vista sulle cime innevate del Monte Bianco, entrambi affacciati sul Quai du Mont-Blanc, l’indirizzo più prestigioso della città.

Ricordo di aver partecipato ad una serie di cene formali molto eleganti, per esempio allo Tse Fung, considerato il miglior ristorante cinese di Ginevra, dove ho assaggiato il più smisurato dim sun della mia vita, poi nel salone in stile Art deco del ristorante che si affaccia sull’omonimo Parc des Eaux Vives, dove ci hanno servito  riz  de veau à la Chartreuse  e anche al prestigioso Chat Botté, all’interno dell’Hotel Beau Rivage , dove l’antipasto era costituito da deliziosi  fiori di zucca ripieni di una brounoise di verdure e filetti di pesce persico.

Insomma per due giorni interi ogni primavera eravamo viziati, vezzeggiati, coccolati, rimpinzati di prelibatezze ,omaggiati con scatole di cioccolatini , cravatte e foulard firmati, penne, porta biglietti da visita in argento, portafogli e non ricordo cos’altro.

In buona disposizione d’animo, al Salone dell’Alta Orologeria, su appuntamento, esplicavamo in meno di mezza giornata le pratiche relative all’acquisto dei nuovi modelli di orologi e cronografi presentati. Alla buvette interna alla mostra non c’era da mangiare, anno dopo anno, nient’altro che Viande seche des Grisons  (in pratica bresaola) o Fondue out fromage, però serviti al tavolo da camerieri con i guanti che ci offrivano anche dell’eau d’Evian è un calice di Blauburgunder o di Fendant.

Il resto della giornata eravamo quindi liberi di visitare la città, con la sua aria da “grande dame”, attraversare il Point du Mont Blanc, per fare shopping in lussuosi Grands Magasins, curiosare tra gioiellerie, austere boutique e cioccolaterie, visitare la Vieille Ville con le sue stradine lastricate, i bellissimi giardini e l’inconfondibile suono di quasi tutt le città d’oltralpe: quello dell’acqua che zampilla dalle fontane di piccole piazze. Rilassante e diuretico.Ginevra è detta Petit Paris, per la sua particolare atmosfera fatta di zone verdi di panchine, tetti mansardati e palazzi dalle eleganti facciate da cui sporgono i balconi in ferro battuto. E secondo me, soprattutto per la forma del suo lago, che sembra un croissant.

CARBONADA DI FILETTO

4 fette di filetto di manzo, 1 carota, 2 scalogni , 1 gambo di sedano, 1 cipolla, 1/2 litro di vino rosso, 1 spicchio d’aglio, 1 rametto di rosmarino, olio e burro, sale e pepe.

Trito carota, scalogni e sedano e li faccio bollire nel vino fino ad ottenere una salsa piuttosto densa, salo e frullo tutto.

Affetto la cipolla e la faccio stufare a fuoco molto dolce con due cucchiai di olio e un pizzico di sale e la tengo al caldo.

Faccio saltare in padella i filetti con circa 30 gr di burro insieme a rosmarino e aglio, li salo e pepo abbondantemente. Raggiunto il grado di cottura preferito, elimino gli odori e verso nel tegame la salsa al vino.

Scaldo tutto rapidamente e appoggio ciascun filetto su un piatto, copro con le cipolle e irroro con la salsa.

Ad Aosta questo piatto l’ho mangiato servito su una fetta di polenta abbrustolita tagliata rotonda. Presentazione molto elegante e sapore molto intenso
ARROSTO DI GIRELLO

Circa 800 gr di girello di vitello, 100 grammi di pancetta a fettine sottili, 3 carote, 1 cipolla, 1. bicchiere di vino bianco, 1 mestolo di brodo, 1 bouquet garni,60 gr di burro, sale e pepe.
Avvolgo nella pancetta il pezzo intero di girello e lo lego con qualche giro di spago da cucina .

Affetto le carote e la cipolla e le faccio appassire in un tegame con il burro e il mazzetto odoroso. Aggiungo la carne. Salo appena e pepo con abbondanza.

Faccio rosolare, bagno col vino, aggiungo il brodo, metto il coperchio e faccio cuocere a fuoco dolce per circa 1 ora e mezza rigirando ogni tanto.

A cottura ultimata levo la carne, la slego e la tengo al caldo, tolgo la pancetta , che rimetto nel tegame e frullo tutto.

Affetto la carne e la servo irrorata con il sugo.

Il mazzetto odoroso, o bouquet garni, è costituito da rosmarino ( ma a volte è prezzemolo), alloro e timo legati insieme per facilitarne l’eliminazione a fine cottura. Ve l’avevo già detto? Mi pare di sì.

FILETTO DI VITELLO ALLE SPUGNOLE

4 fette di filetto di vitello di circa 150 gr l’una, 300 gr di spugnole ( morilles in francese) 1 spicchio di aglio, 1 bicchierino di Madera, 100 ml di panna , 60 gr di burro, prezzemolo tritato, poca farina,sale e pepe.

Mondo con molta cura le spugnole e le lavo ripetutamente perché  negli alveoli spesso rimangono delle impurità, le affetto, faccio imbiondire l’aglio con 30 gr di burro, lo elimino e aggiungo i funghi, li salo , li pepo e li faccio cuocere per circa 15 minuti. Ne frullo circa la metà con la panna, li rimetto nel tegame, spolverizzo con il prezzemolo e li tengo al caldo.

Infarino i filetti e li faccio saltare in una padella con i restanti 30 gr di burro, aggiusto di sale e pepe e sfumo con il Madera.

Lascio evaporare, poi allineo i filetti in una piccola pirofila, li copro con la salsa di S pugnole e passo in forno a 200 gradi per qualche minuto.

Le spugnole sono dei funghi difficilmente reperibili se non in primavera, verso marzo/aprile, molto amati dalla cucina francese. Un consiglio: se non li trovate in commercio , in questa ricetta non sostituiteli con gli champignon, ma piuttosto con i finferli (detti anche gialletti, cantarelli o gallinacci ), molto più saporiti.

FLEURS DE COURGETTE FARCIS

16 piccole zucchine col fiore, 4 filetti di pesce bianco (orata, branzino , sogliola) 2 cucchiaiate di verdure miste per il soffritto, 120 gr di ricotta, 1 uovo,prezzemolo tritato, sale e pepe, burro e olio.

Stacco i fiori dai gambi e li lavo. Taglio a dadini molto piccoli le zucchine e le faccio saltare in poco olio con sedano, carota e cipolla.

Frullo con l’uovo e la ricotta i filetti di esce.Mescolo con questo composto le verdurine, aggiusto di sale e pepe, incorporo il prezzemolo e farcisco con delicatezza i fiori, ai quali ho tolto il pistillo.

Li sistemo in una pirofila imburrata leggermente distanziati, cospargo di fiocchetti di burro e inforno a 180 gradi per una ventina di minuti.
La ricetta originale prevede di utilizzare nel ripieno il pesce persico del Lago Lemano, ma non amando i pesci  d’acqua dolce ( ad eccezione del salmone che invece adoro sia al naturale che affumicato ),  preferisco usare per la farcia uno qualunque dei pesci citati, ma vanno bene anche i filetti di merluzzo.

É importante che i fiori non si tocchino altrimenti in cottura si appiccicano fra loro.

LA CUCINA FRANCESE – brandade, entrecôte mirabeau, bouillabaisse, salsa rouille, churros. 

Tratto da “La Cucina Francese e la Cugina Francese” di Silva Avanzi Rigobello

Capitolo 4- Toreador ( Carmen di George Bizet)

In Francia ormai ci siamo andati  un sacco di volte, alcune per delle vere vacanze, altre solo di passaggio verso altre mete.

Il 1971 è stato l’anno in cui per le ferie estive siamo andati in Spagna, a Tossa de Mar, in Costa Brava, dove parlano Catalano e non il più orecchiabile Castigliano, quindi anche se sei Veneto, lì non inganni nessuno e ti tocca esprimerti a gesti.

Per arrivarci ci abbiamo messo due giorni.

Lo so, a qualcuno di voi instancabili viaggiatori sembrerà ridicola la sosta di una notte per una percorrenza di un migliaio di chilometri , ma a noi è sempre piaciuto prendercela con calma e considerarci già in vacanza anche durante il viaggio per raggiungere la meta finale, anzichè precipitarci come se fossimo inseguiti.

Dopo esserci goduti i luminosi paesaggi incantati della Liguria e della Costa Azzurra , abbiamo raggiunto Aix-en-Provence e  attraversato il Cours Mirabeau, un largo viale alberato fiancheggiato da palazzi riccamente decorati.

A mio avviso si tratta di uno delle vere attrattive di questa  città, insieme alle bellissime fontane e all’incomparabile luce della Provenza , che si ritrova in quasi tutti i dipinti di Paul Cézanne , che qui é nato, alle entrecôte Mirabeau (omonime del viale) e ai calissons, dolcetti di farina di mandorle e canditi che hanno la forma romboidale dei nostri Ricciarelli.

I canditi utilizzati per confezionare i calissons, sono di arancia (scontato) e di melone (insolito).

C’è da dire che i meloni di questa zona sono eccellenti e rinomati in tutta la Francia. Noi ne abbiamo ordinato uno a pranzo: era nella sezione del menù riservata agli antipasti, come lo jambon di Haut Languedoc e pensavamo di aver capito tutto, invece ci é stato servito a palline, marinato nel Porto. Esperienza curiosa ma molto apprezzata, che ci ha preparato il palato all’assaggio del boeuf gardianne, un eccellente stufato di manzo dal gusto deciso , specialità della Camargue, accompagnato dal riso selvatico del delta del Rodano.

È una prelibatezza abbastanza simile al boeuf bourguignon.

La sera ci siamo fermati a dormire ad Arles, impressionante testimonianza del dominio Romano del I secolo d.C. in Provenza.

Esattamente come a Verona, in pieno centro storico si trovano due antichi monumenti molto ben conservati: un notevole Teatro Romano e l’anfiteatro  “Las Arenas” che in epoca moderna ha ospitato anche le corride , deprecabile e cruento costume di questa Regione e le competizioni equestri durante la “Fete des Gardians” .

La città è anche famosa per aver accolto Vincent Van Gogh ed averne influenzato la produzione artistica con i suoi colori luminosi, gli stessi che ispirano ancora i fabbricanti dei vivaci tessuti provenzali, che consiglio di acquistare in Rue Jean Jaurês.

Data la vicinanza alle Bocche del Rodano , un’escursione ( da non perdere) di pochi chilometri offre  la possibilità di vedere da vicino i  fenicotteri rosa, le paludi salate, i tori neri, i cavalli bianchi e i mandriani abbronzati , che sono un conturbante incrocio fra i butteri e i gitani .

Per completare l’esperienza provenzale, si può quindi comprare qualche tovaglia e accostarsi  ad alcune delizie da veri gourmet , che vale la pena di assaggiare.

Cito con grande desiderio di condivisione la Bouillabaisse, che è buona come quella Marsigliese, però se proprio non avete voglia di arrivare così lontano per assaggiarla andate tranquillamente a Viareggio e mangiatevi il cacciucco . Devo dire che secondo me l’unica cosa che fa la differenza è la salsa Rouille.

Ho trovato buonissima anche la Brandade, che ho assaggiato per la prima volta proprio alle porte della Camargue. In confidenza somiglia molto al “baccalà mantecato” che si mangia a Vicenza, ma ha molti estimatori perché, come sempre , i Francesi  sono bravissimi a proporre le loro specialità con maggiore enfasi di noi.

Comunque, in quell’occasione, gli assaggi regionali di pesce li ho fatti in pratica solo io , perché mio marito non si è discostato da semplici scampi, triglie , vongole e cozze cucinati nel modo più basico che riusciva ad ottenere dagli chef. Ma non deve essere andata male nemmeno a lui, dato il profumo irresistibile di maggiorana, rosmarino, ginepro, aneto, finocchio selvatico e timo che i suoi piatti emanavano.
Il giorno successivo ci siamo lasciati alle spalle il confine francese e siamo stati accolti in Spagna da impressionanti cartelli pubblicitari raffiguranti un toro in fiero atteggiamento di sfida , che pubblicizzavano una marca di sherry , ossia di Xeres come correttamente  si chiama quello prodotto nella zona di Jerez de la Frontera.

Ce ne siamo portati a casa alcuni esemplari alla fine della vacanza, ovviamente. 

Stupendo il paesaggio offerto dagli ultimi 10 o 12 chilometri dei circa 150 percorsi per raggiungere Tossa de Mar, una strada tutta curve  che tagliava una fitta foresta di macchia mediterranea .

La Costa  Brava vantava anche allora località balneari molto più mondane del suggestivo paese dal fascino antico dove avevamo prenotato noi, ma siamo stati sempre poco interessati alle discoteche, ai bagni di mezzanotte, ai falò in spiaggia e alla vita notturna in generale, sostanzialmente perché uno di noi due non ha mai imparato a ballare e in più la sera si addormentava sempre presto.

Quindi era perfetta per le nostre esigenze questa bellissima cittadina fortificata medievale, a picco su un mare di un blu così   intenso come solo il Mesiterraneo riesce ad essere, con le sue piccole spiagge  a ferro di cavallo e la “ciutat vella” perfettamente riconoscibile all’interno delle mura di difesa dalle invasioni dei mori.

Fu Marc Chagall a definire questa piccola città il “paradiso blu” e anche lui era uno che di colori se ne intendeva .

Dato che Tossa de Mar dista un centinaio di chilometri da Barcellona , non abbiamo potuto fare a meno di visitarla, per ammirare perplessi alcune opere di Antoni Gaudi come la Cattedrale tuttora incompiuta della Sagrada Familia (che ricorda l’architettura dei castelli a piramide che si fanno sulla spiaggia sgocciolando una miscela di acqua e sabbia dalla punta delle dita) e Casa Batilo ( che potrebbe sembrare la residenza del Presidente dei Puffi ), per passeggiare sulle Ramblas, mangiare tapas e churros e assistere ad uno spettacolo di Flamenco andato un po’ troppo per le lunghe, bevendo sangria.

Abbiam  fatto una vacanza rilassante e divertente insieme.Trascorrevamo le assolate , pigre giornate spagnole quasi sempre sulla Platja Gran, la spiaggia che va dal promontorio della città vecchia fino a dove si radunano i gabbiani. Mi si dice che ora lì c’è una statua intitolata al “Gavina Joan “, il famoso gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach.

Ne sono felice : se lo meritava proprio un monumento l’amico Jonathan, libero e anticonformista rappresentante della New    Age.

Le serate erano dedicate a fare escursioni estemporanee alla Cala Es Codolar, una piccola spiaggia dal fascino speciale , al riparo dai venti, dove i pescatori la sera tiravano in secca le barche , che si raggiungeva scendendo antiche scale dalla sommità del promontorio fortificato, oppure a scoprire i mille negozietti della città vecchia, per passeggiare lungo la Rambla dagli storici edifici secolari su entrambi i lati e scegliere accuratamente la “taberna ” o la “posada” dove cenare.

Cenare, o comunque consumare un pasto in Spagna é una vera festa. Mi sento di affermarlo nonostante la modesta esperienza maturata unicamente in Costa Brava. La  sera ci si sedeva a tavola allegri, dopo la sosta in una “bodega” per una sangria , anche Blanca e si ordinavano la paella Valenciana , Catalana o de Mariscos, la zarzuela ( ma la ricetta non è di Calderòn de la Barca), o semplicemente gamberi e pollo ai ferri.

Inquietante è stata la scoperta che il lunedì i ristoranti offrivano molti più tagli di carne di manzo che durante il resto della settimana, comprese le criadillas fritas. Si sa, in Catalogna la tauromachia era seguita e anche molto apprezzata dalla maggior parte dei suoi abitanti.

Nel ristorante dove andavamo più spesso ( dove ho insegnato allo chef a preparare la carbonara in cambio della sua ricetta “segreta” della sangria), mentre io ordinavo la crema Catalana , mio marito amava concludere il pasto con una grossa coppa di gustose e profumatissime fragole locali. Naturalmente le ordinava in italiano e il nostro cameriere abituale , che ormai aveva imparato le sue preferenze , gli proponeva anziché fresas con nata , “fregole con pana” ,orgoglioso e sorridente perché pensava di pronunciarlo correttamente in italiano. Da parte sua, mio marito era convinto che lo dicesse in catalano e ha continuato a ordinare “fregole con pana” anche in altri locali.

Io non ho avuto il coraggio di disilludere né l’uno né l’altro.

BRANDADE 

Circa 1 chilo di filetti di baccalà dissalato, 2 bicchieri d’olio d’oliva, 1 bicchiere di latte, 2 spicchi d’aglio, 1 patata bollita, 1 tartufo nero, pepe e noce moscata.

Sistemo i filetti di baccalà in una pentola e li copro d’acqua fredda. Porto a ebollizione , faccio cuocere una ventina di minuti, lascio intiepidire lontano dal fuoco, li tolgo dalla pentola ,li spezzetto con una forchetta e li frullo con l’aglio.

Sistemo il composto in un tegame aggiungendo l’olio, la patata calda schiacciata  e il latte  e cuocio mescolando di tanto in tanto, senza mai farlo bollire.

Ottenuta la consistenza di un puré , insaporisco con pepe e noce moscata e incorporo il tartufo tritato.
In sostituzione del tartufo si possono utilizzare delle acciughe, che vanno messe nel tegame per prime , sciolte in poco olio e cotte con il baccalà. Dipende dai gusti.Certo però che l’aggiunta del tartufo conferisce alla preparazione un sapore inaspettato e un profumo molto invitante e raffinato.

In Provenza servono questo piatto come antipasto caldo, accompagnato da crostini sfregati con l’aglio. Anche in Spagna.

ENTRECÔTE MIRABEAU

1 costata di manzo di circa 500 gr, olive farcite, filetti d’acciuga, 20 gr di burro , 1/2 cucchiaino di pasta d’acciughe
Cuocio alla perfezione la costata alla griglia.

La sistemo sul piatto di portata e la spalmo di burro miscelato con la pasta d’acciughe . Sopra sistemo le acciughe creando una griglia e al centro di ogni rombo metto 1/2 oliva tagliata a metà.

 É un modo semplicissimo di cucinare una costata , che però così acquista un sapore molto provenzale. La quantità di filetti d’acciughe e di olive dipende dal gusto personale.

Honoré Gabriel Riqueti conte di Mirabeau fu un uomo politico francese, scrittore ,rivoluzionario e diplomatico del XIII Secolo, ma non ho idea di cosa c’entri  col nome dato alla ricetta.

BOUILLABAISSE

Circa 1500gr di pesci misti ( tra: gallinella,merluzzo, San Pietro, coda di rospo, scorfano, triglie, dentice, orata , sarago , nasello, ecc.) ,8 grossi gamberi, 2 cipolle, 2 carote, 1 gambo di sedano, 1 barattolo di pelati sgocciolati, 2 spicchi d’aglio, 1 peperoncino, 1 ciuffo  di prezzemolo, 2 bustine di zafferano , 1 pezzetto di buccia d’arancia , 2 foglie di alloro , 1 rametto di timo, olio, sale e pepe.

Dal pescivendolo faccio eviscerare tutti i pesci e tagliare a tranci quelli grossi.

In un tegame largo e molto capiente faccio stufare nell’olio le cipolle, le carote e il sedano tritati con l’aglio grattugiato, dopo una decina di minuti aggiungo i pomodori a pezzi , sgocciolati, il timo, l’alloro, la buccia d’arancia, il peperoncino e i pesci che richiedono una cottura più lunga .

Verso il vino, copro a filo con dell’acqua tiepida in cui ho sciolto lo zafferano e li faccio cuocere a fuoco vivace per 10 minuti al massimo, aggiungo gli altri pesci e i gamberi e proseguo la cottura per altri  5 minuti, smuovendo il tegame senza mescolare, salando appena e pepando in abbondanza.

Con molta attenzione tolgo il pesce a pezzi dal brodo di cottura e lo sistemo su un piatto da portata.

Passo al setaccio il liquido rimasto nella pentola e lo distribuisco in piccole terrine di coccio individuali.

Servo accompagnato dalla salsa rouille e da qualche bruschetta all’aglio. A parte passo i pesci.

Si dice che il segreto della vera bouillabaisse stia nella cottura rapida, che non deve superare i 15 minuti: io ci provo.

I marsigliesi sono così orgogliosi della loro zuppa di pesce, da averne addirittura depositato il brevetto. La mia è solo una delle tante versioni che presento però come i Francesi , destrutturata, servendo separatamente i pesci, il brodo, i croutons e la salsa in ciotoline individuali.

Non temete, di norma i pescivendoli si prestano gentilmente a fare per voi il “lavoro sporco” di squamare ed eviscerare i pesci che avete scelto e di tagliare a tranci i più grossi . Vi indicheranno anche quali sono quelli da cuocere per primi.

SALSA ROUILLE N 1

1 peperone rosso, 1 peperoncino piccante , 2 spicchi d’aglio, 1 panino senza la crosta, 1 mestolo di brodo di pesce, 1 tuorlo, 150 ml di olio, 1 pizzico di sale.

Passo il peperone sotto il grill, lo spello e lo taglio a pezzetti. Faccio ammorbidire il panino nel brodo ( anche granulare) di pesce. Frullo entrambi con il peperoncino privato dei semi, gli spicchi d’aglio senza il germoglio  interno, il tuorlo, un pizzico di sale e circa 1/3 dell’olio. Sempre frullando aggiungo a filo il rimanente olio fino a che la salsa si ispessisce .

Di questa salsa, che si spalma sui crostoni di pane grigliati e accompagna le diverse versioni di zuppa di pesce tipiche del Sud della Francia, ho anche una variante più semplice, ma di sapore più forte, forse maggiormente adatta al gusto dei pescatori marsigliesi, che però  può  andare bene anche a voi che non soffrite di gastrite o di ulcera , se vi va di cucinare una volta o l’altra alla Mediterranea .

SALSA ROUILLE n 2

3  spicchi  d’aglio, 1 peperoncino piccante, 1 tuorlo, 1 cucchiaio di mostarda di Digione piccante, 100 ml di olio ,1 pizzico di sale.
Pesto nel mortaio l’aglio e il peperoncino prima tritati finemente, li trasferisco in una ciotola, li mescolo al tuorlo e alla mostarda.

Aggiungo un pizzico di sale e con la frusta comincio a montare la salsa unendo l’olio a filo come per una normale maionese.
CHURROS

125 gr di farina, 1 cucchiaino di lievito per dolci, 1 cucchiaio di olio, 250 ml di acqua calda, olio per friggere, zucchero semolato e cannella.

In una ciotola mescolo insieme la farina e il lievito, aggiungo l’olio e un po’ alla volta l’acqua calda.  Mescolo energicamente il composto e lo inserisco in una sac à poche  munita di una bocchetta grande scanalata.

Porto l’olio in temperatura e friggo la pastella tagliandola con un  coltello affilato , a mano a mano che esce dal beccuccio , in piccoli cilindri rigati di circa 8-10 cm di lunghezza.

Quando sono belli dorati li scolo sulla carta da cucina e poi li faccio rotolare in una miscela di zucchero e cannella.

Spero perdonerete lo sconfinamento gastronomico iberico, ma i churros sono talmente buoni che mi sarei sentita insopportabilmente egoista se non avessi condiviso la ricetta con voi.